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Giustizia: il sistema penitenziario sull’orlo del fallimento
Il Tempo, 7 gennaio 2008
"Le voci allarmanti che nello scorso anno si sono alzate da più parti sulle disastrose condizioni del sistema penitenziario italiano in relazione al crescente afflusso di detenuti, dopo il provvedimento dell’indulto del luglio 2006, trovano la piena conferma all’inizio del corrente anno per problemi non più solo di carattere infrastrutturale, ma anche organizzativo degli istituti e dei servizi penitenziari" a sostenerlo è il segretario Generale dell’Osapp Leo Beneduci in questa lettera, indirizzata al Ministro Mastella.
Al Ministro della Giustizia Sen. Clemente Mastella
Le voci di allarme che nello scorso anno si sono alzate da più parti sulle disastrose condizioni del sistema penitenziario italiano in relazione al crescente afflusso di detenuti, dopo il provvedimento dell’Indulto del luglio 2006, trovano la piena conferma all’inizio del corrente anno per problemi non più solo di carattere infrastrutturale ma anche organizzativo degli istituti e dei servizi penitenziari. A fronte, infatti, degli ormai 50.000 detenuti presenti, le sedi penitenziarie sul territorio nazionale in mancanza di un idoneo numero di addetti soprattutto di Polizia Penitenziaria non consentono più di accogliere nuovi soggetti nel rispetto sia del Dettato Costituzionale e sia dei necessari requisiti di funzionalità e di sicurezza interne ed esterne alla Carceri italiane. Ciò in quanto la Polizia Penitenziaria che dovrebbe essere, per legge, l’unico Corpo di Polizia dello Stato addetto, oltre che alla prevenzione e alla repressione dei reati in ambito penitenziario, all’osservazione e al trattamento per il reinserimento sociale dei detenuti, si trova in questo momento a soffrire le conseguenze dirette, oltre che della carenza endemica del proprio organico (fissato per legge 17 anni or sono e mai incrementato a differenza delle altre Forze di Polizia, nonostante l’incremento dei detenuti e la realizzazione di almeno 20 nuovi istituti penitenziari) della assoluta disorganizzazione dei propri servizi a livello centrale e periferico, dell’assenza di vertici interni al Corpo a capo delle proprie articolazioni, del mancato riconoscimento economico-normativo della professionalità disimpegnata in tutte (nessuna esclusa) le attività penitenziarie, dell’inidoneità di mezzi e supporti (automezzi, vestiario, alloggi, mense etc.). Quello di cui, purtroppo, né i Politici né gli Amministratori, da anni, si rendono conto è infatti che, quali che siano le condizioni oggettive e le effettive risorse disponibili, ad ogni nuova emergenza delle carceri, come nel passato, saranno solo ed esclusivamente gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria ad essere utilizzati oltre ogni limite e a rischio delle proprie incolumità e sicurezza, aumentandone turni e ore di servizio giornaliero, accrescendone i già insostenibili carichi di lavoro, accentuandone l’utilizzo in lavoro straordinario invariabilmente non retribuito, impedendone temporanei ricongiungimenti ai propri affetti, sospendendone ferie, riposi e in generale i diritti minimi lavorativi, salvo poi disconoscerne qualsiasi merito o attitudine, essendo come noto e nella comune considerazione, anche interna all’Amministrazione penitenziaria, il Poliziotto Penitenziario un mero prestatore d’opera privo di professionalità e di prospettive. Il tutto, in un’Amministrazione, quale l’attuale Penitenziaria che è da sempre rivolta al pieno riconoscimento delle esigenze professionali di tutte le Categorie tranne che del Corpo, in cui ciascun operatore o funzionario ha visto esaudire le proprie aspirazioni di carriera tranne i Poliziotti Penitenziari e che, volontariamente, non ha mai adeguato il proprio assetto alla gestione-organizzazione di un Corpo di Polizia qual è la Polizia Penitenziaria. Nel decorso anno, quindi, più volte l’Osapp oltre a lamentare l’assenza di iniziative sostanziali ed essenzialmente normative che modificassero integralmente le modalità di gestione e la concezione stessa del sistema penitenziario italiano, nei fatti destinato esclusivamente a contenere le emergenze (ben al di sopra delle risorse disponibili) e del tutto inidoneo a differenziare gli interventi in ragione del contesto sociale e della rilevanza dei reati nonché della maggiore o minore pericolosità dei detenuti, nel breve margine di tempo concesso dall’Indulto del 2006 e prima della ulteriore e oramai attuale emergenza, ha evidenziato l’esigenza indifferibile di una nuova ed integrale Riforma del Corpo di Polizia Penitenziaria e della stessa Amministrazione penitenziaria a 18 anni dalla precedente. In ragione di tali motivazioni, inoltre, l’Osapp aveva evidenziato pubblicamente che per tali condizioni rimaste a lungo invariate non solo gli effetti dell’Indulto si sarebbero esauriti in breve tempo e ben prima di ogni più pessimistica previsione, ma al concretizzarsi del nuovo ed inevitabile sovraffollamento e della conseguente ed insostenibile promiscuità dei detenuti in strutture inadeguate sia in termini di vivibilità e sia per quanto attiene la possibilità di prevenire i rischi legati a possibili nuove affiliazioni criminali di carattere nazionale e internazionale, si sarebbe evidenziata l’incapacità del sistema di farvi fronte adeguatamente. Rispetto alle concrete e motivate preoccupazioni già espresse dall’Osapp nel 2007, quindi, ciò che la scrivente Organizzazione Sindacale ad inizio 2008 deve comunicare, in nome e per conto del Personale del Corpo, riguarda la consapevolezza che oramai più nulla per le Carceri e per la Polizia Penitenziaria è restato degli intenti di carattere politico di inizio Legislatura e che, altrettanto, dalle misure che il Governo progetta e propone, quali ed anche quelle del c.d. "Pacchetto Sicurezza" o riguardanti la realizzazione di nuovi istituti penitenziari (senza personale…), ciò che palesemente è escluso è l’interesse effettivo perché il carcere in Italia cessi di rappresentare l’anello ultimo e più debole della catena delle misure riguardanti la sicurezza nazionale e sociale, se non addirittura tali interventi appaiono intesi a aggravarne ulteriormente le già precarie condizioni. In tale contesto e nel palese fallimento, per breve tempo solo differito dall’indulto, pertanto, si ritiene che a ben poco servano oramai i pur qualificati "pianti" che quotidianamente si alzano e che solo una concreta e immediata azione, se necessario di carattere straordinario, con concomitante assunzione di Responsabilità della Politica e dell’Amministrazione competenti possano scongiurare il disastro imminente e restituire vivibilità e risultati al sistema penitenziario e serenità e prospettive alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria. Per tali ragioni, quindi, la Polizia Penitenziaria si dichiara assolutamente indisponibile ad accettare, come in passato in silenzio e sulle proprie esclusive spalle notevolmente immiserite, gli effetti gravi e non solo interni dell’imminente collasso delle carceri e preannuncia, a partire dalla seconda metà del corrente mese l’avvio di iniziative di pubblica e tangibile protesta in ambito regionale e a livello nazionale.
