Rassegna stampa 9 gennaio

 

Caserta: internato 26enne suicida nell’Opg di Aversa

 

Comunicato stampa, 9 gennaio 2007

 

Un internato nell’ospedale psichiatrico di Aversa, di 26 anni, Fabrizio P. si è tolto la vita impiccandosi. È il settimo morto in 14 mesi. Lo rende noto l’Associazione Antigone - Campania. Il fatto è avvenuto il 4 gennaio.

"Fabrizio - ha dichiarato Dario Stefano Dell’Aquila, presidente di Antigone Campania - si è tolto la vita a soli 26 anni. Internato da poco più di un anno, era affetto da una patologia mentale seria e condannato a una misura di sicurezza. È il quarto suicidio nel giro di quattordici mesi. Nello stesso periodo contiamo anche 3 morti per malattia, uno dei quali per Hiv". "Riteniamo non più rinviabile affrontare la questione degli ospedali psichiatrici giudiziari, due dei quali sono in Campania, anche alla luce del recente passaggio della sanità penitenziaria a quella regionale. E però non possiamo più attendere, né possiamo assistere impotenti a questo stillicidio"

"Per questo motivo, ha concluso Dario Stefano Dell’Aquila, è necessario che attivare tutte le risorse necessarie per garantire la tutela delle persone internate, a cominciare dal diritto all’assistenza sanitaria e fare chiarezza sulle dinamiche di questa morte".

 

Ass. Antigone Campania

Giustizia: bambini senza sbarre, di Gennaro Santoro

 

Liberazione, 9 gennaio 2007

 

Non tutti sanno che i bambini da 0 a 3 anni possono stare in carcere con le mamme. Una misura adottata al fine di evitare il dramma della separazione tra madre detenuta e figlio in tenera età; una misura che però crea l’aberrazione della detenzione di piccoli innocenti, di bimbi che escono all’aperto per fare "l’ora d’aria", che vivono circondati da persone in divisa e forse non hanno mai visto una strada piena di gente. Grazie all’indulto i bambini nelle carceri italiane erano diminuiti del 45% (tra il 2002 e il 2006 la media giornaliera è stata di 60 piccoli ristretti), ma negli ultimi tempi si è quasi tornati alle cifre pre-indulto.

La legge 40/2001 prospetta una serie di misure volte a far evitare il carcere alle detenute madri e ai propri bambini ma è stata largamente disapplicata dai giudici e presenta dei limiti nell’accesso ai benefici soprattutto per chi è in attesa di giudizio. Attualmente le mamme straniere rappresentano oltre il 90% delle detenute madri perché spesso non hanno un abitazione dove scontare gli arresti domiciliari né hanno in concreto accesso alle altre misure alternative.

Per ovviare a questo dramma la Commissione Giustizia della Camera ha approvato un disegno di legge dal titolo "Disposizioni per la tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori" che nei prossimi mesi dovrebbe essere discusso in Aula. Punto centrale è la realizzazione di case-famiglia protette per tutti quei casi in cui non siano possibili misure di sospensione o comunque alternative alla carcerazione.

Il progetto di legge elimina qualsivoglia valutazione discrezionale da parte del giudice disponendo la custodia in case famiglia protette di madri con prole di età inferiore ai dieci anni ed eliminando gli ostacoli all’applicazione della detenzione domiciliare. Senza sbarre e senza divise si mettono finalmente al centro le esigenze del piccolo per garantire un normale sviluppo, in un ambiente più idoneo e più umano, diverso dal carcere.

Viene inoltre prevista un’ulteriore ipotesi di permesso che autorizza la detenuta ad accompagnare il figlio all’ospedale in caso di ricovero del bambino al pronto soccorso e di soggiornare presso la struttura ospedaliera per tutto il periodo della degenza. Allo stato attuale quando un piccolo ristretto deve essere ricoverato viene portato in ospedale da un agente e lì è lasciato da solo: le madri dovrebbero essere con loro, ma il permesso del giudice a volte arriva troppo tardi (Per le lungaggini delle autorizzazioni, ad es., la scorsa estate sono avvenuti due parti nell’infermeria di Rebibbia). A Milano è sorto un Istituto a custodia Attenuata per madri che, in parte, anticipa il disegno di legge. Esperienze simili dovrebbero prender luce entro quest’anno anche a Roma, Firenze e Venezia.

