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Giustizia: pacchetto sicurezza, 20 articoli nel disegno di legge
Il Sole 24 Ore, 5 giugno 2008
Carcere fino a 4 anni per chi entra in Italia da clandestino e fino a 6 se vi resta nonostante sia stato già espulso. È questa la norma principale contenuta nel disegno di legge del governo sulla sicurezza depositato a Palazzo Madama. Nel provvedimento, il governo inasprisce le pene anche per chi commette violenze contro minori e anziani e aumenta fino a 4.640 i posti nei centri di accoglienza. Clandestini - Chi entra in Italia da clandestino viene condannato da sei mesi a quattro anni di carcere e deve essere subito arrestato e giudicato con rito direttissimo. Il giudice, nel pronunciare la condanna, deve ordinarne l’espulsione. Il costo annuo di questa norma (articolo 9) è di circa 31 milioni di euro a decorrere dal 2009. Per il 2008 si stanziano 16 milioni. Ogni 10 giorni, si stima che i 49.050 detenuti stranieri costeranno quasi un milione e mezzo di euro, visto che il costo di un pasto quotidiano è di 3 euro. Giù le mani da anziani e minorati - Se le vittime sono anziani o minorati fisici e mentali scatta l’aggravante. Stop a matrimoni di convenienza - Tempi duri per gli stranieri che si sposano con italiani solo per prendere la cittadinanza. Se si risiede in Italia si dovranno attendere comunque due anni anche dopo il sì. Se invece si resta all’ estero gli anni diventano tre. Tempi dimezzati se ci sono figli. Il danno va riparato - Sanzioni più severe se si danneggiano edifici anche in via di restauro o costruzione. Ma soprattutto si dovrà riparare al danno commesso altrimenti niente condizionale o sconti di pena. E si dovranno svolgere attività non retribuite a vantaggio della collettività. Giro di vite poi per chi deturpa o imbratta cose altrui. La competenza sarà del giudice di pace. Norma "anti-branco" - Se ai reati commessi da giovanissimi partecipa anche un maggiorenne scatta l’aggravante "per creare una sorta di cintura sanitaria intorno a minori delinquenti". Allo sgombero ci pensano sindaco e prefetto - Se si occupa indebitamente il suolo pubblico, sindaco e prefetto potranno ordinare l’immediato ripristino dei luoghi a spese degli occupanti. Se l’occupazione è per scopi commerciali, la chiusura dell’esercizio potrà essere disposta finché non sarà adempiuto l’ordine di sgombero e non verranno pagate le spese. No a minori accattoni - Si introduce il reato di "impiego di minori nell’accattonaggio" per punire chiunque induca bambini e adolescenti a chiedere l’elemosina. E se poi a ridurre in schiavitù un minore di 14 anni è il genitore o il tutore, si perde la potestà genitoriale e la tutela. Più posti nei Cpta - Ci dovranno essere 4.640 nuovi posti per i clandestini nei centri d’accoglienza. Per una somma complessiva di 233 milioni di euro. Il costo medio giornaliero per ogni ospite è di 55 euro. Mentre il periodo di soggiorno medio passerà dagli attuali 27 giorni ai 150. Aumenta infatti il tempo massimo di detenzione a 18 mesi. Misure anti-mafia - Più facile aggredire i "patrimoni illeciti" coordinando meglio le norme su interventi ufficiale giudiziario. Più immediata anche la confisca se non si riesce a giustificare la legittima provenienza e se c’è una sproporzione tra bene e reddito. Si potrà confiscare il bene anche se non scatta immediatamente il carcere per il proprietario. Rendendo possibile il sequestro anche in caso di morte. Navi, barche o aerei della criminalità potranno essere sequestrati e usati dalle forze di polizia. Più controlli sul money transfer - I gestori telefonici o di internet autorizzati a trasferire denaro in giro per il mondo dovranno chiedere una copia del documento di identità a chi intende chiedere questo servizio. Se il richiedente è uno straniero dovrà essere consegnata anche la copia del permesso di soggiorno e segnalare alle autorità il servizio ricevuto. Chi disobbedisce potrà vedersi revocata l’autorizzazione all’ esercizio commerciale. No a rinnovo soggiorno se reo è pericoloso - Se uno straniero commette in Italia un reato in Italia per cui è previsto l’arresto in flagranza, verrà giudicato pericoloso e se ne dovrà tenere conto al rinnovo del permesso di soggiorno. Giro di vite per automobilisti ubriachi o drogati - Chi viene trovato al volante in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe potrà vedersi confiscare il veicolo. Se l’auto pirata è di un altro, non importa, ci sarà comunque il fermo amministrativo del veicolo. Giustizia: Alfano; riformare i codici e costruire nuove carceri
Ansa, 5 giugno 2008
Il programma del governo in materia di giustizia è "chiaro, evidente all’opinione pubblica, ben spiegato in campagna elettorale, validato e sanzionato da circa 18 milioni di voti". Lo afferma il guardasigilli Angelino Alfano, aprendo l’audizione in Commissione Giustizia alla Camera sulle linee programmatiche del suo dicastero. Uno degli obiettivi è "portare a compimento entro la legislatura alcune riforme dei codici che hanno valore storico - dice il ministro Alfano - nel mio programma mi rifarò al principio di responsabilità" per cui si presenta un programma agli elettori ai quali poi si chiede un giudizio sull’attuazione. Tra le priorità indicate da Alfano, la lotta all’arretrato nei giudizi civili: "ci sono 4.925.850 procedimenti" e questa "incertezza nel diritto" determina "scarsa attività negli investimenti stranieri", per cui l’Italia si trova agli ultimi posti nella graduatoria dei paesi "appetibili". Il Guardasigilli ha annunciato di voler far suo un ddl della passata legislatura per la creazione dell’ufficio per il processo e di puntare sull’informatizzazione del casellario giudiziario e sulla velocizzazione del sistema delle notifiche, dagli avvisi di cancelleria e della produzione di atti.
Cambieremo i Codici, sarà riforma epocale
"Non è intendimento del governo - assicura il ministro - riproporre pletoriche commissioni ministeriali che impieghino tre o quattro anni per dare bozze di riforma dei codici, ci sono già alcuni lavori ben svolti dalle commissioni istituite dai precedenti governi. Su alcuni punti il governo ha sensibilità diverse, ma le posizioni non sono talmente distanti da necessitare un ricominciamento". Insomma, Alfano intende portare "tale lavoro a rapida sintesi" e dare il via alla discussione in Parlamento. "Il nostro bicameralismo - osserva il guardasigilli - consente un adeguato e approfondito lavoro nelle commissioni di merito, talché entro questa legislatura si possa portare a compimento riforme dei codici che abbiano valore storico ed epocale".
Carceri: piano edilizio, più personale e ampliamento istituti
Per affrontare il problema delle carceri "ci sarà un piano di edilizia carceraria ma anche un ampliamento degli istituti già presenti, oltre che ulteriore personale: il 38% dei detenuti è straniero e il 72% di questa cifra viene da soli sette Paesi". Il ministro ha comunque concluso che "è una situazione non facile, anzi complessa, per la quale do la mia immediata disponibilità al presidente della commissione per un incontro specifico su questo tema".
