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Giustizia: decreto sicurezza; avanti con il dissenso del Prc
Dire, 15 gennaio 2008
Sul decreto sicurezza Rifondazione Comunista punta i piedi ma la maggioranza non demorde: "Abbiamo deciso di andare avanti accantonando i punti su cui c’è ancora dissenso". Così il Verde Marco Boato sintetizza la riunione del centrosinistra, dopo le prime votazioni - stamattina - sul testo governativo che consente di espellere cittadini comunitari per ragioni di pubblica sicurezza e rilancia il decreto Pisanu contro i sospetti terroristi. In realtà, rispetto alle dissonanze con il Prc, un nulla di fatto, con i problemi che saranno pragmaticamente affrontati volta per volta. Oggi peraltro, a quanto assicura il presidente della commissione Affari Costituzionali, Luciano Violante, non si chiude, ma poco male visto che il decreto sicurezza andrà in aula (tra fine gennaio e inizio febbraio) solo dopo il "mille proroghe". Tempo, dunque, ce n’è. E ce n’è anche per riuscire a trovare la "quadra" all’interno dell’Unione. Molto dipenderà dalla riunione del gruppo del Prc, già convocata per questa sera.
Decreto sicurezza: Rifondazione punta i piedi, dal Corriere della Sera
Ce la farà Rifondazione Comunista a piegare ancora una volta la testa e a votare il decreto sulla sicurezza nuova versione che approda oggi alla commissione Affari Costituzionali del Senato? Interrogativo nient’affatto peregrino. Perché le possibilità che il Prc si ingoi questo provvedimento, al momento, sono assai scarse. Come dimostra la direzione di ieri del partito, in cui tutti i tormenti e i dubbi sono emersi insieme a nervosismo e confusione. A porre la questione non è stato un esponente della minoranza, né un avversario interno del segretario, bensì il capogruppo di Rifondazione a palazzo Madama Giovanni Russo Spena, che si è rivolto direttamente a Franco Giordano: "Diciamoci la verità, questo nuovo decreto ha elementi per noi anche peggiorativi rispetto al precedente, perciò non possiamo essere noi come gruppo parlamentare a decidere come votare. Fosse per me, mi esprimerei per il no. Se si pensa altrimenti, io voglio un mandato dal partito, deve essere il partito ad assumersi questa responsabilità". Responsabilità non da poco, basta vedere quel che scrive su Liberazione il responsabile Giustizia del Prc Giuliano Pisapia, che boccia il "decreto sicurezza" senza pietà. Responsabilità che Giordano dovrà assolutamente assumersi, perché ieri, in direzione, i malumori erano più che palpabili. C’è stato chi li ha espressi senza infingimenti (e anche con una certa crudezza) come Ramon Mantovani ed Elettra Deiana. Il segretario del Prc aveva ipotizzato, prima di prendere qualsiasi decisione, di tentare di modificare quelle parti del decreto che per il suo partito sono indigeste. Ma Mantovani è andato giù pesante, senza ascoltare il suggerimento del leader: "Propongo formalmente che si dia mandato ai gruppi parlamentari di non votare il decreto. Sarebbe gravissimo se il nostro partito approvasse un provvedimento che espelle la gente sulla base di una supposta minaccia di terrorismo". Giordano è intervenuto di nuovo, ma Mantovani è andato avanti dritto: "Stiamo parlando di un problema gravissimo, che riguarda la libertà delle persone, non di un contentino a quattro ministri stronzi che seguono Veltroni. Non possiamo votare questa merda". Dopo Mantovani è partita all’attacco anche la vice presidente della commissione Difesa della Camera Elettra Deiana. Anche per la deputata del Prc quel decreto è invotabile, senza contare il fatto che nella riunione i mugugni dei senatori sono stati tanti. n segretario ha cercato di prendere tempo: "È ovvio che tutti noi abbiamo un giudizio critico su questo provvedimento ma io penso che ci sia tuttora lo spazio parlamentare per modificarlo". Ma il problema, espresso urbanamente da Russo Spena e con maggior forza da Mantovani, è sempre lo stesso: il Prc non può tirarsi fuori da questa partita. E infatti quando Giordano ha annunciato: "Dopo gli emendamenti, prima del voto, faremo una riunione della segreteria per decidere", Mantovani ha tenuto il punto. "Su questo - ha detto - non può decidere solo la segreteria". A questo punto, Giordano ha fatto un altro passo avanti. Non tanto per Mantovani ma perché ha capito che per i "suoi" parlamentari come per il "suo" elettorato quel provvedimento è proprio pesante. "Va bene - ha osservato il segretario del Prc - facciamo una riunione prima del voto tra i gruppi dirigenti e la segreteria". A trovare la quadra è stato il capo dell’organizzazione Ciccio Ferrara con la sua idea di riunire una direzione straordinaria con i gruppi parlamentari. Un’altra grana tra Romano Prodi e Rifondazione comunista, un’altra grana che non è minore di quella scoppiata ieri tra il premier e il Prc sulla legge elettorale. Giustizia: ddl; il carcere per discriminazioni di gay e trans
Redattore Sociale, 15 gennaio 2008
Chi molesta con insistenza una persona e chi incita alla violenza contro transgender o gay finirà in manette rischiando il carcere fino a 4 anni. Alla Camera, alla fine di un percorso tormentato e lungo, la proposta su stalking e omofobia - frutto dello stralcio dal ddl governativo sulla violenza sessuale - ottiene finalmente l’ok in commissione Giustizia. Il testo ora è pronto per l’aula, dove (salvo sorprese) approderà ai primi di febbraio. Ma quale nel dettaglio il contenuto della legge? Intanto, il nuovo reato di stalking: da sei mesi a 4 anni -ma la pena aumenterà in caso di recidiva o se a subire è un minore - a chi reiteratamente molesta o minaccia infliggendo alla vittima una sofferenza psichica ovvero determini un fondato timore per la sicurezza (propria o di persona vicina) o comunque pregiudichi in modo apprezzabile le sue abitudini di vita. In via generale è richiesta la querela, ma si procederà d’ufficio se le minacce sono gravi. Gli atti persecutori, inoltre, saranno aggravante sia in caso di omicidio sia di violenza sessuale. E in più abiliteranno alle intercettazioni telefoniche e agli incidenti probatori per acquisire la testimonianza anche di minori. Contro i molestatori le misure non si fermano comunque al giro di vite punitivo. Se la persona offesa lo chiede, scatterà l’ammonimento formale da parte del questore. E non solo: il giudice può vietare all’imputato di avvicinarsi ai luoghi frequentati d’abitudine dalla persona offesa o dai suoi familiari. Quanto ai reati di omofobia, qui il testo varato dalla commissione ritocca la legge Mancino aggiungendo alla discriminazione già sanzionata per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi quella fondata sulle condizioni personali o sociali o anche sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. Un restyling che permetterà dunque di condannare chi discrimina o istiga a discriminare omosessuali e transgender con la reclusione fino a un anno e 6 mesi (o in alternativa la multa fino a 6mila euro) e chi contro loro commette o incita alla violenza con il carcere da 6 mesi a 4 anni. Tra l’altro la circostanza peserà come aggravante e autorizzerà a procedere sempre d’ufficio. La legge peraltro, rispetto alla Mancino, dimezza la pena nel caso di propaganda (e non più semplice diffusione, come recita l’attuale formulazione) di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale ed etnico. Giustizia: caso Contrada; negata la sospensione della pena
