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Giustizia: Onu e Vaticano dicono "no" a reato di clandestinità di Silvio Buzzanca
La Repubblica, 3 giugno 2008
Le Nazioni Unite e il Vaticano contestano l’introduzione nel nostro paese del reato di immigrazione clandestina. Nello stesso giorno e più o meno nelle stesse ore, dando molto da fare al governo, alla Farnesina e alla maggioranza. Attestati sulla linea che l’Onu è male informato e l’Italia non è un paese razzista. Ma bisogna garantire la sicurezza dei cittadini e quindi si va avanti. Silenzioso, invece il capo dello Stato che su queste critiche si è limitato a constatare che il disegno di legge "è davanti al Parlamento". Tutto comincia comunque a Ginevra dove si svolge la sessione del Consiglio dell’Onu sui diritti umani e la giurista canadese Louise Arbour pronuncia il suo ultimo discorso come Alto Commissario. La donna che ha incriminato Slobodan Milosevic davanti al Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia, saluta avvertendo che nel vecchio Continente si respira una brutta aria. Dice che "in Europa sono fattore di enorme preoccupazione le politiche repressive, così come gli atteggiamenti xenofobi e intolleranti nei confronti dell’immigrazione clandestina e delle minoranze neglette". Per far capire meglio di cosa sta parlando, la Arbour spiega che "esempio di queste politiche e di questi atteggiamenti sono la recente decisione del governo italiano di rendere reato l’immigrazione clandestina e i recenti attacchi contro campi rom a Milano e Napoli". Parole che suscitano la reazione del ministero degli Esteri, convinto che il riferimento all’Italia "scaturisce con ogni probabilità da informazioni incomplete". Inoltre, continua la nota della Farnesina, "esprimere valutazioni premature su proposte che ancora il Parlamento non ha discusso desta sorpresa". Ma il governo assicura che l’Italia non è razzista, ricorda che il reato in questione è in vigore in altri paesi europei e garantisce che il disegno di legge sarà esaminato dal Parlamento in uno spirito di dialogo e di confronto democratico". L’Alto Commissariato sembra prendere atto e un portavoce assicura che l’Italia non è solo il paese dove si prendono in esame leggi severe. L’Italia, continua però, non è il solo paese dove si sono verificati incidenti, ma "gli attacchi contro i campi rom erano molto recenti e particolarmente scioccanti". E la polemica sembra finire qui. Salvo Calderoli che accusa l’Onu di non vedere quello che accade in altri paesi. La polemica sembra finire perché il governo preferisce ignorare il secondo fronte che si apre Oltretevere. Nei giorni scorsi era stato il Presidente della Cei Angelo Bagnasco a criticare l’introduzione del reato di immigrazione clandestina. Ieri è toccato a Monsignor Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti. I clandestini, dice Marchetto, "non dovrebbero essere privati della libertà personale o soggetti a pena detentiva a causa di un’infrazione amministrativa". L’arcivescovo dice anche, riferendosi al dibattito in seno al Parlamento europeo: "Mi ritrovo personalmente nell’opinione espressa dalla minoranza, a Bruxelles". Opinione contenuta in un documento presentato da Rifondazione, che adesso fa notare la singolare circostanza. Il governo però tace. Venerdì Berlusconi sarà ricevuto dal Papa. Tocca alla maggioranza replicare. Ma è palese l’imbarazzo di Maurizio Gasparri. "Io sono cattolico, apostolico e romano, battezzato in San Pietro, e in tutta la mia attività politica tengo conto della mia posizione di cattolico. Non ritengo sia incompatibile con la religione cattolica una posizione di severità". Ma introdurre quel reato è sbagliato, dice Anna Finocchiaro. "Noi del Pd pensiamo - afferma - che il reato di immigrazione clandestina sia sbagliato. Se la Chiesa e l’Onu pensano la stessa cosa, forse è il caso che la maggioranza compia una riflessione profonda". Giustizia: pacchetto sicurezza cambierà per salvare il dialogo di Amedeo La Mattina
La Stampa, 3 giugno 2008
Gli unici a sguainare lo spadone sono stati i leghisti che promettono battaglia in Parlamento: il reato di immigrazione clandestina non si tocca. Il responsabile dell’Interno, Roberto Maroni (che ieri ha bollato come "inopportune e ingiustificate" le critiche dell’Onu), lo voleva addirittura inserire nel decreto sulla sicurezza, ma alla fine il Consiglio dei ministri lo ha infilato in un disegno di legge, lasciandolo così al confronto delle Camere. Nel centrodestra sono infatti molte le resistenze e i dubbi su questa ipotesi di reato, anche se rimangono sotto il pelo dell’acqua. Chi l’ha criticato pubblicamente sono invece il ministro Gianfranco Rotondi e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi. Entrambi sensibili ai moniti del Vaticano, che puntualmente sono stati ribaditi ieri. Lo stesso senatore Niccolò Ghedini, che è stato il primo a proporre al premier Berlusconi il reato di immigrazione clandestina, non esclude che nel corso del dibattito parlamentare questa ipotesi possa essere accantonata. "Se nel corso della conversione del decreto legge e della discussione del ddl, si dovessero trovare soluzioni alternative, più intelligenti, non faremo le barricate. Al momento queste alternative non le vedo e l’opposizione non ne ha proposte". Dunque, a parte la faccia feroce che continua a fare la Lega, nella maggioranza qualcosa si muove lungo il crinale del dialogo con il Pd. An tiene apparentemente ferma la barra per non farsi scavalcare dal Carroccio sul tema della sicurezza, storico cavallo di battaglia della destra. Ma le critiche soprattutto di Oltretevere non lasciano indifferente il governo. Non è un caso che ieri il ministro degli Esteri abbia fatto riferimento al "dibattito politico nazionale, che sarà come sempre trasparente ed aperto al contributo di maggioranza ed opposizione". E il vicepresidente della Camera, il cattolico Maurizio Lupi, abbia richiamato all’utilità di confrontarsi con il Pd nell’iter parlamentare del disegno di legge. Insomma, formalmente l’esecutivo difenderà il reato di immigrazione clandestina. Ma come spiega Elio Vito, ministro per i Rapporti con il Parlamento, la maggioranza vuole affrontare l’opposizione con "spirito aperto". "Ci auguriamo - spiega Vito - che sul complesso delle misure che riguardano la sicurezza ci sia un atteggiamento costruttivo e se emergono proposte diverse, le ascolteremo". Nessun arroccamento: margini di una modifica ci sono. Molto dipende dal "fattore dialogo", dal persistere di quel clima di pacificazione tra gli schieramenti che ha fatto gioire il Papa e che il capo dello Stato non manca occasione di stimolare. Del resto, nota Gianfranco Rotondi, non si può far sventolare la bandiera della Lega ad ogni costo. "Questo reato di immigrazione clandestina riempie le carceri e i magistrati non sono disposti ad applicarlo. E allora che facciamo, continuiamo a insistere?". Ma dovrà essere l’opposizione, spiega il ministro per l’Attuazione del programma, a fare un passo concreto: deve sostenere il resto del pacchetto sicurezza e dire "noi lo votiamo purché non ci sia questo reato". "Se c’è questa mossa conclude Rotondi - figuriamoci se, in un momento di amori sensi, il governo non decide di ritirare la proposta". Ma questo ragionamento potrebbe essere il classico conto senza l’oste, cioè la Lega. Giustizia: Maroni; avanti con la legge, attacchi "ingiustificati" di Fiorenza Sarzanini
Corriere della Sera, 3 giugno 2008
La linea del Viminale non cambia. Gli attacchi che arrivano dal Vaticano e dall’Onu, non spostano la posizione del ministro dell’Interno Roberto Maroni, determinato a far approvare prima della pausa estiva la nuova norma che prevede l’arresto per gli extracomunitari che entrano in Italia senza permesso. Perché le critiche vengono ritenute "ingiustificate e inopportune". E perché, come sottolinea il sottosegretario Alfredo Mantovano, "si tratta di un disegno di legge e come tale deve essere ancora esaminato e discusso". Era stato il Quirinale, quindici giorni fa, ad insistere perché il reato contro gli extracomunitari e l’articolo che prolunga fino a 18 mesi la permanenza nei Cpt, non fossero inseriti nel decreto legge. E ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è limitato a ricordare che "il reato di immigrazione clandestina è dinanzi al Parlamento", come a voler sottolineare che eventuali "rilievi" saranno mossi, semmai, al termine dell’iter davanti alle Camere. Si va avanti, dunque, con l’accordo di palazzo Chigi. Questa settimana comincerà il dibattito al Senato,e intanto sarà avviata la procedura per "creare un Cie, centro di identificazione ed espulsione in ogni Regione", come ha annunciato più volte proprio Maroni. Il ministro ha sempre respinto, anche con toni forti e coloriti, "ogni interferenza sulla nostra politica che mira a dare sicurezza ai cittadini e a punire chi pensa di arrivare in Italia senza permesso". E anche ieri, dopo essere stato informato delle ultime sortite, è apparso infastidito, convinto che "la linea scelta è quella giusta perché ci viene chiesta dai nostri elettori, da chi sa che noi vogliamo davvero cambiare la musica". Due giorni fa, davanti al popolo leghista riunito a Pontida, aveva promesso "tolleranza zero, non arretreremo di un millimetro, vinceremo tutte le resistenze". Maroni si è convinto che "alcune critiche siano del tutto strumentali". Si allinea Mantovano, quando stigmatizza "la volontà di creare un caso su questa vicenda". "A quanto mi risulta - spiega il sottosegretario - il Vaticano parla con documenti ufficiali. Massimo rispetto per le dichiarazioni di monsignor Marchetto, ma si tratta di un’intervista rilasciata a margine di un convegno e dunque attribuirla alla Santa Sede mi pare eccessivo. Comunque, la formulazione del nuovo reato punisce l’ingresso illegale e dunque non riguarda chi è già in Italia. Si tratta di una misura deterrente molto efficace e per questo ne sollecitiamo l’approvazione. Naturalmente dopo una discussione seria e aperta a possibili miglioramenti". Il governo appare determinato a far inserire la nuova norma nel codice penale, ma conosce perfettamente le difficoltà di applicazione e il rischio che il sistema attuale non possa reggere. "Avvertimenti" in questo senso sono già arrivati a livello tecnico sia dai magistrati, sia dai vertici delle forze dell’ordine. Il primo problema riguarda le carceri che sono già al limite della capienza. Si pensa a una possibile deroga che consenta la detenzione nei Cie, "ma al momento - come spiega lo stesso Mantovano - questa eventualità non è prevista". E dunque bisogna pianificare gli interventi strutturali. Nei prossimi giorni i ministri di Interno e Difesa dovranno individuare le caserme dismesse da trasformare in nuovi sedi dei Centri di identificazione ed espulsione. Anche perché sono già entrate in vigore le norme che ampliano la possibilità di espellere chi è senza permesso, ma i posti disponibili nelle strutture attuali non appaiono sufficienti. E rimangono le difficoltà, quando si riesce ad accertare l’identità degli extracomunitari, di ottenere il via libera al rimpatrio da parte degli Stati di provenienza. Giustizia: Frattini; in altri paesi Ue la clandestinità è già reato di Marco Conti
Il Messaggero, 3 giugno 2008
Ministro Frattini, l’Onu condanna l’Italia per il reato di immigrazione clandestina. Che si fa? "È una condanna che riguarda, Francia, Germania, Svezia, Regno Unito. Paesi che già hanno un reato di immigrazione clandestina. Per l’Italia non c’è nessuna condanna da parte dell’Onu perché da noi l’immigrazione non è ancora reato".