Per riformare la giustizia soluzioni efficaci e il più possibile condivise
"Il rapporto tra il governo e la Commissione saranno fondamentali per una efficace collaborazione tra l’area politica ora al governo e l’opposizione". Parole che vengono applaudite dal Pd. Il "ministro ombra" della Giustizia del Pd, Lanfranco Tenaglia, in effetti, intervenendo in Commissione manifesta "apprezzamento per queste parole", anche perché "per anni in materia di giustizia si è parlato troppo di processi e troppo poco di funzionalità del processo" e ancora: "serve una riforma condivisa e moderna dell’ordinamento giudiziario che sia in grado di non subire ulteriori interventi". Riforme condivise, "perché riteniamo che ciò che noi proponiamo non sia semplicemente giusto, ma è anche inevitabile". Alfano richiama i 5 milioni di cause ancora pendenti nel civile, fa cenno ai disservizi, indica nell’abbattimento dei tempi dei processi "la madre di tutte le battaglie". E assicura che in questa legislatura, grazie anche alle "istruttorie fatte dalle commissioni parlamentari" negli anni precedenti, lui vede "la possibilità di andare avanti senza grandi scontri" con il centrosinistra, operando "scelte rapide". Proprio così, perché il governo - assicura - non vede alcun "intralcio" nell’opposizione "sulle tante cose da fare insieme".
Immigrati: nuove norme non retroattive
Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha voluto tranquillizzare le numerose badanti straniere che lavorano in Italia affermando che le nuove norme non sono comunque retroattive e "l’onere di accertare la presenza in Italia dopo l’emissione del decreto spettano alla Polizia giudiziaria". "Non abbiamo alcuna intenzione di creare una sovrapposizione, anche solo di immagine, tra immigrati e clandestini irregolari: gli immigrati regolari vanno apprezzati e rappresentano un grande valore soprattutto nelle regioni del Nord".
Intercettazioni: testo che parta da punti condivisi
A breve il Parlamento sarà investito della riforma delle norme sulle intercettazioni telefoniche. Lo annuncia, in commissione Giustizia, il Guardasigilli Angelino Alfano sottolineando che la spesa in intercettazioni ha ormai toccato "valori non più sostenibili, pari al 33%" della spesa del sistema giustizia. Alfano non entra nei dettagli, anticipa soltanto che lui intende verificare "le identità tra il disegno di legge presentato dal governo Berlusconi nel 2005 e quello di Prodi e Mastella. Ho già dato mandato ai miei uffici - conclude Alfano - di predisporre una ipotesi di riforma che partendo dai punti condivisi tuteli meglio la privacy e permetta consistenti risparmi di spesa".
Rafforzare distinzioni funzioni toghe
"Siamo per un rafforzamento delle distinzioni delle funzioni". Lo ha affermato il ministro della Giustizia Angelino Alfano intervistato dai cronisti al termine dell’audizione in Commissione Giustizia della Camera. "La bussola è il nostro programma - ha rilevato Alfano - validato da 18 milioni di voti. La scelta di fondo è il principio di responsabilità rispetto a un programma chiaro sul quale abbiamo ottenuto consenso". Giustizia: Rotondi; su clandestinità meglio soluzioni diverse
Affari Italiani, 5 giugno 2008
Il governo non farà barricate in Parlamento per difendere il reato di immigrazione clandestina. Anzi, cercherà il più possibile di trovare un’intesa con l’opposizione. È questa strategia è anche quella del responsabile del Viminale Roberto Maroni. È il senso dell’intervista al ministro per l’Attuazione del Programma Gianfranco Rotondi, che, di fatto, anticipa la quasi certa cancellazione della norma tanto contestata. "Il governo ha deposto al Parlamento un’opinione e ha suggerito in un disegno di legge una possibile soluzione, cioè la definizione di un reato di immigrazione clandestina. L’ha suggerita con lo strumento del ddl, che è il più sommesso e nel contesto di un dialogo con l’opposizione a cui applaude tutta la stampa italiana".
Quindi, la soluzione proposta è la più forte ma con lo strumento più elastico e nel colloquio con la parte opposta che è contraria. Che cosa si può prevedere? Che il governo non fa retromarcia, mantiene quella proposta ma nel cammino parlamentare e nella volontà di arrivare a una soluzione concordata con l’opposizione non saranno fatte barricate per difendere una posizione piuttosto che un’altra".
Se dipendesse da lei? "La mia opinione non conta, perché faccio parte di un’assemblea collegiale, il consiglio dei ministri, che delibera all’unanimità. Non appartengo a quelli che fanno una scelta e poi si salvano l’anima con una dichiarazione di agenzia. Abbiamo fatto una scelta e il presidente del Consiglio ha chiarito che si tratta di una proposta affidata a un disegno di legge, proprio perché occorre che sia il Parlamento a decidere. Quindi, nel metodo c’è già un’apertura e la possibilità di fare delle correzioni".
Come andrà a finire? "Terremo conto sicuramente nel dibattito parlamentare della posizione espressa dalla Chiesa, che riflette stati d’animo di ampia parte dell’opinione pubblica, e penso che sia giusto anche sentire l’Associazione Magistrati per vedere l’impatto funzionale della norma. Della serie, se dobbiamo, per mantenere la norma, trattenere più tempo i clandestini per processarli rischiamo di ottenere l’effetto opposto a quello che ci proponiamo. È giusto che si voti una norma il più possibile condivisa in Parlamento e soprattutto che funzioni. È naturale che il percorso parlamentare darà alla norma un supplemento di riflessione".
Il premier è stato condizionato dai rilievi del Vaticano? "Berlusconi non è un democristiano come me ma è cattolico come me e come la gran parte dei ministri del governo. Quindi non c’è un’obbedienza clericale alla Chiesa ma c’è una sensibilità che è la stessa da cui si muovono le critiche della Chiesa. Voglio chiarire una volte per tutte che noi siamo un governo di cattolici con alcuni ministri che forse non lo sono ma che non lo hanno dichiarato. È un governo di cattolici, quasi tutti i ministri, uno solo è democristiano e quindi forse è il più laico".
