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Giustizia: Berlusconi; lodo Alfano è il minimo in democrazia
La Repubblica, 25 luglio 2008
Si ritiene un perseguitato dalla magistratura, vittima "di una persecuzione inaccettabile in democrazia". Perseguitato al punto che - parlando di sé in terza persona - "il Presidente del Consiglio, a seguito della persecuzione a cui è stato sottoposto in questi 14 anni, dal 30 giugno al 15 luglio avrebbe dovuto andare un giorno sì e un giorno no in udienza: quindi non avrebbe potuto governare, non avrebbe potuto convocare un Consiglio dei Ministri". Quindi "mi sembra che in una democrazia, quando si verificano cose come quelle che si sono verificate in Italia con una parte della magistratura che si è data come compito quella di sovvertire il voto degli italiani, mi sembra che il lodo Alfano sia il minimo da fare per tutelare la libertà propria". Ma lui, Berlusconi, si metterà al riparo dello scudo del lodo Alfano o non se ne avvarrà come aveva annunciato quando era in piedi l’ipotesi del blocca processi o salva-premier? La risposta sembra scontata, altrimenti non si capirebbe tutta l’urgenza per approvare l’immunità per le alte cariche dello Stato. Ma Berlusconi lascia soltanto capire senza rispondere nettamente con un sì o con un no. "Avevo già detto pubblicamente - spiega il premier - che non mi sarei avvalso della clausola che dava la possibilità alla magistratura di sospendere per un anno i processi anteriori al 2000. È stata chiamata legge blocca processi e salva-premier, ma prevede esattamente il contrario. E allora ho dichiarato che non mi sarei avvalso di questa legge. Quindi - conclude con una punta di polemica verso i giornalisti quando la finirete di non capire o di far finta di non capire che c’è stata una persecuzione inaccettabile in una democrazia, sarà sempre troppo presto...". Dopo l’assoluzione peri presunti reati ambientali in Sardegna, ieri è arrivata quella per l’inchiesta Telecinco in Spagna. "Ma quando poi arrivano le assoluzioni, nessuno ne parla" si lamenta il Presidente del Consiglio, che alla giornalista del Tg3 che gli ha fatto la domanda sulla giustizia dice: "Voglio vedere se il suo Tg dirà che dopo dieci anni di persecuzione e di fango gettato addosso a me, ai miei uomini e alla Fininvest, nell’ambito dei processi francesi e spagnoli creati dal magistrato... come si chiama?... ho rimosso... ah, Garzon, su spinta materiale della procura milanese" ora "sono stato assolto dalla Corte di Cassazione spagnola con formula piena perché il fatto non sussiste". E poi, si sfoga Berlusconi, "mi domando chi risarcirà l’immagine che è stata sporcata in dieci anni su tutti i giornali del mondo, chi risarcirà le spese per gli avvocati e per il trasporto aereo degli stessi imputati e legali. E ancora: mi chiedo chi risarcirà le spese di trasferta in alberghi a tre stelle perché gli avvocati vanno trattati bene? La risposta è: nessuno. Io spero che qualcuno venga a chiedere scusa, ma so che non sarà cosi". Fine della conferenza stampa. E al premier maltese, spettatore dello sfogo, un’ultima battuta: "Quando ci vuole, ci vuole...". Giustizia: Veltroni; dal Colle scelta giusta, ma legge sbagliata
L’Unità, 25 luglio 2008
"Sono convinto che il Presidente Napolitano in tutta la vicenda del cosiddetto lodo Alfano abbia svolto con il consueto equilibrio il suo compito in una fase certamente non facile". Walter Veltroni l’aveva detto a più riprese e l’ha confermato ieri: la firma del Capo dello Stato a quella legge era "un atto dovuto, dopo l’approvazione delle Camere", ed era del tutto prevedibile. Ma tutto questo non c’entra niente con il giudizio, molto critico, che di quella legge si può dare e che infatti l’opposizione dà: "Una norma tanto frettolosa da apparire autoritaria". Veltroni ha fatto diffondere nel pomeriggio la nota, dopo che era cresciuta la polemica alimentata dalle critiche di Di Pietro al Capo dello Stato. Al leader del Pd gli attacchi al Presidente, compresi i dubbi dell’Unità, non sono piaciuti, perché rischiano di coinvolgere il Quirinale in una rissa di cui "non c’è proprio bisogno". "Attaccare Napolitano - affermano al Pd - significa fare un favore alla Destra". D’altra parte, per Veltroni, il problema è sempre quello: fare un’opposizione dura ma riformista, non demagogica, significa rinunciare all’invettiva, tenere conto degli equilibri istituzionali, anche se è chiaro che insultare l’avversario può dare qualche vantaggio nei sondaggi. Veltroni l’ha detto riferendosi proprio a Di Pietro e alle sue ultime esternazioni: "Chi dà del magnaccia a Berlusconi, prende chiaramente più spazio sui giornali...". Il leader del Pd difende Napolitano perché, spiega nella nota, "al Presidente nella nostra Costituzione viene riservata in casi come questo una sola valutazione di manifesta incostituzionalità" del provvedimento. E in questo caso, ricorda il segretario, la norma licenziata dalle Camere tiene conto "di molti dei rilievi di costituzionalità sollevati dall’Alta Corte contro il precedente lodo Schifani". Il problema del lodo Alfano, per Veltroni, sta altrove, nel modo in cui è stata prospettata, nel baratto attuato con la blocca processi, e non a caso il giudizio del Segretario riprende anche le parole del Vicepresidente del Csm Mancino, condivise dallo stesso Napolitano: "Manteniamo questa ferma convinzione sull’operato del Presidente, senza con questo rinunciare in alcun modo al nostro giudizio negativo sul lodo Alfano, e all’idea che, una materia di questa delicatezza, la maggioranza avrebbe fatto bene ad affrontarla con una legge costituzionale e non con un provvedimento ordinario, fatto approvare in maniera tanto frettolosa da apparire autoritaria". Il giudizio di Veltroni fa capire che il Pd non ascolterà le sirene della Destra, secondo cui ora è il tempo di scordare i contrasti e sedersi al tavolo delle riforme come se nulla fosse. Intanto, come spiega Marina Sereni, "dipende da quali riforme, ossia se si pensa ai cittadini e non agli interessi di uno solo", e poi come dice lo stesso segretario in un’intervista televisiva a Sky, non è il premier che deve dettare l’agenda: "Se le agende si dettano servono degli scolari che le scrivono, ma noi non siamo in questa categoria: le agende, se si vuole, si concordano". Ieri Veltroni ha fatto capire l’orizzonte delle riforme in un’assemblea dell’area liberal del Pd, guidata da Enzo Bianco. L’Italia, dice il segretario, ha bisogno come il pane di "profondissime riforme", ma questo governo è il meno adatto a farle, perché "è figlio di un tempo finito, è la prosecuzione di qualcosa che è già stato", ancorato a ricette e linguaggi vecchi. L’esempio, aggiunge, viene dalla "manovra finanziaria che non affronta le emergenze e non contiene nulla di anticiclico, mantiene le tasse dove sono, non fa infrastrutture, taglia investimenti, non aiuta i salari, vorrei capire da dove il paese può ripartire". Tutto questo "rende ancora più grottesche le priorità di un governo che si occupa di uno solo". "Le grandi riforme afferma - le può fare il Pd e uno schieramento davvero riformista". E a proposito di alleanze, avverte Veltroni, è vero che la "vocazione maggioritaria non è solitudine ascetica, ma sicuramente non è il ritorno alle vecchie maggioranze". "Saremo un soggetto riformista che si apre ad alleanze riformiste, non basta stare insieme, sarebbe come un matrimonio a Las Vegas...". Giustizia: di male minore in male minore, verso la riforma di Carlo Federico Grosso
La Stampa, 25 luglio 2008
