|
Giustizia: un paese da incubo, troppo brutto per essere vero di Ilvo Diamanti
La Repubblica, 9 giugno 2008
L’Osservatorio Demos-Coop, dedicato alle opinioni in tema di sicurezza, tratteggia uno scenario da incubo. Quasi tutti gli italiani pensano che la criminalità sia notevolmente aumentata, in Italia. Due su dieci temono di essere derubati, scippati, rapinati, raggirati. Quasi metà della popolazione ha paura degli stranieri. 8 italiani su 10 vorrebbero sgomberare i campi nomadi non a norma. Quasi tutti invocano più poliziotti sul territorio. Sistemi di videosorveglianza dovunque. Pronti, la maggior parte, a difendersi da soli. Piacciono anche le ronde (a 6 persone su 10). L’insicurezza è più acuta a destra, ma diffusa anche a sinistra. Più forte fra le persone anziane e sole. Fra coloro che passano più tempo davanti alla tivù. Ma si tratta solo di percezioni, raccolte da un sondaggio. Non può essere vera l’immagine un Paese cosi spaventato. Se la percezione è la realtà realmente vissuta dalle persone, allora la realtà in cui vivono gli italiani assomiglia a un incubo. Una fiction nera, di quelle che, non a caso, hanno tanto successo in questi tempi. Come CSI. Gli italiani: immersi, a tempo pieno, in una Scena del Crimine. Protagonisti vulnerabili di un mondo ostile. È l’immagine proiettata dall’Osservatorio Demos-Coop, in base a un sondaggio condotto nelle scorse settimane. Naturalmente, i sondaggi collezionano soltanto segni. Sollecitati, talora perfino "estorti". Tuttavia, si tratta di segni di inquietudine assolutamente inquietanti, se letti in sequenza. 1. Quasi 9 italiani su 10 ritengono che la criminalità in Italia sia aumentata, negli ultimi anni. Il 53% lo pensa, in rapporto alla zona di residenza. Quasi metà degli sostiene, quindi, che la criminalità sia cresciuta. Altrove. In Italia, ma lontano dal loro luogo di vita. Il 23% degli italiani si dice "frequentemente" preoccupato di subire un furto in casa, il 20% di essere scippato. La stessa percentuale teme di essere derubato dell’auto o del motorino. Poco più di quanti (19%) hanno paura di essere raggirati attraverso bancomat o carta di credito. Mentre il 14%, infine, teme di cadere vittima di aggressioni o di essere rapinato. Se, però, consideriamo anche coloro che ammettono di sentirsi preoccupati solo "qualche volta" per questi motivi, le misure indicate si gonfiano notevolmente. Perlopiù raddoppiano. Talora salgono anche oltre. Timori fondati, si dirà, visto che il numero dei reati "minori" - nel linguaggio dei media, ma di certo "maggiori" per le persone comuni - è effettivamente in crescita. Con il risultato che oggi oltre la metà degli italiani confessa di aver paura. A tempo pieno oppure parziale. 2. Il mondo intorno a noi, d’altronde, ci appare affollato da estranei e stranieri. Estranei: due italiani su tre ritengono che "gli altri, se gli si presentasse l’occasione, approfitterebbero della mia (loro) buona fede". Per cui guardano con sospetto crescente chiunque esca dalla loro cerchia più stretta. Famiglia, località, categoria professionale. Ma soprattutto, temiamo gli stranieri. Siamo diventati, stiamo diventando xenofobi. Gli stranieri ci sembrano tanti. Troppi. D’altronde, quasi un italiano su due guarda con malcelata inquietudine gli immigrati. Regolari, irregolari o clandestini. Non c’è grande differenza, nel sentire comune. Anche perché, in effetti, la differenza non è così chiara. Gran parte dei regolari sono entrati da clandestini. Gran parte degli irregolari sono entrati regolarmente, da turisti; oppure erano regolarmente occupati. E oggi lo sono come prima. Ma irregolarmente. 3. Gli stranieri più stranieri di tutti, però, sono gli zingari. Tanto che non riusciamo neppure a definirli. Nomadi, rom, sinti. Chissenefrega. Sono zingari e basta. Mendicanti. Ladri di bambini. Ladri e basta. Senza fissa dimora. "Nomadi", appunto. Anche se e quando sono stanziali. Come i sinti veneziani, che si esprimono in dialetto, meglio di molti "indigeni". Per noi italiani, popolo immobile (quasi nove su dieci residenti nella stessa provincia in cui sono nati i genitori), con il mito della casa (in proprietà, per oltre 7 famiglie su 10). Una eresia. Da cancellare, semplicemente. Per cui oltre il 75% degli italiani chiede di sgomberare campi nomadi e quartieri illegalmente occupati da stranieri. In buona parte, senza preoccuparsi di trovare altre sistemazioni. D’altra parte, progetti volti a riqualificare la presenza e l’esistenza degli zingari attraverso la costruzione di zone residenziali attrezzate e dignitose, come a Venezia, hanno suscitato moti popolari. Organizzati, perlopiù, dai leghisti, che sull’insicurezza locale hanno costruito le recenti fortune elettorali. E giustificati da uomini del governo (come ha fatto Gasparri). Insomma, gli zingari: meglio farli scomparire. In un modo o nell’altro. 4. Abbiamo e sentiamo un crescente bisogno di protezione. Dai nemici che ci assediano e ci insidiano, dovunque. Per cui oltre il 90% chiede di allargare la presenza dei poliziotti sulle strade e nei quartieri. La stessa percentuale di persone che rivendica l’aumento della videosorveglianza nei luoghi pubblici. Oltre un terzo degli italiani, però, non si fida neppure di poliziotti e di video poliziotti. E contro la criminalità dilagante non vede che una sola, unica soluzione: difendersi da soli. 5. Abbiamo paura perché ci sentiamo seguiti, scrutati. Ma, al tempo stesso, chiediamo provvedimenti che aumentino il controllo sulla nostra vita quotidiana. Sul nostro privato. Che sta scomparendo rapidamente, con il nostro attivo contributo. Così, quasi metà degli italiani è d’accordo nel consentire alle autorità pubbliche di "monitorare le transazioni bancarie e gli acquisti con carta di credito". Oltre un quanto, invece, (a dispetto dei propositi di Berlusconi) è disposto a concedere alle autorità di leggere la nostra posta elettronica e di intercettare le nostre telefonate. Ovviamente a nostra insaputa. 6. In nome della sicurezza. Accettiamo che il territorio venga militarizzato. La moltiplicazione di poliziotti, pubblici e privati. E di ronde. Viste con favore da oltre il 60% degli italiani. Non solo nel Nord, dove sono state inventate e sperimentate. Dovunque. L’area in cui sono viste con maggior favore, anzi, è il Mezzogiorno. Dove, d’altra parte, l’insicurezza poggia su buone e solide basi. Dove lo Stato è più debole. Perché, come è facile intuire, la diffusione di questo bricolage securitario, di queste iniziative di giustizia-fai-da-te, sottolinea soprattutto il distacco dallo Stato. La sfiducia nelle istituzioni. E se le ronde sono simulacri di una comunità locale che non c’è più, che importa? Mica servono a combattere la malavita. Ci mancherebbe. Ma a proteggerci da noi stessi. 7. Nessuno è al sicuro dall’insicurezza. Certo, la maggiore domanda di ordine e polizia viene dagli elettori di destra. (Ben assecondati dai loro leader politici). Ma anche a sinistra le paure sono diffuse. Le zone rosse, in particolare, sembrano più reattive delle altre. Impaurite e sensibili alle soluzioni più rigide. D’altronde, i leader politici e gli amministratori (compresi quelli di sinistra) temono di apparire deboli e tolleranti quando i cittadini chiedono uomini forti e tolleranza-zero. Per difenderci dagli stranieri, vista l’impossibilità di erigere "muri reali" intorno alla nostra penisola, penetrabile da ogni punto, si alzano "muri simbolici". Come ha sottolineato in modo esplicito il ministro Umberto Bossi, riferendosi al reato di clandestinità. La politica, cioè, preferisce inseguire e monetizzare la nostra insicurezza, piuttosto che curarla. La destra per tradizione e vocazione, la sinistra per... insicurezza. 8. L’insicurezza è una moneta pregiata, dal punto di vista del consenso. Ma anche dell’audience. Mischiata alla paura, riempie i nostri schermi, le pagine dei giornali. Le serate, ma anche le mattine e i pomeriggi tivù. Ispira serial e fiction di successo. D’altronde, la paura del futuro, degli stranieri, il richiamo all’autodifesa militante, il sostegno alle ronde: raggiungono i livelli massimi fra coloro che trascorrono, ogni giorno, oltre 4 ore davanti alla televisione. Asserragliati (quasi imprigionati) in casa e separati dal mondo: da antifurti, porte blindate, mura inaccessibili, cani mostruosi... Tuttavia, conviene diffidare dei sondaggi. Leggerli con scetticismo. Collezionano percezioni "estorte". Il Paese descritto da questo Osservatorio certamente non è credibile. A confronto, "La notte dei morti viventi" è un film dei fratelli Vanzina. Non può essere vera una società così spaventata. Francamente un po’ spaventosa. Da paura. Giustizia: "pugno duro" e subito, così ci sentiamo più tranquilli di Stefano Vespa
Panorama, 9 giugno 2008
Avviso ai parlamentari che stanno discutendo di sicurezza: oltre due terzi dei cittadini sono d’accordo sui lavori forzati per chi commette un reato. È sufficiente questo sorprendente dato per spiegare l’aria che si respira in Italia, anche se sono lontani i film come Papillon o i romanzi come I miserabili di Victor Hugo ed è impensabile trasformare rapinatori e omicidi in novelli Jean Valjean. Eppure, il sondaggio effettuato per conto di Panorama non lascia dubbi: certezza della pena, magistrati più severi, più carceri e i lavori forzati come ciliegina su una torta che ha come ingredienti paura e voglia di sicurezza. Il numero di quanti credono che, se la pena venisse scontata per intero, ci sarebbero meno reati è cresciuto negli ultimi 2 anni. La pensava così il 75,4 per cento nel luglio 2006, a maggio di quest’anno era l’82,8. Nello stesso periodo sono passati dal 59,9 al 71,3 per cento quanti vorrebbero che venissero costruite più carceri anziché varare indulti. Quasi due terzi degli italiani (il 61,7 per cento) pensano poi che la magistratura rilasci con facilità i criminali; il 76,2 crede che i detenuti ottengano troppi benefici, la metà considera la pena come una punizione e solo un quarto la intende come rieducazione. Infine, il 69,9 è d’accordo sui lavori forzati. Benzina sul fuoco mentre è in corso il dibattito al Senato nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia riunite per convertire il decreto legge del 23 maggio sulle misure urgenti in materia di sicurezza. E soprattutto mentre si cerca una mediazione (nel governo e tra maggioranza e opposizione) sulle nuove norme per affrontare l’immigrazione. Le inattese parole di Silvio Berlusconi, che considera non più necessario il reato di clandestinità limitandosi all’aggravante per chi viola la legge, hanno aperto scenari complessi nei rapporti con la Lega i cui esiti si vedranno solo quando il disegno di legge che prevede il reato (depositato al Senato il 3 giugno) arriverà in commissione e, poi, in aula. Nel decreto legge in corso di conversione, invece, si parla solo di aggravante e qui i tempi saranno