Toscana: 369.000 euro per il reinserimento dei detenuti

di Simona Bellocci

 

In Toscana, 9 gennaio 2007

 

Appena approvati i bandi regionali che finanzieranno progetti degli enti locali e del privato sociale per il reinserimento sociale e lavorativo delle persone detenute. Entro il 2008 l’assessore Salvadori punta anche alla firma di due protocolli d’intesa per il rafforzamento dell’offerta formativa del Polo Universitario Penitenziario e per attività di ricerca.

Oggi, a poco più di un anno dall’indulto, le presenze nelle carceri della Toscana sono di nuovo a livelli elevati come si evince dai dati presentati lo scorso dicembre dalla Fondazione Michelucci e dalla Regione Toscana: sono infatti 3145 le persone detenute nei penitenziari del territorio, con una massiccia presenza maschile. Stando ai dati aggiornati a giugno 2007 sarebbero difatti 3010 i detenuti maschi nelle carceri toscane, con una presenza femminile pari al 4% del totale. Alta infine la presenza di stranieri tra la popolazione detenuta: sono il 48% sul totale.

Una fotografia, quella che emerge dai dati, che ha spinto la Regione Toscana ad investire in maniera ancora più determinata in programmi ed interventi sul territorio: un impegno che nel 2007 ha visto l’erogazione di risorse, per azioni sulla realtà carceraria, pari a 500.000 euro.

Investimenti su progetti di inserimento sociale per gli ex detenuti e per le persone ancora in stato di detenzione che avranno seguito anche nel 2008, a partire dal nuovo bando appena emesso dall’assessorato alle politiche sociali: un totale di 249.000 euro di cui potranno beneficiare enti locali e soggetti del privato sociale che presenteranno progetti finalizzati a favorire l’inserimento lavorativo, formazione professionale e sostegno e diffusione della conoscenza dei diritti dei detenuti. Le proposte di progetto dovranno essere recapitate entro il 29 Febbraio 2008, a mezzo raccomandata A.R. al Settore "Cittadinanza Sociale" c/o Regione Toscana - Assessorato alle Politiche Sociali Via di Novoli 27 - Palazzo A 50127 Firenze.

Ma non solo. È stato infatti approvato un ulteriore bando grazie al quale verranno destinati altri 120.000 euro, per il finanziamento di progetti riguardanti la "creazione" sul territorio di nuove figure educative capaci di "dialogare" e di fare da raccordo fra il personale socio-educativo della struttura penitenziaria e quello socio-educativo del territorio di riferimento. Operatori che possano svolgere vere e proprie funzioni di trade union, al fine di costituire progetti di reinserimento sociale sinergici fra le differenti realtà socio-educative che accompagnino il detenuto in un percorso che consenta un ricollocamento concreto e quanto meno traumatico nella società.

Un impegno capillare quindi, quello messo in atto per le politiche sul carcere dalla Regione Toscana, che si pone l’obiettivo di rafforzare sempre più la "rete" territoriale a sostegno delle persone detenute, della loro rieducazione e successivo reinserimento. Un lavoro che parte dalle buone pratiche fino al "dialogo", sempre più fattivo e di collaborazione con i soggetti che operano fianco a fianco "per" e "con" la realtà del carcere, tanto che l’Assessorato alle politiche sociali punta alla firma, sembra entro il 2008, di due protocolli d’intesa. Il primo tra la Regione, l’Amministrazione Penitenziaria e le tre Università di Firenze, Pisa, Siena, per il potenziamento e ampliamento dell’offerta formativa del Polo Universitario Penitenziario ed il secondo accordo che sarà siglato da Regione, Amministrazione Penitenziaria e Centro Giustizia Minorile per il coordinamento ed il rafforzamento delle attività e della ricerca volte ai detenuti ed ex detenuti italiani e stranieri.