Agi, 15 gennaio 2008
Bruno Contrada resta in carcere: il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha rigettato l’istanza di differimento della pena o in subordine di arresti domiciliari per motivi di salute. I giudici hanno depositato oggi la decisione presa dopo l’udienza camerale del 10 gennaio scorso sull’istanza presentata dall’avvocato Giuseppe Lipera, difensore di Contrada, ex numero 3 del Sisde condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Il legale si era rivolto al Tribunale di sorveglianza di Napoli dopo che il magistrato di sorveglianza di Santa Maria Caputa Vetere, pur riconoscendo che Contrada soffre di varie patologie, compreso il diabete, aveva ritenuto le sue condizioni di salute compatibili con la detenzione. Una pronuncia ora confermata dai giudici napoletani. Lipera, nelle scorse settimane, aveva rivolto anche una "implorazione-supplica" al Quirinale perché fosse considerata la possibilità di concedere la grazia a Contrada. Ma, in assenza di una domanda formale di clemenza ed essendo stata anche annunciata l’intenzione di proporre la revisione del processo, il Quirinale ha fatto sapere che non vi sono le condizioni per avviare l’iter della grazia. "Sono sconcertato, non riesco a capire il perché di questa decisione". È il commento dell’avvocato. "Adesso - spiega il penalista - prima di decidere quale altra iniziativa aspettiamo di leggere le motivazioni dei giudici. Il caso Contrada - aggiunge Lipera - forse non lo è mai stato, ma adesso si evince ancor di più, non è solo giudiziario è diventato anche politico ed istituzionale. E ciò è grave ed inquietante. Assomiglia sempre di più alla storia del capitano francese Albert Dreyfus". Secondo Lipera, "cresce in Italia la sfiducia in chi fa le leggi e in chi le applica. Per questo è un triste paese Italia. Non solo per la monnezza. In Italia si è pericolosi per legge: basta un’aggravante di un 416 bis, non importa se si è vecchi o ammalati, così ha stabilito il legislatore, cioè i parlamentari di allora che votarono quella legge e i parlamentari di oggi che la mantengono in vita. In Italia - ha proseguito Lipera - si è in salute e giovani con un semplice provvedimento di un giudice". Sulle condizioni di salute di Contrada, l’avvocato ha ironizzato: "I medici del Cardarelli, i luminari interpellati dai difensori del Contrada, i sanitari del Carcere Militare di Santa Maria Capua Vetere dicono tutti castronerie. Non è vero che Bruno Contrada soffre in carcere in maniera disumana, non è vero che rischia ischemie celebrali o cardiache e quindi la vita. I giudici hanno stabilito, nonostante il contrario parere di tutti i medici, che egli deve stare in carcere. Aveva ragione Piero Calamandrei: il giudice ha il potere del mago della favola può far diventare il bianco nero e il nero bianco. Solo che noi non siamo d’accordo - ha concluso - reagiremo immediatamente perché consapevoli di lottare per il giusto e per il vero ed il nostro motto rimane quello di insistere e non mollare". Molise: iniziative per migliorare la vivibilità delle carceri
www.primapaginamolise.it, 15 gennaio 2008
L’ Assessorato regionale alla Cultura ha approvato una serie di progetti volti a migliorare le condizioni di vita dei reclusi nei penitenziari del Molise. La somma stanziata dalla Regione Molise è pari a 50 mila euro ed ha permesso di finanziare, in cooperazione con il Ministero della Giustizia, tre differenti progetti, negli altrettanti Istituti penitenziari regionali. Alla casa circondariale di Campobasso è stato finanziato il progetto-laboratorio di scrittura "Ridiamoci sopra". Prevede attività tese a sviluppare le capacità d’iniziativa e d’espressione dei singoli, sollecitando la scoperta delle personali risorse individuali ed assecondando l’acquisizione di migliori competenze relazionali e sociali. Alla Casa Circondariale di Larino sono affidati due corsi, nel dettaglio per Aiuto pasticciere e per operaio edile polivalente. Entrambi mirano ad accrescere le abilità e le conoscenze dei detenuti, in settori che potrebbero rappresentare un futuro impiego, incrementando le possibilità di reinserimento nell’attività lavorativa. La Casa circondariale di Isernia realizzerà tre progetti. Un corso di ceramica, un corso teorico e pratico di attività motoria ed un laboratorio teatrale. La finalità è quella di formare i detenuti sulle tecniche di lavorazione dell’argilla, stimolando attraverso le arti manuali, grafiche e pittoriche i soggetti maggiormente disagiati all’interno della Casa Circondariale. Il corso di attività motoria ha l’obiettivo di fornire elementi utili, affinché ogni partecipante possa acquisire strumenti indispensabili per proseguire, all’interno dell’Istituto, un iter formativo che permetta di inserirsi nel mondo dell’educazione fisica. Infine il laboratorio teatrale lavorerà con l’intento di coinvolgere i giovani detenuti sia nella realizzazione della stesura di un copione originale, sia nella messa in scena dello stesso, così da indurre i partecipanti al confronto reciproco, e ad esprimersi attraverso un uso corretto del linguaggio. Grande soddisfazione è espressa dall’Assessore Arco che ha detto - la Regione Molise, con questo provvedimento, intende creare nuove opportunità di formazione a quanti si trovano ospiti nelle Case Circondariali regionali. Il nostro auspicio principale è che queste attività facilitino i percorsi di reinserimento socio-lavorativo delle persone detenute. Questi progetti danno continuità alle iniziative analoghe avviate dall’Assessorato che hanno già visto riscuotere un buon livello di partecipazione, con la conseguente formazione di diversi detenuti in ambito artigianale.