Quindi? "Non è che i rilievi della Chiesa vengono ascoltati, perché stavano già dentro la preoccupazione di tutto il governo anche prima. Pensate che Maroni sia contento di essere costretto a porre questo problema? Lo pone per difendere la sicurezza degli italiani, ma Maroni è anche lui un uomo di fede, è un uomo che viene dalla sinistra, è uno che non si può sospettare di essere reazionario. Sarebbe il primo a desiderare un Paese che non abbia bisogno di questo tipo di soluzioni. Non bisogna dipingere Maroni come quello che la vuole mettere giù dura, ma come un ministro dell’Interno consapevole del proprio ruolo che ha il dovere di dire al Paese "qui serve un giro di vite". Se poi questa soluzione possa essere posta in un modo giuridicamente diverso, che impatta meno sull’opinione pubblica e che allarga la condivisione parlamentare, bene... Questa sarebbe una soluzione che farebbe piacere anche a Maroni e speriamo che avvenga". Giustizia: Sappe; con reato di
clandestinità 100mila detenuti Comunicato stampa, 5 giugno 2008 Differenziare
la detenzione dei soggetti arrestati per il reato di immigrazione clandestina,
con la previsione di assegnazione in strutture ad hoc (quali, ad esempio, le
carceri mandamentali e le caserme delle Forze Armate oggi dismesse), evitando,
quindi, il loro inserimento nei circuiti penitenziari tradizionali. Altrimenti
in poco tempo l’Italia la spaventosa cifra di 100mila detenuti. Ma soprattutto
è necessario potenziare gli organici del Corpo di Polizia Penitenziaria e
perseguire una politica di formazione e aggiornamento professionale dei Baschi
Azzurri da destinare a questo nuovo gravoso compito istituzionale. Sono
la preoccupazione e l’auspicio della Segreteria Generale del Sindacato
autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa
Organizzazione di Categoria con oltre 12 mila iscritti, in relazione alle
possibili ricadute del reato di immigrazione clandestina nel sistema
penitenziario del Paese. “Siamo certi che i Ministri dell’Interno e della Giustizia Maroni e Alfano abbiano tenuto nel debito conto le ricadute che comporterà l’introduzione del reato di immigrazione clandestina sui nostri penitenziari, già abbondantemente sovraffollati con 53mila detenuti presenti a fronte di poco più di 42mila posti” aggiunge il segretario generale Sappe Donato Capece. “Le nostre strutture non sono in grado di sostenere un ulteriore aumento di detenuti e poiché il reato di immigrazione clandestina serve ad espellere più facilmente chi entra illegalmente nel nostro Paese - perché è previsto l’arresto immediato, il giudizio immediato ed un immediato provvedimento di espulsione - riteniamo si debba ricorrere non già ai circuiti penitenziari tradizionali (abbondantemente sovraffollati) ma ad altre strutture che dovranno essere rapidamente attrezzate come le carceri mandamentali e le caserme delle Forze Armate oggi dismesse. Altrimenti rischieremmo di avere presto ad avere una popolazione detenuta di 100mila persone e l’impatto di questo nuovo reato sui nostri penitenziari sarebbe devastante. Proprio per sapere come intende muoversi il Dicastero della Giustizia in relazione a tale possibilità, auspichiamo un incontro urgente con il Ministro Guardasigilli Angelino Alfano. Giustizia: architettura per le carceri in tempi di affollamento di Luca Mazzari
www.mentelocale.it, 5 giugno 2008
Ad ogni decreto governativo che si profila, sia esso l’indulto o un giro di vite verso questi o quelli, si ripropone l’antica e irrisolta questione dell’edilizia penitenziaria, della sua quantità e, soprattutto, della sua qualità. Le carceri italiane si sa sono sovraffollate, rendendo la vita di chi vi è rinchiuso a vario titolo, dai detenuti agli operatori carcerari, un vero e proprio inferno. Il sovraffollamento costringe a ridistribuire su molte più persone di quelle previste quegli spazi e quei servizi che il carcere, a fatica, cerca di garantire. L’attuale edilizia carceraria ha seri problemi nel rendere la qualità dei periodi di detenzione i più omogenei possibili, essendo strutturata con situazioni logistiche estremamente diversificate, da carcere a carcere, da città a città, diversità che inevitabilmente portano a concepire vite e speranze di chi le abita, totalmente differenti. Gli istituti di pena presenti sul nostro territorio sono stati infatti realizzati in tempi e in modi molto diversi, attingendo di volta in volta a concezioni sulla pena differenti tra loro. Il carcere genovese di Marassi, nato a fine Ottocento, è conformato su una pianta quadrata, divisa in quatto cortili da una croce centrale, che riprende nel tracciato le carceri insegnate agli studenti d’architettura nell’Ecole de Beaux Arts francesi del Settecento. Il tracciato è quello che per tipologia viene definito panottico, per la sua capacità di rendere controllabile simultaneamente l’intero carcere direttamente dalla torretta posta al centro di tutta l’area. Per mantenere alto il livello di sicurezza, la progettazione di allora, prevedeva pochissimi spazi aperti e finestrati ed un quasi inesistente rapporto con in contesto, seppur solamente visivo. Alcuni, decisamente più moderni come il carcere di Opera, vicino a Milano e di recente costruzione, dispongono di spazi più ampi e luminosi per il lavoro, la lettura, le relazioni e, all’esterno, di veri e propri campi di calcio nei quali svolgere tornei e respirare l’aria aperta. Sono passati alcuni secoli da quando il Piranesi disegnava carceri in forma di città, come smisurati universi onirici, allucinati, complesse strutture architettoniche, terribili sia per chi è costretto a soggiornarvi che per chi le guarda attraverso i disegni. Ponti levatoi, passerelle verso luoghi inaccessibili alla vista, lunghe gradinate senza fine, pesanti catene alle pareti, torce, scale, carrucole sono il corredo delle carceri piranesiane; ma il come costruirne di nuove rimane in perenne oscillazione tra le nuove concezioni di intendere la pena, e le immediate esigenze di risolvere le pressanti questioni numeriche di affollamento. Tra le ipotesi più accreditate, quella di costruire le carceri lontano dai luoghi abitati, per far meglio convivere i detenuti con il verde, gli spazi aperti, e tenerli lontano da città che non ne tollerano la presenza; altre invece immaginano proprio in un rinnovato rapporto con le città e con il loro tessuto sociale, il primo passo per un reale e immediato reintegro nella cosiddetta vita civile. La questione è seria, forse troppo per riguardare anche le pur fervide immaginazioni degli architetti più accreditati, che continuano a non pronunciarsi in merito e che senz’altro avrebbero un decisivo peso nella qualità delle scelte. Forse perché un po’ distratti nel costruire la loro immagine prima di ogni altra cosa, forse perché consci che, da qualche parte, qualche cosa di simile ad un carcere, lo hanno sicuramente già progettato. Giustizia: 280 mln di euro l’anno spesi per le intercettazioni
Il Messaggero, 5 giugno 2008