stretti: martedì 10 saranno discussi e approvati gli emendamenti e il testo passerà all’aula. L’opposizione non accetta neanche l’aggravante (anche se qualcuno ufficiosamente sarebbe d’accordo). "Una soluzione potrebbe essere prevederla solo per coloro che rientrano dopo essere stati espulsi" riflette il senatore Carlo Vizzini (FI-Pdl), presidente della commissione Affari costituzionali. Le altre difficoltà si incontrano sull’ipotesi di confisca dell’immobile affittato in nero e sulla nuova definizione dei Cpt (Cie, centri di identificazione ed espulsione). Sulla clandestinità come reato Filippo Berselli conferma la linea di mediazione scelta da An (con qualche mal di pancia): "Siamo stati i primi a proporlo" dice a Panorama il presidente della commissione Giustizia "ma ora abbiamo l’obbligo di approvare il pacchetto sicurezza. Alla gente importa poco di quel reato, vuole severità e certezza delle pena". E annuncia un’altra battaglia, quella sulla legge Gozzini che prevede misure alternative alla detenzione. Berselli, primo firmatario, metterà la proposta di riforma all’ordine del giorno della commissione appena ultimato l’iter del ddl sulla sicurezza. Lo scontro è assicurato e si dovrà tenere conto del malessere tra le forze dell’ordine. Il capo della Polizia, Antonio Manganelli, è stato duro nell’audizione in Parlamento chiedendo certezza della pena e centri adeguati dove rinchiudere i clandestini da espellere. E pur con la frustrazione di vedere gli arrestati subito liberi, ci si aggiorna di continuo: per esempio i carabinieri (che il 5 giugno celebrano la festa dell’Arma) hanno installato sulle gazzelle un computer per controllare identità, impronte digitali, trasmettere foto e molto altro. È il progetto Eva (Enhanced vehicle automation). Ma in tema di sicurezza la tecnologia deve sposarsi con una legislazione adeguata. Giustizia: i sindaci del Nord a Maroni; sicurezza e più poteri di Giuseppe Pietrobelli
Il Gazzettino, 9 giugno 2008
Sarà un faccia a faccia, non uno scontro. Una volta tanto un incontro tra i sindaci delle città di media grandezza del Nord Italia con il ministro dell’Interno non si tradurrà in un atto d’accusa nei confronti del potere centrale, per aver dimenticato le realtà di periferia su uno dei temi cruciali della vita delle comunità locali, la sicurezza dei cittadini. Il leghista Roberto Maroni è questa mattina a Parma per discutere con i sindaci di una ventina di città importanti le norme da inserire nel pacchetto-sicurezza, uno dei primi provvedimenti del nuovo governo. Lo farà dopo aver già recepito una parte delle richieste contenute a metà aprile nella Carta di Parma che fu firmata dai primi cittadini di diverso colore politico. Una convergenza bipartisan sui temi della sicurezza nelle città che la dice lunga su come gli amministratori locali debbano alla fine fare i conti con gli stessi problemi. E come convergano, in buona parte, sulle medesime soluzioni. Tra i sindaci che firmarono la Carta c’erano Flavio Tosi, leghista di Verona, Flavio Zanonato, diessino di Padova, Antonio Prade, forzista di Belluno e Gianpaolo Gobbo, leghista di Treviso. A loro avrebbe dovuto aggiungersi oggi anche Achille Variati, neo sindaco di Vicenza, che pur aderendo all’iniziativa non sarà presente per precedenti impegni. Insomma, il fronte delle adesioni si allarga. E anche quello delle voci che partecipano a un dibattito piuttosto concreto. Per presentare a Maroni una sintesi condivisa, i sindaci si incontreranno a Parma con un’ora d’anticipo sull’appuntamento ufficiale (fissato per le 10, seguirà una conferenza stampa). Servirà per mettere a punto le richieste. Ognuno punta su qualche aspetto. Ad esempio Zanonato insiste sulla lotta alla prostituzione nelle strade (si veda l’intervista qui a fianco). Flavio Tosi, da buon leghista, vorrebbe inserire norme che diano ai sindaci più poteri di intervento e di repressione. "Per me il primo punto da introdurre nel decreto Maroni è costituito dalla facoltà della Polizia Municipale di trattenere in cella di sicurezza, fino a 24 ore, chi ha compiuto atti contrari alla sicurezza nelle città" spiega Tosi. A chi si riferisce? "Agli ubriachi, a chi compie danneggiamenti, anche a chi fa i propri bisogni in luogo pubblico. In questo modo - avremmo un deterrente efficace contro certi tipi di comportamento". Ma non finisce qui l’elenco di Tosi. "Il sindaco deve anche poter graduare le sanzioni. Oggi combattiamo la prostituzione nelle strade con una multa di 36 euro per gli automobilisti. Ma se potessimo arrivare a 300 euro credo che la misura sarebbe più efficace". E continua con gli appartamenti che ospitano le "belle di giorno". "Bisogna estendere la confisca degli appartamenti anche ai luoghi dove viene praticata la prostituzione. E bisogna precisare meglio i provvedimenti nei casi dì affitto di case a persone regolari che poi subaffittano ai clandestini. Se ì casi si ripetono, si deve poter procedere con la confisca dell’immobile". Maroni oggi sentirà queste ed altre richieste. Tosi non ha dubbi: "I cittadini si rivolgono ai sindaci e noi oggi non abbiamo più alibi. Adesso al governo ci siamo noi e dobbiamo dare una risposta a queste aspettative". Si riferisce ovviamente alla Lega e richiama il programma del movimento sul tema della sicurezza. Antonio Prade, avvocato bellunese, si attende molto dall’incontro di Parma. "La nostra realtà è esente da determinati fenomeni, come la prostituzione per le strade, eppure mi aspetto una legge che assegni ai sindaci poteri ben definiti". Da uomo di legge qual è, ammette: "Fino ad oggi i sindaci sono stati costretti a sforzi incredibili di fantasia, devono diventare matti per trovare qualche strumento in materia di ordine pubblico". L’esempio è calzante: se si vuole combattere la prostituzione o l’accattonaggio nelle vie cittadine, si ricorre a norme del Codice della Strada. Il che è quanto meno singolare. "Bisogna individuare confini non labili per i sindaci in materia di sicurezza. Dal governo ci attendiamo che venga messo un punto fermo e ne scaturisca un’indicazione precisa". Il dato positivo dell’incontro? "Che sul tema della sicurezza vengano interpellati i sindaci risponde Prade - e che si ritenga di sentire chi è responsabile delle comunità su argomenti di natura politica. E che si decida di ascoltare le indicazioni che arrivano dal basso". Giustizia: Maroni; risposta non emergenziale ma "di sistema"
Adnkronos, 9 giugno 2008
Il ministro dell’Interno: "Serve una risposta non emergenziale, ma di sistema". Poi annuncia: "Chiederò ai presidenti delle commissioni di togliere l’emendamento sulla prostituzione dal decreto e di inserirlo nel ddl". Per rispondere alla richiesta di sicurezza serve "una risposta non emergenziale, ma di sistema, dando più poteri ai sindaci, ma anche finanziando i mezzi per realizzarli". A spiegarlo è stato il ministro dell’Interno, Roberto Maroni (nella foto), che ha partecipato oggi al Teatro Regio di Parma a un incontro operativo con i 21 sottoscrittori della "Carta di Parma". A conclusione dell’appuntamento, che è durato circa due ore, Maroni ha rimarcato che occorre "dare risposte non in termini di emergenza e interventi una tantum, come gli sgomberi nei campi Rom con ruspe e telecamere che spostano semplicemente il problema da un’altra parte". "Abbiamo definito oggi - fa sapere il titolare del dicastero dell’Interno in relazione al decreto legge - addirittura proposte emendative che porterò nel provvedimento in discussione al Senato". Per quanto riguarda, invece, il disegno di legge, Maroni assicura che continuerà "il rapporto con i sindaci". Ai quali chiede "un rapporto di scambio informale, poco istituzionale, ma pragmatico, che è la cosa che mi interessa di più. Il confronto costante con i sindaci è utile in quanto sono esponenti di prima fila della comunità e hanno il polso della situazione". Quanto alle risorse per la sicurezza, dice il ministro, "chiederemo che siano escluse dal Patto di stabilità". I sindaci dal canto loro hanno chiesto maggiori risorse, "l’estensione delle competenze dei sindaci ai temi di sicurezza urbana", e in particolare, di "considerare la possibilità di inserire il fermo di polizia municipale per comportamenti contro la sicurezza urbana" Maroni ha poi annunciato che chiederà "ai presidenti delle commissioni di togliere l’emendamento sulla prostituzione dal decreto e di inserirlo nel disegno di legge, per poter avanzare una proposta più articolata e completa che non sia solo repressiva". Il titolare del dicastero dell’Interno ricorda anche di avere già rilanciato "un’idea non mia, ma già formalizzata in proposta di legge nei governi passati, di eros center. Ritengo comunque più utile spostare questo dibattito dal decreto di legge al disegno di legge - ribadisce - per avere una proposta complessiva da parte del governo che venga approvata a luglio". Riguardo in particolare all’eventualità di punire come reato l’adescamento "ha pro e contro - sottolinea il ministro - Significa rendere reato questo comportamento e arrivare a rinchiudere nelle carceri decine di migliaia di persone". In altri Paesi, ha fatto notare Maroni, "il problema è stato risolto diversamente, con regolamentazione e controllo. Si potrebbe anche consentire a queste signore di pagare le tasse, fatto non trascurabile". Insomma, per il ministro, bisogna "introdurre nell’ordinamento italiano una soluzione definitiva". Maroni è infine tornato sul reato di immigrazione clandestina, "lo strumento giuridico che ci consente il provvedimento di espulsione immediata", mentre sull’annunciata stretta in tema di intercettazioni non si sbilancia: "Ho letto solo anticipazioni giornalistiche. Se verrà portato venerdì in Consiglio dei ministri un provvedimento, lo vedrò e saprò valutare". A proposito, invece, della destinazione di maggiore risorse in tema di sicurezza, il ministro afferma esserci la possibilità di "escludere dal patto di stabilità le spese sostenute dagli enti locali per quanto riguarda la sicurezza".
Fermo di polizia per i "reati urbani"
Fermo di polizia nei confronti di chi attua comportamenti contro la sicurezza urbana. Una misura da attuare da parte delle forze di Polizia municipale per fermare in celle di sicurezza chi si renda colpevole di reati quali l’atto vandalico, l’aggressione, il vandalismo. È questa una delle proposte concrete avanzate dai 21 sindaci di città del Nord firmatari della "Carta di Parma" per la sicurezza urbana che oggi, nel capoluogo emiliano, hanno incontrato il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Il quale, a proposito della proposta di fermo, precisa essere una richiesta dell’ultima ora, per cui afferma: "Affronteremo il problema e daremo una risposta adeguata. Si tratta di una esigenza forte che ha la base un problema serio. Non sono rivendicazioni sindacali, ma il sintomo di problemi reali", dice Maroni.