Sappe: in Molise migliori carceri d’Italia per il personale
Il Molise conquista un nuovo primato. Ce lo assegna il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe) che mette la regione in testa alla classifica nazionale delle migliori carceri per il lavoro del personale: primo posto a Campobasso, seguono a ruota Isernia e Larino. Palermo: progetti per ex detenuti e lavoratori svantaggiati
La Sicilia, 15 gennaio 2008
Sarà aumentato il finanziamento al progetto "Euforia", volto all’inclusione di soggetti svantaggiati e destinato ad ex-detenuti, lavoratori svantaggiati e persone in esecuzione penale esterna o sottoposte a misure di sicurezza. Il progetto includerà una serie di servizi cui saranno applicate tali categorie di lavoratori la cui attività verterà sulla pulizia delle spiagge, il presidio e la pulizia dei bagni pubblici, la cura del verde pubblico, il posizionamento della segnaletica orizzontale ed il ripristino di quella verticale, attività di attacchinaggio e facchinaggio ed infine supporto logistico e le attività di piccola manutenzione. L’amministrazione ha inoltre indetto una selezione per avviare il servizio di assistenza economica e lavorativa. Il bando, pubblicato da oggi sul sito web del Comune, scadrà tra trenta giorni. I lavori che svolgeranno i selezionati consisteranno nella custodia e la tutela delle strutture comunali, il servizio di tutela ambientale e altre mansioni individuate dall’Amministrazione comunale. Le domande e la relativa documentazione richiesta potranno essere presentate presso gli Uffici del Segretariato Sociale del Comune, in via Mattarella 55, al piano terra) e presso gli uffici di Aspra in piazza Monsignor Cipolla. Il 20% dei posti sarà riservato alla categoria "Donne sole", donne il cui nucleo familiare è composto dalla richiedente ed eventuali figli a carico, donne separate o divorziate, oppure donne il cui coniuge si trova in stato di detenzione. Alessandria: l’impegno dell’Università dentro il carcere
Il Piccolo di Alessandria, 15 gennaio 2008
Chi riesce a laurearsi in carcere ha qualità e forza d’animo che spesso mancano agli studenti esterni. Ne sono convinti i professori Maurilio Guasco, ordinario di storia del pensiero politico contemporaneo all’Università Amedeo Avogadro, e Attilio Giordana, docente del dipartimento di informatica della facoltà di scienze, matematica e fisica dello stesso ateneo. Entrambi hanno giocato un ruolo centrale nello sviluppo del Polo universitario all’interno della casa di reclusione di San Michele, entrambi continuano a sostenere con passione la tesi dell’istruzione e della laurea come strumento privilegiato per il reinserimento nella società. Soprattutto certe lauree, come quella in informatica, che consentono al detenuto che ha scontato la sua pena di potersi guadagnare da vivere in modo autonomo. Oggi l’università all’interno delle mura del San Michele è una realtà consolidata, una realtà che, nonostante le indubbie difficoltà, continua ad espletare il suo ruolo. Ma ce n’è voluto di tempo. Il professor Guasco ricorda come, sul finire degli anni ottanta, quando esisteva la scuola per ragionieri e geometri, si cominciò a ragionare della possibilità di proseguire gli studi per chi aveva conseguito il diploma. Fu la richiesta di un giovane detenuto appena diplomato a concretizzare l’ipotesi. Voleva iscriversi all’università - racconta Maurilio Guasco - e da lì nacque tutto. Fu insomma un fatto in qualche modo casuale, ma dietro esisteva una riflessione iniziata da tempo, che accarezzava l’idea di avere una piccola ala del carcere riservata agli studenti universitari. Una soluzione di quel tipo avrebbe permesso ai carcerati impegnati nel corso di laurea di poter studiare nonostante le difficoltà oggettive, nonostante i problemi legati agli orari da osservare, alla impossibilità di lasciare le celle, al ritmo che regola i tempi di una casa di reclusione. Non si trattava certo di un’impresa facile. Occorreva innanzitutto l’approvazione del ministero della giustizia, e che la direzione del San Michele mettesse a disposizione un’area separata all’interno dell’istituto di reclusione. La difficoltà con informatica - spiega il professor Giordana - è che i laureandi hanno un maggiore bisogno di assistenza. Le materie tecniche richiedono una preparazione specifica per poter proseguire, e queste nozioni vengono acquisite solo con un docente vicino. La motivazione è fondamentale: se penso alle possibilità di reinserimento riesco a immaginare un ex detenuto informatico che con l’acquisto di un computer riesce a produrre software da casa sua. Faccio invece fatica a pensare a un ex detenuto nell’aula di un tribunale. Informatica ha questo grande vantaggio, unito a quello non trascurabile di non richiedere un’attrezzatura di laboratorio pesante. Attilio Giordana, non risparmia critiche al pregiudizio con cui viene ancora vista l’informatica all’interno degli ambienti carcerari, un pregiudizio che ricorda quello della caccia alle streghe. Ciò che non si comprende viene visto con sospetto. Il collegamento a internet, che permetterebbe agli studenti di entrare nel sito della facoltà, è perfettamente controllabile. Abbiamo la migliore polizia postale del mondo, e monitorare con filtri e sistemi di oscuramento il collegamento con l’esterno sarebbe un gioco da bambini. Adesso il polo universitario del carcere ha una piccola biblioteca e spazi per studiare e incontrare i docenti. Grazie al supporto di alcune direzioni particolarmente illuminate, sono arrivati i primi laureati in scienze politiche, informatica, lettere. Il muro di gomma contro il quale continuamente rimbalzano gli sforzi di coloro che lavorano in carcere è quello rappresentato dalle lunghezze burocratiche. Vorremmo avere risposte in tempi accettabili - dice ancora il professor Guasco - poiché ci sono delle scadenze, e non osservarle significa far saltare esami, corsi, stage. I detenuti che hanno dimostrato una reale volontà di reinserimento hanno trovato nell’università un ambiente scevro da pregiudizi, molto "informale" dal punto umano e delle relazioni. Dal 2000, da quel primo tentativo di creare uno spazio fisico per il polo universitario, molta strada è stata fatta. Prima di avere questa struttura ideale le lezioni si svolgevano in un piccolo gruppo di stanze. Però alcuni detenuti hanno interrotto gli studi dopo la nuova sistemazione. Perché nelle nuove aule non potevano "vedere l’orizzonte". Genova: leggere, un diritto di tutti, anche dei detenuti