Lo sarà? "Vedremo. C’è una proposta e si aprirà un dibattito in Parlamento e decideremo. Per ora prendo atto della condanna dell’Onu a Francia e Germania, che hanno già il reato. Se c’è un rimprovero preventivo all’Italia, ancor più c’è per i paesi che hanno già questa fattispecie giuridica. Grande rispetto per questo signore, che non conosco e che rappresenta l’Alto Commissario per i diritti umani, ma la condanna non ci riguarda".
Però il governo ha già licenziato il disegno di legge… "Sì ma come è noto anche all’Alto Commissario una legge diventa tale solo quando è approvata dal Parlamento. Mi associo invece alla condanna delle violenze contro i rom, che invece sono state compiute da persone che hanno compiuto atti illegali. Trovo però sorprendente l’accostamento tra una decisione del governo di far rispettare la legalità ad azioni che violano la legalità. Comunque se la legge dovesse essere approvata io mi sento in ottima compagnia visto che la norma, che noi non abbiamo ancora, altri paesi importanti dell’Unione l’hanno già da anni. Forse sarebbe utile un quadro comparativo della legislazione europea e non solo". Giustizia: immigrati, non criminali, tuteliamo il diritto d’asilo Stefano Milani intervista Laura Boldrini, dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati
Il Manifesto, 3 giugno 2008
"L’Europa ha deciso di giocare al ribasso. Sul reato di immigrazione clandestina ci auguriamo che almeno in sede parlamentare si tenga conto del richiedente asilo", così Laura Boldrini, portavoce dell’Unchr (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati).
Come considera queste ultime critiche da parte dell’Onu? La critica di Louise Arbour è in linea con quelle fatte nelle scorse settimane, all’indomani dall’approvazione del pacchetto sicurezza. Prima di lei si era espresso con lo stesso tono l’Odihr (Office for Democratic Institutions and Human Rights) e anche l’europarlamentare ungherese Viktoria Mohacsi, che ha denunciato le pessime condizioni di vita della comunità rom in Italia. Il problema dunque c’è e va affrontato subito. La critica dell’Alto commissario Onu per i diritti umani è in particolare sul reato di immigrazione clandestina. Oggi non deve passare l’idea che un clandestino sia un criminale così come l’equazione di "meno diritti più sicurezza", perché se passa questo si rimettono in discussioni le radici culturali dell’Europa basate sul diritto. C’è però da approfondire. Da quanto abbiamo appreso si tratta del reato di ingresso irregolare e ad essere punito non è chi, anche se clandestino, è già nel nostro paese ma chi entra oggi. In base ai dati del Viminale gli ingressi via mare rappresentano solo il 10% di chi sta irregolarmente in Italia, il che sta a significare che la maggior parte è entrata regolarmente. Magari con un visto e poi si è trattenuto anche dopo la scadenza.
Tra chi arriva irregolarmente via mare quanti chiedono asilo? Lo scorso anno su un totale di 20mila arrivi registrati in Italia via mare un immigrato su tre ha fatto domanda d’asilo e uno su cinque ha ottenuto una forma di protezione internazionale. Sempre nel 2007 il 35% di quelli arrivati dalle nostre coste, quindi, ha presentato domanda d’asilo. Più in generale delle 14mila domande presentate, circa il 50% ha ottenuto dallo Stato italiano una forma di protezione, mentre si alza al 65% tra coloro arrivati attraverso il Mediterraneo, rischiando così la vita perché non hanno scelte alternative, in fuga da persecuzioni, da conflitti, dalla violenza generalizzata.
L’attuale legge Bossi-Fini in tema di immigrazione rischia di complicare ulteriormente le cose? La Bossi-Fini dice che per assumere uno straniero bisogna fare esplicita richiesta direttamente nel paese d’origine, senza quindi poterlo conoscere. Ma quando si tratta di lavori delicati come la badante, la colf o la baby-sitter è difficile che uno possa impiegare una persona sconosciuta senza averci mai parlato e potuto approfondirne le qualità. E difatti sono gli stessi italiani che preferiscono assumere persone irregolari ma già presenti nel nostro paese e di cui in qualche modo si fidano. Nell’ultimo decreto flussi su 170mila posti disponibili sono state presentate 700mila domande.
Qual è la situazione in Europa in materia d’asilo? Nel 1999 l’Europa ha deciso di porsi degli obiettivi e di armonizzare la materia dell’asilo, cioè di trovare degli standard comuni. Si è partiti cercando di applicare al meglio la convenzione di Ginevra, il problema è che andando avanti le direttive si sono sempre più indebolite e gli standard si sono abbassati. Purtroppo l’Europa ha deciso di giocare al ribasso mettendo in discussione il diritto d’asilo. Giustizia: critiche a reato di clandestinità, le reazioni politiche
Dire, 3 giugno 2008
La Russa: da Onu e Vaticano critiche un po’ preconcette
"Nessuno si lamenta se ci sono valutazioni che vengono anche da fuori, ma non è normale che a livello di organizzazioni internazionali si discuta un disegno di legge con tanta veemenza quando ancora non si tratta di una legge realizzata. Questo, come metodo, fa trasparire una certa frettolosità nelle valutazioni, per non dire una certa presa di posizione preconcetta. E tutto ciò stupisce, vista l’importanza delle persone che hanno espresso queste valutazioni". Il ministro della Difesa e reggente di Alleanza Nazionale, Ignazio La Russa, risponde così alle critiche dell’Onu e del Vaticano all’inserimento del reato di clandestinità nel pacchetto sicurezza. "Seconda cosa: non è né l’Onu né il Vaticano, ma si tratta di esponenti di rilievo a cui va rispetto, ma sono appunto esponenti dell’Onu e del Vaticano. Non c’è una pronuncia ufficiale. Per quanto riguarda il Vaticano, poi, ha parlato chi si occupa di questi temi e quindi è quasi un atto dovuto. Certo, si tratta di organismi che giustamente hanno a cuore la sorte delle persone e si tratta di spirito cristiano. Li rispetto, ma hanno compiti diversi rispetto a un governo, che deve pensare anche alla sicurezza e seguire le necessità dei propri cittadini". La Russa afferma: "C’è una cosa che è la più importante di tutte. Ho sentito dire che è sbagliato sanzionare con la detenzione una violazione amministrativa, questo è un errore grossolano perché non si tratta di una violazione amministrativa. Intanto lo decide lo Stato se è penale o no. E comunque è davanti agli occhi di tutti che entrare clandestinamente in un Paese, violando le frontiere e senza rispettare nessuna regola (nel maggiore dei casi celando la propria provenienza e la propria identità) è una violazione in grado di essere definita penale. Ci sono comportamenti meno gravi che sono sanzionati dal codice penale. Come ad esempio la violazione di domicilio, ovvero se una persona si introduce nel giardino di una casa altrui commette un reato. Non si capisce perché ci sia invece scandalo nel considerare reato e non violazione amministrativa l’introdursi nella casa di tutti gli italiani, che è appunto l’Italia". "Personalmente - annuncia il ministro della Difesa - ho predisposto un emendamento che attenua fortemente il reato di clandestinità nei confronti delle badanti e anche delle colf. Il Parlamento potrà cambiare questa norma, non è la parte fondante del pacchetto sicurezza, altrimenti l’avremmo messa nel decreto. Invece è nel ddl perché vogliamo verificare con i deputati la stesura definitiva. In punta di principio, cortesemente e con rispetto, respingo al mittente le critiche ci vengono da organismi che sono stati precipitosi e un po’ prevenuti nell’esprimere quei giudizi".
Gasparri (Pdl): rispetto l’Onu ma reato di clandestinità resta
Rispetto per le posizioni espresse da Onu e Vaticano ma il reato di immigrazione clandestina è un punto fermo del pacchetto sicurezza. È questa, in sintesi, la posizione espressa dal capogruppo al Senato Maurizio Gasparri, che spiega: "valuteremo in Parlamento, con tutta la cautela ed il senso di responsabilità necessaria, i punti di vista e le obiezioni sollevate sul reato di immigrazione clandestina". Ma l’impostazione del governo e della maggioranza resta comunque fermo sulla linea dura, per dare un segnale deciso a chi delinque nel nostro paese. Siamo quindi fermamente convinti che il reato di clandestinità debba essere mantenuto, così come è presente anche in altri stati europei". Secondo Gasparri, inoltre, "dobbiamo mettere ordine nel paese, come ci chiedono tanti cittadini, cattolici e non solo. Rispettiamo le opinioni della Chiesa e quelle dell’Onu e proprio per questo puntiamo ad una attenta declinazione delle norme riguardanti il reato da discutere in Parlamento". Nessuna vessazione, dunque, precisa l’esponente di An, "ma solo una chiara richiesta del rispetto delle regole".
