Rassegna stampa 22 luglio

 

Giustizia: Napolitano; riservatezza, basta processi-spettacolo

 

Corriere della Sera, 22 luglio 2008

 

"Basta con la giustizia spettacolo. Serve più equilibrio e rispetto della dignità e del decoro delle persone coinvolte e va salvaguardato il diritto alla riservatezza dei cittadini anche di quei terzi estranei alle inchieste", ammonisce il capo dello Stato. Giorgio Napolitano si sofferma su uno dei temi caldi (e il pensiero corre a intercettazioni gossip recenti) in una lettera inviata al convegno di Torino in ricordo dell’avvocato Vittorio Chiusano.

Parole, le sue, che vengono apprezzate da tutti, a incominciare dai magistrati, e da esponenti politici di maggioranza e opposizione. Apprezzamento che, comunque, fa dire ad Antonio Di Pietro (Italia dei Valori): "Si può avere il massimo rispetto per il capo dello Stato e allo stesso tempo essere colpiti e amareggiati da prese di posizioni a senso unico?".

L’intervento di Napolitano giunge nel giorno in cui il Senato, dopo avere bocciato le pregiudiziali di costituzionalità presentata da Pd e Idv, avvia la discussione generale sul "Lodo Alfano" (lo scudo a tempo per le quattro più alte personalità istituzionali). "Lodo" che sarà approvato, con tutta probabilità, stasera.

In dettaglio, il Presidente, prendendo spunto dalla figura di Chiusano scomparso cinque anni fa, rileva che egli ebbe "a coniugare, con responsabilità e senso del limite, la difesa del diritto all’informazione e la tutela del diritto dei cittadini a vedere salvaguardata la loro riservatezza". Un modo questo per introdurre un altro concetto, sul quale si appunteranno i commenti dei magistrati e Di Pietro.

"Nel momento in cui si riscontra - nota Napolitano - una tendenza alla spettacolarizzazione dei processi connotata anche dalla divulgazione di notizie attinenti a terzi estranei alle vicende che ne costituiscono oggetto, occorre recuperare equilibrio per assicurare il rispetto della dignità e del decoro di persone coinvolte". Non solo. La figura del penalista torinese, conclude il Presidente, "può rappresentare stimolo formativo per chi a vario titolo opera nel settore giudiziario e spunto rilevante per la elaborazione di condivise modifiche al sistema normativo vigente".

L’Anm "recepisce" l’ammonimento, ma vi aggiunge una significativa postilla, che sarà poi ripresa ed enfatizzata da Di Pietro. Dice, infatti, il Presidente Luca Palamara che "oggi c’è un’altra emergenza: non solo serve più tutela per la dignità di chi è sottoposto a procedimento penale, ma anche dei magistrati titolari di indagini spesso oggetto di aggressioni ingiustificate, anche volgari e provenienti anche da chi ricopre incarichi istituzionali".

A questi rilievi l’ex pm aggiunge che rappresentanti della maggioranza "parlano del Csm come di una cloaca e chiedono l’elezione dei giudici e quindi il capo dello Stato dovrebbe dire ben altre cose". n richiamo di Napolitano, osserva Micaela Biancofiore (Pdl), "è quanto mai opportuno dato l’eccessivo protagonismo di certa magistratura politicizzata".

Lanfranco Tenaglia, ministro ombra della giustizia per il Pd, afferma che "la politica ha il dovere di non abbandonarsi a contestazioni generiche dell’operato della magistratura vedendo nello stesso operato sempre complotti". E Michele Vietti (Udc) vede m quel richiamo l’occasione per "tornare a concepire la giustizia come un servizio al cittadino, funzionale all’efficienza del sistema Paese".

Giustizia: Palamara (Anm); più equilibrio tra indagini e tutele

 

Il Messaggero, 22 luglio 2008

 

Sarà che sono giovani e sanno intuire quando è il momento di uscire dai vecchi schemi. O semplicemente sarà che sono realisti; il risultato è che i vertici dell’Associazione magistrati, con il presidente Luca Palamara in testa, il pericolo della "delegittimazione della magistratura" lo avvertono in maniera diversa, soprattutto in relazione alla necessità di tutelare la dignità dei magistrati.

 

Napolitano chiede un occhio di riguardo per la dignità delle persone…

"Siamo d’accordo sulla necessità di trovare un punto di equilibrio tra tutela della riservatezza, diritto di cronaca e accertamento dei reati. Ovviamente quando parliamo della tutela della riservatezza, noi mettiamo dentro il tema della dignità delle persone coinvolte oppure estranee al processo".

 

Non le sembra un richiamo rivolto a chi governa i processi?

"Non c’è dubbio, ma anche agli organi di informazione".

 

Quindi?

"Quindi l’aspetto principale del problema che noi abbiamo evidenziato è quello dei rischi connessi al processo mediatico che può creare una sorta di delegittimazione del processo che si celebra nelle aule di giustizia".

 

E per quanto vi riguarda?

"Quello che noi abbiamo evidenziato è il dovere di professionalità del magistrato, il rispetto delle parti e la valutazione dei fatti solo nelle aule di giustizia. Credo che di questi tempi sia il segno di riconoscimento dell’indipendenza della magistratura, che qualifica il doveroso controllo di legalità che siamo chiamati ad esercitare".

 

Voi richiamate sempre i concetti di autonomia e indipendenza della magistratura; non è che vi sentite svincolati da ogni forma di controllo?

"Siamo consapevoli del fatto che il richiamo a questi valori ha come corollario la responsabilità che si deve assumere chi prende una decisione, e quindi il rispetto delle regole del processo".

 

In altre parole?

"In altre parole siamo per la cultura della sobrietà e della discrezione, dell’impegno e dell’applicazione della norma. Questa è la base di partenza".

 

E qual è il concetto finale?

"Oggi avvertiamo un’altra emergenza: la necessità di tutelare la dignità dei magistrati. Alcune recenti inchieste giudiziarie l’hanno riproposta con forza; abbiamo assistito non a legittime critiche ai provvedimenti giudiziari ma a insulti e aggressioni nei confronti dei singoli magistrati che indagano anche da parte di chi riveste cariche di carattere istituzionale. Questo è inaccettabile e credo che anche gli operatori dell’informazione dovrebbero preoccuparsi di questo tema".