Redattore Sociale, 15 gennaio 2008
Un convegno a Genova per fare il punto sulla situazioni delle biblioteche nelle carceri, a confronto esperienze italiane e europee. Un’occasione anche per mettere in rete le realtà presenti sul territorio. Con l’evocativo titolo "Galeotto fu… il libro. Lettura, biblioteche e carcere" nella città ligure si è tenuto questa mattina un convegno sulle biblioteche carcerarie. L’iniziativa è stata organizzata dall’Aib - Associazione italiane biblioteche - sezione Liguria, dalla Biblioteca Universitaria di Genova, dal Comune di Genova, dal Goethe Institut e dall’amministrazione penitenziaria dipendente dal Ministero di Giustizia. Durante il convegno, aperto dai saluti dell’assessore provinciale Milò Bertolotto e del sindaco di Genova Marta Vincenzi, le principali istituzioni regionali interessate all’argomento si sono confrontate per fare il punto sulla lettura in carcere. Hanno introdotto la complessa realtà delle carceri in relazione agli spazi di lettura e al prestito individuale, e in generale alla fruizione libraria, i massimi responsabili dell’amministrazione penitenziaria in Liguria: il provveditore regionale Salamone, il funzionario del ministero Livia Botto e i direttori delle carceri Salvatore Mazzeo, Giuseppe Comparone e Maria Milano (rispettivamente a Marassi, Pontedecino e Chiavari). Grazie alla partecipazione istituzionale e al contributo professionale di bibliotecari internazionali e locali, il convegno ha rappresentato l’occasione per mettere in rete le esperienze presenti sul territorio confrontandosi con analoghe realtà internazionali. In questa direzione sono andati gli interventi di Angela Barlotti, biblioterapeuta della Disadvantaged Section dell’Ifla, di Gerhard Peschers, presidente della Società biblioteche carcerarie della Germania, e dei molti bibliotecari italiani, carcerari e no, intervenuti: Felicia Firpo, Emanuele Canepa, Marcello Balocchi, Elena Benetello. Tra gli obiettivi del convegno, e del serrato confronto tra le diverse professionalità, trovare le risorse per sostenere quello che in questi anni è stato fatto, riuscendo a comunicarne l’importanza anche all’esterno delle istituzioni carcerarie, e al contempo creare nuove sinergie per ampliare l’offerta delle attività di promozione del libro e della lettura nei penitenziari. Il presidente dell’Aib sezione Liguria, Francecso Langella, a conclusione dei lavori dichiara: "È stata una giornata utile e interessante, per la prima volta biblioteche carcerarie e territoriali su sono messe intorno a un tavolo. Oltre un centinaio di partecipanti tra bibliotecari, operatori e volontari. Molti gli esempi da seguire: dal protocolla d’intesa tra la Biblioteca Berio di Genova e il carcere di Marassi che permette il prestito interbibliotecario, all’esperienza del carcere di Chiavari dove si sta allestendo uno spazio di accoglienza dove fare promozione del libro, anche per le famiglie dei detenuti. C’è poi un bisogno crescente di libri e periodici nelle lingue dei carcerati, qui vanno create sinergie ancora tra biblioteche pubbliche e carceri. C’è stato un clima di disponibilità e di proficuo scambio, l’Aib insieme al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria hanno avviato, coinvolgendo altre realtà, un Coordinamento regionale sulle biblioteche carcerarie. È un nuovo passo verso il diritto alla lettura anche delle persone detenute". Rieti: porta della droga al figlio detenuto, madre arrestata di Eliana Di Lorenzo
Il Tempo, 15 gennaio 2008
Cuore di mamma. Nella buona e nella cattiva sorte. Si scambiano droga all’interno del carcere reatino, tentano di eludere la sorveglianza della polizia penitenziaria ma non ci riescono. Lui, I.S. romano, 34 anni non proprio un figlio modello, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, tossicodipendente, si trova nel carcere di Rieti da sei mesi, per scontare circa due anni per rapina. Lei, P.M. madre che viene amorevolmente a trovare il suo "cucciolo" un po’ smarrito. I colloqui durano un’ora circa, i poliziotti sono di solito appostati dietro ad un vetro, dove possono controllare detenuti e familiari. Un gesto fugace, tra madre e figlio, un movimento di troppo è bastato alla Polizia Giudiziaria per capire che qualcosa non andava, fino a sabato mattina, quando una perquisizione nella cella del detenuto capitolino ha fatto scoprire il mistero. Difficile l’operato della Polizia Penitenziaria, che ha portato avanti indagini delicate, serrando i controlli sull’uomo. L’unità cinofila ha poi svelto l’arcano: la donna riforniva il figlio di droga. Adesso il detenuto è stato trasferito in un altro carcere, e l’A.G. sta definendo un inasprimento della pena che l’uomo stava già scontando. Le manette sono scattate invece ai polsi della sua mamma. Pordenone: verso la ristrutturazione del vecchio carcere
Il Gazzettino, 15 gennaio 2008
Cosa diranno i tre funzionari ministeriali che oggi incontreranno il vertice istituzionale locale in prefettura resta coperto da un fitto riserbo anche se c’è un presentimento legato a indiscrezioni che sono circolate. In pratica Pordenone quasi certamente dovrà attendere ancora parecchi anni prima di avere una nuova casa Circondariale: i soldi non ci sono. Nel frattempo, per migliorare la qualità di vita dei carcerati rinchiusi al "Castello" e degli agenti penitenziari che ogni giorno lavorano nella struttura, potrebbero essere avviati del lavori di manutenzione straordinaria. Potrebbe essere questa, dunque, la strada individuata dal Ministero dopo che diverse traversie che hanno coinvolto (seppur per problemi diversi) sia il Governo Berlusconi che quello Prodi hanno fatto in modo che il finanziamento di circa 40 milioni di euro previsto per il nuovo carcere sia stato dirottato altrove. Anche se non c’è alcuna certezza che questa sia la strada che oggi i funzionari del Ministero indicheranno al prefetto Elio Maria Landolfi, al