Il reato di adescamento ha pro e contro
Sul tema della prostituzione, e in particolare sulla proposta di introdurre il reato di adescamento, Roberto Maroni tira il freno a mano. Il ministro dell’Interno, che oggi ha incontrato a Parma 21 sindaci sul tema della sicurezza, spiega infatti: "Oggi abbiamo solo accennato a quello che è un tema complesso. In passato io ho rilanciato delle proposte, cioè quelle degli eros center o quartieri a luci rosse, che erano state formalizzate dalle passate legislature". Ma, continua Maroni, "penso che bisogna spostare il tema dal decreto al disegno di legge, per avere un paio di settimane e raccogliere le idee per una proposta che verrà discussa nel disegno di legge a luglio-agosto". Che al titolare del Viminale la proposta del reato di adescamento non convinca fino in fondo lo si capisce quando afferma: "È una proposta che ha i suoi pro e contro, perché significa rendere delittuoso un comportamento, ma poi bisogna attrezzare le forze dell’ordine per rinchiudere decine di migliaia di persone". In altri Paesi europei, prosegue il ministro, "il problema è stato risolto con la regolamentazione igienico-sanitaria ed i controlli, tra cui non ultimi quelli per far pagare a queste signore le tasse, che è cosa non trascurabile" conclude Maroni.
Soliani (Pd): bene Maroni su risorse e poteri ai sindaci
"L’iniziativa dei sindaci e la risposta tempestiva del ministro Maroni sono un fatto positivo. Sono chiari e condivisibili i maggiori poteri ai sindaci in fatto di sicurezza nelle città, ma il resto è ancora confuso e insufficiente". Lo dice Albertina Soliani, componente dell’ufficio di presidenza del gruppo del Pd al Senato, a margine dell’incontro con il ministro Maroni e con i 21 sindaci, sottoscrittori della "Carta di Parma", che si è tenuto al Teatro Regio della città ducale. Per Soliani, "sicurezza significa anche integrazione degli immigrati: lavoro, casa, scuola, ricongiungimenti familiari. Di questo si parla pochissimo mentre sono fondamentali politiche di inclusioni perché da sola la repressione non basta. La stessa proposta del ministro di istituire il reato di immigrazione clandestina serve, come egli stesso ha detto, a favorire l’immediata espulsione. Maroni sa benissimo che, come sostiene Bossi, l’istituzione del reato serve solo a dare l’impressione di fermare l’invasione, le leggi non sono un manifesto, troppo facile scrivere parole, che poi non sono praticabili". Inoltre, aggiunge la senatrice, "al governo chiediamo politiche più incisive ed efficaci: regolamentazione dei flussi, in rapporto al mercato del lavoro, politiche di integrazione, lotta senza quartiere alle organizzazioni criminali, grandi e piccole, che sfruttano i clandestini, o le badanti, o le prostitute. Siamo di fronte a fenomeni di grandi portata e il governo non può limitarsi a piccole risposte, per quanto utili nell’immediato. Non si può inventare un reato per poter più facilmente contrastare l’immigrazione. Siamo vicini al reato per il fatto solo di esistere".
Sindaco di Piacenza: dal governo una tempestiva attenzione
"Un impegno positivo e concreto che aspettavamo da tempo da parte del governo centrale, e lo dice chi ha un’altra appartenenza politica rispetto a Roberto Maroni". Lo afferma il sindaco di Piacenza, Roberto Reggi, al termine del confronto, tenutosi oggi a Parma, tra i 21 primi cittadini del Nord firmatari della "Carta di Parma" per la sicurezza urbana e il ministro dell’Interno del Carroccio. A Maroni, Reggi dà atto di aver dato alla richieste dei sindaci "una giusta e tempestiva attenzione". Entrando nel merito dei provvedimenti discussi, Reggi auspica che nel decreto legge riguardante il tema della sicurezza ci siano "meno vincoli alle ordinanze in tema di sicurezza emesse dai primi cittadini, altrimenti rischiamo che il Tar ci impallini ogni volta".
Sindaco di Ravenna: bene il decreto Maroni per le città
In attesa che il ministro dell’Interno Roberto Maroni dia risposta alla proposta dei sindaci di fermare i nemici della "sicurezza urbana", la nuova possibilità di adottare provvedimenti al riguardo riceve il plauso del primo cittadino di Ravenna. "Applicherò l’articolo 6 del decreto Maroni - annuncia Fabrizio Matteucci - che contiene un’importante novità: la possibilità da parte del sindaco di emettere ordinanze contingibili e urgenti per prevenire ed eliminare non solo "gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica", previsione già contenuta nelle vecchie norme, ma anche gravi pericoli che possano pregiudicare la "sicurezza urbana". Una novità "finalmente riconosciuta" ai sindaci che, per Matteucci, renderebbe più efficace il contrasto a "comportamenti e fatti tali da minacciare concretamente la pacifica ed ordinata convivenza civile". Se poi le ordinanze non bastano, scatta quella che Matteucci chiama la "fase due", cioè la repressione. Come nel caso degli abusivi nei parcheggi cittadini, dove il primo cittadino andrà a dare un’occhiata nei prossimi giorni (mentre stasera alle 19.30 affiancherà gli agenti della municipale impegnati nei controlli alla stazione).
Zone vietate alle prostitute? il Comune di Bologna ci pensa
Vietare alcune zone abitate della città all’esercizio della prostituzione. Il Comune di Bologna non esclude di poter applicare una delle norme approvate dal precedente ministro dell’Interno, Giuliano Amato, per contrastare il fenomeno delle lucciole. A ipotizzarlo è Libero Mancuso, assessore alla Sicurezza di Palazzo D’Accursio, a margine della presentazione degli emendamenti del Pd al decreto "Sicurezza" del Governo Berlusconi, organizzata oggi a Bologna dai parlamentari bolognesi democratici, Walter Vitali e Salvatore Vassallo. Nel pieno della polemica sulla possibile definizione del reato di adescamento, e sui fogli di via a carico delle prostitute, Mancuso ricorda che già lui, in tempi non sospetti, aveva proposto a Bologna di adottare il sistema della zonizzazione delle prostitute. "Non era una proposta così scandalosa - sostiene Mancuso - da qualche anno la applicano a Venezia, dove le prostitute vengono riunite in luoghi della città non abitati, sotto il controllo della Polizia per evitare il racket e con il sostegno sanitario e psicologico del Comune". Ad ogni modo, sottolinea poi l’assessore, "già con il ministro Amato venne data la possibilità ai sindaci di vietare alcune zone della città all’esercizio della prostituzione". Una misura, ritiene Mancuso, che andrebbe però accompagnata da "sanzioni più dissuasive", anche se non è escluso possa essere applicata sotto le Due Torri. A chi gli chiede se effettivamente il Comune ci stia pensando, Mancuso ribatte: "Noi pensiamo sempre. E comunque, se sfrutteremo questa possibilità, ne discuteremo prima con i presidenti di Quartiere". Per quanto riguarda le misure allo studio del Governo Berlusconi, poi, Mancuso non ha dubbi. "Il foglio di via è inutile - afferma - ci sono già le leggi per contrastare il fenomeno: quella che consente di rispedire a casa i cittadini comunitari e quella per l’espulsione degli extracomunitari". L’occasione per parlare nuovamente di contrasto alla prostituzione è stata la presentazione dei 50 emendamenti che il gruppo del Pd al Senato presenterà nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia per modificare il testo del decreto legge in materia di sicurezza del Governo. Riguardano essenzialmente un rafforzamento della "espulsione degli stranieri che delinquono - spiega Vitali - e la promozione di una immigrazione regolare", attraverso una programmazione triennale del decreto flussi, contenuto nella Bossi-Fini, e un allungamento della validità del permesso di soggiorno. Il punto più combattuto resta però l’aggravante di immigrazione clandestina, voluta dal ministro degli Interni, Roberto Maroni. "L’aggravante specifica è anticostituzionale - tuona Vitali - è una violazione palese dell’articolo 3. Anche l’Associazione nazionale magistrati ha fatto presente il rischio di paralisi dei meccanismi giudiziari e penitenziari a causa di questa norma". Giustizia: l’Ordine Nazionale Assistenti Sociali sulla sicurezza
Forum di Solidarietà, 9 giugno 2008
L’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali interviene sui nuovi orientamenti in tema di sicurezza. Lettera del Presidente Ordine Nazionale Assistenti Sociali, Franca Dente. Con il presente documento, questo Ordine professionale intende rappresentare la preoccupazione degli assistenti sociali italiani per gli scenari che sembrano aprirsi con gli attuali orientamenti sul tema della sicurezza, così come emersi dal dibattito politico e tradottisi recentemente in alcuni provvedimenti normativi. La delicatezza e la complessità delle questioni inerenti la sicurezza dei percorsi esistenziali delle persone e delle loro comunità di vita, contrasta con quella che sembra essere la attuale tendenza a semplificare fenomeni e dinamiche sociali complesse che, invece, richiederebbero una prospettiva esplicativa più ampia e articolata. È in questo senso che ci sembra importante far sentire, su tali tematiche, la voce di una professione, quella di assistente sociale, che ha sempre operato per contribuire alla affermazione dei diritti di cittadinanza e alla realizzazione di una maggiore "sicurezza" di vita per i cittadini.
I cambiamenti sociali avvenuti
È certamente evidente il cambiamento oggi avvenuto nel Paese, a causa dell’allarme sociale prodotto da fenomeni di varia natura. È esperienza comune, infatti, il processo di trasformazione delle nostre comunità di vita che sono state, in questi ultimi anni, interessate in tutti gli aspetti dell’esistenza delle persone da estesi mutamenti, in parte connessi anche ai fenomeni correlati alla cosiddetta globalizzazione, che ha rotto le preesistenti strutture di solidarietà e che rischia di entrare in crisi drammatica se non riesce a tutelare le fasce più deboli, e all’aumentata complessità delle dinamiche sociali. Il senso di insicurezza riferito al proprio contesto di vita si è largamente diffuso, ma a creare tale clima concorrono fattori diversi, non sempre e non solo legati alla reale evoluzione del numero dei reati. Fra questi fattori, un ruolo rilevante riveste il fatto che, molto spesso, eventi di forte impatto emotivo, accompagnati da un’ampia attenzione mediatica, contribuiscono a creare un sentimento di ansia che può trasformarsi anche nella paura dello "straniero". Tali sentimenti contribuiscono ad accrescere atteggiamenti che si traducono spesso, soprattutto nelle grandi città, nella cosiddetta "tolleranza zero" e in una giustizia sommaria e autogestita, con il forte rischio di scaricare le tensioni sociali, trasformando un’etnia in capro espiatorio.
