Rassegna stampa 12 gennaio

 

Giustizia: informazione e sicurezza, il Pd accusa Violante

 

Corriere della Sera, 12 gennaio 2007

 

Tg e sicurezza, accuse Pd a Violante. Polito: solo notizie buone? Nelle dittature. La replica: io equivocato. Calderoli (Lega): questa è vera e propria censura. Folena (Prc): ma in video c’è un’overdose di sangue.

Un diluvio di polemiche si è abbattuto su Luciano Violante. Non solo nel centrodestra. Anche a sinistra c’è chi critica la sua iniziativa di convocare i direttori dei Tg, per riflettere sul fatto che "l’informazione è uno dei fattori che accresce il senso di insicurezza dei cittadini". Già averli chiamati davanti alla commissione Affari Costituzionali, di cui è presidente, comporta, secondo Giuseppe Caldarola, Pd, ex direttore dell’Unità, "l’idea che i direttori dei Tg abbiano una forma di responsabilità nel provocare scientificamente un senso di paura nella gente".

Ma ammesso che i Tg condividano questa impostazione, dice il senatore del Pd Antonio Polito, e rinuncino a mandare in onda notizie di delitti e reati, "sarebbero costretti a offrire alla gente solo le cosiddette notizie buone, che è una classica soluzione delle dittature". Il fatto è, aggiunge Caldarola, che "non si possono spiegare le difficoltà di chi governa col fatto che stampa e tv diffondono notizie che creano allarme e paura. La gente non ha bisogno di guardare i Tg per spaventarsi. Si spaventa per esperienza diretta".

Violante replica che è tutto un equivoco, che lui non aveva nessuna intenzione di dettare regole di comportamento ai direttori e soprattutto allontana da sé il sospetto che avesse in animo di imbastire un processo ai Tg perché diffondono un senso di insicurezza sociale. "Ho chiesto ai direttori dei Tg Rai, Mediaset e Sky se avevano piacere di venire. Erano entusiasti". E l’altro ieri si sono presentati alla Camera.

Ma il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Mario Landolfi (An), gli contesta il diritto di convocarli. "Nella nostra Commissione - racconta -, stiamo svolgendo un’indagine conoscitiva sull’informazione televisiva al tempo dell’antipolitica. Abbiamo sentito Santoro, la Annunziata e qualcun altro. Ma i colleghi di sinistra mi hanno accusato di intimidazione, di voler influenzare l’informazione. Non mi pare che reagiscano allo stesso modo contro Violante". No, anzi. Pietro Folena, deputato di Rifondazione, presidente della Commissione Cultura della Camera, condivide in pieno le conclusioni alle quali è giunto Violante. "C’è un’overdose di sangue, per esempio a Porta a Porta, che non va bene". Anche Liberazione, giornale di Rifondazione, cavalca la tesi dei Tg colpevoli.

Ma il leghista Roberto Calderoli parla di "una vera e propria censura". Più caustico Osvaldo Napoli (FI), che teme un ritorno "ai tempi della Santa Inquisizione".

Giustizia: Violante; ma l’insicurezza è solamente percepita

di Angela Mauro

 

Liberazione, 12 gennaio 2007

 

Il presidente della Prima Commissione di Montecitorio "stupito" dalle critiche sull’audizione dei direttori dei Tg: "È normale attività parlamentare" Violante: "L’insicurezza è solamente percepita".

Non ama parlare di "colpe". Spiega che l’intenzione della commissione Affari Costituzionali della Camera era solo quella di svolgere un’indagine conoscitiva sulla sicurezza. Luciano Violante, presidente della Prima Commissione di Montecitorio, parla di "dati di realtà" e di "responsabilità". E si stupisce perle polemiche sollevate dal centrodestra. "L’audizione dei direttori dei Tg non mirava naturalmente ad alcun condizionamento politico".

Ma se, come dice lo stesso Violante, la sensazione di insicurezza è aumentata, pur a fronte di un livello stazionario dei dati sulla criminalità negli ultimi anni, quanta responsabilità ha l’informazione e quanta chi detta l’agenda politica? Ne discutiamo con lo stesso Violante, alla luce degli eventi degli ultimi mesi, dall’allarme "rom" dopo l’omicidio Reggiani al decreto sulla sicurezza che ne è scaturito.

 

Presidente, perché questa indagine conoscitiva?

All’inizio della legislatura abbiamo deciso di svolgere un’indagine conoscitiva sulla sicurezza sotto diversi profili: mafia, terrorismo, criminalità diffusa, violenza tra le mura domestiche. Abbiamo ascoltato circa 90 personalità, tra sindaci, prefetti, questori, magistrati, sociologi. Ne è emerso che i dati sulla criminalità non sono cambiati negli ultimi anni, mentre è aumentatala sensazione di insicurezza.