Rotondi: in Parlamento terremo conto delle posizioni del Vaticano
"Sicuramente nel percorso parlamentare del disegno di legge si terrà conto delle posizioni espresse dal Vaticano". A dichiararlo è il ministro per l’Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, sottolineando che "in Consiglio dei ministri non ho fatto obiezioni proprio perché il governo ha avuto la sensibilità di affidare questa materia ad un disegno di legge e non ad un decreto". I disegni di legge, aggiunge il ministro, "si discutono e si approvano in Parlamento e in quella sede sono possibili tutte le variazioni che vadano incontro alla sensibilità del popolo italiano in materia di accoglienza degli immigrati". L’opposizione, però, conclude Rotondi, "faccia la sua parte e non alzi barricate che possano compromettere tutto l’impianto del disegno di legge".
Cicchitto (Pdl): l’Italia non è un paese a sovranità limitata
"Con tutto il rispetto per l’Onu e per Monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti, tuttavia l’Italia non è un paese a sovranità limitata, specie su un terreno delicato quale è l’immigrazione clandestina". Lo afferma Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Popolo delle Libertà, secondo il quale "altri paesi, dagli Usa a quelli europei, hanno una legislazione assai dura che comprende il reato di immigrazione clandestina". La questione "è in discussione in Parlamento - specifica Cicchitto - e non può essere svuotata o accantonata per questi pur rispettabili interventi internazionali". Ma forse "capiamo - conclude l’esponente azzurro - che a qualcuno, e non ci riferiamo né all’Onu né a Monsignor Marchetto, dispiaccia che possa non esserci più in Europa un paese che ne sia il ventre molle su questo terreno spinoso".
Bocchino: critiche dal Vaticano? lo Stato garantisce i cittadini
"Uno Stato deve garantire la sicurezza dei suoi cittadini". È questa la risposta di Italo Bocchino, vice capogruppo dei deputati del Pdl, a chi gli chiede conto delle critiche dell’Onu e del Vaticano all’ipotesi di introdurre il reato di immigrazione clandestina. L’esponente di An si appella a dei dati e spiega: "Sappiamo che il 96 per cento di reati commessi da immigrati, è commesso da clandestini. Il reato di immigrazione clandestina sarebbe una risposta".
Mura (Idv): governo in confusione sulle critiche di Onu e Vaticano
"Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, varando il nuovo governo, aveva invitato i suoi ministri a lavorare molto e a parlare poco con la stampa. Un invito che almeno per il momento appare caduto nel vuoto, considerato che è impossibile non registrare un’elevata schizofrenia nelle dichiarazioni ufficiali dei membri dell’esecutivo". È quanto afferma Silvana Mura, esponente dell’Idv, secondo la quale "tale schizofrenia appare quanto mai evidente nelle polemiche sorte circa l’introduzione del reato di immigrazione clandestina". Secondo Mura, infatti, mentre "la Farnesina con una nota ufficiale fa notare all’Onu che è prematuro esprimere valutazioni su un provvedimento che deve ancora essere approvato dal Parlamento, e dunque non è legge, linea che si avvicina alle parole del Presidente della Repubblica, i ministri delle Politiche Comunitarie e dell’Interno, Ronchi e Maroni, smentiscono sia Frattini che il Colle affermando a mezzo stampa che il reato di immigrazione clandestina c’è e ci sarà, dando già per scontata l’approvazione senza modifiche in Parlamento". A prescindere dalle valutazioni politiche sul reato di immigrazione clandestina, conclude l’esponente dell’Italia dei valori, "questa confusione non giova certo all’immagine internazionale dell’Italia". Giustizia: il "Grande Fratello" oggi non sorveglia più, seduce di Zygmunt Bauman (Sociologo)
La Repubblica, 3 giugno 2008
Come osservava Pierre Bourdieu più di trent’anni fa (La distinzione), i rapporti sovra ordinazione - subordinazione e la riproduzione delle divisioni e delle gerarchie sociali oggi giorno tendono sempre più a fare assegnamento sulla seduzione piuttosto che sulla regolamentazione normativa, sulla produzione dei desideri più che sulla coercizione, sulle public relation piuttosto che sulla sorveglianza. Questa fiducia, possiamo aggiungere, aumenta di pari passo con il passaggio da una "società di produttori" a una "società di consumatori". Come tutti i modelli di ordinamento sociale, quello che sta venendo alla luce - non più costruito secondo il modello della "fabbrica fordista", ma secondo quello di un centro commerciale, e che viene fatto funzionare attraverso i meccanismi descritti da Bourdieu - identifica in modo differente i gruppi della società che sono inadatti all’inclusione. Invece delle "classi pericolose", ribelli o rivoluzionarie - che puntano a neutralizzare o ad assumere il controllo dei mezzi di coercizione e a ridefinire la normativa - sono i "consumatori imperfetti" - individui e categorie di individui insensibili alla seduzione e/o incapaci di agire in base ai loro desideri per scarsità o mancanza di risorse - a essere classificati come inadatti a essere inclusi nella società (questa classificazione è appropriatamente espressa attraverso la definizione di sottoclasse = al di sotto, e dunque al di fuori, dell’ordinamento di classe). Nella loro forma originaria, ipotizzata da Jeremy Bentham e retrospettivamente indicata da Michel Foucault, i meccanismi panoptici di dominazione, miranti a immobilizzare il sorvegliato, a tenerlo al suo posto e dentro il regime comportamentale routinario, a impedirne la fuga o la deviazione, oggi si limitano e si concentrano esclusivamente sugli "inadatti" (leggi: coloro che sono insensibili ai dispositivi di controllo applicati alla maggioranza della popolazione). Destinati in passato a essere applicati universalmente (appropriati ed efficaci per i dipendenti delle fabbriche e degli uffici, per i soldati nelle caserme, gli scolari, i pazienti degli ospedali e delle cliniche per malattie mentali, i detenuti, gli indigenti negli ospizi), oggi questi meccanismi vengono utilizzati soprattutto nei luoghi di detenzione: in più, l’enfasi posta nella dichiarata finalità della sorveglianza si è spostata dalla imposizione di una particolare routine comportamentale alla prevenzione di fughe e danni. Come suggeriva Thomas Mathiesen, nel caso della "maggioranza", l’applicazione della strategia della dominazione del "controllo - attraverso - la - sorveglianza" è passata dal "tutti guardano tutti", ai "pochi che guardano tutti", per giungere infine alla fase "tutti guardano alcuni". Mentre si è riposto il controllo sociale nella "scatola degli attrezzi", la coercizione esercitata attraverso la seduzione e le pubbliche relazioni (la sorveglianza popolare di divi e celebrità, di persone in vista trasformate in oggetti di ammirazione e di emulazione) ha sostituito il controllo generale da parte dei rappresentanti dell’autorità. La tendenza individuata e descritta da Mathiesen è senz’altro importante, sebbene non sia l’unica e, probabilmente, nemmeno la principale deroga nella ininterrotta storia dell’impiego tradizionale della sorveglianza. Anche all’interno del "nocciolo duro" dell’ordine sociale rimane valido lo schema "pochi che guardano molti": semmai, ora esso diventa più onnipresente, più sofisticato e tecnologicamente meglio attrezzato che in passato, e ha fatto ulteriori progressi sulla strada che porta alla completa liberalizzazione e privatizzazione. Cosa ancora più importante, questo schema si è rivolto verso un obiettivo radicalmente differente. La sua funzione principale e generale è quella di mantenere fuori gli outsider, gli indesiderabili, piuttosto che tenere dentro (leggi: dentro l’area disciplinata normativamente e dentro la routine obbligatoria) gli insider (leggi: quelli già altrimenti, adeguatamente disciplinati). Possiamo dire che "Big Brother" e i suoi rappresentanti e plenipotenziari, sempre più numerosi, sono stati reimpiegati per contribuire all’esclusione e impedire il "ritorno degli esclusi" di una moltitudine in rapida crescita di categorie: immigrati sgraditi, improbabili clienti di centri commerciali, mendicanti invadenti, ospiti non invitati di comunità residenziali con accesso controllato, abitanti di banlieue e di ghetti urbani nei centri cittadini, gente a cui le banche non concedono crediti, eccetera. In poche parole, la funzione del Secondo Big Brother è quella di mantenere a tenuta stagna la linea che separa gli inadatti dagli adatti: una metafora concretizzata recentemente attraverso gli addetti alla sicurezza aeroportuale, che confiscano le bottiglie d’acqua minerale. Il primo Big Brother manteneva gli occhi fissi sulle uscite: quelli dei suoi discendenti sono concentrati sulle entrate. La sorveglianza destinata a mantenere le entrate inaccessibili è presentata, pubblicizzata e venduta all’opinione pubblica sotto l’etichetta della loro sicurezza. Il fatto che il concetto di "sicurezza" sia definito e si manifesti principalmente in compiti come l’esclusione di tutti quelli ritenuti "inadatti" (cioè, controproducenti o semplicemente indifferenti al funzionamento senza intoppi dei meccanismi di controllo sociale attualmente impiegati) difficilmente viene dichiarato in modo esplicito negli articoli pubblicitari. Ciò nonostante, la cosa è fin troppo evidente nella pratica ed è ben facile da dedurre. Gli oggetti di una sorveglianza onnipresente e invadente sono indotti ad accettare l’intimo collegamento tra esclusione e sicurezza e dunque ad accettare, tranquillamente e senza risentimenti, la strategia messa in atto (quindi la realtà di incursioni sempre più radicali nella nostra privacy); ad accettare di essere costantemente sotto sorveglianza; ad accettare i benefici effetti dell’esclusione, malgrado la sua bizzarria morale. Per ridurre ulteriormente la possibilità di risentimenti, le persone sono invitate a partecipare attivamente "al gioco": per esempio, votando per allontanare gli indesiderabili dallo show del Grande Fratello. Una volta diventata principalmente un mezzo di esclusione, la sorveglianza assegna contemporaneamente ai membri della società il ruolo di colpevoli e di bersagli, di carnefici e di vittime. Trasforma le sue potenziali vittime o "perdite collaterali" in suoi complici attivi o passivi o in spettatori solidali. Paradossalmente, ma con ottimi risultati, ciò fa crescere gli "interessi acquisiti" delle potenziali vittime nella perpetuazione e nell’ulteriore inasprimento della strategia di dominio del "controllo-attraverso-la-minaccia-dell’esclusione". L’onnipresenza dei dispositivi di sorveglianza, oggi, ha raggiunto la fase in cui essa è ormai auto-sostentata e auto fecondante. La quantità e dimensione, la visibilità e l’invadenza di tali dispositivi, bastano a creare e alimentare un’atmosfera da "fortezza assediata" e una forma mentis da emergenza permanente: che a sua volta alimenta e legittima la richiesta di un’ulteriore, accelerata diffusione di tali dispositivi e rafforza il favore popolare per le misure promesse per accogliere tali richieste. La sorveglianza, oggi, è un "setaccio" al servizio della propria perpetuazione: un setaccio che serve a isolare i bersagli appropriati della sorveglianza (gli indesiderabili) da quelli che potrebbero/dovrebbero essere lasciati fuori (perché hanno superato il test di non indesiderabilità). Gli esclusi, tuttavia, non sono stati addestrati all’arte della autodisciplina e sono disabituati a praticarla: perciò hanno bisogno di comprare la sorveglianza per riempire il vuoto lasciato dalla scomparsa della sorveglianza fornita dalla società. Da ciò deriva l’attuale "boom della consulenza", la domanda sempre crescente di "consulenti", dal vivo o telematici, ma, in entrambi i casi, altrettanto disorganizzata quanto coloro che li richiedono. Il sorprendente successo del sito Facebook trae vantaggio da questa tendenza. Giustizia: la religione contro i nuovi egoismi nati sul territorio Riccardo Staglianò intervista il sociologo Ulrich Beck
La Repubblica, 3 giugno 2008
Usare la religione come amuleto antiglobalizzazione è contraddittorio. Il messaggio originario del cristianesimo è un messaggio universale di inclusione. Nel gioco della globalizzazione ci sono alcuni grandi vincitori e molti piccoli perdenti. Prosperano le élite transnazionali, i cui membri si trovano a loro agio tanto a Roma quanto a Parigi o Londra e che in ognuno di questi posti potrebbero consigliarvi un buon ristorante. Declina la classe media e sprofonda la working class che, spaventata di tutto, vede anche nel kebabbaro all’angolo una minaccia alla propria identità. Se c’è un pensatore europeo che ha avvertito prima degli altri di non trascurare il versante culturale di questo potente fenomeno economico è Ulrich Beck. Il sociologo tedesco ha infatti proposto, in vari libri, il più comprensivo termine di "cosmopolitismo". Gli abbiamo chiesto di commentare i motivi dietro alle recenti tensioni anti-immigrati e al richiamo sempre più frequente alla cultura locale in opposizione a quella degli "altri".