 

La preoccupano le polemiche, anche aspre, sulle inchieste più delicate?

"Come presidente dell’Anm mi pongo il problema che in questo clima di attacchi e di polemiche sia poi difficile uscire dal terreno della contrapposizione con il mondo della politica. Vengono offuscati quelli che sono i reali e drammatici problemi della giustizia".

 

Quali sono i più urgenti?

"Ad esempio quelli che hanno gli uffici giudiziari del Sud. Molti uffici sembrano destinati a chiudere entro due o tre anni per quella norma che impedisce ai magistrati di prima nomina di assumere le funzioni".

 

Ne avete parlato con il Guardasigilli?

"Sì, per il momento non abbiamo avuto risposta".

 

Comunque il clima tra voi e il ministro sembra buono…

"In realtà c’è divaricazione tra quelle che erano le promesse iniziali e quelli che sono stati i provvedimenti governativi in tema di blocca - processi, poi rientrato, di intercettazioni e di taglio alle spese di giustizia".

 

Non dimentica il lodo Alfano e le norme sull’immunità?

"Quelle sono scelte della politica. Attendiamo l’evoluzione del dibattito parlamentare prendendo atto che c’è una sentenza della Consulta, la 24 del 2004, che si è già espressa sulla materia".

Giustizia: niente indultino se il detenuto non ha avuto permessi

 

Diritto e Giustizia, 22 luglio 2008

 

Indultino: no alla sospensione dell’esecuzione della pena residua se il detenuto non ha ancora ottenuto permessi premio. (Tribunale di Sorveglianza di Torino, Ordinanza n. 1488 dell’11 giugno 2008).

Niente permessi premio, niente indultino. Il beneficio della sospensione dell’esecuzione della pena residua dipende, infatti, dagli stessi elementi rilevanti ai fini dell’applicazione delle altre misure alternative alla detenzione. È quanto emerge dall’ordinanza 1488/08 emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Torino.

La vicenda. Per il Magistrato di Sorveglianza di Vercelli il detenuto non si era concretamente impegnato sul piano della rivisitazione critica. Permaneva, quindi, il pericolo di condotte antigiuridiche connesse all’eventuale abuso di alcolici. E, dunque, l’istanza del recluso che mirava ad ottenere la concessione del beneficio previsto dalla legge 207/03 (il cosiddetto "indultino") è stata rigettata.

Il decisum. La soluzione non poteva che essere quella. La sentenza della Corte costituzionale (la 255/06, pubblicata nell’arretrato del 5 luglio 2006), del resto, parla chiaro: la concessione dell’indultino è ancorata ai parametri, da cui dipendono le altre misure alternative alla reclusione. E quindi addio al beneficio se chi si trova ristretto nell’Istituto penitenziario non ha ancora usufruito dei permessi premio. Altrimenti, verrebbe violato il principio della progressività e gradualità dei risultati del trattamento.

Giustizia: Pecorella (Pdl); intercettazioni e sanzioni pecuniarie

 

La Stampa, 22 luglio 2008

 

Secondo Gaetano Pecorella, parlamentare del Pdl, intervenuto ieri a Torino ad un convegno in memoria dell’avvocato Vittorio Chiusano, in materia di intercettazioni, per chi viola le norme, "più che di carcere si può parlare di sanzioni pecuniarie proporzionate ai profitti editoriali e ai numeri di copie diffuse dei giornali che erroneamente le contengono".

"Talvolta - aggiunge Pecorella - l’informazione viene data solo per scoprire scandali e, quando si tratta di vero gossip, per vendere più giornali. Per questo secondo me, si può pensare di avere sanzioni in denaro.

L’intercettazione va fatta in funzione del processo non della stampa - ha aggiunto l’avvocato - infatti credo che le intercettazioni di natura del tutto private, andrebbero distrutte subito, secondo il nostro codice, invece c’è qualcuno che le fa filtrare". Commentando il procuratore generale Giancarlo Caselli, che ha parlato di rischio per la libertà di informazione, Pecorella ha replicato che "il dibattimento processuale serve per portare a conoscenza dei fatti e c’è la necessità di dare notizia, laddove questa sia funzionale ad una ripresa, una correzione, una critica per come si sta amministrando la giustizia e non credo che questo succeda quando si pubblicano le notizie del tutto private".

Giustizia: medico curante visita Del Turco; non è più lo stesso

di Goffredo De Marchis

 

La Repubblica, 22 luglio 2008

 

Niente pennelli in cella per Ottaviano Del Turco. "Può usare il laboratorio del carcere", spiega il direttore. Il regolamento non consente di tenere oggetti contundenti nel proprio spazio. In compenso l’ex governatore dell’Abruzzo, arrestato una settimana fa, sta cominciando a ricevere quella solidarietà che finora gli è mancata, e parecchio. Così ha riferito chi ha parlato con lui.

"Gli scriverò un bigliettino, ma non a nome del Partito Democratico. È uno scambio tra Piero Fassino e Del Turco, tra due persone che si conoscono da trent’anni, che hanno un rapporto storico. Io sono convinto della sua innocenza". Ecco, queste sono le parole che Del Turco aspettava ormai da otto giorni.

L’ex segretario dei Ds ha deciso di andare oltre i comunicati stampa. "Non entro nel merito dell’inchiesta. Le mie sono righe di solidarietà umana". Poche, dice, appena un biglietto. Ma possono servire a un uomo che da ieri, secondo il suo medico curante, ha smesso di reagire.

"Sono andata in carcere a trovare il mio amico e paziente Ottaviano. Non è più lo stesso: non legge i giornali e non guarda la televisione", racconta la deputata del Pdl Melania Rizzoli. L’ex governatore fatica a seguire la trama di un libro, preferisce i testi d’arte, con le figure. "E questo non è un buon segno". La detenzione pesa, le condizioni generali peggiorano. "Ho chiesto ai medici della struttura di tenerlo sotto osservazione costante", dice la Rizzoli. Lui le ha chiesto: "In Parlamento fate più leggi per le carceri".