 

Perché questa discrasia? Siete già arrivati a delle conclusioni?

Primo, l’invecchiamento della popolazione: una persona anziana ha timori maggiori rispetto una giovane. Secondo, oggi i reati sono caratterizzati da un grado di violenza maggiore rispetto al passato: è più frequente l’uso delle armi anche nelle rapine in casa. Terzo: nelle grandi aree metropolitane ci sono più "luoghi soli", poco illuminati, di scarsa socializzazione, percepiti quindi come insicuri, anche quando di fatto non lo sono. Inoltre, le violenze compiute tra le mura domestiche, anche quelle sulle donne, non sono aumentate: è aumentato il numero delle denunce.

 

Perché allora si grida all’allarme?

Ci siamo posti il problema di come l’informazione parla dei fatti di cronaca nera. Prima di Natale, ho verificato la disponibilità dei direttori di rete e Tg a venire in commissione, tutti mi hanno risposto di sì. In ufficio di presidenza la scelta di svolgere le audizioni è stata approvata all’unanimità.

Dall’audizione è emerso che oggi la quantità di ore di informazione è maggiore rispetto a ieri. Anche solo per la presenza di canali all news, la notizia che in passato veniva data per tre volte in una giornata, oggi viene data per 25 volte. Di per sé, questo enfatizza il fatto di cronaca e crea un’apprensione maggiore. Nell’audizione, il direttore di un Tg Rai ha ammesso di sentirsi più libero di fare un’informazione prescindendo dall’audience nelle fasce orarie in cui non deve competere con la concorrenza di altri telegiornali. C’è da ricordare che, in un documento approvato all’ultimo congresso, la stessa Associazione Nazionale della Stampa denuncia che la Tv è molto concentrata su "sesso, sangue e soldi". Mi stupiscono le polemiche: con l’indagine conoscitiva non intendevamo alcun condizionamento di carattere politico. È normale attività parlamentare.

 

I quotidiani hanno dato poco spazio, a parte Liberazione, che vi ha dedicato l’apertura di ieri, e qualche altro mini-articolo. Come se lo spiega?

Si sa che fa più notizia la polemica che l’indagine in sé.

 

Fin qui le "colpe" dell’informazione. Ma nella discrasia tra i dati sulla sicurezza che sono stabili e l’allarme sociale che cresce, ce l’avrà qualche colpa anche chi detta l’agenda politica, o no?

Non userei la parola "colpa". Il fatto che oggi la notizia di una ragazza massacrata venga data dai Tg più volte al giorno rispetto al passato è un dato di realtà legato al modo in cui è strutturata l’informazione. Ed è un bene: l’informazione sulla cronaca nera è la più delicata, i regimi totalitari la cancellano.

 

Parliamo allora di responsabilità, anche politiche…

La sensazione di insicurezza non è infondata, anche se non deriva da un aumento del numero dei reati. Del resto, un cittadino non guarda i dati sul traffico degli stupefacenti, semplicemente vede lo spacciatore dietro l’angolo di casa. È sbagliato dunque ignorare questa sensazione di insicurezza, bisogna rispondere nel modo giusto. A me colpisce che delle politiche applicate da Rudolph Giuliani a New York si ricordi solo il concetto di "tolleranza zero". Giuliani ha invece usato anche il concetto di "broken window", cioè se in un caseggiato c’è una finestra rotta e non si interviene, dopo ci sarà anche una panchina divelta.

 

Forse però, nella ricerca della risposta giusta da dare, certa politica ha finito per esasperare un allarme non giustificato dai dati reali. Penso a Veltroni, il Pd e la campagna sulla sicurezza degli ultimi mesi…

Dobbiamo tener conto dello stato d’animo delle persone e indagarne i motivi. Il fatto che nelle nostre città circolino "presenze nuove", immigrati, genera di per sé preoccupazione nei cittadini, non si può negarlo, è una reazione alla novità.

Quanto alle responsabilità politiche, dovremmo cercare di elaborare delle politiche che creino un senso di sicurezza. Mi ha colpito che un direttore di Tg in audizione abbia sottolineato che si tende a dare ampia informazione sugli omicidi, poca sulle morti sul lavoro.

 

Appunto: sulle morti bianche il governo non ha mai convocato un consiglio dei ministri straordinario. Lo ha fatto invece per l’omicidio Reggiani...

Molti consigli dei ministri hanno affrontato il tema dei morti sul lavoro.

 

Evidentemente con scarsi risultati...

Ad ogni modo, sulla sicurezza è sbagliato non reagire. Lo spazio politico non è libero, è occupato. Bisogna contrastare le derive neofasciste. Penso ad alcune manifestazioni della Lega, alle discriminazioni in base all’origine etnica. Sono i comportamenti che vanno sanzionati, non i gruppi.