presidente della Provincia Elio De Anna, ai sindaci di Pordenone Sergio Bolzonello e di San Vito Gino Gregoris, oltre che al direttore "del Castello" Alberto Quagliotto e a quello interregionale Bocchino, sembra comunque certo che la nuova casa Circondariale non abbia speranze di essere realizzata in tempi decorosi. Per la verità un passo avanti nella Finanziaria c’è stato: è stata aggiunta una posta straordinaria (interessa tutte le strutture nazionali) pari a 20 milioni di euro per l’anno in corso (20 per il 2009 e 30 per il 2010) legata a lavori di manutenzione del patrimonio carcerario esistente. Pordenone rientrerebbe tra questi. Non a caso i tre funzionari ministeriali prima di incontrare le autorità locali faranno una sorta d’ispezione al Castello per rendersi conto della situazione. Nel corso della visita prenderanno nota delle esigenze logistiche della struttura e dei lavori che si rendono prioritari per farla "più confortevole". A fianco di questa soluzione che piace a pochi, non è da escludere, però, che gli stessi funzionari ministeriali possano aggiungere, anche alla luce della "minaccia" del primo cittadino Sergio Bolzonello di firmare una ordinanza di chiusura della struttura per motivi igienico - sanitari, un percorso alternativo che comunque comporterebbe tempi lunghi. In questo senso potrebbe essere letto l’invito esteso al sindaco di San Vito, Gino Gregoris, visto che nel "suo" comune c’è la disponibilità della caserma "Dall’Armi", bene demaniale passato in carico all’ente locale. In ogni caso il sito è decisamente compromesso e quindi è difficile pensare che realizzare la casa circondariale nel sanvitese possa costare meno rispetto ad una struttura ex novo a Pordenone. "Se oggi dovessero dirmi che il carcere si farà a San Vito - spiega Bolzonello - non farei le barricate perché l’importante è farlo in tempi brevi. Dubito, però, che se non ci sono soldi per Pordenone, possano apparire all’improvviso per il sanvitese. L’ordinanza di chiusura? L’ho già detto: a fronte di non risposte andrò avanti". Secco il commento del deputato di An, Manlio Contento. "Sono curioso di sapere cosa diranno i funzionari ministeriali. L’auspicio è che non si ricominci con le visite in provincia che - come abbiamo visto - sono state del tutto inutili". Rovigo: An; non c’è libertà... se non c’è anche sicurezza
Il Gazzettino, 15 gennaio 2008
"Non c’è libertà se non c’è sicurezza. La situazione è uguale al Sud come al Nord. Non si deve di necessità arrivare a contare morti o feriti per riconoscere lo stato di emergenza. Lottare contro il crimine senza fare distinzioni di sorta è l’unico modo per garantire la libertà". Lo ha detto ad apertura del suo intervento, l’onorevole Filippo Ascierto, membro della Commissione Difesa della Camera, protagonista della primo appuntamento del corso di formazione politica di Alleanza Nazionale. Accanto ad Ascierto anche il presidente provinciale di An, l’onorevole Luca Bellotti, e l’assessore regionale Isi Coppola. Per tutta la mattina il pubblico ha seguito l’illustrazione delle misure di repressione e di prevenzione del crimine descritte da Ascierto. "Senza certezza della pena - ha detto - non è possibile dare garanzie di sicurezza ai cittadini. E certezza della pena significa anche tempi più celeri nei processi. È vergognoso che in Italia per arrivare a una sentenza debbano passare anche 10-20 anni e che nel frattempo le condanne ottengano sconti di ogni sorta. Lo Stato per ciò che riguarda la giustizia deve guardare al modello anglosassone. Lì la vittima è risarcita in tempi celeri dallo Stato e chi delinque deve pagare il suo debito con la giustizia lavorando per lo Stato, senza sconti o attenuanti". Ascierto ha detto che non basta invocare nuove e più restrittive misure di repressione: è necessario puntare sulla prevenzione. Si fanno necessari maggiori investimenti per le forze dell’ordine. "Serve ancora un nuovo assetto che preveda una maggiore coordinazione tra i reparti compresa la polizia municipale ridotta al rango di spara multe del Comune ai fini di bilancio (solo a Rovigo corrispondono a 6 miliardi di vecchie lire gli introiti da multe)". Non sono mancate le tirate d’orecchie al Governo, "con la sinistra che usa la sicurezza come bandiera nella campagna elettorale e una volta presa la giusta posizione sugli scranni romani, approva l’indulto, nomina ex terroristi ai vertici delle istituzioni parlamentari e allarga le braccia a un’immigrazione non più controllata". A chiudere il corso è stato il promotore dell’iniziativa, Luca Bellotti. "Oltre 50 persone iscritte sono la prova evidente che l’anti-politica non è l’atteggiamento dominante della comunità polesana. Oggi più di ieri c’è fame di conoscenza e voglia di approfondire. An crede che per governare bene sia necessario prima conoscere e per questo, da anni, ha deciso di puntare sulla formazione". Immigrazione: Cpt Lamezia; evadono 20 egiziani, tutti ripresi di Gianfranco Manfredi
Il Messaggero, 15 gennaio 2008
Una notte brava, con i poliziotti bersagliati dal lancio di suppellettili e una fuga di massa riuscita a metà. Buona parte degli "evasi" dal Centro di permanenza temporaneo di Lamezia Terme, però, è stata riacciuffata. Stanchi, affamati, infreddoliti e con gli abiti fradici d’acqua per la pioggia caduta abbondante fino all’alba. Qualcuno, addirittura, è ritornato indietro spontaneamente consegnandosi in mattinata agli operatori della cooperativa sociale che gestisce il centro. Ieri è tornata la calma nel Cpt di Lamezia Terme dove l’altra notte sono fuggiti una ventina di immigrati quasi tutti giovani e di nazionalità egiziana. Per un’ora, dopo la mezzanotte, la moderna struttura che sorge a qualche chilometro dalla città e a una decina dall’aeroporto, era diventata teatro di scene da curve ultras. Protagonisti un gruppo di immigrati clandestini trasferiti dalla Sicilia. Erano sbarcati a Lampedusa pochi giorni fa e li avevano trasportati nel centro calabrese in vista di un imminente rimpatrio con provvedimento di espulsione. La prospettiva, insieme probabilmente a qualche input giunto dall’esterno, li ha spinti a tentare la fuga. E a quanto pare non hanno esitato a profanare il locale