Al messaggio di Fassino si aggiunge la telefonata di Francesco Rutelli al figlio di Del Turco, Guido: "La mia solidarietà personale c’è. Non vedo un uomo colto e disinteressato al denaro accettare addirittura milioni di euro di tangenti". Anche Arturo Parisi ha chiamato Guido.

Poche parole ma di vicinanza: "Ho un quadro di Ottaviano in camera. Penso spesso a lui". Sul fronte innocentista, fino adesso, è sembrato schierarsi più il centrodestra che il Partito democratico. Il ruolo del Pdl è ovviamente più facile. L’intera vicenda può essere anche strumentalizzata per continuare la crociata anti-magistrati. Ma in molti, dal Polo, hanno accusato di cinismo e di freddezza soprattutto Walter Veltroni. Amaro il commento di Bobo Craxi: "Alla fine Ottaviano dovrà tornare a casa, da noi socialisti".

Veltroni non accetta questa ricostruzione. Ha rilasciato una dichiarazione il giorno dell’arresto: stupore, vicinanza, incredulità ma fiducia nella magistratura. In una riunione riservata convocata alla Camera, il segretario del Pd ha subito chiamato i dirigenti abruzzesi del partito, il giorno stesso dell’arresto: c’erano il vice dell’Abruzzo Enrico Paolini, Lanfranco Tenaglia, ministro ombra della Giustizia, Giovanni Lolli, il sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso e naturalmente Franco Marini, il politico abruzzese più in vista. Quel giorno, ma era una settimana fa, si disse che i magistrati di Pescara "erano seri non fanatici", che certo "non si poteva parlare di un complotto" e che nessuno poteva aspettarsi dal Partito democratico "un attacco ai giudici". Questa linea ha retto finora, ma adesso si apre a dubbi più profondi, a una solidarietà più sentita anche legata a una carcerazione che si prolunga.

Ci sono i segnali di Fassino (che giura "non esiste una questione morale nel Pd") e Rutelli. E nel quartier generale di Veltroni si osserva ora che "non si vedono riscontri alle parole dell’accusatore", il proprietario di cliniche Angelini. Dice Tenaglia, che è pure magistrato: "Quello che mi sento di dire ai miei colleghi è: fate presto chiarezza". E l’inchiesta va avanti. Ieri sono stati interrogati Mazzocca, assessore dimissionario alla Sanità, Domenici, ex assessore della precedente giunta di destra, Masciarelli, ex presidente della Fira e Bucciarelli. La difesa di Mazzocca: "Mi sento come Renzo Tramaglino che sta lottando contro il don Rodrigo della sanità".

Giustizia: caso Contrada; oggi nuova udienza su scarcerazione

 

Agi, 22 luglio 2008

 

Oggi nuova udienza al Tribunale di Sorveglianza di Napoli per decidere sulla richiesta di differimento della pena o, in subordine, di arresti domiciliari per Bruno Contrada. L’ex funzionario del Sisde ha fatto sapere che ci sarà, anche se lo scorso 3 luglio l’eccessivo caldo ha imposto il suo ritorno nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere dove sta scontando 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Il legale Giuseppe Lipera depositerà una relazione medica redatta da Silvio Buscemi, docente di Scienze Dietetiche dell’Università di Palermo, che conferma "la sfavorevole prognosi a rischio vita". Contrada in poco più di un anno, dal maggio 2007, avrebbe perso 22 chilogrammi. Il suo stato di salute "è assolutamente incompatibile con lo stato di detenzione", afferma il docente che evidenzia "lo stato depressivo del detenuto", una "grave forma di deperimento organico, caratterizzata da progressivo deterioramento di tutte le funzioni metaboliche, con debolezza, anoressia e dimagrimento con escavazione dei tratti somatici".

Marche: la Regione investe sul reinserimento degli svantaggiati

 

Asca, 22 luglio 2008

 

Agevolare l’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati che appartengono a nuclei familiari con basso reddito o in situazione di prolungata precarietà, per la mancanza di un’adeguata formazione scolastica, o perché sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Una priorità, per la Giunta regionale, che ha emanato le Linee guida relative agli interventi di inclusione sociale (Asse III) previsti dal Por (Programma operativo Marche) Fse 2007-2013. Su proposta dell’assessore al Lavoro, Ugo Ascoli, l’esecutivo ha integrato l’elenco dei soggetti beneficiari e adottato i criteri per favorirne l’occupazione.

"L’intervento - ha detto l’assessore Ascoli - si configura come una serie coordinata di misure di accompagnamento finalizzate ad agevolare l’inserimento di soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro. Le misure individuate comprendono un percorso formativo, anche personalizzato e l’individuazione di un tutor, oltre un’esperienza formativa, pratica e lavorativa, della durata massima di nove mesi, con un’indennità di frequenza".

Gli interventi verranno realizzati dalle amministrazioni, provinciali o regionale, attraverso l’emanazione di avvisi che stabiliranno il numero di progetti da finanziare, per ciascun ambito territoriale dei Centri per l’impiego, insieme ai criteri e alle modalità di presentazione delle domande, incluse le relative scadenze".

I possibili destinatari delle misure di accompagnamento lavorativo - spiega una nota - sono: persone in situazione di disabilità (legge 68(1999); soggetti affetti da una dipendenza (certificata dal servizio sanitario pubblico); extracomunitari con regolare certificato di soggiorno; persone detenute o in esecuzione penale esterna; ex detenuti che non hanno trovato un primo impiego retribuito; minori di età superiore a 16 anni che beneficiano di misure alternative; minori extracomunitari di età superiore a 16 anni, ospiti in comunità per il reinserimento lavorativo; persone con handicap fisico, mentale o psichico; lavoratori inoccupati o disoccupati da almeno 12 mesi; lavoratori espulsi dai processi produttivi o in mobilità senza indennità; ultracinquantenni in stato di disoccupazione; donne vittime della tratta. I destinatari devono risiedere nelle Marche, non usufruire di ammortizzatori sociali, disporre di un reddito inferiore a 16 mila euro.