 

Veramente, dopo l’omicidio Reggiani si è parlato di espulsioni di rumeni, si è sfiorata la crisi diplomatica con la Romania...

Il decreto che stiamo esaminando parla di sanzioni di specifici comportamenti, anche grazie al lavoro svolto dal Prc. Abbiamo la responsabilità di assumere la sensazione di insicurezza come fatto sociale su cui intervenire anche con interventi di carattere sociale, come la cura dei luoghi. È un tema che riguarda tutto il inondo occidentale. Alla base ci sono l’invecchiamento della popolazione, reati più violenti dei passato e l’uso delle armi anche nelle rapine in casa.

Giustizia: l’informazione ha venduto l’emergenza sicurezza

 

Liberazione, 12 gennaio 2007

 

Cerchiamo di capire che cosa è successo ieri a proposito di Violante e della Commissione Affari Costituzionali della Camera. Il nostro giornale ha "aperto" con la notizia che in Italia, secondo Violante, non c’è un’emergenza sicurezza. Siccome noi lo scriviamo da mesi, siamo rimasti colpiti ed "onorati" di tanto riconoscimento.

L’affermazione del presidente della Commissione nasce a conclusione dell’indagine conoscitiva avviata alla Camera dalla sua Commissione. In seconda battuta Violante, che non poteva prendersela più di tanto con la politica, se la prende con i telegiornali. Convoca i direttori, li ascolta con gli altri componenti della commissione e poi li manda via.

Alcuni giornali hanno saputo il fatto (può essere una "buca" come si dice in gergo, cioè nessuno ha visto la notizia, o sottovalutato la questione), ma, cosa ancora più eclatante, quelli che ne hanno parlato hanno tutti, invariabilmente, titolato più o meno: "Sicurezza, Violante convoca i direttori dei Tg, Bufera sulla Rai".

Unica eccezione Il Riformista che, oltre al titolo simile a quello degli altri, ha pubblicato anche un bell’articolo di Luigi Manconi sulla notizia: la sicurezza. Che cosa vuol dire? Vuol dire che, ancora una volta, il Palazzo si fa "beffe" dell’informazione e l’informazione non è in grado di "emanciparsi" dal Palazzo.

Violante è stato accusato di nostalgia Minculpop, di voler imbavagliare i Tg, "Le notizie di allarme ce te avete date voi". Ha detto più di un collega - giustamente - "Noi scriviamo i fatti". L’audizione, in realtà non serviva a nulla, se non a detergere un po’ la coscienza degli sceriffi dell’ultima ora. Molte domande (proibite) ai colleghi dell’informazione: come mai nessuno ha scritto il seguente articolo: "Cari lettori ed ascoltatori, oggi la politica scopre che non c’è l’emergenza sicurezza di cui ci ha fatto parlare e scrivere per mesi e mesi. Cari lettori e ascoltatori, ci siamo fatti abbindolare, i crimini sono diminuiti, quello che è aumentata è la percezione di insicurezza".

I dati sulla criminalità sono pubblici da mesi, le inchieste serie stanno tornando di moda (per fortuna), possibile che vi siete sempre e solo fidati dei dati fomiti dai Tex Willer di turno? Possibile che fare un minimo di "controinformazione" non vi abbia mai attratto? Noi lo abbiamo fatto, come sapete, e ci hanno addirittura tacciato di "giustificazionismo" quando con le nostre aperture abbiamo detto che no, non eravamo in uno stato di emergenza e che tutto questo serviva solo a promuovere leggi di emergenza, ridicoli atteggiamenti da "salvatori della patria" contro 50 lavavetri e la lenta erosione dei diritti civili di tutti.

È stata giocata una partita sporca da parte del Palazzo: le notizie venivano da lì, tutti le hanno prese per buone e "vendute", come direbbe il senatore Jasper Irving del film di Robert Redford "Leoni per agnelli": in un paio di anni la Politica e l’Informazione hanno deciso che stavamo crollando sotto i colpi di una criminalità inarrestabile (e per lo più extracomunitaria). Quando dobbiamo invocare la libertà di stampa: quando ci danno notizie "false" che però pubblichiamo o quando vogliamo fare il nostro mestiere verificando le notizie?

Giustizia: l’errore dei giornalisti? è stato di credere al Governo

di Luca Ricolfi

 

La Stampa, 12 gennaio 2007

 

Non so se abbia fatto male o bene l’onorevole Violante a convocare 23 direttori di radio e tv per invitarli a non spaventare l’opinione pubblica con i loro servizi sulla criminalità. Quel che so, però, è che il ragionamento da cui pare essere partito è incompatibile con quel che si sa sull’andamento della criminalità in Italia.