adibito a moschea per utilizzare un vecchio termosifone divelto dal muro e usarlo come un ariete per forzare il cancello. Subito sono intervenuti gli agenti della polizia di Stato in servizio nella struttura che hanno lanciato anche alcuni lacrimogeni, mentre gli immigrati li bersagliavano con oggetti vari. Nonostante questo, ed anche a causa del violento temporale che era in corso, un gruppo nutrito è comunque riuscito ad allontanarsi dal centro scomparendo nelle campagne circostanti. I poliziotti e gli operatori sociali hanno controllato l’intera struttura e constatato la mancanza di 21 persone sui 75 ospiti del Cpt. Le ricerche sono scattate immediatamente e due immigrati sono stati presi dopo pochi minuti. Poi, alle prima luci dell’alba, le battute in tutta la zona, che si sono avvalse del supporto di un elicottero del nucleo di Reggio Calabria, hanno consentito alle forze dell’ordine di trovare un altro gruppo di fuggitivi. Un giovane egiziano è stato trovato in ospedale, dove era andato per farsi curare alcune escoriazioni. Tutti sono stati riportati nel Cpt dove altri due, forse senza contatti esterni, si erano ripresentati volontariamente. La struttura Cpt di Lamezia, in contrada Pian del Duca, è considerata ad alta affidabilità, classificata di recente a buoni livelli dall’apposita Commissione d’inchiesta presieduta da Staffan De Mistura. Le ricerche dei fuggitivi continuano: fra i clandestini egiziani si potrebbero, infatti, nascondere soggetti a rischio di fondamentalismo islamico. E sospetti di contiguità con cellule terroristiche. Europa: una ricerca sulle misure alternative al carcere
Blog di Solidarietà, 15 gennaio 2008
Il Comité Européen pour les Problèmes Criminels del Consiglio d’Europa (Cdpc), ha incaricato il Conseil de Coopération Phénologique (PC-CP) di avviare una ricerca sulle pratiche e i campi di azione dei servizi di Probation nei 47 Stati membri. Lo studio sarà condotto dal PC-CP, presieduto da Sonja Snacken, professore in Criminology all’università di Bruxelles. Il Consiglio di Europa utilizzerà tale ricerca come base per la definizione di una raccomandazione sulla Probation. In Europa, le misure alternative al carcere, riconducibili alla Probation, stanno cambiando ed è forte l’esigenza di uno studio approfondito su tali misure in quanto ogni Servizio di Probation ha una propria cultura e la propria storia alle spalle. In Europa centrale ed Orientale, paesi senza una tradizione di Probation, stanno sviluppando le sanzioni di Comunità e stanno istituendo i servizi nazionali di Probation. in Europa occidentale, i paesi con una lunga tradizione di Probation, sembrano testimoniare sviluppi differenti. Sonja Snacken evidenzia come in alcuni paesi si continui a sottolineare l’importanza dei programmi che si concentrare sul reinserimento del reo nella Comunità, mentre in altri si enfatizzi il controllo del condannato attraverso programmi rivolti alla sua condotta, alla riduzione della recidiva. In molti paesi, tuttavia, il lavoro dei servizi di Probation si è esteso a tutti i livelli dei sistemi di giustizia penale e di esecuzione delle sanzioni e misure di comunità. Inoltre in alcuni paesi tali servizi prendono in carico sia chi ha commesso il reato e sia la vittima. Essendo il Consiglio d’Europa un’organizzazione intergovernativa, le relative raccomandazioni possono soltanto avere effetto quando queste sono firmate dagli Stati membri e quando sono praticamente applicabili in tutti gli Stati membri. Di conseguenza, il Consiglio d’ Europa in primo luogo ha bisogno di un’attenta panoramica sui diversi sistemi di Probation esistenti in Europa. Gli esperti del Cdpc inizieranno tale studio nel 2008. Successivamente gli esperti del PC-CP e del Cdpc lavoreranno a stretto contatto al fine di formulare le raccomandazioni. Durante il processo di elaborazione del testo finale saranno regolarmente informati tutti i 47 Stati membri del Cdpc sul progresso dei lavori i n modo da poter eventualmente riportare delle loro osservazioni. Le raccomandazioni saranno presentate, si spera entro la fine del 2009, al Consiglio dei Ministri. Il Cdcp ha individuato specifici settori di attenzione che la ricerca dovrà affrontare. Questi variano per speciali gruppi di criminali come i condannati per reati a sfondo sessuale, reati violenti, recidivi, stranieri, etc. Inoltre verranno affrontati altri aspetti come il segreto professionale, la selezione e la formazione del personale coinvolto nei servizi di Probation. In molti aspetti, l’elaborazione delle raccomandazioni cercherà di raggiungere un punto di equilibrio, in quanto i sistemi di Probation in Europa sono diversi gli uni dagli altri. Secondo Sonja Snacken, che ritiene possibile l’entrata in vigore delle raccomandazioni nel 2010 , per formulare delle raccomandazioni che potranno essere sottoscritte da tutti i paesi membri, sarà necessario prendere in considerazione tutti i vari sistemi di Probation. Tutti gli stati membri concordano nel considerare le raccomandazioni espressione del consenso di come le cose dovrebbero essere. In pratica, tribunali internazionali come la Corte europea per i diritti umani, sempre più spesso si riferiscono alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa. Quindi- sempre secondo Sonja Snacken , le raccomandazioni esercitano un forte valore morale. Ci sono esperienze nazionali, come in Belgio, dove un Tribunale ha basato la sua sentenza, almeno in parte, sulle raccomandazioni del Consiglio d’Europa. Attraverso tale giurisprudenza, le raccomandazioni stanno assumendo anche un valore giuridico. Norvegia: Bastoey, in prigione s’impara anche l’ecologia di Maurita Cardone
Modus Vivendi, 15 gennaio 2008