Leo Beneduci (Segretario Generale Osapp) Giustizia: aspiranti magistrati che non conoscono l’italiano
La Repubblica, 7 gennaio 2008
Verbi sbagliati, errori di grammatica e di ortografia. Un disastro per gli esaminatori che sono inorriditi di fronte a lacune da scuola dell’obbligo e incapacità di coniugare i verbi secondo regole elementari, e hanno respinto oltre il 90 per cento dei candidati aspiranti giudici. Al punto che, nonostante il numero da record dei partecipanti al concorso per l’accesso in magistratura (43mila domande), alla fine sono rimasti scoperti una sessantina dei 380 posti da assegnare. Una situazione che ha preoccupato la categoria e ha gettato ombre sulla formazione scolastica, universitaria e non solo, visto che la maggior parte dei candidati non era costituita da semplici neo-laureati, ma da avvocati, giudici onorari, funzionari della pubblica amministrazione, titolari di dottorati di ricerca e di specializzazioni giuridiche. Questi i drammatici risultati registrati all’ultimo concorso che si è concluso con l’immissione in servizio di 322 nuove toghe, 58 in meno dei posti da coprire. Un risultato a dir poco inaspettato tenuto conto del vero e proprio boom di domande di partecipazione che c’era stato, senza precedenti nella storia della magistratura. Dell’esercito dei 43mila, ne sono stati ammessi alle prove scritte 18mila. Oltre 6mila candidati si sono effettivamente presentati e poco più di 4mila hanno consegnato tutte e due le prove scritte, il doppio dei precedenti concorsi. Ma nonostante il dato così elevato, gli ammessi agli orali sono stati appena 342, pari all’8,53%. E una ventina di loro alla fine non è riuscita a tagliare il traguardo finale: i vincitori, proclamati dalla Commissione di esami, sono infatti stati 319 e altri 3 - che pur non avendo riportato alcuna insufficienza, non avevano raggiunto la votazione minima prevista - sono stati dichiarati tali con un provvedimento del ministro della Giustizia Mastella. Dati preoccupanti che hanno indotto uno dei componenti della commissione d’esame, il giudice della Corte d’appello di Palermo Matteo Frasca, a esprimere "non poche perplessità sul livello medio di preparazione dei partecipanti", in un intervento pubblicato sul sito del Movimento per la Giustizia. E le lacune riscontrate non sono solo giuridiche : "La conoscenza della lingua italiana è una pre-condizione per partecipare al concorso, ma alcuni candidati non ce l’avevano" racconta il magistrato. "Ci siamo trovati a fare la disarmante constatazione che in alcune prove c’erano errori di grammatica e di ortografia, oltre che di forma espositiva, testimonianze evidenti di una mancanza formativa, che non è emendabile". "Non faccio esempi per ragioni di riservatezza" prosegue Frasca, "posso dire solo che se il mio maestro delle elementari avesse visto in un mio compito verbi coniugati come in certe prove che ci sono state consegnate, mi avrebbe dato una bacchettata sulle dita". Tuttavia il giudice Frasca non vede tutto nero: "Abbiamo trovato anche candidati con livelli di preparazione eccellenti" assicura, "punte esaltanti che inducono all’ottimismo". Giustizia: suicidi Polizia Penitenziaria, comunicato Fsa-Cnpp
www.sanremonews.it, 7 gennaio 2008
Molte agenzie di stampa, negli ultimi giorni, a seguito di presunti suicidi messi in atto da quattro poliziotti penitenziari, hanno tracciato, ‘artatamentè, la psiche di tutti gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria". A scrivere è Alessandro De Pasquale, segretario nazionale Fsa-Cnpp, che continua: "Secondo la stampa, l’ambiente penitenziario sarebbe la causa dei 4 suicidi. Sulla questione, a mio avviso, occorre fare chiarezza. L’organizzazione del lavoro della polizia penitenziaria andrebbe sicuramente rivista ma non sfruttando la triste vicenda dei 4 colleghi i cui presunti suicidi, a quanto pare, non sembrano collegati alle condizioni lavorative. In una intervista al TG5, Ettore Ferrara, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha infatti dichiarato: "Il dato va esaminato con adeguata prudenza. L’ultimo episodio, all’esito dell’indagine di polizia giudiziaria, è emerso trattarsi ad un incidente di caccia, un altro episodio è stato indotto da vicende di tipo familiare che possono riguardare qualsiasi cittadino". Come appartenente al Corpo non accetto che qualcuno - forse per esigenze di propaganda - lanci un’idea distorta della funzione speciale esercitata dalla polizia penitenziaria. "C’è chi finisce in carcere per sentenza e c’è chi ci finisce per campare". Il TG5, con questa espressione, ha letteralmente svilito tutto ciò che sta alla base dell’articolo 5 della legge 395/90. Nello stesso telegiornale è stato anche detto: "quella dei poliziotti penitenziari è infatti una delle categorie con la più alta percentuale di pensionati per malattie depressive, quasi il 30%". Quest’ultima affermazione va esaminata con accurata prudenza e non va collegata esclusivamente alle condizioni lavorative all’interno del carcere. La polizia penitenziaria, grazie anche all’impegno del presidente Ferrara, è diventata una forza di polizia sempre più moderna al cui interno vi operano professionalità sempre più preparate e specializzate. Se passa il messaggio - non vero - di una polizia penitenziaria stressata, si rischia di trasferire al cittadino un immagine traballante del Corpo, costituito da soggetti "armati" con grave disagio psicologico. Dopo questo polverone (sollevato da questo qualcuno) non è escluso che qualche deputato "particolarmente attento" presenti una proposta di legge per disarmare la polizia penitenziaria. Per fortuna il Corpo di polizia penitenziaria è composto da uomini e donne al servizio del paese, consapevoli della specialità della funzione svolta e con una visione certamente positiva del futuro". Giustizia: Bruno Contrada torna in ospedale, per una Tac
Tg Com, 7 gennaio 2008
Bruno Contrada è stato nuovamente trasferito dal carcere militare di Santa Maria Capua Vetere in un ospedale napoletano per effettuare una Tac. I fratelli dell’ex funzionario del Sisde, Vittorio e Anna, e il cognato, si erano recati in prigione per avere un colloquio previsto dal regolamento penitenziario, ma hanno appreso dalla direzione che Contrada era stato portato di nuovo in ospedale.