In Italia si assiste, con nuova forza dopo la vittoria del centro destra, a una rinascita del localismo come risposta alla globalizzazione. Perché? "Dobbiamo renderci conto che la globalizzazione economica sta producendo ineguaglianze importanti. In un certo senso assistiamo a una sua vendetta. L’importante ora è capire cosa separa vincitori e perdenti in queste dinamiche social-economiche. Ebbene, la distinzione più importante è tra coloro che sono capaci di sfruttare relazioni transnazionali, ad esempio creando rapporti di lavoro cross border, come accade nella delocalizzazione. E dall’altra parte quelli che non hanno questo tipo di apertura, che definiscono la loro identità da un punto di vista territoriale e che hanno la percezione di essere minacciati dall’invasione di questo loro spazio, anche ideale. Sono costoro quelli che più facilmente elaborano come risposta nuove forme di nazionalismo, un localismo che degenera spesso in razzismo e xenofobia. Questa faglia, sempre più profonda, è la linea dei prossimi conflitti culturali in Europa".
Se questa è la linea di crisi dove si collocano i migranti, sempre più visti come portatori di minacce? "Pur essendo nella posizione sociale più bassa, i migranti sono diversi dalla working class locale perché, per attitudine, coraggio e legami familiari, hanno fatto e fanno l’esperienza di vivere in maniera transnazionale. Questa competenza, che gli autoctoni non hanno, aumenta il loro coefficiente di minacciosità. Così i perdenti della globalizzazione si sentono schiacciati tra l’incudine delle élite di cui parlavamo prima e il martello dei migranti, che affrontano il mare aperto con audacia. Un’audacia mal digerita, che tende a produrre razzismo e xenofobia".
Esiste un modo per disinnescare questa reazione? "Restando calmi, evitando a tutti i costi di drammatizzare. Una quota di xenofobia fa parte della normale dialettica politica, è sempre esistita e sempre esisterà. Ma le cronache recenti cominciano a farci dubitare che questa consapevolezza basterà a evitare escalation. Ciò che si deve scongiurare, in Italia e altrove, è una reazione ambigua da parte della politica. Perché se questo localismo xenofobico si sentisse anche indirettamente legittimato dalle istituzioni allora diverrebbe davvero un grosso problema. In Germania, sinora, le risposte politiche ai vari fatti di violenza contro gli immigrati sono state molto nette e molto forti".
Sino a quando la globalizzazione riguardava le merci la sua critica veniva essenzialmente dalla sinistra radicale. Oggi che sempre più investe le persone è diventata appannaggio della destra. Perché? "La retorica antiglobalizzazione è andata a riempire un vuoto lasciato dagli intellettuali che non hanno avuto risposte adeguate alle sfide culturali che il fenomeno presenta. Hanno continuato a praticare una sorta di nazionalismo metodologico, nel senso di non aggiornare le loro idee a un contesto transnazionale. Anche la politica e i sindacati sono rimasti, in un mondo che si apriva sempre più, tenacemente attaccati ai confini statuali. La sinistra non volendo guardare in faccia l’ineluttabilità di certi processi, la destra rispolverando quel vecchio arnese del nazionalismo".
Nel suo bestseller il nostro ministro dell’Economia Giulio Tremonti propone di usare tradizione e religione come argini all’invasione dei nuovi barbari. Concorda? "Usare la religione come amuleto anti-globalizzazione mi sembra assai contraddittorio. Tanto più se a farlo sono politici di formazione cattolica, com’è probabilmente il caso del vostro ministro. Credere in Cristo è aprirsi alla comunità dei credenti ben oltre i confini nazionali. L’evangelizzazione nel mondo è stata una delle utopie chiave del cristianesimo. I cristiani - ma anche gli islamici con la loro ummah - sono stati tra i primi globalizzatori della storia. Gesù arrivò a dire ai suoi discepoli che i legami con la famiglia non avrebbero mai dovuto ostacolare la loro fede. Quello delle origini era un chiaro messaggio di inclusione. Oggi invece l’uso che certi pensatori neoliberali fanno della religione è di tipo esclusivo: mette ostacoli, introduce l’opposizione tra credenti e non credenti (o credenti di un’altra religione)".
C’è chi ha visto, in certe sparate di alcuni esponenti della destra italiana, rigurgiti della retorica del "suolo e sangue" che ha già prodotto sufficienti catastrofi nel secolo scorso. Rischiamo bis del genere? "Mi limito a dire che forze politiche responsabili non dovrebbero assolutamente lasciare i richiami alla tradizione e alla religione a chi li usa in un quadro di neo-nazionalismo. Sono forze evocative troppo importanti per consentire che vengano sequestrate da chi le piega in chiave xenofoba. L’attenzione alle comunità locali, alla loro cultura, va declinata in una prospettiva cosmopolita. Si può serenamente coltivare l’orgoglio del passato coniugandolo con l’apertura verso il mondo esterno, ottenendone esiti proficui sia dal punto di vista economico che da quello culturale. Un cosmopolitismo beninteso, ovvero un approccio alla globalizzazione che non né trascuri il coté culturale, deve avere sia radici che ali, essere capace di difendere la tradizione ma anche di volare". Lettera: c’è chi sbaglia e paga e chi "sbagliando" fa carriera! di Beppe Battaglia (Federazione Città Sociale di Napoli)
Ristretti Orizzonti, 3 giugno 2008
Lettera aperta al Presidente della Repubblica. Caro Presidente, sono reduce da una "due giorni" a Bruxelles per il settimo incontro che la Commissione Europea, tramite l’Eapn, promuove per le persone in povertà. Trecento persone provenienti da tutti gli Stati dell’Unione Europea che cercano di spiegarsi la povertà (dei tanti e, per converso, la ricchezza dei pochi) nella quale versano loro stessi e la stragrande maggioranza dei popoli dai quali provengono. La presidenza dell’Unione ed anche il governo ospitante, per due giorni ogni anno ascoltano le fatiche, l’amarezza, a tratti anche la rabbia, ma pure le proposte per combattere la povertà. Ascoltano senza pretese, senza arroganze, senza giudizi facili, e ogni anno imparano qualcosa. Magari quando tornano in seno ai loro rispettivi governi dimenticano tutto, ma non si sa mai… qualcosa potrebbe anche restare nella loro memoria. Ecco, la memoria, Presidente. È di questo che vorrei parlarti. Perché è davvero incredibile come essa sparisca, o subisca manipolazioni contorsionistiche, nella testa delle persone che in qualche modo si trovano ad occupare posti di potere. Tu che sei una persona saggia e sapiente non dovresti farti tirare dentro queste contese. Capisco che le trappole che ti parano attorno sono tante e che non è perciò facile evitarle tutte. Capisco anche la tua buonafede quando, malgrado te, sei obbligato a scivolarci dentro segnando anacronismi inaccettabili. Ti parlo, sommessamente, dal mio punto di vista che è quello di uno dei tanti poveri del nostro paese. Ho, infatti, sessantadue anni e non so cosa sia un conto corrente bancario o postale, non ho una casa, non ho figli, non ho famiglia, se non quella allargata… sulla strada. Naturalmente mi considero un povero "fortunato" perché col lavoro riesco tuttavia a graffiare la vita, sopravvivendo dignitosamente. Pago l’affitto di un monolocale di periferia, la luce, l’acqua, il gas, la rata infinita di una macchina che mi serve per il mio lavoro e, facendo attenzione, arrivo a fine mese con qualche piccolo prestito che onoro con immediatezza col mensile successivo. Dei miei sessant’anni ho passato un terzo facendo il migrante (dal profondo sud al nord del paese), il secondo capitolo della mia vita l’ho passato in galera e l’ultimo lo sto trascorrendo - grazie all’accoglienza che ho riscosso da un gruppo di persone oneste che hanno scelto di restare sul terreno di chi fatica davvero a sopravvivere - a sostenere quanti, meno fortunati di me, non riescono neppure a graffiarla la vita. Il motivo di questa mia lettera riguarda proprio il secondo capitolo della mia vita. I vent’anni di galera non li ho fatti per aver tentato di arricchirmi, ma per aver fatto parte di quel fenomeno di passione ideale e politica degli anni settanta che suppongo