La maggioranza targata Berlusconi ha fatto nuovamente tombola. D’un colpo solo ha approvato definitivamente il lodo Alfano sull’immunità del Presidente del Consiglio e il decreto sicurezza. Una dimostrazione indiscutibile di forza e, nel contempo, di capacità di operare. Terminato il primo round, dichiarazioni bellicose annunciano che a settembre s’inizierà la sistemazione definitiva del capitolo giustizia. Alla luce di quanto è accaduto nei primi mesi di governo, è verosimile pensare che anche in questo caso Berlusconi potrebbe fare centro. Se dovesse proseguire con le stesse modalità con le quali ha agito fino ad ora, per la giustizia e lo Stato di diritto potrebbe essere, tuttavia, il disastro. Per salvare Berlusconi dall’incalzare dei suoi procedimenti penali, essa ha dapprima deciso d’inserire nel decreto sicurezza l’emendamento blocca processi: per fermare i suoi processi, prevedeva di bloccare, nella sostanza, una porzione cospicua di giustizia italiana. Contemporaneamente, il Guardasigilli ha predisposto un rinnovato lodo Schifani diretto a coprire d’immunità le quattro più alte cariche dello Stato senza incorrere, per quanto possibile, nelle censure espresse a suo tempo dalla Corte Costituzionale. Il nuovo lodo è stato immediatamente approvato dal Consiglio dei Ministri e trasmesso al Parlamento per l’approvazione. A questo punto, con la mediazione preziosa del Capo dello Stato, si è raggiunto un compromesso. L’emendamento blocca processi è stato sostituito con un nuovo emendamento meno sconvolgente. Il lodo Alfano, pur giudicato anch’esso illegittimo da numerosi autorevoli costituzionalisti, ha avuto disco verde in Parlamento ed è stato velocemente approvato dalla maggioranza parlamentare e quindi promulgato dal Presidente della Repubblica. Male minore, hanno osservato molti commentatori. Di fronte all’esigenza, giudicata imprescindibile dalla maggioranza di governo, di bloccare per la durata della carica i processi penali del Presidente del Consiglio, si è quantomeno evitato di rinviare assurdamente migliaia di altri processi penali. Stabilito di cancellare l’emendamento blocca processi, non più necessario per salvaguardare Berlusconi, la maggioranza non ha, per altro verso, preso la decisione più ragionevole: eliminarlo e basta. Ha sostituito l’emendamento originario con un nuovo, più circoscritto, provvedimento di sospensione discrezionale di alcuni processi. Gli osservatori più attenti hanno subito rilevato che, nella sua specifica configurazione, anche il nuovo emendamento avrebbe rischiato di creare non pochi inconvenienti all’ordinato esercizio della giurisdizione. Comunque, anche in questo caso, male minore, hanno osservato numerosi commentatori. L’importante era che fosse spazzato l’obbrobrio del salva processi originario. In questi giorni si è cominciato a discutere in Commissione Giustizia della Camera il disegno di legge sulle intercettazioni. Si tratta di un provvedimento che contiene una novità importante: l’obbligo di espungere dagli atti processuali le intercettazioni che riguardano terzi estranei ai processi e il divieto della loro pubblicazione. Un’esigenza sacrosanta, diretta a evitare abusi nei confronti della privatezza delle persone. Nel contempo, tale provvedimento prevede peraltro novità preoccupanti, come il totale divieto di pubblicare notizie concernenti indagini penali in corso e la previsione di pesanti pene detentive nei confronti dei giornalisti, con buona pace del diritto dovere di informare e del controllo popolare sull’esercizio dell’attività investigativa. Ieri sono apparsi sui giornali cauti segnali d’apertura, in materia, da parte di taluni esponenti politici: non più divieto totale d’informare, non più galera per i giornalisti; semmai, semplici restrizioni e, soltanto, forti sanzioni pecuniarie per gli editori in caso d’infrazione. Poiché pesanti sanzioni pecuniarie a carico degli editori sono, in ogni caso, inevitabilmente destinate a provocare rilevanti turbative sulla libertà di stampa, dovremo, ancora una volta, acconciarci a commentare che, fortunatamente, è stato garantito il minor male possibile data la temperie del momento? Di mediazione in mediazione, il quadro delle riforme compiute o in gestazione in questo primo spicchio di legislazione è comunque desolante. Si è trasformato il Presidente del Consiglio in una sorta di Principe liberato, sia pure a termine, dalle normali, doverose, responsabilità giudiziarie per i fatti dei quali è accusato. Si è introdotto un meccanismo inutile, se non addirittura nocivo, di sospensione facoltativa dei processi di primo grado concernenti i reati minori. Con la nuova disciplina delle intercettazioni si rischia di turbare, in un modo o nell’altro, l’esercizio della libertà di stampa. Ecco perché, di fronte alle baldanzose dichiarazioni sulla ventilata riforma d’ottobre della giustizia italiana, vi sono motivi di grande preoccupazione. Non vorrei che Berlusconi, nella sua radicata volontà di ribaltare i rapporti di forza fra i poteri dello Stato, sparasse nuovamente più in alto possibile, per addivenire poi, nel quadro di una mediazione resa artatamente necessaria, a risultati che costituiscono comunque un male, sia pure minore di quello paventato. Sarebbe, come dicevo, il disastro per la giustizia e per lo Stato di diritto. A questo punto non credo che le pur utili mediazioni realizzate fino ad oggi potrebbero più essere d’aiuto. Nessuna copertura, nessun salvacondotto potrebbe più essere accettato o condiviso. Giustizia: mondo cattolico contro Maroni sul tema sicurezza
L’Unità, 25 luglio 2008
Ancora contestazioni da parte delle associazioni cattoliche sul decreto sicurezza. Le norme approvate mercoledì 23 luglio dal Senato non convincono affatto il mondo cattolico, che chiede al governo Berlusconi di rivedere le norme sui ricongiungimenti familiari, sull’asilo e sui comunitari. I provvedimenti contenuti nel decreto vengono giudicati infatti come "previsioni legislative che creano restrizioni, ostacoli, barriere all’ingresso e al soggiorno proprio di quei cittadini stranieri che si presentano in condizione di particolare vulnerabilità o che intendano ricostituire in Italia l’unità della loro famiglia". Perciò previsioni sbagliate. Così Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Acli, Comunità di S. Egidio e Centro Astalli dopo le forti perplessità già espresse in occasione della presentazione del pacchetto sicurezza tornano a criticare il decreto. E chiedono, senza mezzi termini "di rivedere l’impostazione generale di queste previsioni in modo da garantire l’unità della famiglia anche in migrazione, spesso fondamentale anche in termini di sicurezza". La prospettiva delineata dal governo e fortemente criticata dalle associazioni è quella che pone "condizioni estremamente restrittive per il ricongiungimento del coniuge, dei figli maggiorenni e dei genitori a carico e con l’introduzione dell’esame del Dna per accertare la parentela, con spese a carico del richiedente". Inoltre c’è un ulteriore intervento delle commissioni parlamentari che "invita il Governo ad introdurre un ulteriore limite ai ricongiungimenti, basato sul reddito, non più ancorato ad un criterio di progressione, ma al numero dei soggetti da ricongiungere". E determina una discriminazione economica: "solo i nuclei più agiati potranno permettersi di documentare delle risorse economiche di cui spesso è privo anche un cittadino italiano. Non si considera invece che frequentemente la crescita economica di una