La cifra tonda, a sentire i tecnici del ministero di Giustizia, adesso sfiora i 280 milioni di euro l’anno. Per fare che? Intercettazioni, ovviamente. Ad Angelino Alfano, Guardasigilli da due mesi, il dato non poteva sfuggire e ieri ha annunciato che presto ci sarà una nuova legge. Anche perché, come ha riferito ieri in Parlamento, quei 280 milioni rappresentano un terzo delle spese di giustizia che il suo ministero affronta ogni anno. La quale cosa, messa insieme alla relazione del suo capo dell’Organizzazione giudiziaria Claudio Castelli (che segnala il rischio di chiusura di alcuni tribunali entro il 2009 per carenza di fondi) assume una valenza decisamente inquietante. Ancora più inquietante è seguire il percorso di quei milioni: un terzo almeno finisce in tasca ai gestori telefonici. Che, non si sa bene per quale motivo. vengono pagati "a cottimo", cioè ad ogni intercettazione. Mentre, tanto per guardarci intorno, lo stesso servizio in Germania viene pagato "a forfait"; cioè si stipula un contratto e si paga sempre la stessa cifra, sia che vengano effettuate dieci intercettazioni, sia che ne vengano effettuate cento. C’è da aggiungere anche che solo in Italia i magistrati largheggiano in questa maniera con le microspie nei telefoni: il fenomeno è stato segnalato da tempo dall’istituto internazionale tedesco Max Planck, che già nel 2006 avvisava che l’Italia era in assoluto il paese in cui venivano disposte più intercettazioni: 72 ogni 100mila abitanti. L’Olanda è al secondo posto con 62 intercettazioni, mentre al terzo posto c’è la Svizzera, con 32 intercettazioni ogni centomila cittadini. Per completezza, il Max Plank evidenzia pure che, nonostante il largo utilizzo di questo strumento investigativo, l’Italia conserva un elevatissimo tasso di criminalità organizzata, con intere regioni che sono ancora sotto il controllo di associazioni del crimine organizzato. L’unica statistica che nessuno si sogna di fare, infatti, è quella sul raffronto tra i soldi spesi per un’indagine a suon di intercettazioni e l’esito di quello stesso procedimento. In altre parole, manca completamente un controllo di congruità sui costi che ogni magistrato può decidere di affrontare, facendo affidamento sulle casse dello Stato. E probabilmente se ci fossero tabelle del genere. anche solo per fini statistici, alcune procure si stancherebbero di vedersi citate nella classifica delle inchieste più costose che non hanno portato a nulla. Basta ricordare le inchieste su Vallettopoli, o sulla vicenda Whv Not: costruite ricorrendo al massiccio utilizzo di intercettazioni telefoniche e poi finite in gran parte con l’archiviazione. Eppure, nonostante che ad ogni inaugurazione dell’Anno Giudiziario ci sia qualcuno che puntualmente lancia l’allarme sui costi esorbitanti, non succede nulla. Basta guardare i dati ufficiali dei ministero della Giustizia: 308 milioni spesi nel 2005 mentre è andata meglio nel 2006, quando la cifra ha sfiorato 230 milioni. A proposito, il Max Planck ha voluto fare i conti del Grande Orecchio anche oltreoceano: 0,5 intercettazioni ogni centomila abitanti. Addirittura meno di quante ne vengono effettuate nel più sobrio paese europeo, l’Austria, con 9 telefonate intercettate ogni centomila abitanti. Ma forse, eccepirà qualche 007, il conteggio del Max Plank non tiene conto dei sistemi di spionaggio nel paese a "stelle e strisce", come Echelon o Carnivore. Ma questa è un’altra storia. Veneto: Polizia Penitenziaria chiede rimozione Provveditore
Ansa, 5 giugno 2008
La Polizia Penitenziaria del Veneto ha proclamato lo stato di agitazione per sollecitare la rimozione del Provveditore delle carceri del Triveneto, Felice Bocchino. L’iniziativa è stata promossa dalle organizzazioni sindacali Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uspp, che hanno organizzato per venerdì prossimo alle 10, davanti alla prefettura di Padova, una manifestazione di protesta. Nel mirino è finita, in particolare, la gestione del personale: le guardie penitenziarie denunciano gli eccessivi carichi di lavoro e la carenza degli organici. Nei dieci penitenziari del Veneto si registrava al 30 aprile 2008 una presenza complessiva di 2.705 detenuti, poco meno della soglia massima (2.902) di tollerabilità, a fronte di una capienza regolamentare di 1.917 reclusi. Reggio Calabria: arriva il Patto Penitenziario per la Locride
Vita, 5 giugno 2008
Il Protocollo prevede una serie di azioni finalizzate al recupero ed all’integrazione lavorativa e sociale dei soggetti provenienti da percorsi penali. Lunedì 9 giugno alle ore 10.00 presso la prefettura di Reggio Calabria sarà siglato l’accordo "Patto Penitenziario per la Locride". Il protocollo prevede una serie di azioni finalizzate al recupero ed all’integrazione lavorativa e sociale dei soggetti provenienti da percorsi penali. In particolare è prevista l’attivazione nella città di Locri - in dei locali messi a disposizione dalla Fondazione Zappia - di una agenzia della inclusione sociale che curerà in sinergia con le aziende e con le realtà del terzo settore percorsi personalizzati di avviamento al lavoro per ex- detenuti e per le loro famiglie, nonché per le vittime della criminalità. Il protocollo sarà firmato dal Prefetto Francesco Musolino, dal Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Paolo Quattrone, dal Presidente della Provincia Giuseppe Morabito, dal Sindaco di Locri Francesco Macrì, dal Presidente della Fondazione Zappia Piero Schirripa. Roma: Marroni; sì a impegno inserimento disabili e detenuti
Asca, 5 giugno 2008
"Accolgo con favore l’impegno del Presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti di potenziare il Protocollo che riserva il 5% degli appalti provinciali a favore delle cooperative, con particolare riferimento alle opportunità di inserimento lavorativo dei diversamente abili e dei detenuti". È quanto dichiara il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni commentando uno dei passi del discorso programmatico di Nicola Zingaretti al Consiglio Provinciale di Roma. "In questo particolare momento che stiamo vivendo - ha aggiunto Marroni - in cui la legittima questione della sicurezza sociale sembra prevalere su ogni altro diritto delle persone detenute, Zingaretti ha annunciato, con coraggio, di voler investire su una prospettiva di più lungo termine rispetto alla semplice carcerazione. Una prospettiva che scommette sulla possibilità, per gli ex detenuti, di poter essere reinseriti a pieno titolo nella società, nel rispetto della Costituzione, partendo da una opportunità lavorativa. Una scelta che fa davvero onore al Presidente della Provincia di Roma". Bologna: niente frutta per detenuti ricoverati nell’infermeria di Paola Cascella
Il Domani, 5 giugno 2008
Alla Dozza i detenuti dell’infermeria non possono più comprare i prodotti alimentari che si vendono nello spaccio interno. Il divieto è scattato una ventina di giorni fa. Lo ha disposto il nuovo direttore del carcere Filippo Di Gregorio firmando un ordine di servizio che sta sollevando molte proteste. La proibizione al "sopravvitto" viene giustificata con la necessità di controllare la dieta dei ricoverati, ma finisce per ricadere anche su chi ammalato non è e si trova rinchiuso nell’infermeria per ragioni diverse. Ragioni di sicurezza, difficoltà a socializzare con gli altri, o anche omosessualità. Insomma persone che è meglio tenere separate dal resto della popolazione penitenziaria. Una volta era collocato in questa area anche un piccolo reparto di osservazione psichiatrica. In questa zona del carcere è proibito cucinarsi i pasti ma finora si poteva usufruire dei prodotti alimentari in vendita nello spaccio. La frutta, per esempio. Il prosciutto, i biscotti". È una limitazione inutilmente vessatoria - lamenta la Garante per i diritti dei detenuti Desi Bruno - una punizione che fa parte di una stagione di rigore inedita per la Dozza. Perché anche chi non ha malattie deve essere costretto a rinunciare a questi prodotti per il solo fatto di essere detenuto in infermeria?". L’avvocato Bruno ha ricevuto le lettere di protesta di molti detenuti e qualche giorno fa ha scritto al direttore Di Gregorio chiedendogli di prendere in considerazione il problema, rivedendo il suo ordine di servizio. "Capisco che con questo divieto si cerchi di assicurare una dieta corretta a chi ne ha bisogno, ma credo che si debba distinguere, e garantire ai detenuti che stanno bene gli stessi diritti degli altri". Lodi: gli studenti fotoreporter in carcere, la mostra delle foto