tu ricorderai. Un conflitto politico mai chiarito fino in fondo, preferendo invece la soluzione semplicistica delle forche caudine per i perdenti ed il sigillo di "terrorismo". Giorni fa, per la commemorazione dell’anniversario della morte di Aldo Moro, tu hai sostenuto (per la seconda volta) che i "terroristi", anche se hanno pagato con la galera, devono restare "silenti", non devono fare i "tribuni" perché c’è… una "questione morale"! Naturalmente, il mio pensiero corre alle "vittime" di quel conflitto che è bene ricordarle perché hanno pagato il prezzo maggiore. E quando parliamo di "vittime" intendiamo quelle che hanno pagato un prezzo. Alcune hanno pagato con la vita, altre sono sopravvissute morendo ogni giorno di nuovo, per anni, per decenni, da un lato e dall’altro della barricata! Onestà vorrebbe che si ricordassero tutte quelle "vittime" e non solo quelle più famose o di un solo versante della barricata. Senza cinismo parziale o opportunità politica. Ricordare, però, significa andare oltre le indagini giudiziarie per cercare una verità storica e politica accettabile, distaccata, onesta, ragionevole… Caro Presidente, ora io ti chiedo: a fronte di chi sbagliando non paga nulla e anzi fa carriera politica ed istituzionale, chi per aver sbagliato ha pure pagato perché mai dovrebbe stare "silente"? Dove sta scritto? Non sarà che proprio nella Costituzione Repubblicana della quale tu sei il custode è sostenuto qualcosa di diametralmente opposto? Quanto ai "tribuni" forse volevi intendere che può dare fastidio che dei sopravvissuti, ancorché reduci dalle galere, possano aver mantenuto una lucidità che consente loro di dire qualcosa di valido a fronte della moda fatta di consumati luoghi comuni che ci sentiamo scodellare quotidianamente dai mass media tutti protesi verso il… pensiero unico. Con buona pace per la "pluralità" (…)! E che dire della "morale", caro Presidente? A te sembra morale che uno come Totò Cuffaro, condannato per mafia (sia pure in primo grado di giudizio) faccia il senatore della Repubblica? Ti sembra morale che un intero Parlamento sia nominato da quattro segretari di partito scavalcando con disinvoltura la sovranità popolare? Ti sembra morale l’ormai comprovata collusione tra politica e mafie? Ti sembra morale che di fronte alla strage quotidiana di lavoratori non vi sia neppure un responsabile di queste stragi che si faccia un solo giorno di galera? Ti sembra morale che Calisto Tanzi, dopo aver letteralmente raggirato milioni di risparmiatori, con la complicità delle banche, se ne stia comodamente a casa sua mentre le banche continuano la loro opera di strozzinaggio? Ti sembra morale che Cesare Previti, dopo aver concorso alla ruberia di mille miliardi di vecchie lire di denaro pubblico abbia fatto una sola settimana di eroica galera, ed alcuni dei mandanti comprovati di quella ruberia non hanno fatto neppure un giorno di galera? Ti sembra morale che decine di parlamentari, più di un ministro, e persino il Presidente del Consiglio, abbiano subito condanne, o sono inquisiti, o con reati gravissimi abbiano riscosso la "prescrizione", per aver tentato (qualche volta riuscendoci) di arricchirsi facendosi corrompere, o corrompendo, o riscuotendo mazzette di denaro? Ti sembra morale che milioni di ragazzi dopo aver completato l’intero ciclo scolastico vadano avanti elemosinando contratti di lavoro indecenti della durata di qualche mese? Ti sembra morale che l’ultra secolare esperienza liberalsocialista sia spazzata via dalla rappresentanza parlamentare? Ti sembra morale che le nostre prigioni siano sempre piene di tossicodipendenti e di migranti per i quali i nuovi padroni del vapore vaneggiano di… buttare via le chiavi? Ti sembra morale che tutto, proprio tutto, come diceva Carlo Marx qualche secolo fa, debba essere ridotto a "mercanzia" da comprare e vendere, compresa la coscienza delle persone, soprattutto se povere? Ti sembra morale il clima razzista riproposto per i Rom ed i migranti, dopo i lavavetri ed i mendicanti? Ti sembra morale l’avvelenamento ambientale tirato in modo irreversibile dall’ingordigia (che non sa più digerire) del profitto? Ti sembra morale che, tolta qualche corporazione forte, nessuno più in questo paese si sente rappresentato istituzionalmente lasciando al proprio destino persino gli invalidi gravi e gli anziani fragili? Ti sembra morale che una sparuta minoranza predatrice di questo paese, pasciuta e foraggiata sempre di più, scateni la guerra tra i poveri restando a "distanza da casta" e consegnando il furore imbecille della "tolleranza zero" all’esercito della camorra che illumina le notti napoletane (la tua terra!) coi falò della spazzatura e delle baracche degli zingari? Ti sembra morale che decine di bambini da zero a tre anni crescano rinchiusi dentro le celle delle nostre carceri? Devo continuare? La morale, caro Presidente, è un valore indivisibile e tu lo sai bene: vale sempre e per tutti o non vale mai e per nessuno! A meno che non si voglia parlare della "doppia morale" e anche questa, purtroppo, è diventata di moda, al punto che ognuno ha la sua, e alcuni non ce l’hanno proprio! Non vale, pertanto, che tu ora voglia infierire contro i "terroristi" di quarant’anni fa (alcuni dei quali sono ancora in galera), ai quali almeno dovresti riconoscergli che non si sono arricchiti, vivono umilmente e di piccole cose sbarcando il lunario col lavoro e dopo aver pagato un prezzo davvero salato con decenni di galera (alcuni di loro non sono neppure sopravvissuti). Non vale neppure che alcuni di loro non debbono avere qualcosa di utile da dire e da dare, nonostante tutto. E lo sa solo il cielo quanto la deriva di questo nostro paese ne abbia bisogno, ora più che mai! "Tribuni"? Ne abbiamo talmente tanti sotto il naso, da recare gravi problemi persino al doppio stomaco dei ruminanti! Ma per comprendere queste cose, me ne rendo conto, bisogna stare nei luoghi giusti, nei luoghi veri, tra la gente, sulla strada, dove si fa l’esperienza necessaria, dove si capisce che il "sogno europeo" è ancora possibile (a differenza di quello americano ormai affogato nel sangue delle sue guerre) perché usa il linguaggio del "noi" collettivo, plurale e poliglotta, maschile, femminile e anche neutro, il "noi" sociale che soffoca e gioisce e che non taglia con la spada di Dio, né col laser del capitale i sapori dai saperi della vita. I "tribuni" veri sono quelli che riempiono ogni giorno i teleschermi e le prime pagine di tutti i giornali, tutti protesi a fare la guerra ai poveri alimentando un clima politico di stampo razzista e dimostrando quantomeno un’inconsapevolezza davvero spaventosa! Sono questi i "tribuni" che hanno paura della diversità, che seminano la colpa e generano la paura brandendo il potere sulla pelle del tuo popolo! Sono questi i "tribuni" che, tutti presi dagli interessi personali, familistici e amicali, ci stanno conducendo verso probabili nuovi spaventi! Dovresti, semmai, preoccuparti (e molto) di questi "tribuni" che ogni giorno offendono l’intelligenza e il buonsenso degli italiani costretti ormai alla vergogna di fronte al mondo! No, Presidente, il tuo richiamo al "silenzio" e alla "morale" (per i "terroristi" di quarant’anni fa), per la passione civile ed il desiderio di giustizia che mi accompagnano da quando sono nato, è per me inaccettabile. Di più: m’indigna profondamente! Ho messo in discussione "i mezzi" da me usati in quella stagione violenta, senza farne mercato. Ma le ragioni ideali e sociali di allora mi accompagnano ancora. Sono quelle ragioni che mi portano ormai da diversi anni all’appuntamento di Bruxelles, e per strada tutti i giorni. La nuova stagione di "saldi delle coscienze" mi trova ancora fuori mercato e lontano millenni dai mercanti novelli tragicamente illusi di poter comprare e vendere tutto, proprio tutto! Ad ogni costo! Bada, Presidente, non sto cercando di giustificare i miei errori e quelli dei miei compagni di strada, o scioccamente di glorificarmene, ma se devo essere costretto a scegliere tra chi sbagliando paga e chi sbagliando fa carriera, per dirla con Don Milani, i primi sono la mia patria i secondi i miei stranieri!