famiglia straniera comincia proprio grazie ai ricongiungimenti, che consentono all’altro coniuge o ai figli in età da lavoro di trovare a loro volta un’occupazione per contribuire al miglioramento delle condizioni economiche familiari. Senza contare che l’innalzamento dei parametri di reddito prolungherà la separazione forzata fra membri della stessa famiglia, costringendo in molti casi a scelte dolorose"., scrivono nella loro nota le associazioni. Per quanto riguarda le richieste di asilo, dal mondo cattolico viene ribadito che "la necessità di dare segnali rassicuranti al paese non può andare a discapito di chi è in condizioni di particolare vulnerabilità". E dunque, Caritas e Migrantes, giudicano insensato "procedere a modifiche del D.Lgs n. 25/2008, che ha recepito una direttiva europea sui rifugiati e richiedenti asilo, e la cui efficacia non è stata neppure ancora sperimentata". Preoccupazione infine anche per le restrizioni proposte al soggiorno dei cittadini comunitari, "che di fatto ripristinano la situazione precedente all’ingresso nell’Unione". Il messaggio al governo è chiaro: "tutelare i soggetti più vulnerabili". E se "è vero che spetta al mondo politico legiferare in questa materia - concludono le associazioni cattoliche - è altrettanto vero che la Chiesa e gli organismi che ad essa si ispirano hanno il dovere di fare appello alla coscienza pubblica e a quanti hanno autorità nella vita sociale, economica e politica". Perché tutela ci sia. Giustizia: pm Grasso; benefici insufficienti, mancano i pentiti
Apcom, 25 luglio 2008
Pentirsi non conviene: per scontare meno anni di carcere ci sono altre e più convenienti vie. È l’analisi secca del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, che - in audizione al Senato davanti alle Commissioni riunite Giustizia e Affari Costituzionali nell’ambito dell’esame di disegni di legge in materia di sicurezza pubblica - ha spiegato: i collaboratori di giustizia non ci sono più perché non sono più convenienti i benefici penitenziari della collaborazione, ovvero gli sconti di pena previsti non sono sufficienti a fronte di quelli raggiungibili con rito abbreviato o patteggiamento. "Non si può recriminare che non ci siano più collaboratori di giustizia quando le norme ordinarie consentono sconti tali da non rendere più convenienti i benefici penitenziari della collaborazione", ha dichiarato Grasso. Chi diventa collaboratore di giustizia - ha spiegato - "ha infatti un’attenuante per cui si sconta solo un quarto della pena in carcere; ma, se facciamo i conti, tra rito abbreviato, impugnazione del rito abbreviato e patteggiamento allargato in sede di appello, una persona che dovrebbe essere condannata per traffico di stupefacenti a 24 anni di reclusione ne sconta solo otto, molti meno di quanti ne avrebbe presi se avesse collaborato". "È chiaro che, avvalendoci di questi sistemi e queste norme, la collaborazione non è più conveniente", ha sottolineato il procuratore nazionale antimafia, concludendo: "Prima di chiederci perché non si risolvono i problemi della criminalità dobbiamo farci un esame di coscienza su quali siano le norme che devono contrastare la criminalità organizzata".
Azione antimafia è bloccata da lentezza processi
La lentezza dei processi è un punto debole di tutto il sistema che blocca anche l’azione antimafia, è questa l’analisi del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso che oggi è stato ascoltato in Senato dalle Commissioni riunite affari costituzionali e giustizia impegnati nell’esame di alcuni disegni di legge di sicurezza pubblica. E per paradosso proprio per l’applicazione della legge Pinto sull’equa riparazione per la lunghezza dei processi le Direzioni distrettuali antimafia si sono viste pignorare 150mila euro. "Non sono solo i punti deboli della lotta alla mafia che bisogna valutare, ma i punti deboli di tutto ill sistema. Pe runa strana correlazione, infatti, l’azione antimafia viene bloccata dalla lentezza dei processi", ha sottolineato in audizione Grasso, aggiungendo: "È strano, ma ho subito il pignoramento di 150mila euro destinati alle Dda, quindi all’azione antimafia (sotto forma di auto, riparazioni, manutenzione delle auto stesse e quant’altro), proprio in attuazione dei decreti ingiuntivi emessi per la legge Pinto". "Quest’ultima - ha spiegato il procuratore nazionale - produce condanne per la lentezza dei processi, e per l’esecuzione forzata viene colpito il denaro destinato alla Direzione distrettuale antimafia". "La lentezza dei processi - ha concluso Pietro Grasso - produce l’arresto dell’azione antimafia". Giustizia: caso Contrada; la protesta di Salvatore Borsellino di Salvo Palazzolo
La Repubblica, 25 luglio 2008
"Mio fratello, Paolo Borsellino, diceva di Bruno Contrada: "Solo a fare il nome di quell’uomo si può morire". Io sono disposto ad accettare la sua scarcerazione se tirano fuori Paolo dalla bara, vivo. Invece, lo stanno uccidendo ancora, perché Contrada conosce i segreti degli uomini delle istituzioni deviate, che restano in libertà. Adesso ho solo voglia di farmi giustizia con le mie mani, dato che la giustizia in questo nostro sciagurato paese non esiste più". Salvatore Borsellino, il fratello del giudice assassinato il 19 luglio 1992 assieme ai cinque poliziotti di scorta, cita Leonardo Sciascia ("Lo Stato non può processare se stesso, diceva. Aveva ragione") e accusa l’ex superpoliziotto: "Le indagini nei suoi confronti devono proseguire".
Contrada però si è sempre proclamato innocente, ribadendo di essere rimasto un funzionario fedele dello Stato. "Non ha mentito. Ma a quale Stato è rimasto fedele? Credo a quello deviato".
È anche la tesi dei giudici che l’hanno condannato. I processi hanno accertato che la famiglia dell’ex 007 del Sisde continua a vivere in una casa popolare. Contrada non si è arricchito. Secondo lei, quale sarebbe stato il prezzo dell’infedeltà di cui è accusato? "La risposta non c’è ancora. Contrada è il solo che finora ha pagato fra tutti coloro, rappresentanti delle istituzioni, che hanno trattato con la mafia. Quella trattativa ha ucciso mio fratello".
Cosa aveva scoperto Paolo Borsellino dopo la morte di Falcone? "Contrada sa, ma non parla. Il primo luglio 1992, mio fratello stava interrogando il pentito Gaspare Mutolo sulle collusioni di Contrada con le cosche. All’improvviso, fu chiamato al telefono, per incontrare il Ministro Mancino, al Viminale. Lì vide Contrada, che usciva dalla stanza del Ministro, rimase molto turbato. Tornò velocemente da Mutolo, per completare l’interrogatorio".
Mancino sostiene di non ricordare l’incontro con Borsellino. "È un altro mistero. Ma mio fratello ha segnato l’incontro nella sua agenda grigia".
L’agenda rossa di Paolo Borsellino è invece scomparsa dal luogo della strage. "Contrada deve anche dire come faceva a sapere, pochi istanti dopo l’esplosione di via D’Amelio, che era stato ucciso Borsellino. Si trovava in barca. Bisogna continuare a indagare sulle sue telefonate. E anche su quelle passate dal Cerisdi, una scuola di eccellenza per manager, in realtà un centro dei servizi deviati: si trova sul Monte Pellegrino che sovrasta la strada dove è stato ucciso Paolo".
Lei non accetta neanche i domiciliari per motivi di salute? "In carcere Contrada sarebbe stato curato benissimo. La verità è che è stata orchestrata un’incredibile campagna mediatica perla sua scarcerazione: chi poteva metterla in atto, se non i poteri forti? Sono riusciti a tirarlo fuori per evitare che potesse svelare prima chissà cosa".