Il Senatore Gustavo Selva: è ridotto pelle e ossa
Bruno Contrada non chiederà mai la grazia ma il presidente della Repubblica potrebbe concederla "con un suo atto autonomo: Napolitano non lasci morire in carcere un uomo che, se anche fosse colpevole, ha già pagato in termini di sofferenze umane, psicologiche, professionali e sociali, più di quanto pagano delinquenti di mafia, per non parlare dei terroristi che hanno ucciso carabinieri, poliziotti e magistrati": è l’appello lanciato da Gustavo Selva, senatore di Forza Italia, che ha reso noto di aver incontrato ieri Bruno Contrada, nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, vicino Caserta, dove è rientrato dopo aver rifiutato il soggiorno al reparto detenuti dell’ospedale Cardarelli. Selva spiega in una nota di aver incontrato ieri un uomo "fisicamente ridotto a pelle e ossa; in più, ha subito un ictus durante la carcerazione che, per fortuna, non ha leso la funzionalità nel cervello pur oscurandogli la vista di un occhio". Il parlamentare di Forza Italia ha percepito anche nel detenuto Contrada "un grave stato di prostrazione psicologica perché non riesce a convincersi come contro le testimonianze fattuali di 142 persone, fra le quali Prefetti, Capi della Polizia, graduati, militari dei corpi armati e funzionari dello Stato e della Regione etc., abbiano prevalso (in un alternanza di assoluzioni e condanne) per la decisione della definitiva condanna pronunciata dalla Cassazione le dichiarazioni di pochi delinquenti pentiti". Selva ha ricordato che Contrada continua a dichiararsi innocente perché assolutamente estraneo alla collaborazione in associazione mafiosa, come ha detto in tutti gli interrogatori subiti nel corso di un quindicennio. Sono le stesse dichiarazioni di estraneità, ricorda Selva, già ascoltate da Contrada quando lo visitò nel 1995, come presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera, nel carcere di Palermo. "Pur con questo ripetuto convincimento - ha aggiunto Selva - il dott. Contrada non chiederà mai la grazia al presidente della Repubblica. Me lo ha ripetuto nel colloquio di giovedì".
Un appello per Bruno Contrada
Laboratorio d’Europa, un’associazione di giovani europei nata in Sicilia e con sedi a Messina, Budapest e Cluj-Napoca (Romania), ha promosso un appello Per la vita di Bruno Contrada. D’accordo con l’avv. Lipera, difensore del vecchio funzionario del Sisde, l’appello è stato sottoposto a parecchie personalità della politica e della società civile, che hanno deciso di sottoscriverlo e schierarsi per la vita di Bruno Contrada e contro una condanna alla reclusione che rischia di diventare una condanna a morte. L’appello sarà sottoscrivibile tramite il sito internet www.eurolabmessina.com, a partire dalle ore 16:00 di girono 5 gennaio 2008. "C’è un detenuto, tra i molti che vivono nelle carceri italiane, sottoposto a un regime di reclusione che rischia di portarlo alla morte: Bruno Contrada. Al di là di tutte le valutazioni in merito alle sue vicende giudiziarie e all’esito dei dubbi procedimenti che lo hanno visto per il momento soccombere di fronte alle accuse di un gruppo di collaboratori di giustizia, la permanenza in carcere di Contrada è contraria al senso di umanità e all’antica civiltà giuridica italiana. Con il presente appello i sottoscrittori chiedono alla Magistratura e alla Presidenza della Repubblica di prendere tutte le misure necessarie a sollevare nel più rapido tempo possibile Bruno Contrada dall’attuale stato di detenzione, affinché una condanna alla reclusione non si tramuti in una vera e propria condanna a morte". Hanno sottoscritto l’appello: Andrea Bellantone (Presidente di Eurolab - Laboratorio d’Europa); Giuseppe Lipera (Difensore di Bruno Contrada); Francesco Cossiga (Senatore, Presidente emerito della Repubblica); Giuliano Ferrara (Direttore Il Foglio); Gaetano Quagliariello (Senatore, Forza Italia, Presidente Fondazione Magna Carta); Daniele Capezzone (Deputato, Decidere.net); Margherita Boniver (Deputato, Forza Italia); Marco Taradash (Giornalista, La TV delle Libertà); Francesco Storace (Senatore, Presidente de La Destra); Fernando Mezzetti (Giornalista, Quotidiano Nazionale); Dino Cofrancesco (Professore universitario, Genova); Girolamo Cotroneo (Professore universitario, Messina); Gianmarco Chiocci (Giornalista, Il Giornale); Laura Camis de Fonseca (Presidente Fondazione De Fonseca); Anna Bono (Professore universitario, Torino); Andrea Manzi (Giornalista, Vice Direttore Il Roma); Edoardo Tabasso (Professore universitario, Roma); Giuliano Cazzola (Professore universitario, Giornalista, Presidente Comitato Biagi); Stefano Magni (Giornalista, L’Opinione); Giancarlo Loquenzi (Giornalista, Direttore L’Occidentale); Lino Iannuzzi (Senatore, Forza Italia); Carmine Santo Patarino (Deputato, Alleanza Nazionale). Torino: il Polo universitario penitenziario compie 10 anni
Ansa, 7 gennaio 2008
Mercoledì 16 gennaio 2008, alle 10.30, presso la Casa Circondariale "Lorusso e Cutugno", alle Vallette di Torino (Via Pianezza, 300), avrà luogo l’inaugurazione del decimo Anno Accademico del Polo Universitario per studenti detenuti. Nell’occasione si terrà il convegno dal titolo "La Costituzione tra passato, presente e futuro", che avrà come relatore il prof. Guido Neppi Modona, docente di Istituzioni di Diritto e Procedura Penale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino. Parteciperanno all’evento il Rettore dell’Università degli Studi di Torino, prof. Ezio Pelizzetti, la direttrice della Casa Circondariale di Torino, dott.ssa Claudia Clementi e la prof.ssa Maria Teresa Pichetto, docente di Storia del Pensiero Politico presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino e delegata del Rettore per il Polo Universitario. Sarà occasione anche per illustrare la situazione attuale della struttura e i risultati raggiunti in questi primi 10 anni di attività. Il Polo Universitario è stato istituito nel 1998 attraverso un protocollo d’intesa tra l’Università degli Studi di Torino, il Tribunale di Sorveglianza e il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria. L’accesso avviene attraverso un bando nazionale e il progetto è sostenuto dalla Compagnia di San Paolo. La sezione del Polo Universitario (V del Padiglione B) è composta da 22 celle singole, aperte dalle 7.00 alle 21.00, più un’aula di lezione di circa 20 metri quadrati, due aule per colloqui, un’aula con 3 computer forniti dall’Università. Avellino: Mastella va in visita al carcere di Sant’Angelo