Catanzaro: Cisl denuncia; in carcere topi dimensioni enormi

 

Quotidiano di Calabria, 22 luglio 2008

 

La Cisl-Funzione pubblica di Catanzaro ha chiesto all’Unità operativa Igiene ambientale dell’Asp di effettuare un’ispezione nell’Istituto penitenziario Siano. "Da anni - ha detto il segretario generale, Antonio Bevacqua - nell’istituto penitenziario di Catanzaro, giorno dopo giorno, sta aumentando la presenza dei ratti di misure impressionanti.

Oramai per il personale di polizia penitenziaria fare servizio nelle sezioni e vederli andare per i corridoi sta diventando una normalità, quasi fossero dei nuovi aiutanti". "La convivenza - ha aggiunto Bevacqua - sembra sia dovuta anche per i reclusi del posto, visto che i cancelli non sono di sicuro un ostacolo per i topi, i quali hanno trovato un habitat prolifero e continuano a riprodursi nelle fogne e negli scantinati della casa circondariale".

"Non è più tollerabile - conclude il segretario generale della Cisl-Fp di Catanzaro - lavorare con condizioni di igiene completamente assenti e ad alto rischio malattie infettive per coloro che vivono e lavorano nell’istituto di Siano. Urgono drastici e immediati controlli ispettivi perché la situazione è già incontrollabile con i normali interventi che avrebbero dovuto sanare e bonificare l’ambiente, ma che così non è stato".

Ascoli: vuole tornare in carcere, solo lì riesce a trovare lavoro

di Marco Braccetti

 

www.ilquotidiano.it, 22 luglio 2008

 

Nel pomeriggio di ieri Rocco Gentile, dopo aver semidistrutto un taxi, ha sequestrato un pullman. Brandendo una sorta di ascia ed una tanica di benzina voleva darsi fuoco. È tornato alla ragione parlando con il suo avvocato.

Un pomeriggio di tensione e paura nel cuore di San Benedetto. Uno squilibrato distrugge un taxi e s’impossessa di un autobus. È armato. Porta con se un coltello, una sorta di piccola ascia e, soprattutto, una tanica di benzina con la quale vuole darsi fuoco.

Il protagonista di questo folle gesto è Rocco Gentile, cittadino grottammarese da tempo noto alle Forze dell’Ordine e non nuovo a simili clamorosi atti. Diciamo subito che nessuno si è fatto male. A parte Gentile che ha riportato dei tagli alle mani.

Ma andiamo per ordine: sono all’incirca le 18.30 di lunedì 21 luglio e l’uomo si presenta alla Stazione Ferroviaria di San Benedetto. Si avvicina al parcheggio dei taxi e, secondo i testimoni che abbiamo ascoltato, chiede al tassista Enrico Ciarrocchi di accompagnarlo in carcere. Al rifiuto del conducente Gentile si scatena, prende dal suo zaino un arnese simile ad un’ascia e inizia a demolire il taxi. Quando ha finito la vettura è ridotta ai minimi termini ma ciò non placa il suo furore. Sale su un pullman - fortunatamente vuoto - fermo al vicino capolinea e si barrica all’interno, proprio al posto di guida. Come detto ha una tanica di benzina e minaccia di darsi fuoco.

Secondo le prime ricostruzioni chiede di parlare con un magistrato. Il piazzale della Stazione viene immediatamente invaso dalle volanti di Carabinieri e Polizia. I Vigili Urbani chiudono al traffico l’intera zona. Sul posto arrivano in breve tempo due ambulanze e diversi veicoli dei Vigili del Fuoco. Il piazzale della Stazione si riempie di curiosi mentre il personale medico con cautela cerca di medicare le ferite che Gentile si è procurato alle mani. Intanto alcuni agenti cercano di parlargli per riportarlo alla ragione. I Vigili del Fuoco si preparano al peggio e sono pronti ad intervenire con dei potenti idranti.

Gentile pare non ascoltare nessuno. Dopo alcuni lunghissimi minuti di tensione arriva l’Avvocato Roberta Alessandrini che da 15 anni segue il soggetto. Alla vista della donna Gentile cambia atteggiamento. La legale trova le parole giuste e convince l’uomo a scendere dal bus della tratta San Benedetto-Ascoli nel modo più tranquillo possibile. Il grottammarese verrà accompagnato presso l’Ospedale Civile di San Benedetto del Tronto per poi, con tutta provabilità, essere trasportato verso il carcere di Marino del Tronto. C’è da dire che Gentile era agli arresti domiciliari, quindi il grave gesto commesso lunedì pomeriggio è, se possibile, aggravato anche dall’evasione dalla detenzione domestica.

Quando torna la calma l’Avvocato Alessandrini si dedica ai numerosi cronisti ed operatori che nel frattempo sono sopraggiunti sul luogo: "Gentile ha dei problemi seri e reali", afferma la legale raccontando la situazione di grave indigenza nella quale versa l’uomo. Egli ha ottenuto dal Comune di Grottammare una borsa lavoro di 200 euro mensili: "Alcuni giorni fa si era recato in Comune lamentandosi perché nessuno gli aveva dato quei pochi soldi che gli spettavano".

Una situazione di grave disagio socio-economico sommata ad una personalità certamente non del tutto sana hanno causato questa reazione spropositata. . In ogni caso il fatto che l’uomo si sia portato appresso un ‘armamentario bellicò del genere che abbiamo descritto lascia pochi dubbi sul fatto che si sia trattato di un’azione premeditata.

Ma come mai aveva chiesto al tassista di accompagnarlo in carcere? Secondo la Alessandrini paradossalmente Gentile si troverebbe meglio a Marino del Tronto che in libertà: "In passato è già stato detenuto ed in quella casa circondariale gli sono stati affidati anche lavori di responsabilità".

L’avvocato sottolinea come, al di fuori del carcere, il suo assistito sia una persona malvista da tutti: "Per questo non riesce a trovare un’occupazione che lo soddisfi". Tra le possibili soluzioni un lavoretto part-time all’interno delle mura del carcere? Proprio nella mattinata di lunedì 21 luglio Gentile si era incontrato con la Giudice Filippello per discutere della questione. Poche ore prima di questo insano gesto.