Roma: Papillon; ultimo saluto a un caro "delinquente"

 

Comunicato stampa, 9 gennaio 2008

 

Questa mattina, nella Chiesa di S. Maria in Trastevere, tanti amici e familiari hanno salutato per l’ultima volta Gilberto Brega, 56 anni, uno dei primi e più attivi associati della Papillon-Rebibbia. Uscito a fine pena lo scorso giugno, dopo dieci anni di carcere trascorsi subendo continui trasferimenti a causa della sua pacifica attività di denuncia della stupidità e della violenza dell’istituzione carceraria, Gilberto ha scoperto di essere afflitto da un avanzato tumore ai polmoni.

Nel mentre iniziava questa difficilissima battaglia, non dimenticava certo le migliaia di detenuti (di tutte le nazionalità e convinzioni religiose e politiche) insieme ai quali aveva vissuto e lottato a Rebibbia, Porto Azzurro, Alessandria, Novara, Tolmezzo, e non perdeva quindi occasione per continuare a partecipare alle nostre iniziative pubbliche contro l’illusione che più carcere equivalga a maggior sicurezza per i Cittadini.

Inoltre, egli lavorava anche per gli altri progetti della Papillon. Insieme abbiamo realizzato dei servizi televisivi che presto permetteranno, anche a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo, di apprezzarne la semplicità, la determinazione, la forza e la dignità.

Un vero gigante, che giustamente disprezzava quelle poche ma ben pasciute combriccole di "parassiti del disagio sociale" che purtroppo inquinano le istituzioni e persino il mondo del volontariato e del terzo settore.

A Gilberto dedicheremo la scuola di musica e di ballo che stiamo cercando di realizzare nella periferia del Municipio VIII di Roma, avvalendoci anche della generosa risposta che tanti cittadini stanno fornendo ai recenti appelli lanciati da alcune emittenti radiofoniche.

Tutti i detenuti che lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene possono scrivere alla nostra associazione, in via Raoul Chiodelli 103 - 00132 Roma. Tutte saranno pubblicate sul sito www.papillonrebibbia.org

 

Vittorio Antonini, Associazione Papillon-Rebibbia

Roma: quando i detenuti salgono sul palcoscenico

di Roberta Marchetti

 

Il Messaggero, 9 gennaio 2008

 

Dal 15 al 20 gennaio torna in scena al Teatro Parioli, per il secondo anno consecutivo, la "Compagnia Stabile Assai" della Casa di Reclusione di Rebibbia con "E", opera scritta da Antonio Lauritano, Antonio Turco, Gaetano Campo e Massimo Tata. Spettacolo in due atti, che, ricco di musica, inviterà gli spettatori non solo a trascorrere qualche ora in allegria ma anche a riflettere. La "Compagnia Stabile Assai" è la più antica compagnia teatrale penitenziaria italiana, composta da detenuti, ex detenuti, operatori carcerari e attori professionisti. La Compagnia, nata nel 1982, ha sempre messo in scena testi scritto direttamente da detenuti e riguardanti tematiche complesse come la malattia mentale, l’ergastolo, l’immigrazione, ottenendo notevoli consensi in tutta Italia. Un evento, dunque, non solo teatrale ma soprattutto sociale, un’occasione per i detenuti di farsi capire un po’ di più e un’occasione per tutti noi di capire che ognuno ha diritto ad una seconda possibilità.

Droghe: aprire le narco-sale? le vite si salvano così...

di Andrea Boraschi e Luigi Manconi

 

L’Unità, 9 gennaio 2008

 

Il nuovo anno si apre con un’impennata di morti da overdose d’eroina. Cinque nella sola città di Roma. Molti leggono le cause di questa recrudescenza nelle dinamiche internazionali del traffico degli stupefacenti; e individuano nella sovrapproduzione afghana di oppio la causa della disponibilità sul mercato di eroina troppo pura e a basso costo. La cronaca nera, dunque, sembra risospingere nell’agenda politica un tema altrimenti trascurato.