La molteplici cause dell’insicurezza
Il senso di insicurezza non nasce solo dall’aumento reale o percepito della criminalità, ma anche dalla sensazione di essere indifesi nei confronti di fenomeni quali l’impoverimento, la precarietà abitativa e del lavoro. La vulnerabilità e la precarietà hanno radici più profonde e ricadute più concrete nella vita delle persone, ricadute che sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono mantenere la riflessione su un piano che non sia puramente strumentale a logiche di parte. È in particolare sotto gli occhi dei giovani che non possono avere certezze di un lavoro, di formare una famiglia, di costruirsi un futuro. È sotto gli occhi degli anziani che vedono segnata l’ultima parte della loro vita da solitudine, difficoltà economiche e da una idea di cura e assistenza che richiede un costo economico, oltre che affettivo, molto al di sopra delle loro possibilità. È sotto gli occhi dei minori che vedono sgretolare le loro famiglie e le loro certezze senza poter ricevere il dovuto sostegno psicologico, sociale e istituzionale, minori frequentemente oggetto di strumentalizzazioni e di violenze da parte dei loro stessi familiari. È sotto gli occhi di adulti lasciati soli nella loro funzione educativa e di cura nei confronti dei bambini, degli anziani, delle persone con disabilità fisica e psichica. Ci sembra emblematico, riguardo a ciò, quanto ha evidenziato il rapporto annuale Istat, presentato alcuni giorni fa, nel quale si delinea un paese che sta attraversando una fase di grande difficoltà, un paese che negli ultimi anni si è impoverito, nel quale le famiglie faticano ad arrivare alla fine del mese, a far fronte a spese impreviste, a coprire le rate di mutui che sono aumentate in modo esponenziale, con un incremento del senso di incertezza generale. I nuovi poveri sono pensionati che vivono con meno di 600 euro al mese, persone che hanno un lavoro ma che è sempre più spesso precario: secondo l’Istat sono più di due milioni e mezzo gli italiani che faticano a mangiare, sette milioni quelli che vivono sotto la soglia di povertà.
Il ruolo degli assistenti sociali nell’implementazione di politiche sociali solidali
L’esperienza maturata nei servizi sociosanitari dei comuni, delle asl, negli ospedali, nel ministero della giustizia adulti e minori, nelle prefetture dai 37.000 assistenti sociali italiani, consente loro di dire che è in questo quadro che vanno lette le vere e articolate cause dell’aumentato senso collettivo di insicurezza. Garantire sicurezza e tranquillità, significa in primo luogo assicurare una vita dignitosa alle persone e, in particolare, a quelle che si trovano in condizioni più svantaggiate. Significa proporsi come obiettivo prioritario una maggiore equità, solidarietà e giustizia sociale. Garantire sicurezza significa offrire agli stranieri che vivono in Italia, lavorando e rispettando le nostre leggi, sempre più strumenti di integrazione. Significa chiedere loro di sottostare ai doveri che connotano la regole di convivenza del nostro paese, ma anche riconoscere loro parità di diritti. Significa, quindi, investire nelle politiche sociali e nei sistemi di protezione sociale e di prevenzione, per mantenere una tutela pubblica dei diritti sociali: alla salute, all’istruzione, al lavoro, alla casa, all’assistenza sociale. La mancanza o l’insufficienza di adeguate politiche e interventi nel campo sociale, la perdurante assenza dei livelli essenziali di assistenza da garantire su tutto il territorio nazionale che attenui gli squilibri tra regioni e la sperequazioni tra cittadini, il depauperamento subito in questi ultimi anni dai servizi pubblici, privati di risorse finanziarie, umane e strumentali, l’incremento dell’esternalizzazione e privatizzazione dei servizi, senza i necessari sistemi di monitoraggio e valutazione, la diffusa condizione di precarietà dei professionisti che non garantisce continuità delle prestazioni, vanno a colpire le fasce di popolazione più svantaggiate, in un momento in cui l’area del disagio si è estesa anche a persone e famiglie del ceto medio. È soprattutto questo che contribuisce a rendere più incerte le prospettive di vita delle persone, aumentando la loro vulnerabilità rispetto a eventi imprevisti a cui non si è più in grado di far fronte da soli, e a cui sempre meno i servizi e gli operatori sociali possono offrire sostegno concreto.
Sicurezza e immigrazione: il punto di vista del servizio sociale
Gli assistenti sociali hanno sempre operato per il riconoscimento e la realizzazione dell’uguaglianza sostanziale, per il rispetto dei diritti e della dignità di tutte le persone, indipendentemente dalla loro condizione economica, sociale, familiare, dal loro orientamento sessuale, dalla loro etnia, cultura, religione. È questo bagaglio valoriale ed esperienziale che ci consente di dire che, favorire con politiche e interventi strutturali l’integrazione degli stranieri in Italia, significa contribuire alla sicurezza. Sostenere quanti, arrivati nel nostro paese spesso per sfuggire alla fame, alla miseria e alla guerra, a regolarizzare la loro posizione con un lavoro, con un’abitazione dignitosa, con il ricongiungimento familiare, con l’accesso all’assistenza sanitaria e sociale, è la strada maestra che conduce al rispetto delle regole di convivenza e di legalità. Al riguardo un dato significativo è che l’aumento dei reati commessi da stranieri è dovuto, soprattutto, alla componente irregolare: sono le persone prive di permesso di soggiorno la maggioranza del totale degli stranieri denunciati. Molti sono gli ostacoli ma, in particolare sul fronte dell’abitazione, la maggiore criticità ci sembra derivare dai mancati controlli sugli affitti (uno studio dell’Eurispes di pochi mesi fa, evidenziava che agli stranieri si applica un canone del 10%-20% più caro di quello pagato dagli italiani) e, soprattutto, dall’esiguità del patrimonio di edilizia pubblica che, nel corso degli ultimi due decenni, si è ulteriormente ridotto (l’Italia ha solo il 4% di alloggi popolari, contro il 20% della Francia). Tale carenza, congiuntamente al generale impoverimento di fasce sempre più estese di popolazione, si sta traducendo in una vera e propria "guerra fra poveri", con cittadini italiani che si sentono privati del diritto alla casa e ai servizi dagli immigrati. Alla luce di tutto questo, ci sembra doveroso evidenziare anche una prima complessiva valutazione sulle misure legislative inerenti la sicurezza. Infatti, il cosiddetto pacchetto sicurezza, sembra orientato alla creazione di un "diritto della disuguaglianza", così come paventato da insigni studiosi e giuristi, soprattutto in relazione all’inserimento nel nostro codice penale del reato di immigrazione clandestina. Tale orientamento mal si concilia con quanto stabilisce la Costituzione in materia di uguaglianza e appare in contrasto anche con la sentenza della Corte Costituzionale (n° 22/2007) che sancisce l’illegittimità di provvedimenti che, prescindendo da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili, introducano sanzioni penali tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi di uguaglianza e proporzionalità. A ciò va aggiunto che, se dobbiamo esigere il rispetto delle leggi, questo deve avvenire sulla base del riconoscimento della dignità e uguaglianza delle persone e della parità di trattamento, con riferimento alla responsabilità personale. È all’esigenza di una reale sicurezza e qualità di vita che, prioritariamente, sono chiamati a rispondere e a farsi garanti la politica e gli organi di governo che i cittadini hanno eletto per rispondere ai loro concreti bisogni. Giustizia: Berlusconi; carcere per chi diffonde intercettazioni
La Repubblica, 9 giugno 2008
Il tifo è di quelli da stadio quando il premier Silvio Berlusconi entra nel catino surriscaldato dell’albergo di Santa Margherita Ligure dove da quasi trent’anni si tiene il convegno dei Giovani industriali. Berlusconi ringrazia e saluta con affetto Emma Marcegaglia Presidente della Confindustria. Dopo poco prende la parola. Accende la platea con le sue battute ("sono sempre felice di stare tra coetanei") e dice che è un periodo in cui non può camminare per strada "perché - spiega - sono sempre accolto da un grandissimo calore". "Il nostro gradimento è al 65 per cento. Questa luna di miele continua. A volte mi chiedo chissà cosa succederà se li deluderemo". E ammette di dormire sempre troppo poco. Rilancia le tradizionali ricette liberali per l’economia: meno tasse sulle famiglie, il lavoro e le imprese, per ottenere più consumi, più produzione, più entrate e più posti di lavoro. Ma aggiunge che bisogna proseguire nella lotta contro l’evasione fiscale. "È necessario che tutti paghino le tasse perché ci sono 100 miliardi di euro che non entrano nelle casse dello Stato". Poi, è a metà del suo intervento che il presidente del Consiglio annuncia la stretta sulle intercettazioni telefoniche. Lo fa dopo aver "sondato" i Giovani di Confindustria ai quali chiede di alzare la mano se non si sentono ascoltati quando telefonano. Mani ferme. Pronte per l’annuncio: "Nel prossimo Consiglio dei ministri introdurremo il divieto assoluto per le intercettazioni telefoniche tranne che per la criminalità organizzata, la mafia, la camorra e il terrorismo. Cinque anni per chi le fa e anche una forte penalizzazione economica per gli editori che le pubblicano". Linea dura, come quella contro l’immigrazione clandestina o le rivolte nelle zone delle discariche napoletane. Si può fare perché - sostiene - non c’è più la sinistra del no, quella che ha impedito, tra l’altro, la costruzione dei termovalorizzatori. "Ho la certezza - dice - che il problema verrà risolto. Entro luglio le strade saranno sbarazzate dai rifiuti". Presto si riapriranno pure i cantieri per le centrali nucleari: "Bisogna partire con celerità senza aspettare le centrali di quarta generazione. Ci stiamo mettendo d’accordo anche con degli stati amici come la Francia, perché ci aiutino con la loro tecnologia". Si sente ancora un imprenditore, Berlusconi. E dice di sapere quanto sia difficile vivere in quella che chiama "la trincea del lavoro", avverte l’effetto devastante che potrebbe avere la corsa impazzita del prezzo del petrolio ("come si può stare con i prezzi a questi livelli?"). E allora è anche come imprenditore che rilancia la cordata italiana per salvare l’Alitalia dal fallimento. Non aggiunge nulla, nessun dettaglio. Il dossier è nelle mani del Tesoro e dell’advisor Intesa Sanpaolo. Ma fa un altro sondaggio volante: "Chi se la sente di non partecipare alla cordata?". Nessuno alza la mano e Berlusconi ringrazia e spiega: "Un paese che vuole avere il suo ruolo nel mondo non può non avere una compagnia di bandiera". Perché questo genera un flusso turistico. "E se l’Alitalia fosse stata assorbita da Air France vi immaginate dove i francesi, che conosciamo bene pur essendo nostri amici, avrebbero portato i turisti?". La ricetta per abbassare l’enorme debito pubblico è quella nota: vendita del patrimonio immobiliare pubblico a cominciare dalle caserme ormai inutilizzate, e tagli al costo della macchina burocratica. Berlusconi conclude tra gli applausi, proprio come aveva iniziato. Giustizia: carcere per le intercettazioni, contrari l’Anm e il Pd
Corriere della Sera, 9 giugno 2008
All’indomani dell’annuncio del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, di una futura stretta sulle intercettazioni, l’Associazione nazionale magistrati difende questo strumento "indispensabile" nella lotta al crimine. "Le intercettazioni sono uno strumento insostituibile per le indagini non solo contro la criminalità organizzata e il terrorismo, ma contro l’usura, la criminalità economica, il riciclaggio, gli omicidi, i sequestri, la pedofilia - ha detto il segretario del sindacato delle toghe, Giuseppe Cascini, intervistato da Sky Tg24 -. Senza le intercettazioni telefoniche, l’azione di contrasto nei confronti del crimine diventa più debole e più difficile". Una posizione condivisa dall’opposizione, con Veltroni ("Così il governo impedisce ai magistrati di svolgere le indagini"), e dal sindacato dei giornalisti, che si dice pronto ad ogni azione per contrastare il progetto del governo in nome del diritto all’informazione. Alfano: contenere spese - Accuse a cui risponde in serata il ministro della Giustizia Angelino Alfano: "Nessuno vuole comprimere le indagini, o togliere ai magistrati il potere di indagare - ha spiegato al Tg4 -. Vogliamo razionalizzare il sistema e contenere le spese, vi è un’invasività nella vita dei cittadini, a causa delle intercettazioni, giunta a livelli intollerabili". "Divieto assoluto" - "Intendiamo introdurre il divieto assoluto di intercettazioni telefoniche, escludendo quelle che riguardano la criminalità organizzata e il terrorismo e nel prossimo Consiglio dei ministri porteremo un nuovo provvedimento" aveva annunciato sabato Berlusconi. Per i trasgressori la pena proposta è di cinque anni di carcere, e penalizzazioni finanziarie importanti sono previste per gli editori che dovessero pubblicarle. Castelli - Un’urgenza condivisa da governo e maggioranza. Anche se non mancano voci fuori dal coro. Come quelle della Lega e in particolare di Roberto Castelli, sottosegretario alla Infrastrutture ed ex ministro della Giustizia, secondo cui le intercettazioni dovrebbero essere adoperate anche nelle inchieste che riguardano i reati di concussione e corruzione. Intervenendo al programma "In mezz’ora" di Lucia Annunziata, l’esponente della Lega si è augurato che il clima tra il premier e i magistrati possa migliorare. "Ai tempi del mio dicastero - ricorda - c’era uno scontro patologico. Ora