Il ragionamento, ridotto all’osso, è il seguente. Le indagini demoscopiche segnalano un aumento della paura del crimine, mentre i dati segnalano una diminuzione dei delitti: che la colpa sia (come il solito) dell’informazione? Vediamo allora quel che si sa sull’andamento dei delitti in Italia.

Dal 1946 a oggi il numero di delitti per abitante ha avuto notevoli oscillazioni, ma la tendenza è sempre stata all’aumento: i delitti erano circa 71 ogni 10 mila abitanti negli Anni 50, sono saliti leggermente negli Anni 60, sono cresciuti impetuosamente e ininterrottamente nei due decenni successivi, dall’inizio degli Anni 70 ai primi Anni 90, in cui hanno toccato il massimo storico.

Nel quindicennio della seconda Repubblica il numero dei delitti ha cominciato a oscillare intorno ai 2 milioni e 400 mila all’anno, ma a partire dal 2001 ha ripreso a salire costantemente e nei due semestri post-indulto ha toccato un nuovo massimo storico: quasi 2 milioni e 800 mila delitti l’anno. In breve, se negli ultimi anni l’informazione ha spaventato la gente, lo ha fatto in sintonia e non contro i dati "oggettivi".

Da dicembre scorso, tuttavia, sugli organi di informazione hanno cominciato a circolare alcune tabelle fornite dal ministero dell’Interno, che indicano una diminuzione dei delitti (-9,8%) nel secondo semestre del 2007. E qui, devo dire, ha ragione l’onorevole Violante a sgridare i giornalisti: non tutti hanno fatto fino in fondo il loro mestiere. Ma non per aver alimentato paure ingiustificate, bensì per la ragione opposta: perché hanno dato credito, troppo credito, alle cifre del governo. Vediamo come mai.

Primo: i dati diffusi dal governo a dicembre non potevano riferirsi all’intero secondo semestre dell’anno per il buon motivo che il secondo semestre non era ancora concluso. Secondo: le cifre del ministero non sono dati, bensì previsioni del ministero stesso basate sulle informazioni parziali disponibili al momento di predisporre le tabelle per i giornalisti (il ministero stesso dichiara che per il secondo semestre 2007 i dati utilizzati si fermano al 30 novembre).

Terzo: l’esperienza degli ultimi anni dimostra che i dati provvisori diffusi dal ministero sono sempre sottostimati (e quindi ottimistici), presumibilmente perché alcuni uffici periferici non trasmettono tempestivamente tutti i dati. A questo proposito vale la pena ricordare l’ultimo infortunio statistico occorso al ministro dell’Interno: nell’agosto del 2006, da poco insediato nel suo dicastero, il neo-ministro Amato informò compiaciuto i giornalisti che finalmente i delitti stavano diminuendo, del 4,6% per la precisione.

Quindici mesi dopo (ottobre del 2007), con l’arrivo dei nuovi dati ufficiali, si scoprì che i delitti non erano diminuiti bensì aumentati (del 2,0%): nel rapporto di Ferragosto 2006, al ministero erano sfuggiti ben 86.607 delitti commessi nel semestre allora appena trascorso, un numero più che sufficiente per ribaltare una tendenza.

Ovviamente nessun membro del governo convocò i giornalisti per rettificare i dati, e la notizia dell’aumento dei delitti rimase quindi nella penombra. Come stanno le cose oggi? Tutto quel che sappiamo è che i delitti sono in costante aumento dal 2001, e che dopo l’indulto il loro tasso di crescita ha subito una brusca accelerazione (dal 2,5 al 14,4%).

Questo è tutto quel che si può dire finché si usano dati e non stime o previsioni. Se poi proprio si vogliono usare le previsioni governative sul secondo semestre del 2007, quasi certamente errate per difetto, possiamo dire che all’inizio di dicembre il governo prevedeva che nel secondo semestre i delitti sarebbero stati 1.323.118 (curioso, dopo l’infortunio del 2006, fornire delle previsioni precise all’unità ...).

È tanto? È poco? Ognuno giudichi per proprio conto. Quel che è certo è che il dato previsto per il secondo semestre 2007 è minore del dato registrato nel secondo semestre del 2006, ma maggiore dell’ultimo dato pre-indulto comparabile, ossia quello del secondo semestre 2005, in cui il numero dei delitti aveva praticamente eguagliato il record assoluto del 2003.

Insomma, l’unico modo per sostenere che i delitti sono in diminuzione è sostituire i dati effettivi con delle previsioni (fatte dal governo), e inoltre assumere come termine di paragone un semestre - il secondo del 2006 - assolutamente anomalo, in quanto gonfiato dal picco dei delitti nei mesi immediatamente successivi all’indulto.