Il Mattino, 7 gennaio 2008
Il ministro di Grazia e Giustizia, Clemente Mastella, sarà in visita in Irpina nella giornata odierna. Il Guardasigilli sarà prima a Guardia dei Lombardi e, nel pomeriggio, a Sant’Angelo dei Lombardi, presso la casa circondariale. L’agenda degli appuntamenti prevede per le ore 12.00 la partecipazione alla inaugurazione della Sala Polivalente presso l’ex sede comunale a Guardia dei Lombardi. La cerimonia fu rinviata per il maltempo qualche mese fa. Nel pomeriggio, alle 15.30, il massimo esponente dei "Popolari Udeur" visiterà la casa circondariale di Sant’Angelo dei Lombardi. Sarà l’occasione per verificare, così come avvenuto per altre realtà carcerarie, l’andamento delle attività gestionali e per raccogliere utili indicazioni dalla direzione della struttura. La circostanza rientra nel programma di visite fissate dal Guardasigilli all’interno dei penitenziari della penisola, dopo le problematiche legate al sovraffollamento, parzialmente attenuate dal varo dell’indulto. Anche realtà "periferiche" come quelle del carcere di S. Angelo dei Lombardi, risentono inevitabilmente delle difficoltà vissute dal settore penitenziario in Italia. Il ministro della Giustizia, nel suo tour irpino, sarà accompagnato dalla moglie Sandra Lonardo, presidente del Consiglio Regionale. Verona: uno "Sportello Giustizia" atteso da ben 10 anni di Alice Castellani
www.veramente.org, 7 gennaio 2008
In un tempo in cui la parola sicurezza riempie la bocca di tanti politici, a destra come a sinistra, l’impegno delle persone per una vita civile e pacifica di convivenza e accoglienza merita tutta la nostra attenzione. A Verona c’è un’associazione, "La Fraternità", il cui motto è "liberi per liberare: accanto a chi ha commesso o subito un reato". Nata nel 1968 per aiutare i detenuti e le loro famiglie, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sul significato della pena, sui problemi del carcere e dell’emarginazione, da anni è impegnata nel difficile campo dell’aiuto volontario nell’ambito del carcere e della giustizia, interpretata come una questione d’umanità. Se infatti in ogni società esistono delle regole, sussiste pure la necessità di non rinchiudersi all’interno di esse e di cogliere invece i momenti in cui un ripensamento è inevitabile. L’ingranaggio enorme della Giustizia pare soffrire oggi di molti punti deboli che necessitano di essere affrontati con urgenza. "La Fraternità", presieduta da Roberto Sandrini, ha presentato un libretto sul progetto d’intesa Sportello Giustizia, che esprime il bisogno di tutelare i diritti di chi è privo di libertà e creare una via di comunicazione tra l’area del penale e il territorio circostante, "perché," si legge nel libretto, "si smetta di dar colpa all’ammalato se non guarisce, ma le responsabilità ricadano su chi lo deve curare". All’attuale amministrazione comunale spetta il compito di "riprendere in mano la situazione," afferma Arrigo Cavallina, volontario della Fraternità e responsabile del progetto Sportello Giustizia. Tra le problematiche sottolineate c’è quella che richiede l’istituzione, anche a Verona, della figura di un Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, già in esercizio in molte città, province e regioni della penisola. Ciò rappresenterebbe l’apertura di un dialogo tra la città e il carcere, oltre che la tutela di quei diritti che devono essere comuni a tutti i cittadini, siano essi reclusi o meno. "Se chi vive o esce dal carcere è accolto, guidato e tutelato vi sarà senz’altro più sicurezza," continua Cavallina. A maggio 2007 sembrava fatta: mancava solo la votazione dell’ultimo Consiglio comunale, ma pare che, per l’amministrazione in scadenza, non ci sia stato il tempo, o la voglia, per affrontare argomenti così sensibili. Fuori dal carcere, i familiari attendono sulla strada l’accesso ai colloqui, senza un riparo e senza riferimenti. Anche per questi è stato proposto il Centro d’ascolto davanti al carcere, per offrire assistenza ai detenuti e allo stesso personale penitenziario, ma soprattutto ai familiari delle persone recluse. Questa proposta risale a oltre 10 anni fa, ma da allora "avanza e retrocede," spiega ancora Cavallina, "con un silenzio da parte dell’amministrazione precedente che continua con quella attuale". Lo scorso 6 dicembre 2007 si è svolto un convegno sul tema all’Università di Verona e ciò fa sperare in un prossimo accordo tra le parti. L’idea è di istituire uno sportello informativo interno al carcere, a cui i detenuti di Montorio possano rivolgersi per un’assistenza ad ampio raggio sui temi che li riguardano, siano essi giuridici, sociali, amministrativi, educativi o familiari. A fornire informazioni saranno gli studenti in corso delle Facoltà di Giurisprudenza e di Scienze della Formazione, che potranno a loro volta acquisire un’esperienza senz’altro preziosa per il loro futuro lavorativo. Uno scambio reciproco di informazioni ed esperienze in un’ottica di crescita virtuosa, vera base per una convivenza pacifica. Saluzzo: l’ex direttrice del carcere ora lavora in Palestina di Giorgia Maria Pagliaro
www.rivistaonline.com, 7 gennaio 2008