Sorge in Norvegia ed è il primo eco-carcere del mondo: 155 detenuti inseriti in un percorso di "recupero" che ha come obiettivo l’insegnamento dell’ecologia umana. Recuperare i detenuti attraverso il rispetto per l’ambiente. Non si tratta dell’ultima utopia sociologica: in Norvegia è realtà. Si chiama Bastoey ed è il primo eco-carcere del mondo. In un posto che potrebbe fare da scenario a una fiaba nordica, un’isola in uno dei fiordi più belli della Norvegia, sorge un villaggio che, più che un carcere, sembra un campo vacanze. Sull’isola ci sono spiagge, foreste e una riserva naturale: due chilometri e mezzo di territorio protetto e ventuno casette di legno del ‘900 dove i prigionieri vivono, quattro o cinque per stanza, tra mobili di legno chiaro, cucine ben attrezzate e bagni pulitissimi. Le chiavi non servono. Non ci sono lucchetti, né pesanti serrature. I 155 "ospiti" di Bastoey sono responsabili per la gestione della struttura e tutto avviene nel pieno rispetto di rigorosi criteri ambientali: una raccolta differenziata attenta e meticolosamente gestita; pasti preparati con cibo prodotto sull’isola e coltivato dagli stessi detenuti secondo i criteri dell’agricoltura biologica; animali allevati con rispetto e umanità; riscaldamento a fuoco, alimentato da legname locale; energia prodotta da pannelli fotovoltaici che coprono oltre il 70 per cento del fabbisogno energetico della prigione: una struttura energeticamente autosufficiente. La prigione qui non è una punizione, bensì un percorso di crescita e conoscenza. E questo percorso passa attraverso il rispetto di ciò che circonda l’essere umano. Ai prigionieri viene insegnato il valore della protezione della natura e del contesto umano. La filosofia è quella dell’ecologia umana. È lo stesso direttore del carcere, Oeyvind Alnaes, a usare questa espressione per raccontare Bastoey. "Vivere in un ambiente che dà ai detenuti responsabilità individuali e li pone di fronte a impegni e sfide può motivarli a cambiare i loro comportamenti. La nostra filosofia è il principio di responsabilità. L’umanità e l’ecologia sono i nostri ideali di base, qui insegniamo che quello che fai oggi ha conseguenze sul domani. Il fatto di sentirsi parte di un contesto regolato da precise dinamiche, fatto di rapporti e reciprocità, responsabilizza gli individui". In Norvegia il massimo della pena è di 21 anni, ma pochi detenuti la scontano per intero. Chi oggi è in carcere verrà poi reinserito nella società. "Domani sarà il nostro vicino di casa e, se per allora non sarà cambiato, allora avremo un problema" continua Alnaes. Verrebbe da pensare che un posto così il sistema penitenziario norvegese lo riservi a detenuti accusati di crimini minori. In realtà a Bastoey ci sono assassini e stupratori, rapinatori e pedofili. Si tratta, sì, di un carcere di minima sicurezza, ma non perché gli ospiti non siano criminali a tutti gli effetti, bensì per scelta, per filosofia. Per venire a stare a Bastoey i prigionieri devono fare richiesta; compilano un questionario in cui devono innanzitutto rispondere alla domanda: "Bastoey è il posto per te?". Gli aspiranti carcerati esprimono le proprie motivazioni che la direzione valuta e che, se ritenute valide e adeguate al programma, spalancano le porte della prigione più richiesta del paese. "Noi non vogliamo sapere che cosa hanno fatto nel passato. Ciò che ci importa è cosa vogliono fare da ora in poi". A Bastoey i detenuti possono studiare, giocare a tennis, avere una propria tv, nuotare in mare. Hanno a disposizione consulenti legali e psicologi, gruppi di alcolisti anonimi, operatori che si occupano del recupero dei tossicomani. Hanno l’opportunità di imparare un lavoro. "Vogliamo creare opportunità di sviluppo e di crescita per gli individui e gettare le fondamenta per possibili cambiamenti, offrire a tutti le migliori opportunità per costruire un futuro" dice Oeyvind Alnaes che, dopo avere lavorato per quindici anni nei penitenziari tradizionali, ha concepito il modello Bastoey. "La prigione - dice - non migliora la gente. Per questo abbiamo dovuto cercare altre strade. Se tratti male una persona, quello che la persona impara è a trattare male gli altri; se rispetti, insegni a rispettare". La giornata a Bastoey si svolge regolare: alle 7.15 la sveglia, alle 8 si inizia il lavoro. La puntualità non è un dettaglio: se si arriva tardi al lavoro per quattro volte bisogna lasciare l’isola. C’è chi lavora nelle stalle dove si allevano mucche e cavalli; c’è chi porta a pascolare le pecore, chi pesca in mare; nei campi si coltivano soprattutto patate. Gli edifici di legno hanno continuo bisogno di manutenzione e i detenuti se ne occupano come fossero le loro case. Poi c’è il lavoro nelle cucine, quello nella lavanderia e i turni di pulizia. Alle 15 finiscono i doveri e c’è tempo per lo svago e la socialità: cena nella sala comune e tempo libero. Bicicletta, calcio, d’inverno addirittura lo sci; e poi una biblioteca con migliaia di libri e computer. A sera il traghetto porta indietro i dipendenti: sull’isola restano solo i detenuti e cinque agenti che hanno il compito di controllare che alle 11 si spenga la luce in tutte le stanze. "Questo carcere è un simbolo - dice il ministro della Giustizia norvegese Knut Storberget -, dimostra che è possibile pensare in modo diverso. Abbiamo bisogno di alternative ai modelli tradizionali: l’idea di sposare la detenzione all’ecologia mira a educare i detenuti al rispetto dell’ambiente oltre che della società e delle leggi". Secondo Storberget i costi sostenuti per mandare avanti la struttura saranno ampiamente recuperati se il reinserimento dei detenuti nella società avverrà in maniera corretta: "se - dice - come gli altri cittadini saranno in grado di riprendere una vita normale e produttiva". Un posto perfetto, anche a detta dei detenuti che non fanno che dire quanto Bastoey abbia cambiato le loro vite. "Qui ho ritrovato me stesso - dice H., un detenuto di 57 anni accusato di corruzione -. Di giorno lavoro con i cavalli e quando mia figlia viene a trovarmi andiamo a fare una cavalcata insieme; la notte faccio il giornale dell’isola. Questa, se la sai usare, è una buona occasione". N., 35 anni, arrestato per aver abusato dei suoi quattro figli, spiega: "Non serve chiudere la gente dentro le celle. Qui si impara ad amare il lavoro, ci si sente utili e così si migliora se stessi". Eppure, ascoltando le storie di Bastoey, non si può evitare di fare una riflessione: che nell’ecologia umana, dentro questo delicatissimo ecosistema che è la società, un modello come questo possa funzionare solo nella misura in cui continuano a esistere altre carceri; che Bastoey abbia bisogno di un termine di paragone negativo, della "minaccia" di altre prigioni. Libia: l’inferno dei campi di detenzione per immigrati