Immigrazione: allarme dell’Onu per gli sbarchi a Lampedusa

 

Il Sole 24 Ore, 22 luglio 2008

 

Mentre gli immigrati sbarcati sulle coste della Sicilia aumentano continuamente, cambia anche la composizione per nazionalità di coloro che arrivano. Nel primo semestre 2008 la nazionalità maggiormente rappresentata sul totale degli sbarchi in Sicilia è stata quella somala: sono stati 2.556 gli ingressi, a causa soprattutto dei conflitti in corso nell’area. E, come spiega il portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Laura Boldrini, per questa ragione sono persone che hanno con ogni probabilità diritto a protezione nel nostro Paese.

"Gli sbarchi sono in diminuzione in tutte le regioni italiane tranne che a Lampedusa", fa notare Boldrini. E "sembrerebbe che la direttrice libica - continua - sia quella più battuta". Una direttrice seguita anche dai somali che tentano di mettersi in fuga con ogni mezzo dai conflitti in corso. Uno dei canali per l’esodo è quello dell’approdo in Libia attraverso il deserto e da qui la partenza in nave per l’Italia. Anche se la pista più battuta è quella da Bosaso in direzione Yemen. L’inversione di tendenza segna anche una diversa caratterizzazione dell’immigrazione per mare: "Il Mediterraneo si assesta sempre di più come via dell’asilo, di chi come i somali non ha scelta e cerca protezione", aggiunge la Boldrini. E, a suo avviso, "oggi l’Europa si trova di fronte a una grande sfida. Da un lato, tutelare i propri confini e dall’altro rispettare la Convenzione di Ginevra".

Nel 2007, secondo le stime dell’Alto commissariato, circa il 35% degli stranieri giunti via mare in Italia ha presentato domanda d’asilo sul posto o successivamente.

E, in base ad una elaborazione dei dati forniti dalla Commissione Nazionale per il diritto d’asilo e dalle Commissioni territoriali dove vengono analizzate per lo più domande di persone giunte via mare (Crotone, Siracusa, Trapani e Foggia), il tasso di riconoscimento di una qualche forma di protezione (status di rifugiato o protezione umanitaria) verso queste persone è stato di circa il 65 per cento. Mentre sulle 13.509 istanze esaminate complessivamente, circa il 57% dei richiedenti asilo ha ottenuto protezione o perché riconosciuti rifugiati o perché è stata loro garantita la protezione umanitaria.

Immigrazione: Maroni; cittadinanza italiana per i rom orfani

 

Asca, 22 luglio 2008

 

Cittadinanza italiana ai bambini dei campi nomadi senza genitori certi. La proposta del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, avanzata per la prima volta mercoledì scorso nella sede dell’Unicef, è stata ribadita oggi a Milano dal titolare del Viminale. Nei prossimi giorni, ha detto il ministro, sarà presentata una proposta per dare ai bimbi nomadi nati in Italia, "come ragione umanitaria", un nome, un cognome e la cittadinanza italiana.

"Dobbiamo tutelarli. Quello che stiamo facendo è una cosa giusta e di equità. Ci sono in questi campi persone che vivono in maniera subumana. Bimbi il cui destino è tragico. Alcuni, lo sapete, vengono utilizzati nel mercato dei trapianti di organi. E invece il primo diritto di un bambino, qualsiasi bambino, è di avere una identità". Plausi alla proposta del ministro sono arrivati dalle file del Pdl.

"È una proposta - ha detto Alessandra Mussolini, presidente della commissione bicamerale per l’Infanzia - positiva che accolgo con soddisfazione perché in questo modo si garantisce veramente l’integrazione dei bambini rom senza genitori". Per la Vicepresidente della Commissione, Gabriella Carlucci, "Maroni dimostra le reali intenzioni del Governo sul problema dei bambini nei campi nomadi abusivi. La maggioranza di centrodestra vuole strappare i minori sfruttati ed abbandonati dalle mani di genitori violenti e irresponsabili".

Da parte sua, Margherita Boniver, presidente del Comitato Schengen, ha ribadito che "l’iniziativa del governo di censire i nomadi è nostro pieno diritto e soprattutto può servire a tutelare i minori che in molti casi vengono sfruttati selvaggiamente dalle organizzazioni criminali".

Critiche, invece dalle file dell’opposizione. "Sulla questione rom - ha dichiarato il senatore Luigi Lusi (Pd) - il Governo sembra voler diffondere la confusione più totale. Ogni giorno vede una dichiarazione nuova, per un disegno che si fatica a cogliere". Ed i radicali Marco Perduca e Rita Bernardini hanno rilanciato. "Perché non introdurre per tutti il principio dello ius soli, già vigente negli Usa, secondo cui nascere su un territorio conferisce automaticamente i diritti di cittadinanza?". Frecciate anche da Pia Locatelli e Alessandro Battilocchio, del Partito Socialista, che accusano Maroni di paternalismo.

Immigrazione: scontro Maroni-Anm sulle espulsioni inefficaci

 

Notiziario Aduc, 22 luglio 2008

 

Se il magistrato non dà entro 48 ore l’ok alla richiesta di espulsione fatta dalle forze di polizia, scatta il silenzio-assenso, cioè l’espulsione diventa immediatamente operativa. Il principio, annuncia il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, sarà introdotto nel disegno di legge sulla sicurezza in discussione al Senato. Critica l’Anm, secondo cui se le espulsioni non funzionano è colpa del ministero dell’Interno che non è in grado di attuare l’accompagnamento alla frontiera.

Spunto della polemica, la vicenda del moldavo, destinatario di provvedimento di espulsione - non eseguito perché la moglie era incinta - che nei giorni scorsi a Roma ha travolto un’auto uccidendo un ragazzo di 20 anni. Nel mirino di Maroni, in un’intervista a Libero, "i giudici che decidono di non decidere. Nel caso del moldavo clandestinamente in Italia, il magistrato, anziché applicare la Bossi-Fini, ha preferito rinviare a settembre la decisione sul decreto di espulsione". Per superare queste situazione, la proposta del ministro è quella di inserire il principio del silenzio-assenso. "Ritengo che il tentativo di boicottare la Bossi-Fini sia un problema aperto, visto che oltre la metà dei provvedimenti di espulsione non si concretizza per il rinvio dell’udienza di convalida". Il magistrato, sottolinea, "può contestare la correttezza dell’arresto, non può invece bypassare la normativa con il solito stratagemma del rinvio dell’udienza".