Il Cittadino, 5 giugno 2008
Un percorso fotografico per penetrare le barriere del carcere. La mostra "Foto-grammi d’identità. Io dentro l’altro. Immagini" racconta il laboratorio sociale che ha coinvolto gli alunni del Maffeo Vegio, alcuni detenuti del carcere di Lodi e gli ospiti di una comunità di recupero. Un’esperienza innovativa, patrocinata dal comune di Lodi, che ha visto gli studenti del liceo scienze sociali del capoluogo trascorrere dei momenti all’interno della casa circondariale di via Cagnola e della casa Sherwood di Chignolo Po. Sono stati organizzati degli incontri e degli scambi che hanno prodotto come risultato una raccolta di immagini. La ricca rassegna d’istantanee verrà ora esposta in piazza Broletto i prossimi 7 e 8 giugno, dalle ore 10 alle 19. "L’aspetto significativo dell’iniziativa è la possibilità di far arrivare anche all’esterno le tematiche del carcere, edificio che nonostante si trovi nel centro della città viene poco conosciuto dagli abitanti", ha osservato l’assessore alle politiche sociali di palazzo Broletto, Silvana Cesani. Il progetto è in particolare inserito in un itinerario formativo avviato tempo fa, che ha messo al centro della riflessione con gli studenti i temi della relazione interpersonale, dell’identità, della solitudine e della costruzione del sé. Questo ha condotto a sviluppare delle discussioni e dei laboratori di analisi, oltre che a realizzare una piccola pubblicazione. La terza fase della ricerca si è misurata con il disagio del carcere e il discorso dell’esclusione sociale, con incontri in carcere e nella casa Sherwood. "Nello specifico circa una decina di ragazzi hanno incontrato nel corso di una serie di appuntamenti una ristretta cerchia di detenuti. E hanno posto loro delle domande che erano state elaborate dalla classe - hanno spiegato i docenti del Maffeo Giacomo Camuri e Isabella Guanzini -. Insieme sono stati ascoltati alcuni brani musicali e in seguito divisi per gruppi sono state scattate alcune fotografie, per cercare di rappresentare con l’ausilio di immagini il dialogo che si era instaurato". Gli scatti riproducono interni delle salette e spazi all’aria aperta con i detenuti, inoltre tentano di tradurre in un linguaggio iconografico la sintesi degli incontri. "E i risultati sono stati davvero soddisfacenti - hanno ripreso gli insegnanti -: i ragazzi hanno potuto vedere da vicino e toccare con mano la realtà del carcere e le forme di recupero in una comunità". Un commento molto positivo è arrivato anche dalla direttrice della casa circondariale, Stefania Mussio: "Il carcere ha davvero bisogno di raccogliere tutto ciò che di positivo viene dall’esterno e può essere valorizzato. E gli stimoli esterni che arrivano dal territorio lodigiano sono molti". L’iniziativa è stata promossa dalla direzione della casa circondariale, dall’istituto Maffeo Vegio liceo delle scienze sociali e dalla casa Sherwood con il suo presidente Giovanni Lunghi. Matteo Brunello Reggio Emilia: internati da 3 Opg riuniti per giocare a volley
Dire, 5 giugno 2008
Il giorno 3 giugno 2008, presso la palestra dell’Opg di Reggio Emilia si è tenuto un torneo di volley che vede impegnati i tre Ospedali Psichiatrici Giudiziari del Nord Italia, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino e Reggio Emilia. Le squadre erano naturalmente formate da alcuni ricoverati delle tre strutture e che svolgono gli allenamenti regolarmente all’interno dei programmi delle attività di cura e riabilitazione che comprendono anche diverse attività sportive. È la prima volta che l’incontro tra gli istituti non passa attraverso i loro rappresentanti ma avviene con le persone che costituiscono la vita stessa dell’istituzione. Castiglione delle Stiviere è l’unico Opg gestito in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale e rappresenta quindi una realtà diversa da tutti gli altri. Il passaggio al Ssn è stato previsto dal 1° aprile anche per gli istituti ancora in carico al Ministero della Giustizia, l’incontro del 3 giugno ha rappresentato anche il confronto tra la realtà attuale e ciò che ci si avvia a diventare, nella consapevolezza che la criticità della attuale situazione, sovraffollamento, carenza di personale e di risorse economiche stanno mettendo in scacco gli sforzi di cura e riabilitazione nei confronti delle persone ospitate in questi ospedali; ciò non può che contribuire ad incrementare quel senso di insicurezza e di allarme sociale che ormai dilaga nel nostro paese. Al termine della giornata premiazione per tutti i partecipanti ed un "grigliata" collettiva tra pazienti e operatori, all’insegna dello sport e del divertimento ma anche della sensibilizzazione nei confronti di un problema che ormai è diventato emergenza quotidiana nella impossibilità di garantire non solo adeguati interventi sanitari ma anche interventi rivolti al soddisfacimento dei bisogni primari. Como: Capece (Sappe); carcere in una situazione incredibile
Varese News, 5 giugno 2008
Visita nel penitenziario di Como, ieri, di Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe. L’analisi sugli esiti dell’incontro con il personale del penitenziario comasco è impietosa. "La situazione nel carcere di Como è semplicemente incredibile: un carcere sovraffollato oltre ogni limite (più di 520 detenuti a fronte di 400 posti letto), in cui la carenza di poliziotti penitenziari costringe il personale in servizio a turni massacranti e a uno spirito di servizio e a una professionalità davvero encomiabili, dove si sono avvicendati sette direttori in un anno e in cui ancora non vi è un appartenente al ruolo direttivo del corpo a comandare il reparto. Prestare servizio in queste condizioni ed evitare criticità ulteriori a quelle oggettive legate al sovraffollamento vuol dire avere a che fare con donne ed uomini del corpo davvero eroici". Capece ha voluto compiere questa vista, per prima cosa, "per ringraziare le donne e gli uomini del corpo di Como per il duro e difficile lavoro che quotidianamente affrontano, poliziotti nettamente sotto organico" e, a fronte dell’elevata presenza di extracomunitari tra i detenuti del carcere comasco - più del 50% di quelli presenti. "Quella dell’immigrazione - ha sottolineato Capece - è un" emergenza anche penitenziaria, rispetto alla quale auspichiamo decisi interventi da parte del governo come, ad esempio, l’espulsione obbligatoria di tutti i cittadini stranieri detenuti per fare scontare loro la pena nei penitenziari dei Paesi di provenienza. Queste presenze determinano problemi con i detenuti italiani poiché questi soggetti provengono da Paesi con culture e tradizioni diverse dalle nostre ed aggravano le già precarie condizioni di lavoro e sicurezza dei nostri agenti. Basti pensare al periodo del ramadan, in cui spesso si verificano frizioni tra detenuti musulmani e non. I detenuti stranieri, allora, potrebbero benissimo scontare la pena nei penitenziari dei loro Paesi, considerato che il loro numero complessivo incide notevolmente sulla popolazione detenuta. Il Sappe auspica, quindi, "che governo e parlamento adottino con urgenza provvedimenti legislativi che impongano l’espulsione di tutti i detenuti stranieri e la previsione che la pena sia scontata nei Paesi d’origine". Roma: la disperazione di Cecchi Gori… "voglio l’eutanasia"