Che oggi, in Italia, le paure della gente siano perfettamente giustificate non significa, naturalmente, che una parte di quelle paure non possa dipendere anche dal modo in cui giornali, radio e televisioni informano (o non informano) i cittadini. Su questo, però, per fortuna sappiamo molte cose. Per parte mia vorrei solo ricordarne una: a quel che risulta dalle inchieste demoscopiche, nell’Italia della seconda Repubblica le oscillazioni dei timori della gente dipendono soprattutto da chi è al governo e chi all’opposizione.

Quando all’opposizione c’è la sinistra, la paura del crimine diminuisce perché la sicurezza non è un tema adatto alla propaganda di sinistra, quando invece - come oggi - all’opposizione c’è la destra la paura del crimine aumenta perché la sicurezza è un tema congeniale alla destra stessa. Insomma, è la politica a fare l’agenda dei media, più di quanto siano i media a regolare gli umori della gente.

Il guaio è che nulla assicura che l’alternanza fra destra e sinistra sia ben sincronizzata con l’andamento effettivo dei delitti: alla fine degli Anni 90, con la destra a fare opposizione, la paura era tanta nonostante i delitti fossero in netto calo, negli anni del governo Berlusconi, con la destra al governo e la sinistra a fare opposizione, la paura era (relativamente) poca nonostante i delitti fossero in netto aumento. Oggi, miracolosamente, la percezione e la realtà sono finalmente in armonia fra loro. È vero, se la gente ha paura è anche perché la destra soffia sul fuoco, ma le "percezioni" della gente - purtroppo - una volta tanto sono in linea con la dura realtà dei dati.

Giustizia: Osapp; 80 milioni? basteranno per mezzo carcere

 

Il Tempo, 12 gennaio 2007

 

"Con quei soldi si può costruire al massimo mezzo carcere! E gli annunci di Mastella sembrano più un modo per mettere le mani avanti, perché la situazione tra sei mesi diventerà esplosiva". Non ha dubbi sull’inutilità dei provvedimenti annunciati da Mastella, il presidente dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), Leo Beneduci.

"Dall’indulto in poi - aggiunge - non è stato fatto nulla, anzi le carceri erano più organizzate prima perché non erano preparate al rientro di mille detenuti al mese". I milioni previsti nella Finanziaria per ampliare le strutture esistenti, quindi, sono del tutto insufficienti. Cosa servirebbe allora? "Servono misure di carattere normativo - spiega Beneduci - occorre agire sui meccanismi che fanno entrare la gente in carcere.

E poi riformare l’amministrazione: se c’è il 70% di recidivi vuol dire che il sistema non funziona, che non serve a recuperare i detenuti. Un capitolo a parte, invece, rappresenta la riforma del corpo di polizia penitenziaria che oramai si ritrova a svolgere attività che vanno dall’ufficio a compiti sanitari. L’organico è stato tarato nel ‘92 quando i detenuti erano 34 mila. E ora è del tutto insufficiente".

Perugia: sulla morte di Aldo Bianzino rimangono molti dubbi 

di Emanuele Giordana (Direttore di "Lettera 22")

 

Lettera 22, 12 gennaio 2007

 

A fine dicembre il "Corriere dell’Umbria", nella pagina della cronaca di Perugia ha parlato, per il caso di Aldo Bianzino, di "morte naturale". L’uscita dell’indiscrezione, perché di questo si tratta, ha fatto reagire, comprensibilmente, Massimo Ceppi, segretario Provinciale Sinappe di Perugia: "È stato uno dei pochi articoli dei vari giornali, soprattutto a livello locale che ha riportato la notizia.

Fatto strano… strano perché per mesi giornali, Tv, internet, ecc., per il caso in questione hanno dedicato un enorme (e giusta) attenzione, con commenti, opinioni, pensieri, per la maggior parte dei casi, come sappiamo, sostenendo teorie indirizzate in un’unica direzione. In alcuni casi (non molti a onor di cronaca e solo su alcuni giornali) sostenendo teorie a dir poco fantasiose, carceri modello Sud America, carceri e carcerieri modello Pinochet, codici rossi, abbiamo letto frasi del tipo: torturatori, picchiatori professionisti…Si è cercato il mostro e il colpevole a tutti i costi.