Dura la replica del presidente dell’Anm, Luca Palamara. Da parte dei magistrati, sostiene, "non c’è nessun boicottaggio della Legge Bossi-Fini". Se le espulsioni non funzionano è perché "l’amministrazione degli Interni non è in grado di dare attuazione all’accompagnamento alla frontiera, strumento individuato dalla legge per dare esecuzione a questi provvedimenti".

Alle espulsioni, prosegue Palamara, "proprio in base alla legge dovrebbe provvedere l’amministrazione degli Interni, tramite l’accompagnamento. Ma la prassi consolidata è ricorrere all’intimazione del questore allo straniero a lasciare il territorio dello Stato; strumento che si rivela insufficiente allo scopo e l’inosservanza del quale determina l’intervento della magistratura".

Nessun addebito, dunque, può essere mosso ai giudici. L’impasse del sistema delle espulsioni era stato segnalato con forza nelle scorse settimane dal capo della polizia, Antonio Manganelli, in un’audizione alla Camera. Nei primi cinque mesi di quest’anno, aveva ricordato, le forze dell’ordine hanno fermato oltre 10.500 clandestini per i quali hanno ritenuto di avviare le procedure di espulsione.

Ma di questi, solo 2.400 hanno trovato posto nei Cpt; gli altri 8.000 hanno di fatto ottenuto, quello che Manganelli ha definito "perdono sul campo": gli è stato cioè consegnato un foglio di via. Stessa musica nel 2007: su 33.897 clandestini fermati che dovevano essere avviati ai Cpt e per i quali dovevano essere avviate le procedure di espulsione, hanno trovato posto nei Centri solo 6.366 persone: 27mila sono stati destinatari di un foglio di via, non accolto nella stragrande maggioranza dei casi.

Francia: quasi 65mila detenuti, record presenze nelle prigioni

 

Associated Press, 22 luglio 2008

 

I detenuti nelle prigioni francesi hanno raggiunto la cifra di 64.250 al primo luglio, con un aumento dello 0,6% rispetto a giugno, stabilendo così un nuovo record di sovrappopolazione carceraria rispetto a quello storico del luglio 2004.

Dei carcerati, 17.495 sono detenuti in attesa di giudizio, e 793 sono minori.

L’amministrazione penitenziaria francese, che ha diffuso oggi i dati, non ha precisato quanto sia il tasso di sovraffollamento attuale, ma si stima sia al 126%, contro una media europea del 102%. Ad avere problemi di "spazio" sarebbe ben il 63 per cento degli istituti penitenziari, e di questi il 7 per cento avrebbe un tasso di sovraffollamento del 200 per cento, cioè il doppio del previsto.

Finora la Francia ha sempre approfitto del periodo estivo per svuotare le carceri con la grazia presidenziale concessa in occasione del 14 luglio. Ma dalla sua elezione nel 2007 il presidente Nicolas Sarkozy non ha voluto usare questo diritto, definendolo " semi-monarchico". La riforma delle istituzioni, adottata ieri dal Congresso, elimina definitivamente il diritto di grazia collettiva.

Francia: Marina Petrella sta male, polemica sull’estradizione

 

La Repubblica, 22 luglio 2008

 

Il primo ministro francese, Francois Fillon, ha già firmato il decreto di estradizione, ora si attende il verdetto del Consiglio di Stato a cui l’ex brigatista ha fatto ricorso. Sarkozy si rimette alla decisione dell’organo giuridico, ma ha chiesto al presidente Napolitano di concederle la grazia nel caso in cui vanga estradata.

Sarebbero veramente critiche le condizioni fisiche e psichiche di Marina Petrella, ex terrorista delle Brigate Rosse attualmente detenuta in Francia in attesa di estradizione. Secondo Christiane de Beaurepaire e Jean-François Bloch-Laine, i medici dell’ospedale carcerario alle porte di Parigi dove è detenuta, Petrella avrebbe "rinunciato alla vita". "Depressa con tendenze al suicidio", così viene descritta dai medici, l’ex brigatista pesa solamente 39 chili e viene nutrita mediante un sondino. La perdita di peso corporeo, circa 20 chili, è avvenuta senza che la carcerata abbia manifestato la volontà di fare uno sciopero della fame.

I Verdi francesi, la Lega dei diritti umani ed altre organizzazioni hanno lanciato una campagna per chiedere la sua liberazione. Il giorno 17 luglio una ventina circa di membri del collettivo di sostegno a Marina Petrella, vestiti di bianco e con il volto coperto da una fotografia dell’ex brigatista, hanno cercato di incatenarsi alle inferriate del Consiglio di Stato ma sono stati fermati dalle forze dell’ordine. I sostenitori di questa campagna chiedono che la detenuta venga rilasciata per "ragioni umanitarie" e che venga negata l’estradizione verso l’Italia. È stato inoltre chiesto il sostegno verso questa iniziativa al sindaco di Parigi e candidato alla guida del Partito socialista, Bertrand Delanoe.

Marina Petrella, membra di Autonomia Operaia e militante nelle Brigate Rosse con il nome di battaglia di Virginia, ha subito un primo arresto insieme al marito Luigi Novelli nel 1979. Rilasciata per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva con l’obbligo di residenza nel comune di Montereale, è fuggita insieme al marito ed al fratello. Nel 1982 venne nuovamente catturata, sempre insieme al marito, in seguito ad uno scontro a fuoco con i Carabinieri su un autobus.