Il consumo di oppiacei sta tornando a crescere, ora con incrementi significativi, dopo lunghi anni in cui sembrava destinato a interessare solo una popolazione esigua, cronicizzata nella dipendenza di lungo corso. Prima che la morte di tanti consumatori richiamasse l’attenzione sulla questione, si era avviato, nei mesi scorsi, incerto e spesso monco, un dibattito a più voci sull’opportunità di ampliare lo spettro delle politiche di riduzione del danno, dando corso a sperimentazioni in materia di somministrazione controllata e di sale del consumo. Vi erano state prese di posizione, scambi di battute, polemiche all’interno della maggioranza e tra questa e l’opposizione. Fino a quando a Torino si è cercato di "fare sul serio": di passare dalle parole alle politiche. E due iniziative, parallele e convergenti, stanno animando un confronto che dal capoluogo piemontese sembra estendersi a livello nazionale.

La prima è quella di una petizione popolare, promossa da Forum Droghe, dall’associazione radicale Adelaide Aglietta e da Malega 9, che interpella l’amministrazione guidata da Sergio Chiamparino sull’avvio di una sperimentazione delle così dette sale del consumo: strutture sanitarie dove il tossicodipendente può essere assistito nell’assunzione della sostanza; ovvero, dove vengono forniti gli strumenti necessari affinché l’assunzione avvenga in condizioni igienico-sanitarie controllate (riducendo i rischi derivanti dallo scambio di siringhe e dalla loro dispersione nell’ambiente); dove è possibile intervenire nel caso di un malore o di un’overdose; e dove infine, cosa assai preziosa, è possibile prendere contatto con l’eroinomane: verificarne le condizioni di salute, proporre e avviare percorsi terapeutici di recupero.

Il 10 gennaio questa petizione sarà presentata dai promotori in un’audizione alla commissione Sanità del comune. Intanto, già nei mesi addietro, nella maggioranza consiliare si era andato formando un fronte favorevole alla medesima sperimentazione: 24 consiglieri del centrosinistra hanno presentato una mozione, di cui primo firmatario è Marco Grimaldi di Sinistra Democratica, per avviare un progetto di questo tipo.

Tralasciando il confronto politico in corso in quella città (dunque anche le mozioni contrarie che vengono dall’opposizione e le schermaglie in corso nel centrosinistra), e senza dimenticare che anche in altri centri - Roma, ad esempio - c’è chi sembra voler porre la questione all’ordine del giorno, resta da fare un po’ di chiarezza sul merito tecnico e sanitario della questione. Cosa siano le sale del consumo è già detto.

Da queste, le varie forme di somministrazione controllata differiscono per un elemento cruciale: nelle prime è il consumatore a procurarsi la dose; nelle seconde, invece, è la struttura sanitaria stessa a fornirla. A fornire, cioè, un composto medico, a base di oppiacei, "pulito", non tagliato con sostanze velenose e con una concentrazione di principi controllata, la cui preparazione è appaltata ad aziende farmaceutiche seguendo precisi protocolli. Diciamo subito che le due formule non sono necessariamente in opposizione.

Anzi: potrebbero coesistere nella misura in cui rappresentano strumenti diversi volti a un medesimo fine: la riduzione del danno. In tal senso, entrambe hanno prodotto, laddove sono state sperimentate, risultati positivi: tanto nel contenimento del danno socio-sanitario quanto nel contrasto alla dipendenza. Le sale del consumo sono intese a controllare medicalmente le modalità di assunzione e a "prendere contatto" con il tossicodipendente, a favorirne l’emersione da un ambiente di illegalità ed emarginazione.

In alcuni stati - come in Olanda, ad esempio - in queste strutture si procede anche alla verifica della qualità della sostanza. Con la somministrazione controllata, poi, oltre a tutelare la salute dell’eroinomane, si mira più direttamente a salvaguardare la possibilità di integrazione nel tessuto sociale: a stabilizzare le condizioni di vita di una popolazione, relativamente ristretta, di dipendenti cronici, sottraendola al contatto con il mercato illegale e ad altre forme di criminalità correlate frequentemente alla condizione di dipendenza. Entrambe queste formule entrano, o rischiano di entrare, in conflitto con la legislazione vigente, la legge Fini-Giovanardi, che norma il consumo di sostanze stupefacenti con un approccio tra i più repressivi tra quelli previsti dalle democrazie liberali.