Ecco - ha scritto Ceppi su "Spoleto Online", quotidiano telematico umbro di larga diffusione - oggi si scopre che il colpevole o i colpevoli non ci sono, che il mostro in questo caso non esiste. Ora si sostiene che il povero Sig. Bianzino è morto per cause naturali, un "aneurisma celebrale", una patologia terribile che non dà scampo, si scopre altresì che non esistono costole fratturate e milze spappolate…"

Il sollievo di Ceppi è comprensibile è comprensibilmente Ceppi se la prende con quella stampa (noi in primis) che parlò di "codice rosso". Il problema è che ieri, quando parlammo di codice rosso, quanto oggi quando si parla di "cause naturali" (che fu in realtà la prima versione fornita dalle autorità carcerarie), si stanno raccontando ipotesi sulla base si indiscrezioni. Ora, la voce dell’aneurisma, per buona pace di Ceppi e del Corriere dell’Umbria, gira da diversi mesi. Era già nota, per essere precisi, a metà novembre. Indiscrezione appunto che, come tutte le indiscrezioni, si può prendere o meno per buona.

Tanto per cominciare dunque, non c’è al momento nessuna verità ufficiale in quanto i rilievi autoptici finali non sono ancora depositati. Ma ammettiamo che l’indiscrezione sia vera: Aldo aveva un aneurisma in testa, una "bomba a tempo" che non lo avrebbe perdonato.

Un po’ come dire che uno ha una debolezza congenita al femore e che dunque, un giorno o l’altro, si spezzerà una gamba. Ecco allora che uno gli da una spinta, oppure quello cade in una buca del manto stradale, si rompe il femore e il commento è "beh, tanto prima o poi..". L’assicurazione secondo lei paga o no? Se fossi l’assicuratore cercherei di non pagare ma se fossi quello col femore rotto cercherei di spiegare che senza spinta, o senza buca, magari il femore me lo tenevo intatto ancora per diversi anni…

Caro Ceppi, la vicenda di Aldo Bianzino resta una pessima storia anche se Aldo aveva un aneurisma. Mi ha spiegato un medico che un aneurisma salta per varie ragioni: un’attività sessuale che pompa molto sangue ma anche uno spavento e molte altre cause o concause che mettono il cuore sotto stress, non per forza tutte completamente naturali come un colpo di vento o che dipendono dalla nostra volontà, come un atto sessuale appunto. Cosa fece quella notte Aldo nella sua cella, cosa gli accadde?

Sarebbe morto dieci anni dopo, due, un mese, un giorno dopo? Nel calendario cosmico della sua esistenza la data fissata dal grande creatore per il decesso era lunedì 15 ottobre 2007? Ma Aldo morì il 14 in prigione, nel luogo dove uno stato di diritto dovrebbe assicurare la massima salvaguardia degli accusati, tra l’altro in attesa di accertamento. E mi lasci dire caro Ceppi, che né Aldo né la compagna Roberta dovevano essere due grandi assassini se, dopo la morte di Aldo, lei venne scarcerata in fretta e furia. Non le pare, caro Ceppi, che ci sia comunque qualcosa che non va?

Io sono tra quelli che ha scritto "codice rosso". E può darsi sia una mia fantasia basata, come tutto, su indiscrezioni, mezze parole, detto e non detto. Ma non è proprio strano questo silenzio - dei media certo ma anche della magistratura umbra - su un caso talmente ordinario da essere, inizialmente, contrabbandato come una intossicazione, nascondendo alla compagna di Aldo che Bianzino era già morto?

Non ci sono anche secondo lei elementi che richiedono - certo anche da parte di noi giornalisti - una seria e approfondita riflessione? Non è un po’ troppo semplice mettersi l’anima in pace perché tanto Bianzino, ammesso che la causa della morte sia effettivamente l’aneurisma, era condannato a morte da una malformazione congenita?

Io capisco caro Ceppi che lei voglia difendere non solo l’istituzione ma le tante brave persone che ci lavorano. Che si preoccupano dei "loro" carcerati e che cercano di iniettare umanità in un’istituzione difficile da governare e che resta inumana, lei penso sarà d’accordo, per principio, com’è inumano il principio di privazione della libertà, ancorché in molti casi necessario e obbligatorio per legge. E non spetta certo a lei fare l’accusatore. Ma mi lasci dire che per ora siamo ancora nel campo delle illazioni e dunque è giusto che lei faccia le sue ipotesi e che noi ci teniamo le nostre.

In attesa di una verità certificata, l’unico fatto vero e incontrovertibile è che Aldo Bianzino, entrato sano a Capanne il 12 ottobre 2007, ne è uscito morto la mattina del 14. Con un aneurisma scoppiato, può darsi, ma anche con un fegato spappolato. Si è detto (altra indiscrezione dopo quelle sulla milza e le costole poi stranamente scomparse) che il fegato è spappolato perché gli fu praticato un massaggio cardiaco. Sul fegato spappolato dubbi non ce n’è, ci sono le fotografie. Più che spappolato è "strappato", dicono i medici. Per massaggio cardiaco? Io sarò un tipo fantasioso ma… non mi pare ci possano essere dubbi sulla distanza tra il fegato e il cuore.