In carcere resta l’ex capo della Mobile di Palermo, Ignazio D’Antone, anche lui condannato per mafia, a 10 anni. "È la dimostrazione che Contrada non ha fatto tutto da solo. Chi sono gli altri complici?". Giustizia: Del Turco; presentata nuova istanza scarcerazione
Asca, 25 luglio 2008
L’avvocato di Ottaviano del Turco, ex Presidente della Regione Abruzzo, Giuliano Milia, ha presentato istanza di scarcerazione al Tribunale del Riesame dell’Aquila. La detenzione di Del Turco, stando a quanto scritto dal Gip Maria Michela De Fine, dovrebbe terminare il prossimo 14 agosto, ad un mese di distanza da quando, il 14 luglio, l’ormai ex governatore varcò la soglia del carcere di Sulmona dove si trova attualmente detenuto. Del Turco, come altri indagati, è accusato di aver preso tangenti per 6 milioni di euro nell’ambito di un’inchiesta sulla sanità privata in Abruzzo in cui è coinvolto l’imprenditore Enzo Angelini per il quale il pool dei magistrati di Pescara aveva chiesto l’arresto respinto dallo stesso Gip. Lazio: la regione stanzia 1,5 mln di euro a favore di detenuti
Asca, 25 luglio 2008
Individuati, per un valore di un milione e mezzo di euro, gli interventi a favore dei detenuti del Lazio nel corso della seduta odierna della Commissione Sicurezza, presieduta da Luisa Laurelli (Pd). "Esprimo piena soddisfazione per i risultati raggiunti nella seduta di questa mattina - ha commentato il presidente Laurelli - perché sono stati individuati gli interventi per migliorare le condizioni di vita dei detenuti nelle carceri laziali". Tra le proposte illustrate dall’assessore regionale agli Affari istituzionali Daniele Fichera (Pd), la commissione ha scelto di finanziare in primo luogo opere strutturali per il reparto Cellulare della sezione femminile e per il nuovo complesso di Rebibbia, nonché per Regina Coeli e per la casa circondariale di Frosinone. Approvati anche gli interventi di ristrutturazione dell’istituto penale minorile di Casal del Marmo e di messa in sicurezza del Centro di prima accoglienza per i minori di Roma, oltre ai progetti promossi dal Garante dei detenuti, tra cui quello di teledidattica-università in carcere. La commissione ha, inoltre, posto l’accento sulla necessità di procedere in via prioritaria alla realizzazione, d’intesa con il Ministero della Giustizia, di una struttura destinata all’accoglienza delle madri detenute con figli minori e ha dato mandato all’assessore di prendere contatti con il Ministero per realizzarla nel corso del 2009. Reggio Emilia: lo stage tra scuola e lavoro per nove detenuti
La Gazzetta di Reggio, 25 luglio 2008
Uscire dal carcere per alcune ore per uno stage lavorativo negli enti pubblici del territorio. Un sogno? Per molti ancora sì, ma non per i nove allievi di via Settembrini che dallo scorso marzo stanno sperimentando il progetto di alternanza scuola lavoro. Un’idea innovativa nata dalla collaborazione tra l’Istituto Don Iodi e la Casa Circondariale di Reggio con il sostegno della Fondazione Enaip Don Magnani e di Unioncamere dell’Emilia Romagna: un’esperienza all’avanguardia in tutto il territorio nazionale che sta facendo giungere in città numerose richieste. "È un investimento sulla sicurezza - ha spiegato il dirigente della Casa Circondariale Gianluca Candiano - anche all’interno del carcere si possono avviare percorsi di cambiamento e di giustizia con strumenti che promuovono la riparazione del danno sociale, questi studenti ne sono la dimostrazione". Dopo quattro anni di studio sui libri seguendo l’indirizzo di "tecnico per l’accoglienza, l’orientamento e la mediazione culturale in situazione di disagio" previsto dall’offerta formativa del Don Zeffirino Jodi, è arrivata così la luce del sole per nove carcerati distintisi per diligenza, buona condotta e predisposizione verso l’altro. Cgil, Cisl, Ceis, Casa Albergo comunale, Centro d’ascolto della Caritas, Rete e Fondazione Enaip: sono questi gli uffici che hanno ospitato l’esperienza in esterna dei detenuti per 150 ore di stage. "La maggior parte di loro ha alle spalle una condanna per omicidio - ha fatto notare l’assistente del progetto Marika Gambera - l’età media è di 35 anni, con picchi verso il basso di 22 o verso l’alto di 62. Un reggiano, un milanese, più di un meridionale, albanesi, tutte persone che hanno voluto riscattarsi agli occhi di se stessi, della propria famiglia e della società con uno stage che ha dato loro la possibilità di recuperare i contatti con l’esterno". "Nessun ente si è lamentato, anzi - ha continuato Candiano - i detenuti hanno dimostrato una capacità di comprensione e di vicinanza all’altro che ha sorpreso i datori di lavoro, permettendo di superare l’iniziale diffidenza. Anche gli utenti dei servizi, all’oscuro della vera identità di chi si trovavano di fronte, sono rimasti entusiasti. Chi ha sofferto tanto è più vicino alle mancanze altrui". La fine del progetto è prevista per il mese di dicembre, momento in cui si dovranno dare delle risposte sul futuro a chi ha tenuto per tanti mesi una condotta irreprensibile. "Cosa diremo loro? Siete stati bravi e ora tornate in carcere? - ha chiesto Marika -. Bisogna creare le condizioni per far continuare questa esperienza positiva e per ampliare i posti disponibili. Il punto di forza è la rete attiva sul territorio tra carcere, scuola e servizi, il sapere investire insieme sul futuro". "Il titolo di studio e le competenze in possesso dei nove lavoratori sono equivalenti a quelli degli studenti dello Jodi - ha concluso la preside Lucia Sartori - l’Ufficio scolastico provinciale ci ha sostenuto nell’impresa, ma nulla sarebbe stato possibile senza la volontà degli allievi". Agrigento: ex detenuti al lavoro in progetti di pubblica utilità
La Sicilia, 25 luglio 2008
L’amministrazione di Canicattì (AG), sta continuando il progetto di pubblica utilità che coinvolge soggetti che in passato hanno avuto problemi con la giustizia. Dopo i primi 6 giovani, che hanno lavorato all’interno dell’Ente per circa 4 mesi, adesso toccherà ad altri 6 ragazzi che si occuperanno della cura del verde pubblico all’interno della villa comunale e di alcune aiuole dislocate in vari quartieri. Il progetto, portato avanti dall’assessore alla Solidarietà sociale, Daniela Marchese Ragona, prevede il coinvolgimento delle seguenti categorie di persone: soggetti in stato di libertà per fine detenzione; soggetto sottoposti a pena alternativa alla detenzione o a misura di sicurezza e beneficiari dell’indulto. Savona: i detenuti del S. Agostino puliscono spiagge cittadine
www.savonanews.it, 25 luglio 2008
Il Comune ha varato il progetto "Detenuti al lavoro", iniziativa che vuole favorire il percorso di rieducazione, integrazione e recupero dei soggetti in esecuzione di pena attraverso lo svolgimento di attività di pubblica utilità volte a fornire supporto nel processo di conservazione e valorizzazione del territorio. I detenuti si occuperanno della pulizia delle spiagge cittadine seguiti dagli operatori di Ata, che mettono loro a disposizione anche gli strumenti di lavoro e sotto la completa responsabilità dell’autorità carceraria. "L’iniziativa - spiega l’assessore Franco Lirosi - ha delle ricadute positive sia per il Comune che per l’Amministrazione Carceraria, che opererà con vero spirito di recupero dei detenuti che godranno di un parziale reinserimento - retribuito e garantito da copertura assicurativa - nella società civile, a contatto con gli altri cittadini". Volterra: detenuti-attori, vent’anni di tournée in tutta l'Italia
Vita, 25 luglio 2008