speriamo che si torni a una vera divisione dei poteri". Una contrapposizione smontata in serata dallo stesso senatore leghista: "Hanno voluto malignamente forzare il mio pensiero, inventando una contrapposizione tra la Lega e Berlusconi sul tema delle intercettazioni che non esiste. Ho premesso che esprimevo pareri personali che non impegnano la Lega Nord". Tutela privacy - L’Associazione nazionale magistrati critica invece la stretta che il governo intende introdurre in materia di intercettazioni, riconoscendo tuttavia che si tratta di uno "strumento investigativo invasivo". Proprio per questo il sindacato delle toghe chiede che il legislatore intervenga per tutelare la privacy. "I fatti relativi alla vita privata degli indagati, e a maggior ragione, delle persone estranee alle indagini, le cui conversazioni siano casualmente captate, non possono e non debbono essere divulgati e pubblicati". Per il Garante della privacy, Francesco Pizzetti è "opportuno" un intervento legislativo in questa materia. Di Pietro: referendum - Il giro di vite annunciato da Berlusconi viene definito un "progetto criminogeno" dall’ex magistrato e leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro, che ha minacciato il ricorso al referendum per bloccarlo. "Noi di Idv tenteremo di contrastare il progetto, dentro e fuori il Parlamento. Se necessario anche facendo ricorso al referendum" ha detto Di Pietro in un’intervista al quotidiano Repubblica. In Italia sono intercettate 72 persone ogni centomila, con un costo di 280 milioni di euro l’anno, un terzo delle spese del ministero della Giustizia, secondo i dati pubblicati dal Corriere della Sera. Veltroni: "grave e sbagliato" - Anche il leader del Pd Walter Veltroni giudica i provvedimenti annunciati dal governo "gravi e sbagliati". Il Pd ritiene che i magistrati debbano poter eseguire le intercettazioni ogni volta che lo ritengono necessario mentre è la privacy dei cittadini che va tutelata "quindi è responsabilità degli stessi magistrati che le intercettazioni restino segrete se non per le parti strettamente utili all’inchiesta e alle accuse". "Con i limiti che il governo dice di voler mettere sull’uso delle intercettazioni - spiega Veltroni in una nota - decine di indagini non sarebbero state possibili, tanti crimini non avrebbero trovato il loro colpevole, per i reati di corruzione o concussione, per quelli finanziari e persino per quelli legati alla criminalità organizzata che - come ci dice l’esperienza - spesso sono intrecciati a questi. Siamo davanti a provvedimenti gravi e sbagliati. In questo modo il governo impedisce ai magistrati di indagare". Giornalisti: "pronti ad azioni" - Sul piede di guerra la Federazione nazionale della stampa italiana, il sindacato dei giornalisti. "Il diritto alla riservatezza non può essere invocato a sproposito per restringere gli spazi di azione di quei poteri di controllo che in democrazia sono rappresentati dalla magistratura e dall’informazione - spiega il presidente della Fnsi, Roberto Natale -. Il sindacato dei giornalisti metterà in atto contro questa proposta ogni azione necessaria, come già aveva fatto nella scorsa legislatura contro l’analogo disegno di legge Mastella. Sapremo dimostrare al Paese chi è che si batte per interessi generali e chi invece vuole sottrarre le proprie azioni al controllo dell’opinione pubblica". "I giornalisti italiani non hanno alcuna intenzione di frugare nella vita privata delle persone, e la loro opposizione al disegno di legge messo in cantiere dal governo Berlusconi non ha nulla di corporativo - conclude Natale -. Siamo contrari alla riforma annunciata perché vogliamo difendere il diritto della comunità nazionale ad essere informata su vicende di indubbia rilevanza sociale: come sono state, negli ultimi anni, le scalate bancarie, gli scandali del calcio, le varie vallettopoli. Tutte storie che hanno giustamente segnato la vita italiana, e che sarebbero rimaste sconosciute se fossero state già in vigore le norme che propone il presidente del Consiglio". Giustizia: Radiocarcere; intercettazioni, pena amministrativa
Comunicato stampa, 9 giugno 2008
"Il problema posto dal Presidente Berlusconi, che intende vietare la pubblicazione dalle intercettazioni, è serio, ma non è condivisibile la soluzione posta al problema di punire con elevate sanzioni penali il giornalista. Più efficace invece sarebbe, come già da tempo proposto da Radiocarcere, depenalizzare tale condotta, introducendo un illecito amministrativo il cui accertamento, e la relativa applicazione della sanzione, potrebbe essere attribuita all’Autorità garante della privacy. La sanzione dovrebbe consistere in una idonea sanzione pecuniaria e nella possibilità, per le violazioni più gravi, di sospendere l’attività del mezzo mediatico che è incorso nella violazione". È quanto afferma Riccardo Arena che cura la rubrica Radiocarcere, trasmissione su Radio Radicale e pagina sul Riformista. "È inutile aumentare la pena" - precisa Arena - "È errato assegnare al processo penale il compito di eliminare questi comportamenti illegittimi. Il risultato sarebbe solo quello di aggravare il carico giudiziale. Al numero esorbitante dei processi da celebrare se ne aggiungerebbero solamente altri, con esiti facilmente prevedibili: la prescrizione per gli uni e gli altri. Inoltre" - conclude Arena - "L’aumento di pena annunciato dal Presidente Berlusconi non sarebbe ragionevole se si considera la condotta incriminata. È logico pertanto auspicare una depenalizzazione, eliminando l’illecito penale e introducendo un illecito amministrativo. Strumento più celere e più efficace." Giustizia: sabato il Seac inaugura una nuova sede nazionale
Comunicato stampa, 9 giugno 2008
Si inaugura sabato 14 giugno alle ore 11.00 in via Fontanarosa, 17 a Roma la nuova sede del Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario - Seac. Grazie all’impegno profuso dall’associazione di volontariato guidata da Padre Vittorio Trani, cappellano di Regina Coeli, il Seac si trasferisce dopo 10 anni da via Aurelia 773 a via Fontanarosa n. 17 - 00177 Roma (Zona Prenestina - altezza Largo Prenestina - autubus 14) Tel. 06.27858273 - Fax 06.27868854, dopo che per oltre vent’anni era stata ospite dell’Azione Cattolica in via della Conciliazione al n. 1. La nuova struttura inizierà a funzionare da lunedì 16 giugno, attraverso l’opera dei volontari romani. "In questo particolare momento in cui i proclami giustizialisti annunciano impossibili ed inaccettabili misure - rileva la presidente Elisabetta Laganà - il Seac vuole ribadire e richiamare il coraggio di esprimersi fuori dal coro delle invocazioni sulla sicurezza, non solo con dichiarazioni ma con risposte sociali che il Coordinamento sostiene da 40 anni, partendo dalle osservazioni nate da un osservatorio "privilegiato" qual è la condizione carceraria. Già allora si poteva osservare il rapporto tra detenzione sociale, allargamento della penalizzazione e mancanza di sostegno alle situazioni critiche, fino a raggiungere le drammatiche cifre di questi ultimi anni. Sicurezza sociale significa cercare di costruire le condizioni di vivibilità dell’ambiente in cui si abita e cogliere gli aspetti critici che queste situazioni urbane e sociali presentano, per poterli affrontare. La sicurezza sociale lavora in particolare sulle situazioni di disagio, di emarginazione, proprio per eliminarle, proprio per includere quello che era escluso nella situazione reale". "Il volontariato della giustizia - continua la presidente Laganà - vuole riconfermare la sua dimensione sociale di partecipazione attiva come azione di contrasto delle politiche che incrementano le disuguaglianze, e che ribadiscono la centralità della reclusione come risposta sanzionatoria, provocando un aumento della detenzione, determinata da scelte politiche orientate all’esclusione a scapito di pratiche di integrazione. Il volontariato è consapevole di potere essere uno strumento per la promozione di interventi con la comunità locale, per lo sviluppo di una sensibilità civica verso le diverse forme di disagio e per un coinvolgimento attivo nell’azione di risocializzazione, e di volere realizzare la sua battaglia contro l’esclusione sociale lavorando insieme a tutte le parti sociali per la realizzazione di un territorio giusto e solidale. L’idea della riduzione dell’area della detenzione sociale attraverso interventi di riduzione dell’area della penalità deve investire fortemente il ruolo degli Enti Locali, la Chiesa, il terzo settore,la società nel suo complesso, poiché la comunità esterna rappresenta un fattore inalienabile per la riabilitazione. L’integrazione sociale va posta come un elemento inevitabile nella riflessione del sistema penale, accanto alle misure alternative, al lavoro, alle risposte che una comunità progetta; senza dimenticare l’attivazione di pratiche riparative, nella prospettiva di una vera volontà riformatrice del carcere e dell’esecuzione penale esterna. L’attuale dibattito ha reso evidente come le linee guida delle attuali proposte di leggi convergono sostanzialmente nel delineare una politica di rifiuto dell’immigrazione. Nella normativa la visione del migrante, come soggetto potenzialmente pericoloso per l’ordine pubblico, conduce a una esasperazione di stampo segregazionistico. Nelle idee di una certa politica è assente quel sentimento di speranza che abbiamo provato nei passaggi che hanno segnato le riforme importanti, quel sentirsi protagonisti di un processo di restituzione del diritto ad una pena rispettosa, quel percepire nei fatti la possibilità del cambiamento. Ci si avvia verso una stagione in cui la paura costituirà il pensiero dominante, alla ricerca di capri espiatori che possano placare la nostra incertezza. Si va verso una ulteriore tappa del cammino di un sistema di cittadinanza differenziata che caratterizza sempre più il nostro paese. Le ferite sono già numerose, proprio in tema di tutela della libertà personale. La disciplina dell’immigrazione è la cartina al tornasole della nostra democrazia e del sistema dei diritti che la caratterizza. Sono altresì evidenti le gravissime disfunzioni che si creerebbero nel sistema giudiziario e carcerario che deriverebbero da tale previsione, poiché sarebbe impossibile effettuare ogni giorno centinaia di udienze di convalida dell’arresto e processi per direttissima, ed in brevissimo tempo il sistema penitenziario esploderebbe. Tutto ciò senza alcun reale beneficio in termini di effettività delle espulsioni e riduzione del fenomeno della immigrazione clandestina. Negli Stati Uniti, che detengono il primato della popolazione carceraria, si sta andando in controtendenza: il progressivo e consistente aumento delle spese di mantenimento dei carcerati ha spinto molti stati ad approvare misure per favorire la scarcerazione dei detenuti meno pericolosi, per risparmiare sulle spese. Ulteriore riprova di un sistema insostenibile. Tutte le persone che non tornano con la politica complessiva (i tossici, gli extracomunitari, quelli che vivono nella precarietà, le persone che hanno problemi di ordine psichico, di insufficiente integrazione sociale) non possono essere allontanate a colpi di scopa (o di decreto) che le spazzano via e le mettono al margine. È evidente che il problema della sicurezza non va sottovalutato, ma affrontato con politiche corrette in quanto sicurezza sociale significa cercare di costruire le condizioni di vivibilità dell’ambiente in cui si abita e cogliere gli aspetti critici che queste situazioni urbane e sociali presentano, per poterli affrontare. La sicurezza sociale lavora in particolare sulle situazioni di disagio, di emarginazione, proprio per eliminarle, proprio per includere quello che era escluso nella situazione reale Viene fatto credere che il carcere è la grande garanzia, che l’aumento dei posti di detenzione permetterà alla popolazione di dormire sonni tranquilli, senza assumersi responsabilità specifiche. Ma è solo portando i processi di riforme su un terreno che valuti il quadro problematico nel suo insieme, in cui le domande riguardano tutti e vanno alla radice dei problemi che si potranno ottenere cambiamenti sostanziali. La radicalità delle domande ed il coraggio delle risposte sono la vera anima della trasformazione. Sappiamo che i reclusi torneranno ad abitare la città, bisogna fare i conti con questa presenza, chiamando in causa la società, la sua identità solidaristica e democratica sancita dalla Costituzione". "Questi interrogativi - conclude Laganà - devono trasformarsi nell’elaborazione di strategie pacifiche per la risoluzione dei conflitti sociali ed economici, creando vere risposte per quelle fasce povere della popolazione che vengono abbandonate e le forme del controllo sociale possono essere altro dalle pene, possono divenire terreni concreti di emancipazione, di ricostruzione di rapporti vivi, in cui i pensieri e le parti abbiano la possibilità di confronti, anche di scontri, ma non di rimozioni (mentali e fisiche). Si può restituire una dimensione costruttiva della pena come rapporto sociale e spostare il vincolo del binomio pena-carcere, che ne restringe il significato, verso i rapporti, le loro risorse e le istituzioni locali con programmi di giustizia riparativa. Pertanto, l’appello rivolto dal volontariato della giustizia a chi crede ancora a quel patto sociale fondato sui valori della eguaglianza e solidarietà è questo: anziché ragionare in termini di sola suggestione, proviamo ad interrogarci su come è possibile che diritti e principi faticosamente raggiunti, ispirati alla Costituzione, conquistati nel tempo, possano essere così rapidamente e tacitamente messi da parte, offesi, sviliti, negati".