Melting Pot, 15 gennaio 2008
La storia di Tareke, 25 anni, oggi mediatore culturale. Dopo l’accordo tra Italia e Libia, preoccupano respingimenti e rispetto dei diritti: dalla coste libiche passa il 60% dei circa 10.000 richiedenti asilo che riceve ogni anno l’Italia. Il 29 dicembre 2007, Italia e Libia hanno firmato un accordo di pattugliamento congiunto delle acque libiche. L’accordo prevede il respingimento delle barche dei migranti, che saranno quindi riportate verso i porti libici. Il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, si è detto soddisfatto: "Ora sarà possibile bloccare i traffici e salvare molte vite umane. È ciò che è stato fatto sulle coste dell’Albania, azzerando di fatto l’afflusso dei clandestini attraverso quella rotta". Tuttavia nessuna garanzia è stata data sul rispetto dei diritti dei migranti e dei rifugiati che saranno rimpatriati. Se infatti dalle rotte libiche arriva soltanto l’8% dell’immigrazione irregolare italiana, da quelle stesse rotte passa invece il 60% dei circa 10.000 richiedenti asilo politico che riceve ogni anno l’Italia. Anche loro saranno rispediti in un Paese, la Libia, che non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e che è stata accusata di gravi abusi ai danni dei migranti, da Human Rights Watch, Amnesty International, e Fortress Europe. Redattore Sociale ha intervistato un rifugiato eritreo per capire cosa rischiano i migranti che saranno respinti in Libia. Tareke ha 25 anni, lavora come interprete e mediatore culturale per una grande organizzazione non governativa. Era partito da Zuwarah nel 2005, con 264 persone a bordo di una nave finita alla deriva dopo dieci ore di mare, col motore in avaria. "Dopo cinque giorni in mare, una nave militare maltese ci soccorse. Ci affidarono ad una nave libica, che ci trainò fino al porto più vicino, dove arrivammo l’indomani". Una volta a terra i migranti vennero arrestati, compresi donne e bambini. "Nel corridoio d’ingresso del centro, due file di agenti armati di tubi neri di plastica bastonavano uno ad uno i nuovi arrivati che filavano verso le camerate". Dopo tre mesi, il trasferimento in un carcere nel sud del Paese, alla frontiera con il Sudan, vicino la città di Kufrah. "Eravamo 264, ci fecero salire su due camion, stipati come sardine. Stavamo rinchiusi dentro un container di ferro, al buio. C’erano solo due feritoie strette, sufficienti a far entrare un po’ d’aria e ad evitare che soffocassimo tutti. Non si riusciva a muoversi, eravamo pigiati gli uni sugli altri. Il viaggio per Kufrah durò due giorni, al buio, con l’aria finita, senza mangiare né bere, con un caldo asfissiante, senza poter andare al bagno... A bordo c’erano delle donne, una incinta, e alcuni bambini". Ma il vero inferno inizia nel campo di detenzione di Kufrah. Il sovraffollamento, la fame, gli abusi e infine le deportazioni. "A Kufrah dormivamo in celle di sei metri per otto, nella mia eravamo in 78 persone. Le celle restavano chiuse 24 ore su 24 e durante il giorno diventavano dei forni per il caldo che faceva. La notte dormivamo incastrati, per terra, la testa accanto ai piedi dei vicini. Usavamo pantaloni e maglietta come materasso. Ci tenevano alla fame. Un piatto di riso lo potevamo dividere anche in sette o otto persone. C’erano molti ammalati, soprattutto di scabbia e dermatiti, ma anche di tubercolosi. Ogni tanto prendevano uno, lo portavano in cortile per divertimento. Gli facevano fare le flessioni, e quando non ce la faceva più lo riempivano di calci". Tareke è stato fortunato. Parla l’arabo e si è fatto scambiare per un sudanese, è stato liberato dopo un mese. Gli altri, dopo uno o due anni di carcere, sono spesso deportati e abbandonati alla frontiera, in pieno deserto, come documentato ampiamente dai rapporti di Human Rights Watch e Fortress Europe. L’accordo italo-libico prevede l’invio di sei mezzi della Guardia di Finanza, che opereranno in acque libiche, con equipaggi misti. La Libia sarà inoltre dotata, grazie ad un finanziamento Ue, di un sistema di controllo delle sue frontiere terrestri. La direzione e il coordinamento delle attività di pattugliamento e di addestramento saranno affidati ad un Comando operativo interforze, con sede in Libia. Il responsabile sarà libico, il vice italiano. L’Italia collabora con la Libia per il contrasto dell’immigrazione irregolare sin dal 2003 e ha spedito oltremare 100 gommoni, sei fuoristrada, tre pullman, 40 visori notturni, 50 macchine fotografiche subacquee, 500 mute da sub, 150 binocoli, 12 mila coperte di lana, 6.000 materassi e cuscini, 50 navigatori satellitari, 1.000 tende da campo e 500 giubbotti di salvataggio. Ma anche 1.000 sacchi per cadaveri. Inoltre il Governo italiano ha finanziato la costruzione di un centro di formazione per la polizia a Sabha e di un centro sanitario a Kufrah. E ha pagato i rimpatri aerei di oltre 5.500 migranti detenuti in Libia, tra il 2003 e il 2004, per un totale di 47 voli, uno dei quali diretto in Eritrea, Paese nel quale i rifugiati, quasi sempre disertori dell’esercito, sono condannati al carcere e talvolta sono uccisi. Sudan: armati assaltano un carcere e liberano 90 detenuti
Ansa, 15 gennaio 2008
Uomini armati hanno assaltato una prigione della città di Buram, nel Darfur del Sud, liberando 90 detenuti. Stando a quanto riferito dai mezzi di informazione locali e nazionali, nell’attacco sono rimaste ferite due guardie penitenziarie. La polizia non ha commentato. Un funzionario Onu attivo nel Darfur del Sud ha dichiarato sotto anonimato che l’attacco sarebbe stato messo a segno da uomini della tribù araba Salamat. Stando alle prime informazioni, molti dei detenuti liberati sarebbero membri della stessa tribù. I Salamat e altre tribù arabe nomadi della regione sudanese sono sospettate di appartenere alla milizia araba dei janjaweed, sostenuta dal governo di Khartoum nel conflitto civile che da quasi cinque anni insanguina la regione. Almeno 200.000 persone sono morte e altre 2,5 milioni sono state costrette ad abbandonare le proprie case a causa della guerra.
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