Perugia: caso Bianzino; risposta a direttore di "Lettera 22"

di Massimo Ceppi (Segretario Provinciale del Sinappe di Perugia)

 

www.spoletoonline.it, 12 gennaio 2007

 

Parafrasandola, caro, anzi carissimo Sig. Giordana, ho letto il suo articolo-risposta. Mi creda, rispetto il suo pensiero e non ho nessuna voglia di polemizzare, probabilmente se io fossi un giornalista o anche un cittadino con qualsivoglia altro mestiere, troverei questa storia strana e degna di un approfondimento.

È vero, allo stato attuale l’autopsia non è stata ufficializzata, ma per quanto ne sappia da quel che ho letto, sembra che quello che ho descritto, citando articoli di quotidiani, non sia affatto inverosimile. Forse avrò dei conflitti di interesse, in quanto oltre ad essere sindacalista lavoro nell’istituto di Perugia, per questo anche mi sta molto a cuore questa storia.

Lei ha scritto che io ho avuto sollievo da queste "indiscrezioni", io in tutta sincerità non ho avuto nessun sollievo, non ho scampato nessun pericolo, la notte faccio sonni con la tranquillità di chi ha la coscienza pulita. Dico questo perché conosco chi lavora a Perugia, perché ripeto, anche io lavoro a Capanne e le assicuro che sono tutte persone normali, normali ecco, cittadini come tanti altri, molti, persone straordinarie, tutti a mio avviso persone oneste, di certo nessun aguzzino, torturatore, ladro o assassino...

I giornali non riportano quante volte l’anno vengono salvati detenuti in carcere da parte degli agenti, persone che in preda allo sconforto cercano di farla finita...Dico questo pensando anche a quando Lei ha scritto: "Aldo morì il 14 in prigione, nel luogo dove uno stato di diritto dovrebbe assicurare la massima salvaguardia degli accusati".

A mio avviso uno stato di diritto deve assicurare hai cittadini tutti (accusati e non) la massima salvaguardia ovunque, carcere, ospedale, cantiere o strada. Il carcere è si una struttura protetta, ma chi ci lavora non è di certo Dio, non ha il potere di vita o di morte, o di sapere se una persona sta male di notte. Con un infarto si muore sia per strada, sia in ospedale, sia, pensate un po’ in carcere, la struttura protetta.

In seguito ha scritto e posto la domanda: - Bianzino e la compagna non dovevano essere due grandi assassini se, dopo la morte di Aldo, lei venne scarcerata in fretta e furia - di conseguenza - ci sia comunque qualcosa che non va?- Rispondendo in maniera spicciola: "ma questo che c’entra con noi?!?".

Il Bianzino non è stato arrestato dalla Polizia Penitenziaria, ne tanto meno questo Corpo ha approvato e/o promulgato le attuali leggi sulla droga, ne ha deciso la scarcerazione della compagna ... caro Sig. Giordana ha posto la domanda alle persone sbagliate.

Io non c’ero i giorni in cui il Bianzino è entrato in carcere, da quello che ho sentito era un persona tranquillissima, dall’aria scanzonata e pacifica con cui i colleghi hanno scambiato battute scherzose per sdrammatizzare l’arresto (per quel che si può), di certo, sempre quel che ho sentito, non aveva gli occhi e il comportamento del delinquente, perché delinquente non era. Perché mai avete la convinzione che un padre o dei padri di famiglia debbano riempire di botte una persona del genere, fino tra l’altro a ucciderla...

Io ho polemizzato non perché avete chiesto l’accertamento della verità o la giustizia, ma perché avete emesso dei verdetti, tirando fuori tutti gli stereotipi possibili e immaginabili, alla faccia di quel garantismo che si tira fuori dal cassetto solo per determinati casi o per come tira il vento.

Una cosa che mi sento di chiederle è questa: chi le ha detto, o come è venuto a conoscenza con certezza che il fegato del Bianzino era spappolato? È sicuro di quello che ha affermato? La prego di illuminarmi, anzi di illuminare tutti, perché questa è una verità che conosce solo Lei…Visto che come ha detto siamo ancora alle illazioni, la prego da giornalista quale è di raccontare i fatti e non le illazioni, un giornalista credo che prima di dare una notizia debba accertarsi della veridicità e fondatezza della stessa… o no? Ma, su questo mi perdoni, io non posso insegnare ad altri un mestiere che non è il mio.

Concludendo Sig. Giordana, mi perdoni di nuovo, ma credo che lei quando ha parlato di "codice rosso" ha fatto confusione tra Capanne e "Codice d’onore" con Tom Cruise e Demi Moore, ambientato in parte nella base statunitense di Guantanamo, solo che il primo è un carcere, è reale e sta in Italia, il secondo è un film di fantasia girato a Cuba. Mi dia retta, guardi più cinema nostrano, per quanto sia è sempre meglio.