Seac - Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario Sardegna: assessore a sanità e riforma medicina penitenziaria
Agi, 9 giugno 2008
"È necessario che l’assessore della sanità Nerina Dirindin riferisca, con urgenza, in Commissione Diritti Civili sulla grave situazione venutasi a creare negli istituti di pena sardi con l’entrata in vigore del Decreto che sancisce il definitivo passaggio della sanità penitenziaria alle Aziende Sanitaria Locali e quindi alle Regioni". Lo ha chiesto la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris (PS), in una lettera al Presidente della Commissione Sandro Frau dopo le negative ripercussioni sui detenuti ammalati. "È anche opportuno - afferma nella lettera la consigliera Caligaris - ascoltare in audizione il Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria, i rappresentati degli operatori sanitari delle carceri, i Direttori degli Istituti ed i magistrati di sorveglianza. Occorre, infatti, affrontare subito le diverse criticità limitando i flussi di detenuti nelle carceri dell’isola, utilizzando maggiormente le pene alternative, colmando i vuoti degli organici degli agenti di polizia penitenziaria". "Il decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ha trasferito dal 30 maggio la sanità penitenziaria dal Ministero della Giustizia alle Regioni ma per la Sardegna - sottolinea Caligaris - non sono state ancora redatte le norme di attuazione. Si è quindi creato un vuoto estremamente pericoloso per il drastico disimpegno del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che, con una decisione assurda e preoccupante, adottata nell’ottica del risparmio, ha sguarnito il centro clinico della Casa Circondariale di Buoncammino di cinque dei sette infermieri di ruolo. Ciò mentre altre figure professionali, particolarmente importanti per la salute dei detenuti, rischiano di non poter proseguire la loro attività". "Insomma, al di là delle somme trasferite per il prossimo triennio al servizio sanitario, occorre anche conoscere l’investimento che la Regione intende fare per garantire - conclude la consigliera socialista - un’idonea assistenza ai detenuti e la forma di collaborazione con le comunità terapeutiche in modo da consentire agli ammalati ristretti, specialmente per quelli tossicodipendenti con doppia diagnosi, di accedere alle pene alternative. Non si può infatti ritenere che sia sufficiente trasferire la medicina penitenziaria alle Asl per renderla automaticamente vicina ai bisogni". Roma: detenuto indultato escluso da un concorso si dà fuoco
La Repubblica, 9 giugno 2008
Escluso dalla graduatoria di un concorso per un posto a Napoli: questa la motivazione addotta da un pregiudicato napoletano, Gennaro Verdicchio, 46enne, che questa mattina si è dato fuoco a Roma in piazza Navona. L’uomo, che ha riportato ustioni di primo e secondo grado alle gambe, era uscito dal carcere grazie all’indulto. Tra i reati che ha compiuto, furto, rapina, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Secondo la ricostruzione dei carabinieri della compagnia Roma-Centro, Verdicchio ha preso un treno da Napoli e alle 7.30 è arrivato in piazza Navona: si è cosparso di benzina e poi, con un accendino, si è dato fuoco ai pantaloni. Quando le fiamme sono aumentate, l’uomo si è gettato nella fontana che si trova di fronte all’ambasciata del Brasile. Un’ambulanza del 118 lo ha poi portato all’ospedale Santo Spirito, dove è stato ricoverato nel reparto psichiatrico. Gli investigatori hanno confermato che la protesta nasce perché Verdicchio non è riuscito ad ottenere un posto di lavoro dall’ufficio di collocamento di Napoli. Roma: arriva Bush, pacifisti si legano davanti a Regina Coeli
Dire, 9 giugno 2008
Alcuni esponenti del movimento "Patto permanente contro la guerra" hanno manifestato di fronte al carcere romano di Regina Coeli contro la prossima visita a Roma del Presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush e contro la decisione del ministero degli Interni di "spostare" oltre 200 detenuti dal carcere della Capitale "per fare posto ad eventuali arresti in vista del summit". I manifestanti, vestiti da detenuti con abiti a strisce orizzontali bianche e nere, si sono incatenati davanti all’ingresso dell’istituto penitenziario, innalzando uno striscione con la scritta "Oltre un milione di vittime civili in Iraq". Piero Bernocchi, rappresentante del "Patto permanente contro la guerra", ha ricordato che ci sarà anche un corteo che partirà da piazza della Repubblica mercoledì 11 alle 17, passerà per via Goito, via XX Settembre, Largo Santa Susanna e finirà a piazza Barberini "in un punto equidistante tra l’Ambasciata americana e Palazzo Chigi - ha concluso Bernocchi - visto che riteniamo che le responsabilità di Italia e Stati Uniti siano le stesse". Ma il prefetto di Roma Carlo Mosca spiega: "Non c’entro niente, noi mettiamo a fuoco un piano per la sicurezza pubblica". Così risponde ai cronisti che gli chiedono chiarimenti sullo spostamento di oltre 200 detenuti dal carcere di Regina Coeli ad altri istituti del Lazio in concomitanza con la visita del presidente degli Stati Uniti George W. Bush a Roma prevista nei prossimi giorni. In merito alla preparazione delle misure da attuare, Mosca fa sapere che "stiamo lavorando, stasera avremo un’altra riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza". Civitavecchia: crolla solaio del carcere, salvi detenuti e agenti
Sesto Potere, 9 giugno 2009
I vigili del fuoco del distaccamento di Civitavecchia sono intervenuti nella Casa di Reclusione della città per il crollo del solaio soprastante gli uffici direzionali dell’istituto di pena che, fortunatamente, non ha determinato conseguenze gravi né per il personale in servizio né per i detenuti. Immediatamente è stata effettuata una verifica dall’alto mediante autoscale, poi si è provveduto ad interdire a scopo precauzionale la zona interessata dal crollo e alla rimozione delle parti pericolanti per una verifica più approfondita. Al termine dell’intervento e considerate le avverse condizioni meteo, è stato coperto il solaio con un telo in plastica e una struttura in legno, nell’attesa dell’intervento di ristrutturazione da parte di una ditta esterna specializzata. Pesaro: parlamentari visitano il carcere, carenza di personale
www.fanoinforma.it, 9 giugno 2008
L’On. Luca Rodolfo Paolini, Lega Nord, e il Consigliere regionale di An Giancarlo D’Anna si sono recati questa mattina in visita alla Casa Circondariale di Pesaro a Villa Fastigi per rendersi conto personalmente di alcune problematiche del carcere di Pesaro legate soprattutto alla cronica carenza di organico della Polizia penitenziaria al numero elevato di detenuti presenti. Accolti dal Commissario Dott. Riccardo Secci hanno visitato alcuni laboratori: falegnameria e tipografia dove alcuni detenuti lavorano, visitato le cucine e due sezioni dove sono ospitati i detenuti. Dal sopralluogo e dall’incontro con il Commissario Secci è emerso che : I detenuti presenti sono in media 240 - 250 di questi 48 Alta Sicurezza, 48 sex offender, 139 detenuti comuni, 20 detenute. La nazionalità dei detenuti presenti è composta per il 45% da italiani, 45% extracomunitari, 10% comunitari. Il personale di Polizia Penitenziaria amministrativo è di 127 unità contro la determinazione della pianta organica (2001) è di 169 unità. È assente un Dirigente titolare dal 2004, è inoltre emersa l’esigenza dell’adeguamento dell’assetto normativo della Polizia Penitenziaria a quello delle altre Forze dell’Ordine e la revisione dell’ordinamento penitenziario e della normativa prevedendo una diversa collocazione del Corpo. L’On Paolini che fa parte della Commissione Giustizia ed il Consigliere regionale D’Anna si sono impegnati a rappresentare ai Ministeri competenti le problematiche rilevate ponendo l’accento su: adeguamento delle piante organiche (che riguardano anche il carcere di Fossombrone, quello di Monteacuto di Ancona e la Casa di Reclusione di Barcaglione (AN) dove a fronte di una capienza di 150 posti attualmente ci trovano solo alcune decine di detenuti per mancanza di organico delle guardie penitenziarie.); ristrutturazione dell’edificio - che è stato aperto nel 1989 - che mostra evidenti segni di degrado ed eventuale elevazione di un piano detentivo aumentando la ricettività con modesto apporto di ulteriore organico; Ingresso in carcere ai soli soggetti per i quali è prevista la prosecuzione della misura cautelare in carcere (escludendo l’acceso a coloro che debbono essere giudicati con rito immediato); presenza di un Dirigente titolare. Terni: convegno nel carcere e inaugurazione impianto solare
Comunicato stampa, 9 giugno 2008
Martedì 10 giugno alle ore 9.00 nella Casa Circondariale di Terni si terrà il convegno "Il carcere che costruisce" in occasione della inaugurazione dell’impianto solare per la produzione di acqua calda. Il progetto di Solarizzazione è un’iniziativa realizzata in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente. La Casa Circondariale di Terni è uno dei tre istituti pilota con Torino e Caltagirone ed il primo istituto ad aver completato il progetto. L’intero percorso progettuale è stato completato grazie alla sinergia che ha coinvolto L’Amministrazione Penitenziaria, la Regione Umbria e l’Associazione Arci Ora D’Aria. Il progetto oltre al risparmio energetico ed economico, inaugura un’attività di recupero dei detenuti impegnato nella formazione seguita dall’esperienza lavorativa. Una volta andata a regime, la solarizzazione riguarderà 15 istituti penitenziari. dislocati soprattutto nell’Italia centro-meridionale. L’accordo tra il Ministero dell’Ambiente e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria risale al 2001 ed anche in conseguenza all’adesione successiva al Protocollo di Kyoto, ha potuto beneficiare dei fondi previsti dalla Carbon Tax. Energia ed ambiente sono ormai due voci di un unico universo: due ingredienti di un mondo che si trova costretto a ripensare ai combustibili del suo motore, con un approccio ecosostenibile e un maggiore rispetto verso la natura e la sua tutela. Un tema tanto stringente al punto da attraversare diversi Strati della società, lanciato come un appello comune cui tutti dovrebbero rispondere. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria si è così impegnato in prima linea nel rivedere le prassi e le modalità del consumo energetico all’interno delle carceri italiane coniugandole attraverso sviluppo e concretezza alle più innovative strategie di recupero dei detenuti. Al convegno parteciperanno le Autorità delle Amministrazioni pubbliche e private. Si chiede alla cortesia di codesto organo di informazione di dare risalto alla notizia.