Molti hanno conosciuto ed apprezzato a Saluzzo e nel cuneese la ex direttrice della locale casa circondariale, la dottoressa Marta Costantino, una delle più giovani donne a dirigere una struttura di pena in Italia. Quando arrivò, nel 2001, trovò una situazione non certo idilliaca perché per tre anni non c’era stato un direttore. Dopo un primo periodo di assestamento, cominciò con le sue idee per migliorare la vita dei detenuti e per dar loro una ragione di vita. Nacquero il laboratorio teatrale che ha messo in scena vari spettacoli, il telegiornale interno in tre lingue (italiano, albanese e arabo), il laboratorio di mosaico. L’armonia carceraria di Marta Costantino. Così Spike Lee ribattezzerebbe il suo noto film "La 25esima ora", se solo conoscesse questa trentasettenne siciliana e il suo operato presso le carceri italiane e straniere. Da anni Marta Costantino, di origini palermitane, laureata in giurisprudenza con il sogno nel cassetto di raccogliere il testimone dei giudici Borsellino e Falcone e di lottare contro le mafie, dopo aver sostenuto, con esito negativo l’esame in magistratura, decide di concorrere per vicedirettore carcerario. Superato il concorso, riceve il primo incarico nel carcere dell’Asinara, un luogo lontano da Dio e dagli uomini; dopo di che in quello delle Vallette a Torino e poi a Roma. Dal 2001 viene trasferita a "La Felicina", il carcere di Saluzzo, in Piemonte. Dopo tre anni di "disordine gestionale" ereditato grazie alla mancanza di un direttore, il primo cambiamento apportato dalla Costantino è la creazione di un laboratorio teatrale, in concomitanza a una serie di iniziative e attività volte a migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Nel 2003, grazie ai finanziamenti comunali e all’aiuto di specialisti delle comunicazioni, viene creata un’edizione giornaliera di un telegiornale interno della durata di venti minuti, con cui raccontare la vita in prigione vista dagli occhi di chi ci vive, senza alcuna forma di censura delle idee espresse. Il telegiornale, chiamato "Rassegna in…" , inizia a essere trasmesso a circuito chiuso in tutte le celle alle 15,30; la realizzazione di questo programma viene favorita dall’intraprendenza con cui la Costantino fa pervenire i giornali e gli strumenti (fari, telecamere,etc.) ai detenuti, per mezzo di numerosi assistenti. Dopo sei anni trascorsi a Saluzzo Marta si accorge che qualcosa in lei non va, non sente più quella spinta propulsiva che caratterizza, di solito, le sue giornate. È difficile abbandonare il luogo dove si pensa di aver messo radici, ma gli uomini non sono piante, usano le scarpe e allora si ricomincia il lungo cammino da Ramallah in Cisgiordania. Dopo aver vinto il concorso, appena arrivata a Gerusalemme, località di residenza scelta per motivi di sicurezza, con in tasca un mandato dell’Unione Europea nell’ambito del programma Eucopps (European Union Police Mission for the Palestinian Territories) partecipa ad alcuni corsi sulla sicurezza e subito dopo inizia i suoi sopralluoghi in giro per le carceri palestinesi per capire, studiare e poi proporre quegli interventi migliorativi originali e coraggiosi che caratterizzano la sua azione. Non è semplice per una donna essere accettata dai colleghi e dai poliziotti che quotidianamente hanno a che fare con il disagio di migliaia di detenuti, la mancanza di acqua, le temperature elevate, la promiscuità degli ambienti. Condizioni disumane che richiedono uno sforzo immane per poter pensare di poterle paragonare, alla fine del programma, a quelle dei peggiori istituti europei. Per il momento l’azione della Costantino è tutta protesa a conoscere il territorio, ad attraversare zone di confine tra Israele e Cisgiordania ma anche a fare i conti con le diverse culture e con le regole religiose degli ebrei ortodossi i quali non le risparmiano atti di dissenso se i suoi viaggi in auto avvengono di sabato. In luoghi in cui non è concessa, la libertà diviene un’utopia, un sogno che abita nell’ora di pausa dalla vita, la venticinquesima. Marta è parte di quel sogno. Venezia: dal Patriarca Scola un appello per le detenute
Il Gazzettino, 7 gennaio 2008
Il patriarca Angelo Scola ha incontrato ieri pomeriggio le detenute nel penitenziario della Giudecca. Una tradizione che si perpetua nel giorno antecedente l’Epifania. Il patriarca è stato accolto dai canti e dai gridolini dei piccoli, in braccio alle giovani madri, ma coccolati anche dalle tante "zie" con le quali convivono. Angelo Scola, dopo un breve saluto di ringraziamento, ha celebrato la santa messa, assistito da don Antonio Biancotto, da don Dino Pistolato, da don Andrea Cereser e da padre Andrea. "Carissime amiche - ha iniziato l’omelia il patriarca - sono sempre toccato nel profondo e percorso da una gioia particolare quando vengo fra di voi. Le radici della gioia si trovano nel presepe che voi rendete ogni anno più ricco e partecipato. Al suo interno si trova il mistero: com’è possibile che Dio onnipotente diventi un bimbo e voglia trasmettere a tutti il senso di una vicinanza così forte, che non ci lascia mai? Eppure Dio ha voluto farsi bimbo per essere ancor vicino a noi, come noi, salvarci e donarci la speranza". Quindi Scola si è rivolto alle tante detenute straniere. "Anche voi, come i Magi, venite da lontano: vi esorto a imparare la lingua italiana e a prodigarvi in amicizia. Un luogo come questo ha senso solo se diventa dimensione di riscatto. Davvero uno "scatto" in avanti, un impeto nuovo, una speranza di risorgimento. Amicizia e lavoro siano per tutte voi la condizione medicinale della pena. Impegnatevi nelle attività, dedicate tempo alla lettura, ritrovate la libertà dentro di voi, affinché garantisca espressione e realizzi speranze. Questo è il senso più profondo della pena, un’espiazione che coinvolge tutti gli uomini, non solo coloro che compiono reati". Angelo Scola ha potuto assistere ad una rappresentazione teatrale realizzata dalle stesse detenute, guidate dal laboratorio "Il vento in tasca": lettura, drammatizzazione simbolica e canto riferiti all’ascolto di un testo della bibbia, il Qohèlet. "Le attività sono molte - ha raccontato Gabriella Straffi, direttrice degli istituti penitenziari veneziani - ma non quante vorremmo promuovere e realizzare. Lamentiamo carenza di personale ed una struttura che avrebbe bisogno di cambiamenti importanti, per adeguarsi alla variegata situazione di etnie e di turnover. Grandi camere a 9 posti, sono ormai inadatte per garantire le differenze e la dignità delle donne". Attualmente, ci sono infatti 86 detenute, alcune con i propri bimbi, per la maggior parte straniere. Salerno: i vincitori dei presepi realizzati dai detenuti...