E fanno 20. Sono le candeline che spegne in questi giorni (esattamente lunedì 21) la Compagnia della Fortezza della Casa Circondariale di Volterra, la prima esperienza italiana di teatro in carcere. Ma 20 è anche il numero degli spettacoli che la Compagnia ha realizzato, ovvero uno ogni dodici mesi. Sono 20, infine, gli anni che ha passato dentro e fuori dal penitenziario toscano, a piede libero s’intende, il 49enne drammaturgo e regista Armando Punzo, fondatore della Compagnia e stella polare degli attuali 150 progetti teatrali sparsi fra i nostri 205 istituti di pena. "Nel 1988 era un’utopia pensare di trasformare una prigione in un centro di cultura. Oggi è realtà", afferma Punzo. E i numeri stanno tutti dalla sua parte: "Dalla Compagnia sono passati centinaia di attori. Solo negli ultimi tre anni, nelle varie tournée abbiamo dato lavoro, con contratto regolare artistico, a 280 persone. La Compagnia ormai è presenza fissa nelle stagioni di molti teatri stabili italiani, da Milano a Ravenna, da Roma a Bari". Ma qual è l’identikit degli attori della Fortezza? "Hanno dai 25 ai 40 anni, il 30% è straniero, alcuni fanno teatro anche da 12 anni di fila, il numero varia a seconda dello spettacolo", risponde il regista. "Non ci sono criteri di selezione, e chiunque è ben accetto, non conta il motivo per cui è in prigione. L’importante è che voglia impegnarsi in modo serio, non una scusa per sfuggire alla noia della vita carceraria". Ogni tournée è una piccola avventura: "Partiamo in pullman, quasi mai scortati, quindi come una normale compagnia teatrale", prosegue il regista, "l’unica differenza è che, dopo lo spettacolo, l’hotel degli attori-detenuti è il carcere più vicino al teatro". Dopo "I pescecani" del 2007, per il ventennale la Compagnia della Fortezza presenta la nuova pièce Pinocchio, in scena dal 21 al 27 luglio al Festival Volterrateatro 2008, evento di cui Punzo è direttore artistico. "Per l’occasione abbiamo anche messo a punto la nuova sala teatrale del carcere, la più piccola al mondo con i suoi tre metri per undici", continua il regista, "che porta il nome di Renzo Graziani, il deceduto ex direttore dell’istituto, che aveva creduto più di tutti nella validità del binomio teatro-carcere". I fondi per la Compagnia vengono gestiti dall’Associazione Carte Blanche, fondata da Punzo nel 1987, e arrivano da ministero, Regione e Comune "per un totale di 200mila euro all’anno, destinati alla formazione e alla promozione degli eventi. Le tournée sono invece autogestite, gli stipendi vengono pagati con gli ingaggi nei teatri". Il prossimo traguardo? "Avere dentro le mura della Fortezza di Volterra un vero teatro stabile. Una struttura aperta a tutti, che ospiti anche compagnie esterne". Alghero: quattro detenuti-studenti diplomati all’alberghiero
La Nuova Sardegna, 25 luglio 2008
Quattro giovani detenuti, al termine della sessione di esami tenutasi nei giorni scorsi, hanno ottenuto il diploma della scuola alberghiera e dei servizi per la ristorazione. I quattro sono reclusi nel carcere di via Vittorio Emanuele e hanno seguito i corsi che vengono tenuti dai docenti dell’Istituto alberghiero all’interno della casa di pena fino al raggiungimento del diploma. Un risultato di straordinaria rilevanza che interpreta in modo esemplare quell’obiettivo di rieducazione affidato al sistema giudiziario dopo l’emissione di una condanna. È evidente che a questo risultato non si potrebbe giungere se non vi fosse, nella gestione della struttura carceraria, la volontà di perseguire un obiettivo di così rilevante valore umano e sociale. I quattro detenuti sono ora in possesso del diploma di operatore dei servizi alberghieri e della ristorazione e quando sconteranno la loro pena potranno voltare pagina con il passato, rientrare nella società civile con un passaporto in grado di aprire nuove strade fatte forse anche di sudore e sacrifici, ma fondamentalmente di lavoro onesto. Gli esami di diploma si sono svolti all’interno della struttura carceraria, una Commissione per gli esami di Stato, presieduta dal professor Augusto Melis, dirigente del Canopoleno di Sassari, ha svolto il proprio compito dal 2 all’11 di luglio, periodo nel quale si sono svolte le interrogazioni, gli orali e gli scritti. I risultati vengono definiti dai commissari "molto positivi". I quattro detenuti si sentono ora indubbiamente gratificati, rinunce e sacrifici hanno prodotto un risultato estremamente prezioso. Ma soddisfazione palpabile si registra tra i docenti e tra il personale dell’Area Educativa del Carcere che da anni esercita il ruolo di motore instancabile per il recupero reale di persone che hanno commesso un errore, per quanto grave, ne stanno pagando le conseguenze, ma che quando usciranno avranno la possibilità di affrontare la vita in una condizione diversa, avranno in mano una carta di credito di tipo professionale. Significativo il commento di una operatrice dell’Area Educativa. "Il conseguimento del diploma è diventato motivo di orgoglio e gratificazione, sia per quanti svolgono la propria attività all’interno delle mura di un carcere e sia per gli insegnanti che hanno creduto, affrontando anch’essi difficoltà, nel valore aggiunto del proprio lavoro in questo particolare contesto". E a proposito dei docenti dell’Alberghiero, da segnalare che l’Istituto nel corso dell’anno si è impegnato a offrire attività di tipo diverso dal tradizionale, allo scopo di stimolare alla frequenza ma anche per fornire competenze spendibili nel mondo del lavoro, in grado di facilitarne l’inserimento. Per citare un esempio: è stato allestito un laboratorio di pasticceria, decorazione dolciaria e intaglio, che utilizzando i fondi di una Legge regionale si concluderà il prossimo ottobre. La Casa circondariale algherese ormai da diverso tempo ha sposato con grande determinazione il percorso della rieducazione e reinserimento. Oltre alla collaborazione con l’Ipsar, indubbiamente la più produttiva, e a quella indispensabile dei volontari, nel carcere sono stati allestiti laboratori (falegnameria, fotografia e stampa) creando una serie di condizioni favorevoli al punto che molti detenuti reclusi in altre case di pena della Sardegna, che evidentemente vogliono impegnare il periodo di detenzione nell’arricchimento professionale, chiedono con insistenza di essere trasferiti ad Alghero. Varese: Consorzio Sol.Co., nuovo Consiglio Amministrazione
Vita, 25 luglio 2008
Si è tenuta giovedì 24 luglio in casa Sol.Co. a Varese l’assemblea dei soci per il rinnovo delle cariche ai vertici del Consorzio. Riconfermato il presidente Marina Consolaro, che dal 2005 è alla guida del consiglio di amministrazione dello storico consorzio varesino. Oltre a Consolaro, il nuovo CdA è composto da altre quattro persone, tutti provenienti dalla base sociale e con una equa suddivisione dei componenti tra cooperative di tipo A, che si occupano di tutto ciò che gravita intorno alla persona, progettando e gestendo servizi socio-sanitari, assistenziali, educativi e culturali, e cooperative di tipo B, che svolgono attività diverse nei settori agricoli, industriali, commerciali o di servizi, finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Tre i nomi delle cooperative di storica appartenenza al Sol.Co. Varese: Paolo Piazzi de La Corte, cooperativa tipo B con sede a Varese; Aldo Montalbetti di Arcisate Solidale, cooperativa di tipo B situata a Arcisate; Marco Bernardi de L’Aquilone, cooperativa di tipo A di Sesto Calende. Nel CdA è entrata anche Barbara Trebbi di Eidos, cooperativa di tipo A con sede a Oggiona con Santo Stefano, una delle più recenti socie Sol.Co. Trebbi è anche presidente