Ufficio Stampa C.C. Terni Milano: mala-sanità, arrestati 13 medici e direttore casa cura
La Repubblica, 9 giugno 2008
La Guardia di Finanza di Milano ha arrestato 13 medici e il titolare della casa di cura milanese Santa Rita, struttura privata ma convenzionata con il Servizio sanitario nazionale. Le 14 ordinanze di custodia cautelare, delle quali due in carcere e le altre ai domiciliari, sono state firmate dal gip Micaela Curami su richiesta dei pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano, titolari delle inchieste sulla nuova "sanitopoli" milanese che riguarda presunti rimborsi gonfiati per un totale di circa 2 milioni e mezzo di euro, denaro sequestrato insieme a circa 4mila cartelle cliniche. Destinatari 13 medici, tra cui l’ex direttore sanitario della Santa Rita, e il rappresentante legale nonché socio di maggioranza della struttura, il notaio Francesco Paolo Pipitone. Anche la clinica in qualità di ente giuridico è indagata in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti. Primario e aiuto in carcere - È il primario della Chirurgia Toracica della clinica Santa Rita, il dottor Pierpaolo Brega Massone, una delle due persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Milano sui rimborsi gonfiati nella struttura sanitaria milanese. L’altra persona per il quale il gip Micaela Curami ha disposto il carcere è uno dei più stretti collaboratori del primario, il dottor Pietro Fabio Presicci. Omicidio aggravato - C’è anche l’omicidio aggravato dalla crudeltà tra le 90 accuse totali contestate a un paio di medici destinatari delle ordinanze delle custodie cautelari. A vario titolo le altre accuse vanno dalle lesioni gravissime alla truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale fino al falso. L’accusa di omicidio aggravato si riferisce a cinque pazienti, anziani in condizioni di forte debilitazione, operati nonostante non fosse necessario. Secondo le indagini, in conseguenza dell’intervento i cinque sono morti. Il reato di lesioni gravissime si riferisce invece a operazioni ritenute dagli inquirenti inutili, su malati terminali o comunque con prognosi infausta. Il pm aveva chiesto il carcere per tutti gli indagati - La procura di Milano, pm Tiziana Siciliano e Grazia Pradella, aveva chiesto la misura della custodia cautelare in carcere per 14 indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla clinica Santa Rita, dove insieme alla truffa al servizio sanitario nazionale sono contestati anche cinque omicidi di pazienti. Ma il gip Micaela Serena Curami ha attenuato la richiesta di misura per 12 degli indagati concedendo il beneficio degli arresti domiciliari. Mammelle asportate - Tra gli episodi contestati anche una decina di casi di pazienti con tubercolosi curati con l’asportazione del polmone. Proprio per far luce su questi episodi lo scorso anno l’Asl di Milano aveva creato una commissione d’inchiesta e sospeso l’accreditamento col Ssn per il reparto di chirurgia toracica della clinica. In altri casi sarebbero state asportate mammelle a donne in giovane età, compresa una ragazza di 18 anni, senza motivo, quando sarebbe bastata la semplice asportazione di un nodulo. Una donna di 88 anni affetta da tumore, sarebbe stata operata 3 volte in tre mesi (con un rimborso di 12 mila euro a intervento), quando sarebbe bastato un solo intervento. In molti casi il consenso all’intervento non sarebbe stato firmato dai pazienti e l’operazione eseguita anche contro il parere del medico curante. Complessivamente gli indagati sono 18. Intercettazioni - "L’utilizzo delle intercettazioni è stato fondamentale per l’inchiesta perché gli indagati parlano in modo esplicito della necessità di operare per guadagnare" spiegano i pm Pradella e Siciliano, sottolineando che per quanto riguarda l’aspetto economico sono state intercettate numerose conversazioni che "colpiscono in quanto l’interesse remunerativo è subordinato all’interesse per il paziente". Dello stesso avviso il colonnello della Guardia di Finanza Cesare Marangoni che ha condotto le indagini, secondo il quale senza le intercettazioni "non si sarebbero individuati anche i casi di omicidio volontario". In alcuni casi presi in esame lo stipendio dei medici, che era di meno di 2mila euro, grazie al sistema architettato per gonfiare i rimborsi, arrivava anche a 27mila euro mensili. Inchiesta avviata nel 2007 - L’inchiesta, che riguarda la clinica situata in via Jommelli, è cominciata nella primavera del 2007. Le Fiamme gialle avevano sequestrato migliaia di cartelle cliniche su richiesta dei pm, ritenute non veritiere o comunque alterate in modo tale da permettere rimborsi maggiori rispetto a quelli dovuti. Ancona: lo "psicologo di strada" al servizio dei senza dimora
Il Resto del Carlino, 9 giugno 2008
Dopo l’avvocato di strada, arriva lo psicologo di strada. L’iniziativa nasce ad Ancona, grazie alla Mensa di padre Guido, che da 70 anni assiste i poveri della città. Il nuovo servizio - Ascolto di strada, progetto pilota in Italia - è stato presentato questa mattina in una conferenza stampa. Realizzato con la collaborazione del Dipartimento di Salute mentale, l’Ascolto di strada prevede la presenza di una psicologa sia durante le uscite notturne del pullmino che distribuisce aiuto e cibo ai poveri (tre volte a settimana), sia per un pomeriggio a settimana alla Mensa del povero. La psicologa, una tirocinante in psicoterapia, sarà a disposizione per sedute di gruppo o individuali. Recentemente la Mensa di padre Guido ha dato vita a una compagnia teatrale, "La strada", composta dai poveri della città, che ha messo in scena uno spettacolo visto da 1.300 persone. Un’occasione che ha dato visibilità all’associazione consentendo anche ai poveri di uscire dall’emarginazione e avviare un percorso di rinascita. Sono nove, nell’ultimo anno, quelli seguiti dalla Mensa che hanno trovato casa e lavoro. C’è anche la volontà di creare un centro culturale e un giornalino. "È un’ottima proposta", ha detto Gianfranco Rocchetti, primario del Dipartimento di psichiatria e igiene mentale, che ha preso parte alla conferenza stampa. "I bisogni - ha aggiunto - non sono solo quelli materiali, ma anche affettivi e personali". E patologici, "per i quali l’intervento sanitario è indispensabile". Immigrazione: Bagnasco (Cei); niente sicurezza senza rispetto
La Stampa, 9 giugno 2008
Non si può contrapporre l’esigenza di sicurezza al rispetto dei diritti degli immigrati", mette in guardia il Presidente della Cei. Il cardinale Angelo Bagnasco fissa le priorità per la Chiesa italiana, che "difende la vita, la famiglia e la libertà dei genitori di scegliere quale istruzione dare ai figli". Inoltre il leader dei vescovi respinge l’accusa di ingerenza ecclesiastica nella vita politica: "La nostra missione non attenta a nessuna laicità". E anzi avverte: "In Italia si mettono in crisi questi valori fondamentali e il tessuto sociale si sfalda". La Chiesa italiana, da parte sua, bada "alla sostanza delle cose, ai principi e ai valori che derivano dalla fede", proponendo nella sfera privata e in quella pubblica un cristianesimo autentico e fortemente legato al messaggio evangelico attraverso la liturgia, la preghiera, l’impegno solidaristico nella società.
"Tagliando" alla 194, scuola cattolica, quoziente familiare. Cosa si aspetta la Chiesa dal governo Berlusconi e da questa legislatura? "La difesa e la promozione della vita umana, la libertà educativa e il valore ineguagliabile della famiglia. Sono valori non di oggi, ma che fanno parte della tradizione cristiana e della nostra cultura. Sono per altro valori auspicabili in qualunque contesto politico e legislativo".
Sull’immigrazione la Cei ha indicato la strada dell’equilibrio fra giusta esigenza di sicurezza nei Paesi di immigrazione e rispetto dei diritti delle persone. Qual è la valutazione sul pacchetto di misure del governo? "In questo medesimo orizzonte la comunità cristiana si pone come un punto di riferimento per l’accoglienza, anche di coloro che provenendo da altri paesi sono alla ricerca di una vita più dignitosa nel rispetto della legalità. L’impegno non si allenta, ma semmai evolve tenendo conto che in una società che cambia il Vangelo non muta, come ha detto Benedetto XVI".
La Chiesa italiana è stata accusata di ingerenza, seconde lei la fede deve entrare nella sfera pubblica? "A livello mondiale sempre più viene riconosciuto ed apprezzato il valore e il ruolo della religione nella costruzione dell’edificio umano, superando il sospetto di ingerenza. La gente sa per esperienza diretta che l’unico scopo della Chiesa, anche nel nostro Paese, è quello di proporre i valori fondamentali della dignità umana che trovano nel Vangelo di Cristo l’annuncio e il fondamento. E nel contempo sono chiari anche alla luce della pura ragione. Questa missione della Chiesa non attenta a nessuna laicità, ma è un servizio alla stessa laicità. Valutazioni diverse mi sembrano francamente solo dei pregiudizi".
Che fase viviamo del rapporto fra Chiesa e società? "La Chiesa in Italia continua la sua vocazione di vicinanza alla gente. Le porte delle nostre parrocchie sono aperte a tutti. E tutti coloro che bussano trovano una qualche risposta ai loro problemi, in spirito di amore e di servizio evangelico. Ritengo che sia questa la prima risposta concreta delle comunità cristiane alla sfida della multiculturalità e dell’immigrazione".