Ansa, 5 giugno 2008
"Voglio l’eutanasia". È un Vittorio Cecchi Gori disperato quello che parla dal carcere di Regina Coeli, dove si trova detenuto in isolamento da due giorni con l’accusa di bancarotta fraudolenta. "Voglio morire, ma da solo non ce la faccio, aiutatemi con un’iniezione letale", sarebbero state le parole utilizzate dall’ex presidente della Fiorentina per sfogare la propria amarezza con parenti ed amici pochi giorni prima dell’avvenuto arresto. "Cecchi Gori di recente, prima dell’arresto, ha manifestato idee suicide, e certo lo stress di queste ore non lo aiuta a stare meglio", ha spiegato il medico che segue l’imprenditore, nel tentativo - assieme agli avvocati di Cecchi Gori - di ammorbidire la misura detentiva dell’isolamento. Anche Valeria Marini, ex compagna dello sfortunato imprenditore, si schiera al suo fianco. "Non deve stare dentro un minuto di più - dice -, non capisco questo accanimento verso un uomo che non si è mai sottratto alle sue responsabilità. Se ha sbagliato lo stabiliranno i giudici. Adesso è prioritario aiutare una persona sola che sta male". Perugia: detenuto per omicidio, ottiene di vedere il suo cane
Asca, 5 giugno 2008
Arrestato per avere ucciso una donna di 31 anni, Giampaolo Properzi ha chiesto e ottenuto di potere vedere in carcere il suo cane. La notizia è riportata dal quotidiano la Nazione. Properzi, 65 anni, ha incontrato il suo cane, un setter irlandese di nome Red, nel carcere di Capanne a Perugia dove è rinchiuso dal 28 aprile scorso quando fu arrestato con l’accusa di avere ucciso con una coltellata la sua inquilina dopo una lite nel suo ristorante. Properzi ha sempre però negato l’intenzione di uccidere la donna, parlando di un fatto in qualche modo accidentale. L’uomo, molto legato all’animale, ha chiesto al suo difensore di poter vedere il cane e il gip ha dato il suo assenso all’istanza, autorizzando l’incontro svoltosi nel carcere perugino. Non è questo il primo episodio di questo genere, nel 1986 destò scalpore l’incontro in carcere tra il leader di Prima Linea Sergio Segio, condannato all’ergastolo, e il suo amato cane. Il ‘colloquiò tra Igor, un pastore tedesco, e l’allora terrorista, oggi impegnato in progetti di solidarietà, avvenne nel cortile dell’aula bunker di Milano dove era corso il processo d’appello a Prima Linea. Segio rivide il suo cane dopo otto anni, il tempo della sua clandestinità. Immigrazione: ministri UE d’accordo; fino a 18 mesi nei Cpt
Reuters, 5 giugno 2008
I ministri dell’Interno dell’Unione europea hanno ratificato oggi un discusso accordo che fissa in 18 mesi la durata massima di detenzione per gli immigrati clandestini prima della loro espulsione vero i paesi d’origine. I ministri hanno così confermato il compromesso elaborato dalla presidenza slovena della Ue e da alcuni deputati dell’Europarlamento, che dovrà votare il provvedimento entro il mese. "La presidenza spera che il Parlamento europeo sosterrà (l’accordo) in seduta plenaria", si legge in un comunicato. Dopo tre anni di duri negoziati sulla "direttiva rimpatrio", l’Ue adotta dunque come durata massima la norma già in vigore in Gran Bretagna e in Germania e fissa a cinque anni il periodo in cui è fatto divieto di rimettere piede sul territorio della Ue. I difensori dei diritti umani hanno protestato conto il progetto, considerato durissimo, perché per esempio la durata massima della detenzione in Francia è di soli 32 giorni. Il limite massimo sarà di sei mesi, con la possibilità di prolungarlo di altri 12 anni in certe circostanze, ad esempio la mancanza di cooperazione da parte del paese d’origine del clandestino, che rifiuta di accettarne il ritorno sul suo territorio. I paesi membri saranno autorizzati a mantenere un periodo di detenzione inferiore ai 18 mesi e solo gli otto stati dove la durata è superiore al nuovo limite, o che non hanno regole in materia, dovranno adattare la propria legislazione. Ma i difensori dei diritti degli immigrati ritengono che la direttiva europea rischia di spronare gli stati membri ad allinearsi sulla durata massima prevista dall’accordo. Inoltre, il testo prevede che anche i minori possano essere detenuti, anche se per un periodo il più breve possibile. Tutti gli stati membri devono accordare ai clandestini il diritto di ricorso contro la decisione d’espulsione e assicurarne la difesa legale. Il testo adottato prevede che la detenzione non debba essere che un ricorso estremo, quando le misure meno coercitive non possono essere applicate per ragioni di ordine pubblico. I difensori dei diritti umani hanno fatto appello all’Europarlamento affinché respinga la normativa. I conservatori la sostengono, ma i socialisti, i verdi e i comunisti vi si oppongono, nella forma attuale. Secondo la Commissione europea sul territorio della Ue vivono otto milioni di immigrati clandestini. Più di 200mila clandestini sono stati arrestati nella Ue nella prima metà del 2007, ma gli espulsi sono stati meno di 90mila. La procedura di espulsione ha talvolta conseguenze tragiche. Il mese scorso, un immigrato del Camerun si è suicidato in Belgio dopo aver appreso che sarebbe stato espulso. L’accordo è benaugurante per la presidenza francese della Ue, che scatta nel secondo semestre di quest’anno, nel corso della quale il presidente Nicolas Sarkozy vuole giungere a un "patto sull’immigrazione", un tema che divide profondamente gli stati membri. Il presidente francese ha criticato con la forza il governo spagnolo socialista, che ha regolarizzato oltre 700mila clandestini nel 2005, dato che essi sono poi liberi di recarsi in qualunque paese della Ue. Immigrazione: "il bastone e la carota", questo unico sistema di Giovanna Zincone
La Stampa, 5 giugno 2008
È stato un bel colpo di scena, quello del presidente del Consiglio che si dissocia "a titolo personale" dal reato di immigrazione clandestina: un po’ nel genere teatro dell’assurdo, essendo lui, infatti, il primo firmatario del progetto di legge che lo contiene. Perché questa stravagante, ancorché forse utile, marcia indietro? Perché tutto il pacchetto sicurezza è stato costruito in fretta, per pagare a rotta di collo la cambiale politica emessa quando il centro-destra era all’opposizione e sotto elezioni. Di questa fretta ora subiscono i contraccolpi. La fretta ha prodotto un’altra mossa surreale ma significativa. I luoghi dove si tengono gli immigrati irregolari non si chiamano più "Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza", ma "Centri di Identificazione ed Espulsione". Per cambiare nome è stato utilizzato il decreto legge. Non si capisce dove stesse l’urgenza di questo repentino colpo di spugna linguistico, se non si guarda dietro le due etichette date ai centri. Dai nomi traspaiono con chiarezza atteggiamenti tradizionalmente tipici della sinistra e della destra. Da una parte, il pudore nell’uso degli strumenti repressivi, dall’altra un non meditato ricorso a quegli stessi strumenti, con un sovrappiù di minacciosi proclami. Ma qual è la reale sostanza dei provvedimenti presi, progettati o ripensati? Quando è stato al governo, il centro-sinistra ha