di Federsolidarietà Varese e vice presidente Confcooperative. L’assemblea di ieri è stata preceduta da una serie importante di appuntamenti istituzionali, durante i quali è stato anche visionato ed approvato il bilancio consuntivo del 2007, che si è chiuso con un utile di 6.467,00 euro. Sol.Co. Varese è uno dei due storici Consorzi di Cooperative Sociali operanti a Varese e in provincia, con il CCS di Cardano al Campo; è storicamente legato a Confcooperative Federsolidarietà e alla rete CGM. È attivo sul territorio dal 1991, e, fin dagli esordi si è occupato di favorire le proprie cooperative nell’approccio con gli Enti pubblici e nel costruire welfare di comunità. Elabora progetti ed iniziative di carattere sociale, avendo costruito negli anni un consolidato rapporto con le istituzioni pubbliche presenti: per esempio, i progetti Equal Territori per la salute Mentale, sul tema della disabilità psichica; La Cerniera, che riguarda il carcere; il NIL di Varese, lo sportello del Comune di Varese che si occupa di favorire le opportunità di lavoro per persone inviate dai servizi sociali del territorio. La rete del Consorzio è incrementata ed accresciuta anche attraverso gli stretti legami con i principali circuiti operanti nell’ambito della cooperazione sociale, quali Confcooperative - Federsolidarietà e il Consorzio CGM. Come Consorzio, Sol.Co. Varese progetta, coordina e gestisce progetti di impresa sociale in diversi ambiti: tra i vari, ricordiamo quelli per favorire opportunità di lavoro per persone disabili come il neo-avviato "O.P.S." o, in ambito del carcere, progetti a favore di ex-detenuti il cui sconto della pena sia terminato o detenuti che abbiano un regime di pena alternativo alla detenzione, per esempio, "Labora… ma ora". Sulmona: i detenuti realizzano abiti storici, servizio del Tg2
Il Centro, 25 luglio 2008
"La cittadella delle arti e degli antichi mestieri" nell’istituto penitenziario in via Lamaccio. Un laboratorio artigianale in cui si producono oggetti per le manifestazioni storiche cavalleresche. È stato questo il risultato che si è riusciti a centrare tramite il "Progetto Giostra" in carcere, partito circa quattro anni fa, dalla collaborazione tra amministrazione penitenziaria, Enfap, Comune, Provincia e Giostra. In carcere sono nati laboratori artigianali di falegnameria, cuoio, sartoria, serigrafia, ceramica. Attraverso un’attività formativa di 400 ore, i detenuti hanno realizzato calzature, ceramiche, borse, che saranno esposti fino al 3 agosto nella cappella del Corpo di Cristo. Abiti che sfileranno durante il corteo della Giostra e, con l’aiuto del "papà" della Giostra, Gildo Di Marco, i quattro nuovi mantenitori in cartapesta che saranno sistemati sul campo di gara. Del progetto si è parlato in un convegno, nel cortile dell’Annunziata, al quale sono intervenuti l’ex direttore del carcere sulmonese, Giacinto Siciliano, l’attuale dirigente Sergio Romice, Nadia Di Bacco dell’Enfap, il sindaco Fabio Federico, l’assessore provinciale Teresa Nannarone e il presidente della Giostra, Emidio Cantelmi.
E una troupe del Tg2 filma i laboratori
Una troupe del Tg2 ha varcato ieri pomeriggio i cancelli del penitenziario di via Lamaccio per realizzare un servizio. L’inviato di Raidue Valerio Cataldi, accompagnato dal cameraman Massimo Celeste, è stato obbligato a un percorso che gli ha impedito di raggiungere il piano terra dove è rinchiuso Ottaviano Del Turco. La troupe è stata accompagnata dal direttore Sergio Romice e ha visitato i laboratori dove i detenuti confezionano abiti e dove possono dipingere. Sono stati intervistati l’ispettore capo della polizia penitenziaria Gino Ciampa e il dirigente medico Fabio Federico, che è anche sindaco di Sulmona. Nel penitenziario di Via Lamaccio, aperto 15 anni fa, si trovano 270 detenuti, tutti condannati in via definitiva (per questo all’inizio si ipotizzava il trasferimento di Del Turco in una Casa Circondariale). Il tempo minimo di permanenza dei reclusi è di 12 anni. Rimini: negozio dei marchi "Rebibbia Fashion" e "Made in Jail"
Il Resto del Carlino, 25 luglio 2008
Il logo del marchio ricorda la mascherina di Diabolik, decisamente stilizzata; le frasi stampate sulle magliette giocano con il lessico da detenzione e propongono frasi come "Non si può morire dentro" e "Codici a sbarre". Allo stesso tempo possono lanciare un forte messaggio sociale di monito, riportando gli articoli del codice penale. Debutta sabato nel salotto buono di Riccione, Viale Ceccarini, il primo punto vendita monomarca Rebibbia Fashion e Made in Jail d’Italia. All’interno dello spazio commerciale "Ateneo" troveranno spazio, con i loro prodotti d’abbigliamento, due importanti realtà sociali che perseguono uno scopo comune, quello del reinserimento degli ex detenuti. Made in Jail è la griffe nata per prima nel 1988, Rebibbia Fashion è in fase di lancio: dietro i marchi ci sono le due cooperative sociali Artemisia 2004 (per Rebibbia Fashion) e Seriarte Ecologica (per Made in Jail), che garantiscono a chi è uscito al carcere la possibilità di un lavoro pulito. Torino: architettura per le carceri in mostra fino al 12 ottobre
www.exibart.it, 25 luglio 2008
La struttura carceraria nei suoi risvolti sociali ed etici. Un tema che negli ultimi tempi sembra offrire molteplici spunti di riflessione. E alcuni sono culminati nell’ultima mostra della stagione alla Sandretto. Un interesse, quello nei confronti del carcere, che recentemente sembra contagioso, visto che numerose iniziative nell’ultimo anno hanno visto come protagonista un luogo che solitamente si tende a dimenticare, ignorare o relegare ai confini della società. Un’attenzione che, francamente, sembra più una "moda passeggera" che non un interesse autentico verso le problematiche reali della detenzione. Ma l’arte non ha il compito di risposte e pone, invece, molte domande. Gli architetti chiamati a progettare un’ipotetica cella che avesse in sé le caratteristiche essenziali per la vita dei detenuti si sono ritrovati a disegnare anche uno spazio che coinvolge più sfere, da quella etica a quella politica e sociale. In quest’occasione sono nati progetti che hanno indagato le diverse istanze relative al concetto di detenzione, arrivando ad analizzare diversi temi, fra cui il rispetto dei diritti umani e l’evoluzione urbanistica delle strutture detentive. I professionisti di varie nazionalità hanno così progettato, ognuno in base alla propria cultura e alle proprie riflessioni, diversi luoghi più o meno concreti nella loro capacità di ospitare i detenuti. Il progetto dello studio Diller Scofidio + Renfro, incentrato su un aspetto virtuale piuttosto che realistico, si realizza attraverso un elaborato software interattivo che simula diverse configurazioni spaziali possibili in relazione al tipo di crimine a cui la cella è destinata. Decisamente più concreto il progetto dello studio Nowa di Marco Navarra, che in collaborazione con il carcere di Caltagirone ha coinvolto i detenuti nell’elaborazione, chiedendo loro di immaginare o disegnare una cella a loro misura, ponendo quindi l’attenzione verso il punto di vista di chi vive la privazione della propria libertà. L’isolamento forzato e la sua relazione con il lavoro intellettuale ha spinto Ines & Eyal Weizman a progettare una libreria che raccoglie tutti i volumi scritti in carcere, dalle lettere di San Paolo agli scritti di Jean Jenet ai testi di dissidenti politici come Gandhi e Gramsci. Questa raccolta di libri sarà, in seguito, donata a una struttura detentiva. Anche se con risultati discontinui, alcuni dei progetti offrono spunti e soluzioni per affrontare il tema della vivibilità all’interno delle strutture carcerarie. Insieme ai progetti architettonici è stata presentata una rassegna di video d’artista sul tema delle carceri, con opere fra gli altri di Darren Almond, Gianfranco Barucchello, Ashley Hunt, Jaan Toomik, Kon Trubkovich e Arthur Zmijewski. Venezia: accattonaggio vietato in oltre 200 aree del territorio