Quale le sembra la temperatura morale dell’Italia? "Ho l’impressione che il nostro popolo desideri in modo sempre più intenso e concreto un riscatto morale verso il proprio futuro, nella consapevolezza sempre più diffusa che senza un quadro di valori veri e certi, è impossibile costruire una società veramente umana".
Lei, già prima di assumere un anno fa la guida della Cei, ha invitato i cattolici a svegliarsi e battersi per difendere la famiglia, la loro cultura e i loro valori. Vede passi avanti? "Vorrei ricordare l’evento del Family Day con più di un milione di persone in piazza San Giovanni che hanno espresso con gioia la bellezza e l’importanza della famiglia".
C’è qualche altro Stato che vara leggi in maniera più sensibile ai valori della cultura cattolica? O questa è una prerogativa italiana e dei rapporti fra l’Italia e il Vaticano? "Contrariamente a quanto comunemente si pensa, esistono situazioni anche lontane da noi che rivelano scenari insospettabili. In base ad un recente serie di report ad esempio risulta che a livello europeo l’insegnamento della religione è la regola e non l’eccezione. Esclusi tre Paesi tutti gli altri, con modalità diverse, presentano questa possibilità all’interno del ciclo formativo. Così come il sostegno dello Stato alle scuole pubbliche non statali esiste già in diversi Paesi, tra cui la Francia".
Lei ha indicato i rischi di disgregazione sociale in Italia. A cosa si riferisce? "Quando si mettono in crisi sistematicamente i valori fondamentali che riguardano la vita, la famiglia, la persona come relazione, la libertà nel suo rapporto con la verità e ogni scelta diventa eticamente equivalente, il tessuto sociale si sfalda inevitabilmente".
Quali rischi teme in Italia dalla cultura del relativismo morale? "I rischi sono quelli che lei stesso paventava e cioè la strisciante frammentazione del Paese, che rende tutti più insicuri e insieme più aggressivi. Per la Cei gli "Orientamenti pastorali" del decennio riguardano la sfida dell’evangelizzazione. Il Convegno ecclesiale di Verona che ha rilanciato questo tema è stato pure un momento importante di ascolto, di confronto, di dialogo e di proposta. Non c’è quindi nessuna volontà di ripiegamento, ma al contrario, fedele al Vangelo, la Chiesa continuerà la sua opera di evangelizzazione, incarnandola nella società odierna".
Adesso che il problema dei lavoro è diventato centrale, come intende far sentire la sua voce la Chiesa italiana? "La Chiesa italiana, vivendo accanto alle persone, da tempo, fa sentire la sua voce. I pastori continueranno, come è loro dovere, a dare voce ai problemi reali. La presenza delle parrocchie, delle aggregazioni laicali, di innumerevoli iniziative di carità, costituiscono anche oggi una fittissima trama di relazioni davanti agli occhi di tutti". Immigrazione: Minniti (Pd); il governo su una strada confusa
Dire, 9 giugno 2008
"Sull’immigrazione il governo continua a percorrere una strada confusa, contraddittoria, di cui davvero non si riesce a comprendere l’obiettivo. Il Partito democratico si riserva di valutare nel merito le singole proposte, ma di certo l’opposizione al reato d’immigrazione clandestina resta netta ed in sintonia con settori sempre più ampi ed autorevoli della società italiana". Lo dichiara in una nota Marco Minniti, ministro ombra dell’Interno. "La cosa che più sconcerta tuttavia è che mentre si discute in maniera confusa di provvedimenti inefficaci e controproducenti, nel Sud del nostro Paese c’è un attacco aperto alla sovranità dello Stato e si continua a sparare e morire. Sarebbe utile che la si smettesse con proclami ed annunci e ci si occupasse - conclude - della sicurezza degli italiani qui ed ora". Replica di Italo Bocchino, vice capogruppo vicario del Pdl alla Camera. "Minniti, anziché contestare una misura già prevista in Francia, Germania e Gran Bretagna, dica cosa pensa della cancellazione dei benefici per i recidivi e dell’aumento della pena per reati che creano allarme sociale. Per tranquillizzare quei settori di società civile a cui fa riferimento ci ricordi anche come ha votato sull’indulto così tutti scopriranno che è uno dei responsabili dell’aumento dei reati". "Una cosa è importante da chiarire. Perché un decreto legge e un disegno di legge? Perché tante cose il Presidente della Repubblica, che è il rigoroso difensore della Costituzione, non consente che vengano introdotte per decreto nel nostro codice penale o di procedura penale". Roberto Castelli derubrica, con questa definizione del Capo dello Stato, a questione "meramente tecnica" il dibattito sull’inasprimento delle norme per il contrasto all’immigrazione clandestina. L’esponente leghista ribadisce quindi che "il reato di clandestinità non abbiamo potuto metterlo in un decreto legge perché il Presidente della Repubblica non lo avrebbe mai ammesso". Un modo per osservare che la contraddizione che gli viene contestata da Lucia Annunziata "non è questione dalla Lega o di Berlusconi, è che per il Presidente della Repubblica certe norme non si possono far passare per decreto legge, ergo vanno messe in un disegno di legge". Nello specifico, l’ex Guardasigilli osserva che "prevedere pene da 1 a 4 anni non significa comminarne subito 4, è impensabile. Il magistrato ne comminerà due, dopodiché scatta la sospensione della pena e l’espulsione. Quindi la norma vuol dire meno processi, meno delitti e meno detenuti". Immigrazione: Giro (Pdl); nomadi, no a deportazioni di massa
Dire, 9 giugno 2008
Per risolvere l’emergenza nomadi "non è immaginabile una deportazione di massa" e nemmeno "è possibile fare gli errori del passato mettendo la polvere sotto il tappeto: bisogna riprendere alcune proposte sul fronte della sicurezza e della solidarietà". Così Francesco Giro, sottosegretario ai Beni culturali e coordinatore del Lazio di Forza Italia, che annuncia: "Come Forza Italia e Pdl diamo piena disponibilità al prefetto di Roma Carlo Mosca per trovare una soluzione all’emergenza, che va trovata in tempi rapidi". Per questo, conclude Giro, "nei prossimi giorni chiamerò Mosca per chiedergli un incontro con una delegazione del nostro partito e iniziare ad individuare alcune soluzioni". Droghe: Rapporto su Diritti Globali… il fallimento della politica
Dire, 9 giugno 2008
Rapporto diritti globali 2008. Movimenti e associazioni delusi dal nulla di fatto sulle riforme annunciate dal precedente governo. Anche l’Onu alle prese con la verifica delle sue politiche. Droghe, tempo scaduto, è il titolo di uno degli approfondimenti nel capitolo del Rapporto sui diritti globali relativo al welfare. La riforma della legge sulle droghe, la Fini-Giovanardi, che era prevista dal programma dell’Ulivo, durante i mesi di governo Prodi non ha potuto fare neppure un passo avanti. Almeno a livello governativo, perché in Parlamento un piccolo progresso c’è stato: incalzati dai movimenti, alcuni parlamentari del centrosinistra erano riusciti a "calendarizzare" una proposta di riforma, la legge Boato. Nel febbraio del 2007, su iniziativa del Forum droghe, è stato organizzato uno sciopero della fame a staffetta per rilanciare il nodo della riforma. In occasione della giornata dell’Onu contro la droga, sono state organizzate manifestazioni a Roma sullo stesso tema. Ma a livello politico tutti i tentativi esperiti soprattutto dall’ex ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero e dalla sua collega della Salute, Livia Turco, sono naufragati miseramente. Visti i ritardi e le contorsioni della politica, è entrato progressivamente in crisi il rapporto tra movimenti e politica stessa che aveva portato molti esperti ed esponenti appunto dei movimenti sulle tossicodipendenze a partecipare ai lavori della ricostituita Consulta sulle droghe. Ma se dal punto di vista politico il bilancio è fallimentare, nella società non si sono fermate le sperimentazioni di qualcosa di nuovo. Nel Rapporto 2008 si citano infatti tre esempi, nell’ambito dello spazio delle "buone notizie e buone pratiche". Tre casi: quello di Genova dove, presso la Comunità di San Benedetto al Porto, nel luglio del 2007 è stato avviato un laboratorio dal nome "Dipende da noi. Costruiamo dal basso una nuova politica sulle droghe". L’altra buona pratica è relativa alla città dio Torino dove sempre nel corso del 2007 è rinato il giornale di strada "Polvere" che aveva cessato le pubblicazioni. Era nato nel 1995 ed è stato gestito in questi anni dall’associazione di consumatori ed ex consumatori. Infine, sempre nell’ambito delle buone pratiche, il Rapporto ricorda che a livello globale, nel 2007 è decollata la rete International Network of People Who Use Drugs (Inpud), che organizza gruppi e singoli consumatori in tutto il mondo. La rete è stata formalizzata a Varsavia. Per quanto riguarda i grandi eventi, il Rapporto ricorda che nel 2009 l’Onu dovrà fare il punto su un decennio di iniziative e di politiche. La prima tappa di questa verifica è stata la riunione che si è tenuta a marzo di quest’anno della Commission on Narcotic Drugs. Nel suo rapporto del 2007, l’Onu ha parlato di una sostanziale stabilizzazione dei consumi di droga nel mondo. Gran Bretagna: Onu; il paese europeo con più bambini detenuti
Apcom, 9 giugno 2008
Migliaia di bambini vengono trattati inutilmente come criminali per illeciti di lieve entità, mentre aumentano le discriminazioni in ambito scolastico e sanitario tra bambini ricchi e poveri. Queste le conclusioni del rapporto Onu redatto dai quattro Commissari per i minori di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, e riportato oggi dalla stampa britannica, che mette sotto accusa il sistema giudiziario britannico. Lo studio riporta un calo del numero di crimini commessi da minorenni tra il 2002 e il 2006, a fronte però di un aumento delle condanne pari al 26%. Dati che fanno temere un’eccessiva criminalizzazione dei minorenni e la creazione di un sottoproletariato criminale giovanile. In passato, illeciti di lieve entità venivano trattati con maggiore cautela, evidenziano i commissari, mentre oggi la polizia tende a portare in giudizio i responsabili. Il Regno Unito è oggi il Paese dell’Europa Occidentale che conta più bambini detenuti: lo scorso anno erano 2.900 i detenuti con meno di 18 anni. Dal 1990 a oggi, inoltre, 30 minori sono morti in prigione, mentre non sono mai state rese note le conclusioni delle indagini conoscitive condotte nei centri di detenzione minorile. Cresce inoltre il divario tra bambini ricchi e poveri nella scuola e nei servizi sanitari. Il rapporto denuncia il mancato accesso a servizi sanitari adeguati, soprattutto dentistici, per i minori che vivono in condizioni di disagio, mentre quelli più ricchi risultano meglio nutriti e più in salute che mai. Più di 1,3 milioni di bambini vivono con genitori che hanno problemi di alcool, mentre le ragazzine che vivono nelle zone povere rischiano di rimanere incinte quattro volte di più delle loro coetanee residenti in aree più ricche. Il rapporto accusa quindi i mezzi di informazione di dipingere spesso i giovani come ladri e teppisti.
|