Le sale del consumo, in tal senso, possono ovviare - per modalità di sperimentazione e funzionamento - a questo conflitto. Perché offrono solo un luogo, sicuro e protetto, per procedere sotto controllo medico a quanto comunque si farebbe altrove e altrimenti (in molte città, è già oggi possibile rivolgersi a strutture mediche, mobili od ospedaliere, per avere siringhe e strumenti sterili per effettuare l’iniezione).

Perché non prevedono alcuna forma di cessione della sostanza. Perché possono garantire immediatamente quell’intervento medico, che si fa urgente in caso di malore. Certo: questa metodica - un volta riconosciuto che il consumo di sostanze non può essere bandito solo per legge dall’esperienza umana - "tollera", per così dire, un illecito a monte: ovvero, l’acquisto di eroina da uno spacciatore. Ma quell’illecito è cosa distinta e altra dal momento dell’assunzione e dall’assistenza sanitaria che a quel consumatore in ogni caso si deve. Le sale del consumo valorizzano una concezione generale, che è alla base di ogni intervento di riduzione del danno: il consumo non è - non deve essere - reato.

Esso, piuttosto, può essere inquadrato all’interno di una rete di servizi medici: che salvaguardino la salute dell’eroinomane e della collettività e che funzionino, quando possibile, per contrastare la dipendenza da droghe. La somministrazione controllata risponde agli stessi principi. Ma per procedere a una sperimentazione di questo genere, nel nostro paese, sembra necessaria una revisione della normativa in materia di droghe; e l’inserimento, nella tabelle dei farmaci, dell’oppioide che si offrirebbe all’eroinomane in cura. Ovvero: sono necessari, realisticamente, anni. Che non possono trascorrere senza contare altre morti, altrimenti scongiurabili. Perché non cominciare dalle sale del consumo?

Droghe: Torino; domani audizione promotori narco-sala

 

Notiziario Aduc, 9 gennaio 2007

 

Domani, giovedì 10 gennaio, alle ore 11.00, i promotori della petizione per l’istituzione di una narco-sala a Torino (Domenico Massano/Associazione Radicale Adelaide Aglietta - Alessandro Orsi/Malega 9 - Franco Cantù/Forum Droghe) saranno auditi dalla Commissione Sanità del Comune di Torino, ai sensi dello Statuto Comunale. L’audizione avrà luogo presso la Sala Carpanini (Municipio di Torino, via Milano n. 1, piano terra). L’audizione è aperta al pubblico e alla stampa.

I promotori della petizione hanno dichiarato: "Si conclude domani un percorso da noi iniziato sei mesi fa, contrassegnato da varie tappe: la proiezione del documentario "La stanza dei figli" e la conseguente presa di coscienza che era necessario fare qualcosa, qui ed ora; l’unione di tre associazioni, molto diverse fra loro, sull’obiettivo condiviso; gli incontri di formazione e approfondimento, con la partecipazione di decine di persone; i tavoli di raccolta firme, dove abbiamo constatato che l’esigenza dell’istituzione della narco-sala era condivisa da cittadini di qualsiasi età ed estrazione sociale; la consegna, a fine ottobre, di un migliaio di firme di cittadini torinesi; il "diritto di tribuna", a dicembre. Domani, l’ultimo atto, il più importante, il confronto diretto con i consiglieri comunali che seguono le politiche socio-sanitarie della città.

Cercheremo di fornire, come sempre, il frutto della riflessione e dell’esperienza di quindici anni di politiche di riduzione del danno a Torino, in Italia, nel mondo (dove attualmente sono funzionanti 72 narco-sale).

Siamo soddisfatti di aver compiuto tutto il percorso prima che il Consiglio Comunale (la prima seduta del nuovo anno si terrà lunedì 14) affronti la discussione e il voto della mozione "Grimaldi e altri", che prevede l’istituzione della narco-sala. Ci auguriamo che il sindaco Chiamparino e i consiglieri decidano secondo scienza e coscienza e non secondo logiche partitiche del tutto estranee sia alla richiesta dei mille cittadini torinesi che rappresentiamo sia, soprattutto, ai bisogni dei cittadini tossicodipendenti più emarginati e senza voce; perché i sommersi devono essere salvati.".