Dire, 25 luglio 2008
Sette pagine di ordinanza per vietare l’accattonaggio nei pressi delle aree centrali della città lagunare e della terraferma. Questo è quanto stabilito dall’amministrazione comunale, che rende off limit per i mendicanti oltre duecento aree, elencate nel documento presentato ieri ed entrato in vigore già da questa mattina. Il divieto nasce per evitare molestie ai turisti e per non degradare il gioiello turistico. E dal Comune si precisa: "Niente di antisociale". Si tratta quindi nelle intenzioni di un provvedimento prettamente estetico che interessa le principali direttrici di grande flusso del centro storico, del Lido e della terraferma, tutti i ponti e le aree davanti a chiese, caserme, ospedali, banche. E ancora: aeroporti, porti, stazioni, pontili e pensiline del trasporto pubblico, cimiteri e per un raggio di cento metri dagli incroci regolati da semaforo. "Il fenomeno dell’accattonaggio provoca disagio nei cittadini e negli ospiti di Venezia - si legge nell’ordinanza -, lede l’immagine della città e suscita una percezione distorta e difforme della realtà in relazione alle iniziative sociali assunte dall’amministrazione comunale nei confronti della povertà". E l’assessore comunale alla Tutela del decoro, Augusto Salvadori, aggiunge che "è un’ordinanza che non ha nulla di antisociale ma che è voluta da tutta la popolazione" e sottolinea che "l’accattonaggio rende anche più difficoltosa la circolazione pedonale". Dal canto suo, il comandante generale della polizia municipale, Marco Agostini, rileva che l’ordinanza "è uno strumento che consente agli agenti di poter intervenire rispetto a un fenomeno che non è collegato al bisogno, quanto piuttosto a una organizzazione di persone che dalla mendicità a Venezia ed in Terraferma trae reddito". Secondo gli ultimi dati sono circa 150 le persone che si danno quotidianamente il turno per chiedere l’elemosina, delle quali circa 80 nel solo centro storico. Ma il Comune tiene a sottolineare che questo provvedimento non stona con l’impegno che "da tempo immemorabile" viene speso per sostenere le situazioni di marginalità e difficoltà "attraverso specifici programmi di sostegno materiale e reinserimento sociale nonché mediante l’istituzione della Casa dell’ospitalità per i senza tetto". Milano: sedia elettrica al lunapark, Procura indaga giostraio
Ansa, 25 luglio 2008
Il pm Antonio Sangermano, in base all’articolo 725 del codice penale, ha disposto il sequestro dell’attrazione del lunapark dell’Idroscalo di Milano che, con un manichino, simulava la morte su sedia elettrica. Secondo quanto riferito dalla Questura di Milano il proprietario della giostra, Renzo Biancato, è indagato per atti contro la pubblica decenza. In un’intervista al quotidiano Il Giornale l’uomo, "fiero del suo manichino" ordinato e fatto arrivare appositamente dagli Stati Uniti, aveva annunciato che si sarebbe rivolto all’avvocato con l’intenzione di "riattivare subito la giostra" se non ci fossero state conseguenze legali. "Ho ricevuto diverse telefonate tra ieri e oggi - spiega Biancato - da privati che vorrebbero acquistarla, non so per fare che cosa, se per mettersela in casa o per esporla". Il giostraio racconta inoltre di avere ricevuto "moltissime chiamate di solidarietà da altri giostrai" e sull’intervento di oggi della magistratura dice: "Penso ci siano reati più seri da perseguire. Ieri poi con una decisione di buon senso, date le polemiche, avevamo già deciso tutti insieme di chiuderla". Da domani, conclude Biancato, "lavorerò col mio avvocato per difendermi dalle accuse, ma anche per vedere se ci sarà spazio e modo per riaprirla prima o poi. Sempre se non la venderò prima a qualcuno". Il segretario nazionale della funzione pubblica della Cgil Lorenzo Mazzoli già ieri aveva inviato una lettera aperta al sindaco di Milano Letizia Moratti per rimuovere quella che è stata subito ribattezzata "sedia elettrica show". Nella stessa serata il sindaco meneghino aveva condannato l’attrazione, definendola uno "spettacolo indegno per un Paese che ha lottato contro la pena di morte". Usa: contestò l’iniezione letale, eseguita la condanna a morte
Associated Press, 25 luglio 2008
È stata eseguita al Greensville Correctional Center di Jarratt la condanna a morte di Christopher Scott Emmett, il detenuto che aveva contestato il protocollo dell’iniezione letale in Virginia. L’uomo, 36 anni, è stato dichiarato morto alle 21.07 di ieri sera (le 3.07 di questa mattina in Italia). Era stato condannato per aver picchiato a morte con una lampada, nel 2001, un collega di lavoro, John Fenton Langley. "Dite alla mia famiglia e agli amici che li amo, dite al governatore che ha appena perso il mio voto" ha dichiarato Emmett prima di morire. Gli avvocati di Emmett avevano chiesto al governatore Timothy M. Kaine di commutare in ergastolo la pena inflitta al loro assistito. A inizio mese, con verdetto non unanime, una commissione di tre giudici della quarta corte d’appello circoscrizionale Usa aveva respinto la tesi di Emmett, secondo cui la pratica dell’iniezione letale in Virginia era incostituzionale. I difensori avevano poi chiesto - inutilmente - alla corte d’appello di rimandare il caso al giudice federale per ulteriori approfondimenti. Francia: Marina Petrella; in Italia tornerà solo il mio cadavere
Il Messaggero, 25 luglio 2008
"Solo il mio cadavere tornerà in Italia". Lo ha detto l’ex brigatista Marina Petrella al marito Hamed Merakchi, che ieri sera le ha fatto visita nell’ospedale psichiatrico Sainte-Anne a Parigi: "Mi ha guardato fisso negli occhi - ha raccontato Merakchi - e mi ha detto: so che sarà dura, ma in Italia riporteranno solo il mio cadavere, nient’altro". L’uomo, che non vedeva la moglie dal 10 aprile, ha aggiunto di averla trovato molto indebolita, come se fosse invecchiata di vent’anni: "Spero che tutto si sistemi - ha aggiunto - perché non siamo in un paese di selvaggi. Assomiglia ai detenuti dei campi di concentramento. È debole come una vecchietta. Ha provato ad alzarsi in piedi, ma non c’è riuscita e l’ho dovuta aiutare a risedersi". Merakchi ha accusato i medici di "limitarsi a dare a Marina sempre le stesse cure" ed ha criticato la Guardasigilli francese Rachida Dati, che lunedì scorso ha assicurato che la Petrella "non è in fin di vita: la sua prognosi è buona, ed è ben curata". Il marito dell’ex brigatista sostiene che i dottori non danno alcun chiarimento. "Continuano a ripetermi di non preoccuparmi, che la rimetteranno in piedi", dice. Ed è proprio questo, a suo dire, lo scopo della Dati: "Rimetterla in piedi per rispedirla in Italia". Il decreto di estradizione contro l’ex militante delle Br è stato firmato dal Primo ministro Francois Fillon lo scorso 3 giugno. Ma l’attuazione del mandato è stata ritardata dalla deposizione di un ricorso alla Corte d’appello da parte dell’avvocato della Petrella, Irene Terrel. Un ricorso non è giuridicamente sospensivo, ma di solito si aspetta la decisione del giudice. Intanto, fonti della "comunità" dei fuoriusciti italiani sostengono che ieri, in Consiglio dei ministri, sarebbe stata ipotizzata - anche dal presidente, Nicolas Sarkozy - la possibilità di una scarcerazione della detenuta. La proposta avrebbe trovato molte divisioni fra i membri del governo. Una eventuale scarcerazione non annullerebbe il processo di estradizione, ma rimetterebbe la donna in libertà sul suolo francese. Né l’Eliseo, né il ministero della Giustizia hanno confermato queste indiscrezioni. Il solo e unico commento ufficiale è stato quello di ieri sera, alle ore 20, quando il procuratore generale di Versailles ha confermato che lo status giuridico dell’italiana è "detenzione sotto decreto di estradizione". Ma per Merekchi le intenzioni del governo restano poco chiare: "Un deputato mi ha telefonato ieri a metà giornata e mi ha detto: Hamed, ci sono buone notizie: la scarcerazione sarà firmata. Anche l’avvocato mi ha chiamato per confermare. Poi, quando sono arrivato in ospedale, ho trovato quattro poliziotti di fronte alla porta della stanza di Marina". Cina: giornalista da 1.000 giorni in carcere per "spionaggio" di Loura Foo