adottato importanti misure repressive. Ha introdotto i suddetti Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza. Ha varato norme punitive nei confronti del trasporto e dello sfruttamento dell’immigrazione clandestina. Ha previsto l’espulsione successiva o alternativa alla pena. Ha persino inserito l’espulsione preventiva, in via amministrativa, per motivi di sicurezza dello Stato e di ordine pubblico. Ma, soprattutto, il centro-sinistra ha adottato a suo tempo le ricette teoricamente più efficaci per contenere gli ingressi clandestini: più controlli sul lavoro nero, più accordi bilaterali con i Paesi di provenienza e di transito. Perché la strategia del centro-sinistra non ha convinto? Perché le sue leggi non sono state applicate con la dovuta fermezza. Perché - anche in seguito all’indulto, ma non solo - in Italia è tutt’altro che garantita l’efficacia dissuasiva dell’intero sistema delle norme penali. Perché comunque e dovunque il controllo dell’immigrazione è un obiettivo troppo difficile da raggiungere. Infine, perché ha tardato a presentarsi esplicitamente all’elettorato come tutore dell’ordine, e su questo terreno ha conosciuto profonde divisioni interne. Come risultato adesso tocca di nuovo al centro-destra. Questa compagine ha pensato, al contrario, che fosse utile promettere molto e fare la voce grossa. Ed è proprio questa voce grossa che le ha procurato pesanti e autorevoli rimbrotti. Eppure l’apparato repressivo proposto dal centro-destra non viaggia poi molto al di fuori dei binari europei. È vero, ad esempio, che altri Paesi hanno adottato il reato di immigrazione clandestina. Peraltro, il fatto che altri Paesi abbiano imboccato una strada non significa che quella strada li abbia portati lontano. In Gran Bretagna il reato c’è, ma la fattispecie è poco utilizzata. Anche in Francia c’è, ma le badanti irregolari sono tante e in rivolta. Come tutti i reati, il nostro non può essere retroattivo, riguarderebbe inoltre solo l’ingresso clandestino, quindi non toccherebbe né i clandestini che sono già qui, né in futuro chi avesse il permesso scaduto, né i temutissimi romeni inclusa la loro componente Rom, perché, come comunitari, possono entrare liberamente. A loro semmai si applica, e solo in casi estremi, l’espulsione. Ed è possibile - come sostiene Calderoli - che lo strumento intenda solo rimandare a casa chi attraversi illegalmente la frontiera. Tuttavia, visto che l’azione penale è obbligatoria, cosa accadrebbe se si arrivasse comunque - come teme pure Berlusconi - a colpire troppi clandestini con processi per direttissima e incarcerazioni? Già oggi i tribunali sono intasati e le carceri scoppiano, con una percentuale di stranieri detenuti che arriva al 38%. Pensiamo a quanto può costare allo Stato, in termini di spesa per processi e detenzione, perseguire pure gli immigrati, clandestini sì, ma onesti. È questa una priorità per le magre finanze pubbliche nazionali? Bene quindi il ripensamento di Berlusconi, ma sarebbe da estendere ad altri aspetti del pacchetto. Se si vuole alzare la detenzione nei Centri fino a 18 mesi, mentre il termine massimo di carcerazione preventiva prevedibile per reati di questo tipo è di 9 mesi, bisognerebbe ribattezzarli ancora una volta, e chiamarli "Centri di Minaccia e Pena". Anche i 18 mesi, però, non sono un’invenzione nostrana: li prevede pure la proposta di direttiva europea che la prossima presidenza francese caldeggia. Come si spiega, allora, la subitanea levata di scudi contro l’attuale politica italiana? Non credo che la motivazione chiave delle riprovazioni nazionali ed estere stia nei dubbi di costituzionalità e conformità alla normativa internazionale, che pure circolano, anche sulla clandestinità come aggravante. Persino nella versione attuale si tratta di norme forse inutili, forse controproducenti, ma non liberticide. La dissonanza dipende soprattutto dai toni e dall’assenza di contrappesi "benevoli". Le politiche di controllo in altri Paesi sono state bilanciate da misure di apertura e tolleranza. Così mentre Sarkozy propone, come prossimo presidente dell’Unione, una linea ferma contro gli ingressi clandestini, la bilancia con una riduzione dei tempi d’ingresso in Francia dei lavoratori di Paesi che hanno aderito nel 2004. Per funzionare, le politiche migratorie del centro-destra hanno dunque bisogno di ripensare tre punti: una comunicazione meno aggressiva, una valutazione realistica dei costi-benefici dei provvedimenti che intendono adottare sia in termini economici sia di consenso interno e internazionale, un bilanciamento delle misure repressive con misure di apertura. Immigrazione: reato clandestinità, grattacapi per il Governo
Il Sole 24 Ore, 5 giugno 2008
"Per noi il reato di clandestinità non è un totem ideologico o una norma bandiera. Vorremmo che fosse efficace". Angelino Alfano, dagli studi di "Porta a porta" si incarica di spiegare le perplessità manifestate - ieri e l’altro ieri - dal Presidente del Consiglio, che hanno creato sconquasso nella maggioranza, soprattutto nei rapporti tra Berlusconi e il ministro dell’Interni, Roberto Maroni. Il ministro della Giustizia cerca di stemperare le tensioni ma, al tempo stesso, rafforza quelle perplessità dicendo, anche davanti alla commissione Giustizia della Camera, che il Governo vuole valutare "l’impatto" che il nuovo reato potrebbe avere su carceri e Tribunali in termini, rispettivamente, di sovraffollamento e di ingolfamento. Perciò, sottolinea, si è deciso di toglierlo dal decreto legge e di "allocarlo nel disegno di legge": per consentire "una più ampia discussione parlamentare". Il disegno di legge che introduce il reato di "ingresso illegale" è appena arrivato al Senato e, dunque, non c’è fretta, se non per il fatto che è legato a doppio filo al decreto legge, dov’è prevista l’aggravante della pena "fino a un terzo" per i clandestini: un’altra norma contestata e persino in odore di incostituzionalità (tant’è che alcuni esponenti della maggioranza vorrebbero stemperarla), introdotta per "compensare" la rinuncia al reato di immigrazione clandestina nel decreto sul quale, già oggi, scade il termine per gli emendamenti. Che cosa farà il Governo? "Per ora non presenteremo emendamenti - dice il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo - anche per far decantare la tensione. Il Governo ha tempo, per farlo, fino all’approdo in Aula". Ma il reato è già diventato un gran grattacapo. Una via d’uscita la indica l’onorevole Niccolò Ghedini, consigliere giuridico, nonché avvocato di Berlusconi. "All’inizio - racconta - quando il Presidente ipotizzò il reato, il testo era diverso, perché l’immigrazione clandestina era correlata a condotte concrete". Ovvero: "a una valutazione di pericolosità sociale dell’immigrato, dedotta o da elementi di fatto o da comportamenti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere delitti". Una valutazione rimessa, ovviamente al giudice. Su questa formulazione, dice sempre Ghedini, c’era accordo nella maggioranza. "Il Consiglio dei ministri di Napoli - aggiunge -decise, però, di optare per la formula europea, connotando il reato di maggiore gravità. Il problema è che in Europa la pena prevista è più bassa, perché arriva a 6 mesi o a 1 anno. Per seguire fino in fondo quella strada, avremmo dovuto cambiare il rito direttissimo, il che è impossibile. Così, è rimasta la formula europea ma con le pene italiane (da sei mesi a 4 anni, ndr". Ghedini spiega che Berlusconi non ci ha