Beppe Battaglia Campania: Garante regionale dei detenuti, cominciamo male di Samuele Ciambriello (Città Invisibile) e Dario Stefano Dell’Aquila (Antigone)
Il Denaro, 3 giugno 2008
Abbiamo appreso dalla stampa che tra le varie nomine effettuate con poteri sostitutivi dal Presidente del Consiglio regionale della Campania vi è quella del Garante delle persone prive della libertà personale. Ne siamo rimasti stupiti, perplessi e anche amareggiati. Si dirà, ecco ci risiamo, ancora a ragionare di posti, facendo finta di parlare di politica. Non è così. Siamo perplessi perché parliamo dell’istituzione, in base alla legge regionale n. 18 del 2006, di una figura di Garante delle persone prive della libertà, che è potenzialmente un segno di civiltà giuridica e di maturità istituzionale. Nata in Europa come istituto di garanzia per le persone ristrette, quella del garante è divenuta una figura che si è progressivamente affermata in Italia. Nelle more di una proposta nazionale, la figura è stata istituita, ad esempio, dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma. La decisione di procedere all’uso dei poteri sostitutivi pone un primo problema di metodo. La legge, infatti, prevede che il Garante sia eletto dal Consiglio regionale con la maggioranza dei due terzi dei voti favorevoli nelle prime due votazioni e con la maggioranza semplice nella terza votazione. In questo modo il consiglio in primis si è sottratto alla possibilità di una scelta e di un dibattito pubblico sugli aspiranti, al contempo lo stesso presidente del consiglio regionale non ha motivato pubblicamente la propria decisione. I poteri sostitutivi sono una decisione "legittima", per tanti consigli di amministrazione, revisori dei conti.... Noi riteniamo che la persona nominata come Garante, la Prof.ssa Adriana Tocco, abbia ottime qualità professionali, come insegnante, esperta del mondo della scuola e consulente dell’Assessorato Regionale all’Istruzione. Ma, probabilmente, non ne ha nessuna, per la carica per la quale è stata indicata. Anche qui la legge prevede, infatti, che il Garante sia scelto tra candidati che hanno ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo o che hanno una indiscussa e acclarata competenza nel settore della protezione dei diritti fondamentali, con particolare riguardo ai temi della detenzione. A quanto ci risulta il neo Garante non ha alcuna esperienza specifica sul tema delle carceri e della detenzione. Ci auguriamo di essere smentiti. Il rischio reale è però quello di ridurre il potenziale di una figura che può essere riempita di contenuti ed operatività. Il Garante infatti si insedia per la prima volta. Si tratta di costruire ex novo un ruolo, di dargli funzioni e poteri. In altre regioni o comuni il Garante è stato scelto tra persone di indubbia competenza. Ci dispiace dovere registrare che qui in Campania sia stata intrapresa una strada diversa. Formuliamo una semplice proposta, di trasparenza, per verificare, per tutte le nomine effettuate dalla Presidente Lonardo con i poteri sostitutivi, titoli e competenze dei nominati: i curricula dei candidati - nominati siano resi pubblici, sul sito internet del Consiglio regionale, così i cittadini potranno comprendere o meno le ragioni di una scelta. Enna: l’atelier dietro le sbarre, un’impresa per otto detenute di Delia Parrinello
Famiglia Cristiana, 3 giugno 2008
Sostenute da don Luigi Ciotti, realizzano oggetti con la lana della pecora ennese. Presto nascerà una cooperativa. Intanto, preparano il futuro. Otto detenute di Enna stanno tentando di trasformare la lana di pecora in oggetti glamour e mentre la lavorano volano le ore dietro le sbarre. La rollano con i bastoni, la colorano con le piante e le danno forma senza forbici e aghi: borse, fiori, tappeti, golfini da neonato, pantofole, bracciali. Manipolano e pensano, forse questa attività non diventerà un mestiere fisso per dopo, ma certamente aiuta, "stavolta cambio vita". Gli oggetti sono pronti per andare sul mercato, ma c’è da fondare subito una cooperativa per rendere possibile la vendita. Le commesse sono già in arrivo: un centro commerciale di Palermo chiede oggetti d’arredamento, lo stilista Eugenio Vazzano, che produce con il marchio "Fatto in Sicilia", è disponibile a firmare accordi. L’artigianato carcerario di Enna è già stato presentato al Salone del benessere di Bologna e ad alcune galleriste milanesi. Ora il carcere diretto da Letizia Bellelli chiede un sostegno per dare il via all’impresa. Alcuni degli oggetti realizzati dalle detenute del carcere di Enna con la lana della pecora ennese, che lavorano senza ago e forbici. I prodotti dell’Atelier dietro le sbarre verranno venduti in alcuni negozi di Palermo. Le detenute hanno l’impegno di don Luigi Ciotti, che promette l’apertura di una piazza su Palermo. Il presidente di Libera, che dà lavoro a 700 persone, assicura che "a fine maggio in piazza Politeama ci verrà consegnato un negozio confiscato ai mafiosi. In questo negozio, proprio nel centro di Palermo, accanto ai prodotti provenienti dalle cooperative di Libera ci saranno i fiori di lana confezionati nel carcere di Enna". Una produzione continua, notte e giorno, con passione. "Mai avrei creduto nella bellezza di questa produzione, un ciuffo di lana di pecora ennese che diventa un bell’oggetto! All’inizio sembrava un gioco, ora è un’attività importante": la direttrice Bellelli parla di "detenute che creano a braccio, senza fermarsi, qualcuna è geniale. Non dormono di notte, dobbiamo dire: "ora basta"". Sono guidate da due stiliste dell’associazione Mani libere, Ninni Fussone e Tamuna Kiria, e da tutto il giro della formazione e della cooperazione che muove la Casa Circondariale. Da nove mesi manipolano lana di pecora con l’acqua tiepida e il sapone di Marsiglia all’olio di oliva, colorano con l’indaco, con la reseda, la robbia, la cipolla, la cocciniglia. Una pantofola è un pezzo unico, senza cuciture, una borsa è un pezzo unico fatta senza ago e filo, e anche una maglietta. Otto donne in un istituto con 160 detenuti e 130 unità di personale di polizia penitenziaria. Carcere vecchio, la direttrice Bellelli parla di "lavori che presto inizieranno in un’ala dell’immobile". Nella sezione speciale di alta sicurezza, mafia e droga, ci sono 35 detenuti. Pochi gli extracomunitari, il 10 per cento. Nelle celle a quattro o sei letti a castello, non c’è acqua calda. Le docce sono comuni ed esterne. Nelle celle i detenuti usano docce rudimentali, hanno organizzato bottiglie e tubi che finiscono con il filtro della caffettiera. Eppure a pochi chilometri, a Villalba, da anni c’è un carcere pronto ma inutilizzato. Successo e solidarietà all’inaugurazione dell’"Atelier dietro le sbarre", presentato nel carcere dalla giornalista Pierelisa Rizzo e dal provveditore degli istituti penitenziari siciliani Orazio Faramo. Don Ciotti parla di "successo anche della Chiesa, in questa provincia della Sicilia", e ricorda l’impegno sociale e contro il racket del vescovo di Piazza Armerina, monsignor Michele Pennisi. Le detenute sono in prima fila piantonate dagli agenti. Giuseppina Sorrentino pensa ai cinque figli che ha lasciato a casa, a Canicattì: "Per loro mi sono impegnata a lavorare il feltro, credo in un futuro". Salvatrice Licata detta Susy è una ragazza sveglia, in carcere da sette anni e ne farà ancora sei, "ma spero di essere fuori fra un anno, un anno e mezzo". Serviva ai tavoli dei ristoranti di Ribera (Agrigento) e ora, dietro le sbarre, cerca di uscire da tutti gli spazi per guardare fuori, lancia corde, sguardi, pure una telecamera è un’occasione per andare fuori, e anche un’attività manuale è un ponte. "Ho fatto sapere a mia mamma che nel carcere sto imparando a lavorare il feltro, e lei mi ha detto: sono contenta per te, mi auguro che possa servirti". Franca Gentilini è di Brescia, lavorava negli alberghi delle Eolie, ha fatto un corso di stilista industriale a Milano, fra sei mesi uscirà e sta bene. Rita Romeo, casalinga, cinque figli a Messina: "Penso al mio figlio maggiore che ha 23 anni e non è in Italia, intanto faccio collane, orecchini, borse". Loredana Sammartino indica la sua mano sinistra: "Vede questo anello a cinque petali? L’ho fatto pensando a mio figlio". Tiene sempre l’anello vicino al viso e quando gli oratori parlano di fare impresa piange.
Se anche i figli sono in prigione
Il Parlamento Europeo ha approvato il 13 marzo scorso una Risoluzione sulla particolare situazione delle donne detenute e l’impatto dell’incarcerazione dei genitori sulla vita sociale e familiare. Attualmente le donne "dietro le sbarre" sono il 5 per cento della popolazione carceraria europea. Tra le misure richieste per tutelare i diritti del bambino, si propongono "visite flessibili, luoghi che permettano una certa libertà di colloquio e di privacy familiare, un ambiente a misura di bambino e unità carcerarie separate per donne con figli". Perché, aggiunge la Risoluzione, "le condizioni di carcerazione delle donne incinte e nel periodo dell’allattamento, così come di quelle che hanno in cura bambini piccoli, devono sempre tenere conto dell’interesse superiore del bambino". Il documento approvato dal Parlamento europeo chiede, inoltre, "l’accesso senza alcuna discriminazione all’impiego, al lavoro volontario, alla formazione che segua le vocazioni personali e misure di educazione civica, intese a facilitare la loro reintegrazione". Al 31 dicembre 2007 le detenute nelle carceri italiane erano 2.175 (68 con figli in carcere, 23 in stato di gravidanza). Latina: da Garante dei detenuti opuscoli su tutela della salute
Comunicato Stampa, 3 giugno 2008
Nel carcere di Latina gli opuscoli gratuiti del Garante dei detenuti sulla prevenzione delle malattie più diffuse in cella. Consentire ai detenuti del Carcere di Latina di avere uno strumento per conoscere le malattie più diffuse e pericolose in carcere: Hiv, Tubercolosi, Epatiti Virali e malattie psichiatriche. È questo, in estrema sintesi, l’obiettivo della Guida Informativa in Sei lingue (italiano, arabo, spagnolo, romeno, francese e inglese), intitolata "Conoscere e Prevenire" , edita dal Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni, che lo stesso garante sta consegnando gratuitamente ai detenuti delle carceri di tutto il Lazio. L’opuscolo è composto da quattro capitoli. Il primo è un "Vademecum del nuovo giunto", sulle malattie psichiatriche, gli altri tre sono dedicati alla "Malattia da Hiv in carcere", alla "Tubercolosi" e alle "Epatiti Virali". Per ognuna delle malattie sono indicate informazioni di base, come ci si ammala, come si trasmette, come si manifesta, come si cura e come si previene. Infine, una indicazione sui Centri specialistici cui rivolgersi. A Latina la consegna degli opuscoli è stata anche l’occasione per incontrare, in due distinti momenti, oltre cinquanta reclusi: 30 uomini e più di 25 donne dell’Alta Sicurezza. Nell’area Polivalente del carcere, dopo il saluto della direzione e l’introduzione del Capo Area, si è svolto un confronto-incontro tra gli operatori del Garante e i detenuti durato oltre tre ore, nel corso delle quali oltre alle domande su patologie come Hiv e Tbc, i reclusi hanno voluto conoscere l’attività fin qui svolta dal Garante dei Detenuti (colloqui, rapporti magistratura, richieste di visite). Nel carcere di Latina (che serve un bacino di circa 500.000 persone) sono attualmente presenti 120 detenuti, praticamente il massimo della capienza consentita. La sezione maschile è organizzata in tre distinti trattamenti: comuni, precauzionali e nuovi giunti. Quella femminile è invece organizzata in Alta Sicurezza e Eiv (Elevato Indice di Vigilanza). Circa il 40% dei detenuti sono stranieri; una percentuale variabile tra il 40 e il 60% di loro è in attesa di giudizio (giudicabili e appellanti ). "I problemi del carcere di Latina sono legati alla forte carenza di personale, e di risorse, che non consente di operare come si dovrebbe - ha detto il Garante dei Detenuti Angiolo Marroni - Identici problemi abbiano anche dal punto di vista sanitario. Per questo sono convinto che questo vademecum, oltre ai detenuti, possa servire anche all’opinione pubblica per capire che i reclusi non sono solo un problema di sicurezza, ma persone titolari di diritti, come quello alla salute, che non perdono una volta entrati in carcere". Busto Arsizio: concerto in carcere, sul palco salgono i detenuti