Usa: Amnesty in piazza per la chiusura di Guantanamo

 

Vita, 9 gennaio 2007

 

Venerdì 11 gennaio di fronte all’Ambasciata Usa di Roma, in via Veneto, alle 11 nell’ambito della campagna "Chiudere Guantanamo ora".

Venerdì 11 gennaio ricorrerà il sesto anniversario dell’apertura di uno dei centri di detenzione più tristemente famosi del mondo, diventato il simbolo delle violazioni dei diritti umani nel contesto della "guerra al terrore": Guantanamo Bay. L’impegno di Amnesty International negli ultimi cinque anni ha ottenuto risultati importanti: centinaia di prigionieri rilasciati, prese di posizione dei principali organismi internazionali, di leader politici e di molti governi per la chiusura del centro di detenzione.

All’interno della stessa amministrazione Usa e nella campagna elettorale per le presidenziali, il tema sta acquisendo grande importanza. Amnesty International proseguirà la sua campagna "Chiudere Guantanamo, ora!" fino a quando il centro di detenzione non verrà chiuso e i prigionieri non verranno sottoposti a un processo regolare oppure rilasciati, per porre fine a queste e a tutte le altre detenzioni illegali nel contesto della "guerra al terrore".

Con questi obiettivi, venerdì 11 gennaio Amnesty International organizza una manifestazione di fronte all’Ambasciata Usa di Roma, in via Veneto, con inizio alle ore 11. Sempre a Roma, in alcune piazze centrali, dei mimi simuleranno le dure condizioni di prigionia dei detenuti di Guantanamo. Altre iniziative si svolgeranno sempre nella capitale e in altre città, tra cui Ancona, Bologna, Firenze, Foggia, Milano, Palermo e Sassari. Sul sito di www.amnesty.it sarà possibile sottoscrivere l’appello di Amnesty International per sollecitare le autorità statunitensi a chiudere il centro di detenzione e porre fine alle detenzioni illegali nel contesto della "guerra al terrore".

Da venerdì 11 sarà inoltre on-line il sito www.chiudereguantanamo.it, contenente testimonianze sulle condizioni nel centro e approfondimenti sulla sorte degli ex prigionieri, sulla situazione dei detenuti "autorizzati per il rilascio" ma ancora bloccati a Guantanamo e sul conflitto tra l’amministrazione Bush e la Corte suprema federale Usa. Attraverso questo sito sarà possibile anche inviare messaggi di solidarietà a Sami al Hajj, giornalista della televisione al Jazeera, detenuto a Guantanamo dal 2002.

Nei primi cinque anni di attività, a Guantanamo sono stati trasferiti 780 prigionieri, catturati in oltre 10 paesi diversi. Un’analisi condotta sui casi di circa 500 detenuti ha mostrato che soltanto il 5% di loro è stato preso direttamente dalle forze statunitensi; l’85% è stato catturato dalle forze dell’Alleanza del Nord in Pakistan e in Afghanistan e trasferito sotto custodia statunitense, spesso in cambio di qualche migliaio di dollari.

Alla fine del dicembre 2007, a fronte di circa 500 rilasci, 277 detenuti di 30 diverse nazionalità si trovavano ancora a Guantanamo senza accusa né processo. Circa l’80% di questi prigionieri sono stati detenuti in isolamento nei Campi 5, 6 e nel Campo Echo.

Il Campo 6, di più recente costruzione, è designato per ospitare 178 detenuti ed è l’area in cui le condizioni di detenzione sono più dure. I detenuti rimangono in isolamento per almeno 22 ore al giorno in celle individuali prive di finestre. Almeno quattro detenuti si sarebbero suicidati. Molti altri avrebbero tentato di togliersi la vita - riporta Amnesty.

Soltanto uno dei detenuti di Guantanamo è stato condannato dalle commissioni militari. Nel marzo 2007 David Hicks, cittadino australiano, si è dichiarato colpevole di sostegno al terrorismo nell’ambito di un patteggiamento che prevedeva la fine della sua reclusione in custodia statunitense, già durata cinque anni, e il rientro in Australia, dove sta scontando altri nove mesi di detenzione. Nel novembre 2007, tre detenuti sono stati incriminati per essere processati dalle commissioni militari.