Il Mattino, 7 gennaio 2008
Paolo Cupo, residente in via Gandhi a Salerno e Vincenzo Fortunato di S. Mango Piemonte, sono i due vincitori di altrettanti presepi realizzati dai detenuti della casa circondariale di Fuorni, Salerno. L’estrazione, tra le migliaia di visitatori che hanno compilato l’apposita scheda, è avvenuta ieri mattina presso l’Addolorata, ove è ancora allestita la III mostra d’arte presepiale curata dalla Bottega S. Lazzaro. "Tra le firme lasciata sull’apposito registro e coloro che hanno sottoscritto la scheda abbiamo pensato di offrire due presepi, tanto più belli in quanto realizzati dai detenuti - spiega Giuseppe Natalla, responsabile della Bottega S. Lazzaro, cui si deve l’organizzazione dell’evento - calcoliamo che i visitatori sono stati oltre quindicimila. Ma non è finita qui, perché la mostra proseguirà almeno fino a domenica 13 gennaio". C’è tempo dunque ancora una settimana per visitare, ad ingresso libero, non solo la mostra dell’Addolorata ma anche: il Presepe Dipinto di Mario Carotenuto nella Sala S. Lazzaro del Duomo di Salerno e la attigua mostra antologica che ripercorre un quarto di secolo dello stesso presepe, con manifesti, bozzetti, scritti e locandine originali (sala Al Cenacolo). Quattro le sezioni tematiche che coniugano la tradizione plastica presepiale: Il presepe della Tradizione, il presepe interpretato dai ceramisti, i presepi realizzati dai detenuti della Casa Circondariale di Fuorni e la sezione miniature e minuterie presepiali, che quest’anno proporrà degli originali presepi marini, con barche e pescatori, in omaggio alla nostra tradizione marinara. Ecco i nomi degli artisti che hanno interpretato il Natale attraverso una loro rappresentazione plastica, in ceramica, della natività: Umberto Aliberti, Salvatore Autuori, Francesca Avossa, Gian Cappetti, Maria Grazia Cappetti, Vincenzo Caruso, Ignazio Collina, Antonio D’Acunto, Federica D’Ambrosio, Gelsomino D’Ambrosio, Patrizia D’Auria, Italo De Rosa, Ilaria Di Giacomo, Nello Ferrigno, Wanda Fiscina, Francesco Forte, Patrizia Grieco, Vitale Iaccio, Lina Liguori, Pietro Lista, Danilo Mariani, Marsia, Pier Francesco Mastroroberti, Sasà Mautone, Vincenzo Procida, Matteo Rago, Lucio Ronca, Pier Francesco Solimene, Virginio Quarta, Franco Raimondi, Domenico Vizzone, e gli allievi dell’Istituto Statale d’arte "Filiberto Menna". Quanto mai ricca di eventi dunque l’edizione 2007-2008 del Natale con noi nel centro storico di Salerno, che quest’anno porta per titolo "Natale è n’ata festa". Tante e diversificate le iniziative promosse dalla Bottega S. Lazzaro per valorizzare la vocazione naturalmente scenografica della parte antica della città, che con il periodo natalizio giunge al suo apice espressivo. Gli appuntamenti proseguiranno fino a gennaio 2008: il 17 gennaio, infatti, in occasione della festa di S. Antonio Abate, patrono dei ceramici e di tutte le professioni che hanno a che fare con il fuoco, si terrà "La notte del fuoco, festa della ceramica raku", un grande happening d’arte che ogni anno richiama attorno al tempio di Pomona, ceramisti, artisti, musicisti e centinaia di spettatori. Immigrazione: permesso di cinque anni per i rifugiati di Marco Noci
Il Sole 24 Ore, 7 gennaio 2008
Dal 19 gennaio cambia la normativa nazionale sui rifugiati. È stato, infatti, pubblicato nella "Gazzetta Ufficiale" n° 3 del 4 gennaio, il decreto legislativo 19 novembre 2007 n. 251, che recepisce la direttiva comunitaria 2004/83/CE, riguardante le norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. Il decreto 251/2007, composto di 34 articoli, rispecchia largamente quello della direttiva. Gli aspetti più innovativi riguardano, innanzitutto, le disposizioni per l’esame della domanda di asilo: che includono la raccolta e la valutazione delle informazioni sul paese di origine; l’esame anche in assenza di documentazione di supporto alle dichiarazioni del richiedente; la valutazione delle circostanze "sul posto" ovvero sorte dopo aver lasciato il paese di origine che possono rendere necessaria la protezione internazionale. I rifugiati avranno un permesso di soggiorno di durata di cinque anni, rinnovabile: la durata del documento di viaggio (che sostituisce il passaporto) sarà di cinque anni, rinnovabile e sarà possibile accedere al pubblico impiego, con le modalità previste per i cittadini comunitari. Innovative anche la definizione dei termini "protezione" e "persecuzione": è inclusa la definizione degli agenti di persecuzione nonché dei motivi di persecuzione (razza; religione; nazionalità; particolare gruppo sociale; opinione politica), nonché la definizione della protezione sussidiaria ovvero il danno che il richiedente potrebbe subire nel paese di origine. La protezione sussidiaria contempla solamente tre circostanze: la condanna a morte, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante oltre alla minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile in situazioni di conflitto armato. L’elenco di motivi per il riconoscimento della protezione sussidiaria, contenuto nella direttiva 2004/83/CE, è esaustivo e non dà spazio a deroghe e modifiche nel corso della trasposizione in legge nazionale. La protezione sussidiaria non è equipollente alla protezione umanitaria: per molti (ad esempio i cittadini somali) viene attualmente negato lo status di rifugiato, ma riconosciuta la protezione umanitaria. La clausola di transizione prevede, comunque, che gli attuali titolari di protezione umanitaria beneficeranno a tutti gli effetti della protezione sussidiaria. Per questi soggetti il permesso di soggiorno avrà durata triennale e sarà possibile richiedere il ricongiungimento familiare. I beneficiari della protezione sussidiaria avranno un permesso di soggiorno di tre anni, rinnovabile e convertibile in quello per motivi di lavoro. Potranno svolgere attività lavorativa subordinata e autonoma e iscriversi agli albi professionali in condizioni di parità con il cittadino italiano. Inoltre, è riconosciuto il diritto al ricongiungimento familiare, alle condizioni previste nel testo unico per l’immigrazione, ma con facilitazioni in quanto all’accertamento della parentela. In parità, per questo aspetto, con i rifugiati. Droghe: la riforma rimane al palo, le comunità protestano di Anna Maria Sersale