Di nuovo scarcerata nel 1986 per decorrenza dei termini di custodia cautelare è stata condannata in contumacia nel processo Moro-ter, in quanto coinvolta nel rapimento di Aldo Moro. La sentenza di condanna del 1988 è stata confermata dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione nel 1993. Il 6 marzo del 1992 la Corte d’Assise di Roma l’ha condannata all’ergastolo per l’omicidio di un agente di polizia, per tentato sequestro e tentato omicidio, sequestro di un magistrato, per rapina a mano armata e vari attentati.

In seguito a queste sentenze Petrella, nel ‘93, si è rifugiata in Francia dove però nel 2007 è stata arrestata durante un controllo stradale ad Argeneuil. Questo è avvenuto in seguito ad una richiesta di estradizione presentata dalle autorità italiane nel 2002. Il 14 dicembre 2007 la corte d’appello di Versailles ha concesso l’estradizione, mentre il primo ministro francese, Francois Fillon ha firmato nel giugno del corrente anno il decreto di estradizione, ma Petrella ha presentato attraverso i suoi legali un ricorso al Consiglio di Stato, che dovrebbe esprimersi sulla vicenda a settembre.

Il presidente Nicolas Sarkozy ha annunciato l’8 luglio che, nel caso in cui dovesse giungere il via libera del Consiglio di Stato, la richiesta sarà accolta. In una lettera al presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, Sarkozy ha però chiesto che venga concessa la grazia a Petrella in quanto la sua vita è "in pericolo". "Convinta di finire i suoi giorni in carcere, - ha aggiunto Sarkozy - ormai rifiuta di incontrare la sua famiglia e ha considerevolmente ridotto la sua alimentazione. In questo contesto, mi sembrerebbe giustificata una misura di grazia".

La vicenda di questa ex militante delle Brigate Rosse sta facendo discutere per le delicate condizioni di salute in cui versa, ma allo stesso tempo sta facendo riemergere la questione della dottrina Mitterand, che garantiva ospitalità ai terroristi a patto che questi non compissero attentati in suolo francese o contro interessi francesi. Patrizia Molteni, caporedattrice della rivista Focus Magazine, edita in Francia, si è detta "favorevole al suo rilascio e quindi contraria all’estradizione". In primo luogo perché "si tratta di un caso umano. Non si alimenta più, ormai è chiaro che sta malissimo; non vedo perché molti criminali nazisti sono stati rilasciati perché troppo vecchi e malati e questo non dovrebbe valere nei suoi confronti".

Come seconda motivazione per impedire l’estradizione di Petrella, Molteni si è richiamata proprio alla dottrina Mitterand affermando che "uno Stato che ha fatto un accordo, una promessa, non può rimangiarsela solo perché cambia Governo. In questo modo perde la sua credibilità. Putrella - ha aggiunto - ha rispettato la condizione di non commettere reati. Ha lavorato in Francia come assistente sociale, aiutando molte persone". L’Italia però non ha mai condiviso la dottrina Mitterand ed ha sempre tacciato questa linea di essere contraria al diritto internazionale ed alla nomativa europea. La decisione di Sarkozy che, secondo Gabriele Discepoli, giornalista di Euronews, "non sposa per nulla la linea di Mitterand", potrebbe apparire quindi come il tentativo di porre rimedio ad un errore.

Questo potrebbe essere vero anche perché, come testimoniato da Discepoli, "Sarkozy lavora da tempo per smentire questa dottrina", ma "dopo la liberazione di Ingrid Betancourt il suo Governo ha promesso ospitalità ai membri delle Farc". Questo punto è stato sottolineato anche da Molteni che si è chiesta "quale credibilità può avere questa dichiarazione se nel momento in cui si promette ospitalità a dei guerriglieri si estrada una persona per reati commessi 30 anni fa?". Anche per Discepoli "facendo questa proposta e poi riconsegnando Petrella si rischia di non essere credibili". Al di là della bontà o meno della dottrina Mitterand, quindi, abbandonarla rischia di danneggiare non solo la reputazione della Francia, ma la sua credibilità di entità politico-giuridica tanto più ora che, mentre si cerca di interromperla, viene fatta una proposta analoga per i membri della Farc.

Discepoli ha sottolineato questa contraddizione ed ha spiegato che "Sarkozy sta cercando di risolvere il problema con la richiesta di grazia al presidente Napolitano". Se venisse liberata in Italia in pratica, anche le proteste per la concessione dell’estradizione verrebbero meno. Secondo Molteni, però, questa "è una scelta vigliacca di Sarkozy", che "si lava le mani passando la patata bollente a Napolitano". Secondo Molteni, inoltre, "in Italia la grazia non le verrà data perché anche la sinistra non appoggia questa causa", quindi non ci sarebbero le condizioni perché il presidente della Repubblica faccia questo gesto. Questa eventualità, definita "grave" da Molteni alla luce delle attuali condizioni di Petrella, è subordinata però dalla decisione del Consiglio di Stato, la cui sentenza è tutt’alto che scontata in quanto, ha spiegato Discepoli, "la magistratura in Francia è indipendente".

Guyana: cittadina italiana di 27 anni è incarcerata per droghe

 

www.italiachiamaitalia.net, 22 luglio 2008

 

La sentenza della ragazza da novembre 2007 è stata rinviata 5 o 6 volte. L’ultima era prevista il 10 di luglio, ma è stata rinviata di nuovo al 15 di settembre, perché il giudice è in maternità... Inutile chiedersi perché diavolo non le cambino il giudice

Una ragazza italiana di 27 anni (Elena Campitiello) è stata arrestata in Guyana il novembre scorso per traffico di droga. La Guyana è una repubblica (214.970 kq, 697.181 abitanti, capitale Georgetown) dell’America meridionale.

Dal Novembre 2007 la ragazza è stata trattenuta in carcere per sei mesi, poi liberata su cauzione (2,000 dollari americani), riarrestata perché senza permesso di soggiorno, e ancora liberata su pressione finale dei nostri diplomatici dal Venezuela.

La sentenza della ragazza da novembre 2007 è stata rinviata 5 o 6 volte. L’ultima era prevista il 10 di luglio, ma è stata rinviata di nuovo al 15 di settembre, perché il giudice è in maternità... Inutile chiedersi perché diavolo non le cambino il giudice.