affatto ripensato. "Ha voluto solo segnalare che, se il Parlamento deciderà di introdurre il reato, sarebbe meglio dargli concretezza, ripescando quella formula, su cui c’era l’accordo di tutti. Se invece il testo rimanesse così com’è, bisognerebbe quanto meno prevedere, come ha detto Berlusconi, se i Tribunali e le carceri sono in grado di reggere l’impatto di un arrivo di mille clandestini". Di "ipotesi a maglia larga" parla anche Alfano, che invita l’opposizione a fare proposte migliorative, "sperando che non siano le solite posizioni ideologiche ispirate a un certo lassismo". Secondo il ministro, il meccanismo delle espulsioni, negli ultimi due anni, "ha fatto cilecca"; perciò occorrono norme che abbiano "un effetto deterrente", come l’aggravante della clandestinità e il reato di immigrazione clandestina. Lanfranco Tenaglia, ministro della Giustizia del Governo ombra del Pd, osserva che per rendere effettive le espulsioni occorrono risorse, un processo rapido e una pena certa, mentre il decreto "confonde l’immigrazione con la delinquenza, e colpisce indistintamente le badanti e i delinquenti". Non è vero, risponde Alfano. "Il Governo vuole solo tutelare i cittadini da chi viene in Italia a delinquere. Il problema conclude - è che gli irregolari sono spesso recidivi e accaniti, affezionati all’Italia". Droghe: aumenta il consumo di birra e cala dei superalcolici
Notiziario Aduc, 5 giugno 2008
Incredibile a dirsi ma in Italia si è addirittura dimezzato il consumo dell’alcol negli ultimi trent’anni mentre è raddoppiato quello della birra specialmente tra i giovani. Se infatti dal ‘75 ad oggi il calcolo fatto sul consumo di alcol puro (quindi superalcolici, vino e la stessa birra) è passato dai 14 litri a testa per ogni italiano a meno di 7 litri, si può constatare nel dettaglio che sia per i superalcolici che per il vino il consumo è notevolmente sceso: da 4-5 litri di superalcolici del ‘75 a circa 1 litro degli ultimi anni e dai 100 litri pro-capite del vino ai 45 litri attuali. Tutto cambia invece per la birra che si sta prendendo la sua riscossa: il suo consumo infatti è raddoppiato passando dai 15 litri a testa di 30 anni fa ai 30 litri di oggi. Lo rileva con un certo orgoglio il Presidente dell’Associazione degli industriali della birra e del malto (Assobirra), Piero Perron che sottolinea come il 95% circa del consumo di questa bevanda riguardi le basse gradazioni alcoliche (intorno ai 5 gradi) e l’1% addirittura la birra analcolica. Un mercato quest’ultimo che si sta facendo strada anche da noi e che ha ormai raggiunto i 18 milioni litri di bottiglie vendute (l’1% appunto dei 18 milioni di ettolitri del venduto totale annuo). "Siamo ancora lontani dai numeri della Spagna dove il consumo della birra analcolica è addirittura il 10% di tutta la birra consumata, ciò significa che uno spagnolo su 10 la preferisce analcolica ed anzi la trova anche alla spina". A questo proposito Perron ricorda che da diversi anni Assobirra ha costituito un Osservatorio su "i giovani e l’alcol" per cui la conoscenza di questa fetta di mercato ha reso possibile diverse azioni per monitorare e rendere sicuro il consumo di questa bevanda. Ad esempio sulle etichette si rimanda al sito www.beviresponsabile.it dove vengono spiegati gli effetti deleteri dell’alcol qualora se ne abusasse; è stato inoltre fatto un accordo con "Radio 105" affinché i giovani lancino ad altri giovani messaggi via etere anche su loro esperienze personali invitandoli alla responsabilità. "Si sa che i giovani non gradiscono commenti dall’alto - rileva Perron - dunque lasciamo che parlino tra loro e che cambino la mentalità di coloro che ritengono che uno che si prende "una bella sbronza" è uno "che ci sa fare". Da parte nostra di fronte all’avanzare di bibite cosiddette "ready to drink" che, abbinando un gusto dolce al sapore di frutta, abituano i giovani all’uso di superalcolici, ci siamo imposti un codice etico nella produzione e nella commercializzazione della birra. Ad esempio nessuna nostra pubblicità è indirizzata, e tantomeno velatamente, ai minori né questi compaiono negli spot o nella cartellonistica. Il consumo della birra infatti non deve suggerire successi sessuali o comunque successi in genere. Tutto sommato i giovani d’oggi bevono la metà di quanto non facessero i loro padri, bisogna solo insegnar loro a bere durante i pasti e a non cadere nella trappola della sbronza del sabato sera aggravata magari dall’assunzione di droghe o altre sostanze tossiche. La nostra birra è associata ad un’immagine di giovinezza gioiosa e piena di salute per cui ogni abuso è controproducente sia per chi esagera che per lo stesso mercato. Argentina: affollamento, cure mediche scarse e maschilismo
Peace Reporter, 5 giugno 2008
Sovraffollamento e cure mediche scarse. Queste le piaghe che affliggono il sistema carcerario argentino, unite a trattamenti disumani che addirittura peggiorano nei casi di detenuti donna. A denunciarlo è la direttrice del Centro di studi sull’esecuzione penale, Cristina Caamaño, che chiede una riforma strutturale seria nel rispetto dei diritti umani. Universo donna. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Pulsar, a risentire di più delle pessime condizioni delle prigioni sono le donne, che stanno crescendo in numero esponenziale. Come ha spiegato Caamaño durante il programma El Peso del Rocío della radio Fm La Tribu di Buenos Aires, il carcere cittadino di Ezeiza ha dovuto abilitare un padiglione dell’Unità I maschile a ospitare le carcerate, perché la sezione femminile è arrivata a contarne, fra il 2005 e il 2006, più del doppio della sua capienza. Unica nota positiva, l’arrivo, dopo anni di totale indifferenza, di denaro destinato al rifacimento dell’intero sistema. Gravissima appare la situazione nella provincia di Buenos Aires, dove le celle sono strapiene in ogni unità, tanto che i nuovi prigionieri sono costretti al soggiorno nelle celle dei commissariati, dove per legge dovrebbero essere solo di passaggio. Diritto alla salute negato. Secondo l’avvocato Caamaño, un altro grave problema è appunto legato all’assistenza sanitaria. "I medici non rispettano né la deontologia né la quantità di ore" quando si tratta di detenuti, denuncia la direttrice, aggiungendo ironica che "sarebbe meglio che a curare i carcerati fossero dei veterinari". Per questo, ha radunato varie Organizzazioni non governative che lavorano in Argentina affinché stilino proposte di legge mirate a garantire il diritto alla salute e a migliorare genericamente la vita dietro le sbarre. Fra questi, un progetto, che da due anni aspetta di essere approvato in Parlamento, che permetterebbe alle donne in gravidanza o madri di figli piccoli di scontare la pena agli arresti domiciliari. Una proposta che ha incontrato molte resistenze da parte di deputati, i quali temono che, una volta legge, qualcuna potrebbe approfittarne e farsi mettere incinta pur di evitare la prigione. "Obiezione assurda", precisa Cristina Caamaño. Maschilismo. Le detenute, dunque, sono il più grave dei problemi legati al mondo carcerario, in parte riflesso di una società ancora troppo machista. Le donne che finiscono dietro le sbarre sono quasi sempre ignoranti, molto più escluse dal sistema educativo rispetto agli uomini. Il 22 percento delle detenute argentine non ha finito le elementari, cifra che sale al 40 se si includono le sudamericane incarcerate in Argentina.
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