Il Messaggero, 7 gennaio 2008
Gli undici morti per overdose di questi giorni, il ritorno della siringa e dell’allarme Aids, l’avvicinarsi della Conferenza nazionale sulla droga, alla quale il ministro Paolo Ferrero non può presentarsi senza la nuova legge, rendono non più rinviabile il confronto. "Il testo del ddl verrà presentato alla verifica di governo, in quella sede finalmente vedremo se c’è una possibilità", è la linea decisa in queste ore da Ferrero. "La verifica ci sarà dopo il dieci gennaio, non c’è molto da spettare", aggiungono al ministero della Solidarietà. M al tavolo della verifica non ci sarà solo il ddl sulla droga, Rifondazione vuole risposte su tutte le questioni sociali: "Salari, pensioni, precarietà, immigrazione, diritti per le coppie di fatto, norme antirazziste e omofobia". Un pacchetto esplosivo. Che la questione droga fosse una miccia accesa si era visto anche due mesi fa. Allora il ministro della Solidarietà sociale disse che il "termine massimo" per incassare il "sì" del Consiglio dei ministri sulla nuova legge non avrebbe superato la "fine di marzo". "Se entro quella data, dopo due anni dal programma dell’Unione, non ci riesco - aveva sottolineato Ferrero - il ministro lo farà qualcun altro". Intanto, a fine ottobre, in una seduta congiunta delle Commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera è iniziato l’esame della proposta di Marco Boato, presentata nell’aprile del 2006. Però non si fanno passi avanti se non arriva il testo governativo. Dunque, o Palazzo Chigi approva il ddl di Ferrero o lui si dimette. Però la situazione non è davvero rosea. L’appuntamento promesso per fine anno è già saltato. Romano Prodi aveva detto a Ferrero che entro dicembre il Consiglio dei ministri avrebbe affrontato seriamente la "discussione" sulla riforma della Fini-Giovanardi. Tuttavia, la difficoltà dell’esecutivo nell’approvare con la fiducia la Finanziaria hanno spinto a rinviare il confronto sulla droga, tema spinosissimo che riaccende le divisioni all’interno della maggioranza. Ma che cosa divide le due anime della maggioranza? Quali sono i punti inconciliabili? I cattolici Teodem, pronti a dare battaglia sui temi etici, non sono affatto convinti che si possa combattere la droga "colpendo solo gli spacciatori" e considerano la "posizione di Ferrero troppo sbilanciata, troppo antiproibizionista". I teodem ritengono necessarie misure "dissuasive" anche nei confronti dei consumatori. Altro punto di scontro è la "somministrazione controllata", delle "stanze del buco" i cattolici non vogliono neppure sentir parlare. Sulla depenalizzazione, invece, (non la liberalizzazione) c’è l’apertura dei cattolici. Dunque, nessuna sanzione penale. Ma il ministro Ferrero vorrebbe eliminare anche le sanzioni amministrative (ritiro della patente, del motorino, ecc) anche se dice che "non sarà una passeggiata sul velluto". Infatti i cattolici non cederanno, sono contrari all’eliminazione di tutte le sanzioni e dicono che non si può cancellare ogni "azione pedagogica". Finora i tentativi di far partire il confronto sulla base dei punti che uniscono laici e cattolici sono arenati. Mentre la politica è divisa e i consumi di droga aumentano, nelle comunità si vive con estremo disagio questa fase di incertezza. "C’è una sorta di abbandono, di deriva - osserva don Vinicio Albanesi, fondatore di Capodarco -. Le comunità piccole chiudono, non ce la fanno, resistono quelle storiche, ma con difficoltà. Ci rendiamo conto che è tutto fermo e che la droga è un settore in abbandono. I Sert sono vecchi e da anni non si fa una campagna di prevenzione, mentre il mercato si estende e si fanno più complessi i problemi delle poliassunzioni". Usa: pena di morte; Corte Suprema discute iniezione letale
Ansa, 7 gennaio 2008
La discussione sulla "accettabilità" dell’iniezione letale per le esecuzioni approda alla Corte Suprema statunitense. I nove giudici dibatteranno sulla costituzionalità del cocktail di veleni usato nei penitenziari americani sulla base del divieto esplicito nella carta fondamentale di pene "crudeli o inconsuete". Già nel 1879 la Corte aveva preso in esame il tema e messo al bando il plotone d’esecuzione. Anche se avviata su una questione molto specifica, la discussione apre in realtà un dibattito più ampio sulla pena di morte a due settimane dalla risoluzione dell’assemblea Onu per una moratoria universale. Le esecuzioni sono state sospese in tutti gli Stati Uniti, dopo che in settembre la Corte Suprema aveva accettato di esaminare il ricorso presentato da due condannati secondo cui il cocktail letale infligge in realtà enormi sofferenze. Secondo i legali la continua ricerca di un metodo di esecuzione che sia sempre meno doloroso - dall’impiccagione alla camera a gas passando per la sedia elettrica - è stata sempre fallimentare. La pronuncia della corte è attesa per giugno e non metterebbe esplicitamente al bando la pena di morte, limitandosi piuttosto a chiedere agli Stati di trovare una soluzione alternativa e meno dolorosa all’iniezione. Una richiesta che, nonostante il sostegno popolare alla pena di morte sia al 65 per cento, potrebbe spingere molti governatori a seguire l’esempio del New Jersey che a metà dicembre ha messo al bando le esecuzioni. Marocco: Abou Elkassim Britel, cittadino italiano detenuto di Stefano Galieni
Liberazione, 7 gennaio 2008