Ora la ragazza è obbligata a stare in un albergo, guarda caso di proprietà del suo stesso avvocato, consigliatole dalla polizia che l’ha arrestata. Non può uscire perché non le accordano il permesso di soggiorno. L’avvocato le ha già spillato circa 7,000 dollari americani e non ha nessun interesse a farla liberare perché pare abbia capito (insieme alla polizia che non vede l’ora di riaverla in custodia) che il padre sia benestante, e quindi perché far tornare a casa la gallina dalle uova d’oro?

In un Paese in cui tutti, anche fra le alte cariche dello stato, sono implicati nel traffico di droga, in cui il più grande e lussuoso albergo (Buddy’s International), oltre che la discoteca più di moda (Buddy’s), sono di proprietà del più grande trafficante di droga del Paese, Elena è accusata del possesso di 2 grammi di cocaina ed ha già passato 6 mesi in prigione, più altri 3 o 4 agli arresti domiciliari di fatto. Davvero incredibile: c’è qualcosa che non va, e le istituzioni italiane devono farsi sentire.

Luca Palazzotto è Project Coordinator a Kingston, Georgetown: la segnalazione ci arriva da lui, che ci racconta - fra l’altro - di aver parlato del caso di Elena con il console onorario francese, che - secondo quanto dichiarato da Palazzotto - "si diceva stupito di come gli italiani (diplomatici e stampa) non stiano facendo assolutamente niente per esercitare alcun tipo di pressione sul governo guyanese, vista anche la facilità con cui si può fare appello ai diritti umani dell’arrestato (sequestrata in un albergo dopo aver pagato regolarmente la cauzione, le negano il permesso di soggiorno condannandola di fatto agli arresti domiciliari, senza la garanzia di avere un processo in tempi certi).

Stesso dicasi per l’inutile ambasciatore europeo, su cui nessuno può contare...". Amare constatazioni quelle del nostro connazionale, ma come dargli torto?

"Purtroppo in totale - spiega ancora Luca - di italiani che lavorano in Guyana siamo solo 3, più uno svizzero ticinese che non si interessa della cosa. In Guyana non esiste immigrazione dall’Italia, quindi la comunità italiana qui è inesistente: bisogna fare appello ad un supporto esterno. L’associazione a delinquere che gestisce la giustizia in Guyana deve essere denunciata".

Italia chiama Italia, come ha fatto, fa e continuerà a fare per alcuni casi di italiani detenuti all’estero, ha intenzione di seguire da vicino la storia di Elena: abbiamo cominciato a farlo pubblicando la notizia e raccontando qualche dettaglio. Continueremo "stimolando" e pungolando le nostre istituzioni, iniziando dai deputati eletti all’estero e dalla Farnesina.

Sono tanti gli italiani detenuti all’estero: come ha dichiarato proprio a Italia chiama Italia l’On. Aldo Di Biagio, qualcuno se lo merita pure. Ma non sta a noi giudicare. Noi vogliamo solo che i detenuti vengano rispettati, e non presi in giro o trattati come animali.

Nel caso di Elena, ci sembra che esistano le condizioni per cercare di riportarla a casa prima possibile. Vedremo cosa ci racconteranno i nostri politici e come potranno muoversi perché questa situazione si possa risolvere nella migliore maniera possibile.

Stati Uniti: una raccolta di fondi per difendere Carlo Parlanti

 

Apcom, 22 luglio 2008

 

L’ultima speranza è l’habeas corpus, ma servono 6mila dollari per pagare l’avvocato e sperare ancora una volta nella giustizia. I comitati, le associazioni, i familiari di Carlo Parlanti hanno avanzato una sottoscrizione e raccolta fondi. Tutte le regole sono state pubblicate sul sito www.prigionieridelsilenzio.it. Al termine di questa campagna di solidarietà - si spiega in una nota - verrà approntato un rapporto completo dall’Icaa-International Crime Analisys Association, che verrà presentato in una conferenza stampa, dedicata anche alla stampa estera, a cui saranno invitati i maggiori esperti in materia legale e criminale, gli esponenti politici che hanno dato sostegno alla causa, come Umberto Guidoni e Marco Zacchera.

Parlanti è da tempo detenuto nel carcere di Avenal, in California, in seguito ad una condanna per violenza sessuale. Quel verdetto però è inficiato da molte ingiustizie, secondo chi è vicino al nostro connazionale, un tempo manager di successo.

L’avvocato Nino Marazzita - si sottolinea nel comunicato - ha detto: "La credibilità intrinseca della sentenza è basata sul nulla. Con l’apporto medico legale adesso sappiamo che l’attendibilità estrinseca non è provata, non è supportata da nessun elemento probatorio. In Italia non sarebbe mai arrivato un processo di questo tipo al dibattimento, si sarebbe fermato al non luogo a procedere a livello di udienza preliminare".

Stati Uniti: a San Quintino i corsi universitari per i detenuti

 

Apcom, 22 luglio 2008

 

Un carcere, ma non solo. Nella prigione di San Quentin, in California, è stato istituito un progetto universitario gestito da 3mila volontari che offrono ventisette corsi. Il carcere si trova lungo la baia a nord di San Francisco e al suo interno vi sono 5.400 detenuti, di cui 656 in attesa di essere giustiziati. Ma a meno di qualche centinaia di metri dal braccio della morte, il clima è molto diverso.

Sam Robinson, un veterano di San Quentin, ha ideato un progetto di istruzione senza scopo di lucro che permette ai carcerati di ottenere una sorta di certificato universitario. Gli avvocati sostengono che molti uomini, soprattutto neri, imprigionati per reati non particolarmente gravi, hanno un enorme potenziale per poter diventare produttivi all’interno della società attraverso l’istruzione superiore in carcere.

Molti di loro,una volta scontata la pena e dopo aver ottenuto questi certificati, sono stati accolti presso l’università. "L’istruzione spesso riesce a ridurre la percentuale di recidività - spiega la professoressa-volontaria Rebecca Carter. Ho seguito molti ragazzi che sono usciti di qui e ora stanno cercando di ottenere una laurea. Sanno che è un modo importante per ristabilire il loro livello di responsabilità".

 

 

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