Asia News, 25 luglio 2008
In un’intervista esclusiva per Asia News, il giornalista dello Strait Times, condannato a 5 anni per "aver venduto all’estero segreti di stato", racconta il sostegno ricevuto in prigione dalla lettura della Bibbia. Mette in luce le contraddizioni nell’evento delle Olimpiadi e esprime la speranza che la Cina possa divenire nel mondo anche una forza culturale e spirituale. Ching Cheong, 57 anni, è un giornalista di Hong Kong, capo corrispondente per la Cina dello Strait Times di Singapore. É stato arrestato nell’aprile 2005 per "spionaggio a favore di Taiwan" e condannato a 5 anni di carcere: avrebbe confessato di aver venduto informazioni militari a Taiwan e di aver messo in piedi una rete di spionaggio per "vendere segreti di Stato" all’estero. Ma lui ha sempre negato l’accusa e la nega tuttora. Dissidenti dicono che il suo arresto è invece collegato a una sua ricerca su Zhao Ziyang, segretario del Partito ai tempi delle rivolte pro-democrazia, e sul massacro di Tiananmen nell’89. Nel novembre 2006 la condanna è stata confermata, al termine di un processo durato un giorno in cui non sono state prodotte prove d’accusa. Grazie all’impegno del suo giornale, della moglie e dei suoi amici ad Hong Kong, che si sono battuti per il suo rilascio, Ching Cheong è stato liberato il 5 febbraio 2008, dopo aver scontato metà della pena. Ha accettato di parlare con AsiaNews della sua esperienza in prigione e delle sue prospettive sulla Cina e le Olimpiadi. É stato in prigione per oltre 1000 giorni. Ricordando quei giorni di reclusione, Ching confessa che i traumi mentali e le pressione sopportate superano di molto le violenze fisiche subite. Il momento dell’arresto, quello in cui gli hanno messo le manette è stato il momento più doloroso della sua vita, di amarezza, di mancanza di fiducia in se stesso. Per la prima volta nella sua esistenza ha provato l’umiliazione di essere ammanettato, il cuore spezzato per essere rinchiuso in una cella: "Ho avuto l’impressione di un fallimento totale, una mancanza di fiducia in quello che avevo fatto fino allora, come se tutto fosse stato sbagliato". Per mitigare la sua confusione, in prigione Ching comincia a leggere dei libri sui santi cinesi, "ma questi libri tolgono il dolore solo per un po’ e non sono capaci di risolvere le paure più profonde". E così ha chiesto di avere una copia della Bibbia. "Sentivo che ciò che potevo ottenere leggendo la Bibbia era molto di più di quanto potessi ottenere dalla lettura di altri libri. E infatti sono rimasto molto toccato; leggendo alcuni capitoli mi sono messo perfino a piangere". La parte che lo ha più colpito è il capitolo 13 della lettera ai Corinti. L’inno all’amore di san Paolo, il rapporto fra fede, speranza e amore lo ha davvero liberato dalla confusione. Ching racconta che ha cominciato a guardare gli altri "con amore", distruggendo tutti i sentimenti di odio con "il perdono". "Da quel momento ho riacquistato conforto, fiducia e forza". Si è messo anche a pregare ogni giorno Dio, per ricevere forza e camminare sul sentiero dell’amore alla Cina, per avere un cuore gioioso e buona salute "per affrontare le povere condizioni della prigione e affrontare le avversità con generosità". Ching spiega con modestia che egli non capisce il cristianesimo in profondità e per questo non si è deciso ancora a entrare in una comunità cristiana o in una Chiesa specifica. Ma è determinato a "conoscere Dio". Sua moglie, Mary Lau, è buddista ed entrambi guardano con profondo interesse la religione. "Avere fede è un’esigenza spirituale della persona", dice Ching e sebbene marito e moglie abbiano religioni diverse, si rispettano l’un l’altro. Un altro momento di luce e di speranza è stato quando ha letto un articolo sul Nanfang Zhoumo [settimanale del Guangdong - ndr] in cui si chiedeva a Pechino di fare del 2008, l’anno delle Olimpiadi, un anno di amnistia. L’articolo era stato causato dall’impegno di tanti suoi amici ad Hong Kong che premevano su Pechino per il suo immediato rilascio. Diverse organizzazioni avevano infatti domandato al governo cinese di fare dell’anno delle Olimpiadi un Anno dell’Amnistia. Grazie a queste pressioni, Ching è stato liberato. Egli pensa che la Cina dovrebbe riflettere sulla possibilità di varare questo sistema di amnistie, per permettere ad altri di goderne. "Dal tempo del mio rilascio - il 5 febbraio 2008 - Pechino ha avuto la possibilità di percorrere questo sentiero di riconciliazione. Purtroppo gli incidenti in Tibet e il terremoto nel Sichuan hanno bloccato il percorso. Ma l’articolo pubblicato sul Nanfang Zhoumo è visto come un segnale che Pechino stava pianificando un modo di migliorare il rispetto dei diritti umani, facendo passi verso la riconciliazione. Purtroppo questo processo è stato frenato dagli incidenti in Tibet e dal terremoto nel Sichuan". Ching però rimane fiducioso: fa notare che di recente alcuni parlamentari democratici hanno avuto il permesso dalla Cina di recarsi sulla zona del terremoto; allo stesso tempo, Pechino ha riaperto i dialoghi con i rappresentanti del Dalai Lama. Ciò significa che la Cina sta riaprendo il percorso della riconciliazione. Le resistenze e le critiche che le Olimpiadi di Pechino stanno ricevendo dipendono dal fatto che la Cina ha ancora bisogno di stabilire il suo soft power nella comunità internazionale: "La Cina - spiega Ching - ha sperimentato un’alta crescita economica, ma ha ancora bisogno di maturare in un vigore spirituale, è questo il soft power. Dal punto di vista dello hard power, la Cina supera ormai molte altre nazioni, ma il suo fascino culturale è ancora molto basso. In tal modo, organizzando le Olimpiadi, la Cina mostra anche tutte le sue debolezze e ciò dà agli altri una scusa per criticarla e opporvisi. Da una parte, la Cina ha tutte le capacità [tecniche] di ospitare le Olimpiadi; ma non riesce a compiere tutte le principali aspettative sociali". Ching spera che attraverso le Olimpiadi la Cina divenga più tollerante dal punto di vista politico e capace di migliorare la situazione dei diritti umani. Sul futuro del Paese, egli è ancora molto ottimista. Si ricorda che mentre era in prigione egli ha letto un articolo del premier Wen Jiabao. Wen diceva che la libertà, la democrazia, i diritti umani non sono bagaglio esclusivo della società capitalista, ma un ideale a cui tutti i popoli tendono e una conquista della civiltà [mondiale]. Ching spera che la Cina possa conoscere che i diritti umani sono un valore universale per l’umanità e quell’articolo lo ha aiutato a rafforzare il suo amore alla Cina.
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