Sta facendo lo sciopero della fame da 50 giorni. La sua storia è legata all’opera d’arte spedita a Natale al ministro Mastella. Si chiama Abou Elkassim Britel, ma a Bergamo lo conoscono tutti come Kassim. Nato in Marocco ma ormai cittadino italiano è da 50 giorni in sciopero della fame nel carcere di Oukasha. La sua vicenda è emersa agli onori della cronaca per un opera d’arte - un fantoccio "incaprettato" - spedita al Guardasigilli Clemente Mastella, dall’artista Giovanni Bianchini, e scambiato per "una minaccia". Tutto inizia nel maggio 2002, Kassim si reca in Pakistan per un lavoro di ricerca storica. Non ha mai fatto mistero della sua adesione all’islam radicale, ha un blog aggiornato e ricco, e vuole arricchirlo con materiale risalente al 1300. Un intellettuale con una sua notorietà i cui spostamenti non sfuggono alla CIA, viene infatti preso, denudato, ammanettato e incappucciato, per poi essere riportato in patria. In Marocco, non certo in Italia. Subisce torture di cui porta ancora addosso le tracce, ma non ha nulla da rivelare, la sua è una della tante extraordinary renditions attraverso cui il governo statunitense e le sue agenzie, prelevano cittadini sospetti da ogni angolo del pianeta e, in barba a tutte le leggi nazionali e internazionali, li sottopongono a propria illegittima giurisdizione. A volte i malcapitati finiscono a Guantanamo, altre vengono affidate alle autorità dei paesi di provenienza con l’assicurazione di eguale "trattamento". Un anno dopo Kassim viene liberato, mancano vere e proprie accuse, prova a rientrare in Italia dalla sua famiglia - è sposato con una cittadina italiana - ma viene di nuovo rapito e fatto sparire, probabilmente anche con la complicità o l’assenso dei servizi italiani. Trascorre 4 mesi in un luogo ignoto, altre torture e un processo farsa senza alcun diritto reale di difesa. Condannato in prima istanza a 15 anni la sua pena è ridotta a 9. Dalla prima ipotesi (affiliazione ad Al Qaeda) si è passati ad associazione sovversiva (?) e partecipazione a riunioni non autorizzate. Nel frattempo si sono avviate indagini sul suo conto anche in Italia, il risultato è che Kassim è estraneo a qualsiasi reato, l’inchiesta è archiviata, tanto che il parlamento europeo ha sollecitato il governo italiano a prendere misure concrete per chiederne l’immediato rilascio. Inizia a muoversi la società civile bergamasca, la moglie Kadija alcuni compaesani e le realtà antirazziste. Lo stesso sindaco di Bergamo, Roberto Bruni si muove per chiederne la liberazione. La campagna si estende ma nel frattempo non sembrano aprirsi spiragli tanto che Kassim decide di iniziare con la più dura delle forme di lotta, lo sciopero della fame. Le sue condizioni, già pessime per la detenzione e per le torture subite, precipitano rapidamente, ma in Marocco decidono, una settimana fa di trasferirlo dal carcere di Ain Bourja, a quello, più duro di Oukasha. Della vicenda si interessa il parlamentare del Prc Ezio Locatelli, che promuove azioni tese al rimpatrio di quello che è un cittadino italiano a tutti gli effetti, l’ultimo giorno dell’anno interviene dai microfoni di Radio Popolare la viceministra agli affari esteri Patrizia Sentinelli che chiede intanto, insieme all’ambasciatore d’Italia a Rabat, Umberto Lucchesi Palli, l’interruzione dello sciopero. Entrambi si stanno impegnando per una soluzione e si sono mostrati particolarmente preoccupati per lo stato di salute di Kassim. In tempi brevi Kassim deciderà il da farsi, potrebbe interrompere il digiuno in cambio di un miglioramento delle condizioni di detenzione, ma non accetterà mai di dover aspettare fino al 2012 per poter lasciare il carcere. Continua a proclamarsi innocente, col terrorismo non ha nulla a che fare e quando ha saputo dell’allarme suscitato con l’invio del fantoccio che lo ritraeva "incaprettato", seguito da un biglietto con l’indirizzo in arabo e in italiano per aderire alla campagna in suo favore, non è riuscito a trattenere una risata. Ha chiesto:"Cosa è? La barzelletta del 2008?". GB: una circolare segreta per non espellere gli studenti
Notiziario Aduc, 7 gennaio 2008
Con una comunicazione segreta il Ministero degli Interni britannico ha ordinato ai suoi funzionari di non espellere gli studenti stranieri che soggiornano nel Paese con il visto scaduto. Secondo una fuga di notizie, pubblicata dal quotidiano "Mail", l’espulsione dei cosiddetti "finti" studenti non sarebbe una priorità. L’editto vanifica così le pretese del governo che afferma di aver creato un sistema di immigrazione "robusto". Alcuni "insider" la notte scorsa - prosegue il quotidiano - hanno rivelato che centinaia di studenti, tra cui alcuni che non hanno mai avuto intenzione di studiare, si troverebbero illegalmente in Gran Bretagna e sarebbero prossimi a ricevere un’"amnistia". Secondo i leader sindacali, i responsabili dell’immigrazione stanno stabilendo delle priorità in base alla "copertura mediatica". Ciò significa che gli attuali bersagli della lotta all’immigrazione sono i detenuti stranieri e i richiedenti asilo respinti, mentre altre migliaia di immigrati sono praticamente ignorati. Il ministero si difende affermando che ci sono troppi pochi funzionari per applicare la legge. Gli studenti rappresentano la principale categoria di visitatori a lungo termine, con 1,6 milioni di visti rilasciati negli ultimi cinque anni. Non ci sono tuttavia dati disponibili sulla durata della loro permanenza, perché non ci sono controlli su chi lascia il paese. Giappone: stop alle barriere architettoniche nelle carceri
Ansa, 7 gennaio 2008
Il Giappone si conferma sensibile alle esigenze dei propri detenuti. Il governo del Sol Levante ha avviato un progetto che costerà 8,3 milioni di yen che prevede entro la fine del 2008 l’abbattimento delle barriere architettoniche all’interno delle carceri per far fronte al numero crescente di detenuti disabili ultrasessantenni. I penitenziari saranno dotati di ascensori, scivoli per sedie a rotelle e di maniglie all’interno dei bagni. Lo ha reso noto oggi il Ministro della Giustizia giapponese. Tra i servizi di cui beneficeranno circa 8.700 anziani carcerati giapponesi, anche la somministrazione di cibi salutari e l’assistenza medica adeguata. "Certamente ciò non significa che i detenuti potranno uscire all’esterno, vogliamo solamente aiutare i disabili a muoversi come tutti gli altri", ha detto il ministro. Il numero dei reclusi della terza età si è quasi triplicato nel giro di dieci anni, riflettendo il trend del resto del paese che conta il 20% di ultra sessantenni sul totale della popolazione, e le percentuali sono destinate a crescere.
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