Usa: l’iniezione letale? è una pena crudele e dolorosa…

 

Ansa, 9 gennaio 2007

 

Nella dolorosa storia delle esecuzioni capitali in America si sono alternati i sistemi più diversi: impiccagione, fucilazione, sedia elettrica, camere a gas, fino all’iniezione di sostanze letali. Il tutto in nome della ricerca di un modo il più possibile "umano" di morire. Ma, ironia della sorte, proprio l’iniezione introdotta in tempi recenti potrebbe essere uno dei metodi più crudeli e dolorosi.

A denunciare l’inquietante possibilità, che rischia di gettare altra benzina sul fuoco nel dibattito sulla pena di morte, è il padre dell’iniezione letale in persona, il dottor Jay Chapman: il micidiale cocktail di tre farmaci, introdotto trent’anni fa in diversi penitenziari americani, non sempre ha funzionato a dovere, condannando i detenuti ad una lenta agonia prima della morte.

La questione ora divide la Corte Suprema degli Stati Uniti che, chiamata a decidere sul futuro della pena capitale, si interroga su quanta sofferenza si possa rischiare di provocare quando si mette fine per legge alla vita di un uomo. Il mix studiato da Chapman ha apparentemente le carte in regola per portare ad una morte indolore: viene iniettato prima un anestetico che fa perdere i sensi al condannato, poi una sostanza che paralizza l’intero corpo, infine il farmaco realmente letale, che ferma il cuore. Ma la procedura di somministrazione richiede competenze che il personale carcerario spesso non possiede: un errore nell’eseguire l’iniezione di anestetico basta a trasformare una morte istantanea in una lenta agonia.

La Corte Suprema riconosce la necessità di controllare con maggior attenzione il processo, ma è improbabile che dichiari incostituzionale l’iniezione di Chapman: l’alternativa - una dose letale di un solo barbiturico - provoca infatti una morte più sgradevole a vedersi, con urla e convulsioni. Questione non da poco, quando si deve rendere accettabile agli occhi dell’opinione pubblica una condanna a morte. Altrimenti, commenta con fredda ironia Jonathan Groner, medico comparso davanti alla Corte Suprema in qualità di esperto sulla pena capitale, si potrebbe tornare ad un metodo meno "politicamente corretto", ma di certo meno doloroso: la ghigliottina.

India: interrogazione sui due italiani detenuti per droga

 

Asca, 9 gennaio 2007

 

"Il parlamento ha ripetutamente votato atti per impegnare il governo ad occuparsi adeguatamente della tutela dei diritti dei detenuti italiani all’estero, ma questi atti sono rimasti fino ad ora lettera morta". Così Guglielmo Picchi, deputato del Popolo della Libertà/Forza Italia eletto sulla Circoscrizione Estero, ripartizione Europa, annuncia una interrogazione al Ministro degli Affari Esteri per chiedere cosa sia stato fatto fino ad oggi per Angelo Falcone e Simone Nobili i due giovani piacentini incarcerati da oltre nove mesi in India per l’accusa quantomeno aleatoria di detenzione e spaccio di droga.

I due giovani si trovano in condizioni igieniche precarie e la situazione processuale non è chiara e continua a subire ritardi. "Che cosa ha fatto il governo per questi connazionali fino ad oggi? La sensazione è che i detenuti italiani all’estero non siano una priorità del governo e del viceministro degli esteri con delega per gli italiani all’estero. Il caso di Angelo e Simone è surreale e sembra uscito dal copione di uno dei molti film di Hollywood, ma questo non è un film e i ragazzi sono a rischio di Epatite e manca un vero supporto istituzionale del governo, nonostante la mobilitazione del Sindaco di Piacenza, del consiglio provinciale e le interrogazioni presentate da molti parlamentari per tenere sotto pressione l’azione del governo".

"Abbandonare un connazionale in difficoltà in carcere sembra un copione già visto, speriamo che però in questo caso il governo utilizzi la propria influenza verso le autorità indiane quanto meno per estradare i due ragazzi in Italia e qui sottoporli a processo qualora la magistratura decida di procedere".

 

 

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