Varese News, 3 giugno 2008
Si sono conosciuti tre mesi fa e hanno scoperto di avere una passione in comune: la musica. Così è nato il gruppo musicale composto da sei detenuti che si esibirà sabato 7 giugno nel campo sportivo del carcere di Busto Arsizio dalle 18 in poi. L’iniziativa - prima nel suo genere nella casa circondariale bustocca - è stata fortemente voluta da Rita Gaeta, coordinatrice dell’area trattamentale della struttura al confine fra Busto e Cassano Magnago. "Sono un’amante della musica - racconta - e l’idea del concerto è stata spontanea. Quello di sabato sarà un momento importante soprattutto per i detenuti. Credo sia fondamentale fare musica in un carcere, un luogo in cui i rumori quotidiani sono così particolari rispetto a quelli esterni. Credo che per loro sia un modo per sentirsi in un mondo più libero". Non a caso il nome che i detenuti hanno scelto per il loro concerto è "Questa sera tenetevi liberi". Ad applaudire il gruppo che si esibirà per circa due ora con un repertorio di 30 canzoni degli anni ‘60, ‘80 e ‘90, ci saranno vari esponenti del mondo istituzionale locale e provinciale e i rappresentanti di altre Case Circondariali. Ma soprattutto ci saranno tanti dei loro compagni. Non tutti però perché, per via dei permessi, potranno assistere allo spettacolo solo coloro che hanno già una condanna definitiva o sono appellanti. Sui 380 detenuti, ad assistere e a cantare con i musicisti ce ne saranno circa 160. Aprirà il concerto uno dei membri del gruppo, di origine brasiliana, che ha deciso di scrivere e condividere con il pubblico una sua riflessione sull’importanza che ha avuto nella sua vita in carcere la musica come forma di evasione mentale. Venezia: blitz della Lega contro campo nomadi in costruzione
Corriere della Sera, 3 giugno 2008
Blitz di esponenti e simpatizzanti della Lega Nord, poco dopo l’alba, a Mestre (Venezia) per bloccare i lavori di costruzione di un campo nomadi finanziato dal Comune con 2,8 milioni di euro. Alla manifestazione - hanno riferito gli organizzatori - partecipano alcune decine di persone; alcuni di loro si stanno incatenando per impedire l’avvio dei lavori che, già previsti per i giorni scorsi, stanno subendo dei rinvii. Oltre agli esponenti del Carroccio, sono presenti i rappresentati del comitato di cittadini contrario alla costruzione del campo, che è destinato a una comunità di Sinti che da decenni vive a Mestre. Sono previste piccole casette con annessa, a ciascuna, lo spazio per parcheggiare una roulotte. "Il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari - ha detto il capogruppo della Lega in consiglio comunale, Alberto Mazzonetto - con questa iniziativa ha tradito i veneziani. I costi del campo incideranno sulla finanza locale e impediranno altre opere che sono prioritarie. A Venezia c’è una emergenza abitativa per almeno 2000 persone, sfrattate o prive di casa: i soldi per il campo dovevano andare a loro. Per Cacciari vengono prima i nomadi che i veneziani indigenti". Cacciari: "iniziativa vergognosa" - Massimo Cacciari ha definito il blitz leghista nel nuovo campo nomadi a Mestre, come "un’iniziativa vergognosa. La Lega cerca evidentemente lo scontro - ha detto il sindaco - ma noi andiamo avanti. Prima o poi si stancheranno". Sulla possibilità dell’uso della forza, il sindaco ha precisato che sta "alla Questura decidere come muoversi, non al Comune". "È un’iniziativa vergognosamente strumentale - ha precisato Cacciari -, priva di ogni fondamento". "La decisione di istituire il campo - ricorda - risale addirittura al 1997, è stata approvata da tutti i consigli comunali possibili, e la richiesta di sospensiva è stata rigettata dal Tar". Il sindaco sottolinea peraltro che le persone che si insedieranno nel campo "sono cittadini veneziani a tutti gli effetti, di seconda e terza generazione, esattamente come parte di coloro che stanno manifestando. I loro figli - conclude - vanno a scuola da anni, i genitori lavorano, regolarmente, nella raccolta del ferro. Ripeto, è una protesta totalmente strumentale". Immigrazione: Bernardini; il Cpt di Ponte Galeria è un inferno
Apcom, 3 giugno 2008
Il Cpt di Ponte Galeria di Roma "è un inferno", una struttura di cemento e grate dove manca quasi tutto, igiene compresa, i rifiuti sono per terra, nei corridoi, i servizi igienici sono rotti o sporchi, e chi è chiuso là dentro non ha riconosciuti i suoi diritti, una situazione esplosiva: è questa la sintesi di Rita Bernardini, deputata Radicali-Pd e Segretaria dei Radicali italiani, che oggi ha visitato il centro con la collega Elisabetta Zamparutti ed Elettra Deiana, dirigente di Rifondazione. Nel centro, alla periferia di Roma, ci sono 109 donne e 134 uomini provenienti da Marocco, Albania, Romania, Nord Africa, Afghanistan, "alcune appena uscite di galera, alcune che devono essere espulse, altre in attesa di regolarizzazione, altre ancora in attesa di asilo politico". Il Cpt è un posto triste e squallido, anzi "di uno squallore unico" - racconta Bernardini - tutto cemento e grate, un cortile vuoto su cui si affacciano le camerate, tutte a livello terra. La delegazione racconta di aver trovato una situazione drammatica soprattutto nel reparto maschile, in quello femminile le condizioni igieniche sono migliori e l’ambiente è più sereno, in quello maschile invece hanno trovato "l’inferno": sporcizia dappertutto, nonostante al centro assicurino che ogni mattina alle 6 arrivi una ditta delle pulizie, mura sporche e scrostate, rubinetti e docce rotti, rifiuti per terra, non ci sono i bidoni "pericolosi", non una pianta, anche i vasi sono "pericolosi", non un colore. "Sono persone abbandonate da Dio e dagli uomini". Ma sono persone che vogliono raccontare la loro storia, volti che sembrano avere 70 anni e invece ne hanno 50, voci che si sovrappongono, alcune agitate, altre lamentose. C’è un ragazzo di 21 anni rumeno, biondo con la faccetta "buona" che da una settimana è nel Cpt e non ha ancora ricevuto la tessera per telefonare alla madre in Romania, che non sa più dove sia il figlio. C’è un marocchino con il braccio piagato, che dice "non sono ancora stato medicato", fortuna vuole che con la delegazione ci sia un membro della Cri che provvede. C’è il tossicodipendente da eroina - sono in 5-6 nel Cpt, tutti uomini - che chiede perché non venga mandato in una comunità per curarsi. Ci sono 4-5 afgani che non parlano una parola di italiano, portati nel Cpt direttamente dal container che li ha "trasportati" in Italia, vorrebbero chiedere diritto d’asilo ma non sanno come. E ancora, c’è un signore marocchino da vent’anni in Italia, un lavoro, una moglie e 4 figli, una va all’università e lui chiede: perché mia figlia deve preoccuparsi per me, perché sono qui? Dovrebbe preoccuparsi solo di studiare!’, Ce ne è un altro che ha la sua compagna nel reparto femminile, di là dal cortile, incinta di tre mesi: all’inizio riuscivano a vedersi, in qualche modo, ora non più, da molto, non è possibile, non sono sposati. C’è un albanese di 30 anni, vestito abbastanza bene, al meglio che può, pulito, doccia appena fatta che chiede dia vere almeno un deodorante e dei saponi per pulire meglio i bagni. Il reparto femminile è più pulito e sereno, ma non mancano storie drammatiche. Qui ci sono molte filippine, molte badanti. C’è una donna albanese, una badante, che è stata portata qui e dal 7 aprile non ha notizie di sua figlia, un anno e mezzo, presa in affidamento dai servizi sociali, l’unico desiderio che ha ora è tornare in Albania con la figlia. "Stiamo preparando un’interrogazione parlamentare", dice Rita Bernardini e "chiediamo al governo e a Maroni di rivedere i provvedimenti sull’immigrazione"; soprattutto la proposta di elevare a 18 mesi la possibilità di permanenza nei Cpt, spiega, e per questo "lo invito a venire a vedere di persona come stanno qui gli immigrati". Inoltre, avverte la Segretaria dei Radicali, se vanno avanti "le norme sul reato di clandestinità si rischia non solo il collasso dei Cpt, ma quello delle carceri e della giustizia, un sistema già malato che ha 10 milioni di processi arretrati". Immigrazione: Medici Senza Frontiere chiede l’accesso ai Cpt
Comunicato Stampa, 3 giugno 2008
Medici Senza Frontiere (Msf) esprime profonda preoccupazione per alcuni punti contenuti nel "pacchetto sicurezza" approvato il 21 maggio scorso dal Consiglio dei Ministri. Msf è sconcertata dall’intento, previsto nel disegno di legge, di estendere a 18 mesi (dagli attuali due) il tempo massimo di permanenza all’interno dei Centri di Permanenza Temporanea e di Assistenza (Cpta), di introdurre il reato di immigrazione clandestina. Come emerso dal rapporto prodotto dalla "Commissione del Viminale per la verifica della funzionalità dei centri di permanenza temporanea per immigrati" (2007) presieduta dall’ambasciatore Steffan De Mistura, il raddoppio da 30 a 60 giorni del periodo di permanenza all’interno di un Cpta, non ha prodotto nessun incremento sostanziale del numero delle identificazioni e quindi delle procedure di espulsione. Nel 2004, nel rapporto "Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza. Anatomia di un fallimento" Msf, unica organizzazione non governativa indipendente ad essere entrata nei Cpta, denunciava le condizioni inaccettabili di questi centri, all’interno dei quali si verificavano abusi da parte delle forze dell’ordine, utilizzo incongruo di psicofarmaci, episodi di autolesionismo e un’assoluta incapacità di garantire standard minimi di accoglienza. "Temiamo che con l’estensione a 18 mesi del periodo massimo di permanenza all’interno dei Cpta, le condizioni di vita e di salute delle persone trattenute non possano che peggiorare", dichiara Loris De Filippi, responsabile dei progetti di Msf Italia. "Nonostante oggi siano presenti organismi di tutela all’interno dei Cpta - prosegue De Filippi - chiediamo che venga nuovamente garantito a Medici Senza Frontiere, l’accesso ai Cpta per potere monitorare l’effettivo rispetto di condizioni di salute adeguate per i migranti". Con l’introduzione del reato di immigrazione clandestina si creerebbe un esercito di persone penalmente perseguibili. In base ai dati forniti dal Ministero dell’Interno, oggi in Italia sarebbero presenti oltre 500 mila migranti irregolari rimasti esclusi dall’ultima domanda per ottenere il permesso di soggiorno prevista dal cosiddetto "decreto flussi" dello scorso novembre. A questi vanno aggiunti tutti coloro che non hanno mai presentato la domanda. MSF ritiene che l’introduzione del reato di immigrazione clandestina porterebbe ad una ulteriore precarizzazione delle condizioni di vita di centinaia di migliaia di persone, con pesanti conseguenze sulle loro condizioni e di salute. "Temiamo che l’introduzione del reato di immigrazione clandestina possa ulteriormente esacerbare la situazione di sfruttamento dei migranti irregolari impiegati come lavoratori stagionali", continua Loris De Filippi, "rendendoli ancora più vulnerabili di fronte a fenomeni di abuso e di sfruttamento, e ostacolando ulteriormente l’accesso alle cure, cui tutti gli stranieri, anche irregolarmente presenti, hanno diritto secondo quanto stabilito dalla legge Bossi-Fini".
Medici Senza Frontiere Immigrazione: appello contro il pericolo "razzismo di massa"
Comunicato stampa, 3 giugno 2008
Siamo persone - storici, giuristi, antropologi, sociologi, filosofi, operatori culturali- che da tempo si occupano di razzismo. Il nostro vissuto, i nostri studi e la nostra esperienza professionale ci hanno condotto ad analizzare i processi di diffusione del pregiudizio razzista e i meccanismi di attivazione del razzismo di massa. Per questo destano in noi vive preoccupazioni gli avvenimenti di questi giorni - le aggressioni agli insediamenti rom, le deportazioni, i roghi degenerati in veri e propri pogrom - e le gravi misure preannunciate dal governo col pretesto di rispondere alla domanda di sicurezza posta da una parte della cittadinanza. Avvertiamo il pericolo che possa accadere qualcosa di terribile: qualcosa di nuovo ma non di inedito. La violenza razzista non nasce oggi in Italia. Come nel resto dell’Europa, essa è stata, tra Otto e Novecento, un corollario della modernizzazione del Paese. Negli ultimi decenni è stata alimentata dagli effetti sociali della globalizzazione, a cominciare dall’incremento dei flussi migratori e dalle conseguenze degli enormi differenziali salariali. Con ogni probabilità, nel corso di questi venti anni è stata sottovalutata la gravità di taluni fenomeni. Nonostante ripetuti allarmi, è stato banalizzato il diffondersi di mitologie neo-etniche e si è voluto ignorare il ritorno di ideologie razziste di chiara matrice nazifascista. Ma oggi si rischia un salto di qualità nella misura in cui tendono a saltare i dispositivi di interdizione che hanno sin qui impedito il riaffermarsi di un senso comune razzista e di pratiche razziste di massa. Gli avvenimenti di questi giorni, spesso amplificati e distorti dalla stampa, rischiano di riabilitare il razzismo come reazione legittima a comportamenti devianti e a minacce reali o presunte. Ma qualora nell’immaginario collettivo il razzismo cessasse di apparire una pratica censurabile per assumere i connotati di un "nuovo diritto", allora davvero varcheremmo una soglia cruciale, al di là della quale potrebbero innescarsi processi non più governabili. Vorremmo che questo allarme venisse raccolto da tutti, a cominciare dalle più alte cariche dello Stato, dagli amministratori locali, dagli insegnanti e dagli operatori dell’informazione. Non ci interessa in questa sede la polemica politica. Il pericolo ci appare troppo grave, tale da porre a repentaglio le fondamenta stesse della convivenza civile, come già accadde nel secolo scorso - e anche allora i rom furono tra le vittime designate della violenza razzista. Mai come in questi giorni ci è apparso chiaro come avesse ragione Primo Levi nel paventare la possibilità che quell’atroce passato tornasse. Le adesioni possono essere inviate a: razzismodimassa@gmail.com. Promotori dell’appello: Marco Aime, Rita Bernardini, Alberto Burgio, Carlo Cartocci, Tullia Catalan, Enzo Collotti, Alessandro Dal Lago, Giuseppe Di Lello, Angelo D’Orsi, Giuseppe, Faso, Mercedes Frias, Gianluca Gabrielli, Clara Gallini, Pupa Garribba, Francesco Germinario, Patrizio Gonnella, Gianfranco Laccone, Maria Immacolata Macioti, Brunello Mantelli, Giovanni Miccoli, Giuseppe Mosconi, Grazia Naletto, Michele Nani, Salvatore Palidda, Marco Perduca, Pier Paolo Poggio, Carlo Postiglione, Enrico Pugliese, Annamaria Rivera, Rossella Ropa, Emilio Santoro, Katia Scannavini, Renate Siebert, Gianfranco Spadaccia, Elena Spinelli, Diacono Todeschini, Nicola Tranfaglia, Fulvio Vassallo Paleologo, Barbara Valmorin, Danilo Zolo. Droghe: Moratti; distinguere fra spacciatori e consumatori…
Notiziario Aduc, 3 giugno 2008
Nel decreto sulla sicurezza, preparato dal Governo, vi è una lacuna in tema di droga, in particolare per quanto riguarda il discrimine tra spaccio e consumo, che l’Esecutivo dovrebbe colmare con un semplice emendamento. A sostenerlo, a margine delle celebrazioni per la Festa della Repubblica nei giardini della Prefettura, è il sindaco di Milano, Letizia Moratti. In tema di "droga vi è una lacuna" che va limata rapidamente, proprio per il carattere di "necessità e urgenza" ricoperto dallo stesso istituto del decreto. Recentemente, ha aggiunto, è stata emessa ‘una sentenza che rende impossibile distinguere chi spaccia da chi consuma. È necessaria una modifica che determini in maniera chiara e preciso cosa è consumo e cosa è spacciò. Della vicenda, ha concluso Letizia Moratti, "ho parlato con il ministro e sperò che venga proposto un emendamento "al decreto". Sempre sul fronte della sicurezza, il sindaco ha detto di avere ‘domani in agenda un incontro con il prefetto". Droghe: fumare… 18mila spinelli può danneggiare il cervello
Notiziario Aduc, 3 giugno 2008
Fumare cannabis per lunghi periodi di tempo può ridurre le zone del cervello che governano le emozioni e la memoria. Un gruppo di scienziati australiani, scrive il Guardian, ha usato la risonanza magnetica per visualizzare il cervello di persone che hanno ammesso di fumare circa cinque spinelli al giorno da almeno 10 anni (per un totale di circa 18.200 canne) . Le immagini sono state confrontate con quelle di persone che invece non assumono cannabis. Chi fuma regolarmente spinelli in media ha l’ippocampo, l’area deputata all’apprendimento, alla memoria e alle emozioni, inferiore del 12% e l’amigdala, che regola la paura e l’aggressione, più piccola del 7%. La ricerca, condotta da Murat Yucel dell’Università di Melbourne con i colleghi dell’Università di Wollongong, riguarda un distretto gruppo di persone (15 fumatori e 16 non fumatori) e per avere ulteriori conferme dovrebbe essere condotta su più soggetti. Ma questo primo studio dimostra comunque che la cannabis se consumata in maniera massiccia quotidianamente "può avere effetti tossici per i tessuti del cervello umano", scrive il giornale scientifico "Archivio di psichiatria generale". Inoltre, non è chiaro se questi effetti sono reversibili nel momento in cui si cessa di fumare. Russia: 4 detenuti uccisi da pestaggio delle guardie carcerarie
Adnkronos, 3 giugno 2008
Quattro detenuti russi sono morti in conseguenza delle violente percosse ricevute dalle guardie del carcere di Chelyabinsk, città negli Urali. Il procuratore regionale ha precisato che i quattro uomini, condannati per droga, erano diventati aggressivi nel corridoio del carcere dove venivano trasferiti dopo la sentenza, incitando gli altri detenuti alla rivolta. Nel tentativo di ribellione, ha aggiunto l’ufficio del procuratore, i quattro detenuti avevano ferito cinque guardie carcerarie, scatenandone la reazione e il pestaggio. I detenuti sono morti nelle celle di isolamento dove erano stati rinchiusi, ha riferito la Interfax citando le autorità locali. Usa: scandalo per presunti terroristi rinchiusi su navi - galere
Adnkronos, 3 giugno 2008
Gli Stati Uniti smentiscono di aver allestito una serie di navi come "prigioni galleggianti" per ospitarvi presunti terroristi. L’accusa, dell’organizzazione umanitaria Reprieve, era stata raccolta dal quotidiano britannico The Guardian. Il comandante di marina Jeffrey Gordon, un portavoce del Pentagono, ha detto che "le uniche strutture di detenzione del ministero della Difesa americano si trovano in Iraq, Afghanistan e a Guantanamo". Gordon ha però ammesso che alcuni prigionieri sono stati trattenuti provvisoriamente a bordo delle navi Bataan e Peleliu fra il 2001 e il 2002. Fra questi l’americano John Walker Lindh, catturato in Afghanistan mentre combatteva a fianco dei talebani. In tutto, ha detto Gordon, meno di una decina di prigionieri hanno subìto questa specie di detenzione provvisoria. Tuttavia la Ong Reprieve ribatte che, oltre alla Bataan e la Peleliu, sarebbero state utilizzate come prigioni altre 15 unità non identificate che avrebbero operato nei pressi della base angloamericana di Diego Garcia. Si tratta di una base dove, per stessa ammissione del governo britannico, erano atterrati almeno due apparecchi utilizzati dalla Cia per le operazioni di "extraordinary renditions". Si tratta di una pratica che, secondo Reprieve, è continuata anche dopo il 2006, quando la Casa Bianca la dichiarò conclusa.
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