 

Massimo Ceppi

Torino: un progetto per promuovere lo studio fra i detenuti

 

www.giustizia.it, 12 gennaio 2007

 

Un progetto per promuovere lo studio fra i detenuti, promosso del Comune di Torino, Garante per i diritti delle persone private della libertà, Casa circondariale Lorusso e Cutugno, Università di Torino e Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo. L’iniziativa è volta al reinserimento sociale dei detenuti iscritti all’università avendo i requisiti richiesti dalla legge per accedere alle misure alternative al carcere o per essere avviati al lavoro all’esterno, frequentando tirocini presso le aziende. Questo l’obiettivo del progetto sperimentale, avviato grazie ad un protocollo d’intesa tra le parti citate.

L’accordo prevede che la Direzione della casa circondariale individui tra gli studenti detenuti iscritti all’università quelli che hanno i requisiti per richiedere misure alternative e seguano l’iter per ottenerle, che la Divisione Lavoro del Comune individui le situazioni aziendali nelle quali effettuare i tirocini e che l’Ufficio Pio della Compagnia di San Paolo avvii i tirocini, provveda al pagamento degli incentivi economici e al monitoraggio dei percorsi effettuati nelle aziende. Inoltre, il protocollo prevede che l’Università realizzi un sistema informatico per gli esami all’interno del carcere indicando un referente esterno per i partecipanti al progetto, al Garante il controllo della realizzazione dei progetti facilitando l’integrazione con le risorse già presenti sul territorio, infine al termine del periodo di sperimentazione sarà fatta una valutazione comune tra i promotori per verificare i percorsi che sono stati realizzati.

Bollate: il 19 l’orchestra "La Verdi per tutti" entra in carcere

 

Apcom, 12 gennaio 2007

 

Per la prima volta un’orchestra sinfonica al completo entra in un carcere lombardo e si esibisce davanti ai detenuti. Accadrà il prossimo 19 gennaio presso il carcere di Bollate quando violini, viole, violoncelli, contrabbassi, flauti, oboi, clarinetti, fagotti, trombe, corni, tromboni e timpani dell’Orchestra amatoriale "La Verdi per tutti" eseguiranno "L’incompiuta" di Franz Schubert, guidati dal giovane direttore Matthieu Mantanus. Si tratta del primo appuntamento del 2008 del progetto "Musica in carcere" che unisce Telecom Progetto Italia e l’esperienza dell’orchestra sinfonica e coro sinfonico di Milano Giuseppe Verdi per un contatto diretto tra la popolazione carceraria e l’arte della musica.

Al pubblico sarà proposto un percorso musicale, una sorta di lezione-concerto in cui il direttore, prima di eseguire la musica, presenterà gli strumenti e il brano, guidando poi la platea attraverso la biografia del compositore, la genesi dell’opera e i punti salienti della partitura. Un modo per far avvicinare anche i meno esperti alla musica e per rendere più immediata la comprensione e godibile l’esecuzione. Il progetto "Musica in carcere" s’inserisce nell’attività che sia la Verdi sia Telecom Progetto Italia svolgono da alcuni anni nel campo delle diverse realtà sociali. Tra le esperienze di queste ultime settimane la S. Messa di Natale al carcere di San Vittore con il coro amatoriale del reparto "La Nave", nato dalla richiesta di alcuni detenuti di ampliare l’attività corale iniziata nel 2003 e proseguita, nel corso degli anni, con crescente successo.

Ragusa: attività socio-ricreative, un viatico per il recupero

 

La Sicilia, 12 gennaio 2007

 

Le attività socio-ricreative promosse dall’assessorato alle Politiche Sociali nella case circondariali di Ragusa e Modica si sono concluse con la rappresentazione dell’ultima commedia portata in scena dalla compagnia teatrale "Gli amici di Matteo" di Scicli.

Si è trattato di un vasto programma che ha coinvolto alcuni gruppi musicali e il coro "Mariele Ventre" di Ragusa che ha riscosso un notevole successo di simpatia. "Iniziative come quelle portate avanti nelle carceri - afferma l’assessore Raffaele Monte, a conclusione del progetto - vanno a sostenere la finalità della funzione dei luoghi di reclusione che dovranno essere spazi di recupero e non di restrizione.

Un spazio in cui la società non si vendica della persona colpevole ma una struttura che offre la possibilità di conoscersi e ritrovare una propria progettualità attraverso l’elaborazione delle problematiche di base che spesso spingono verso percorsi devianti. Per recupero si vuole intendere quel processo di modificazione degli atteggiamenti e dei conflitti finalizzati al reinserimento sociale. La società ha il diritto di difendersi e di punire chi non osserva la legge, ma ha anche il dovere di favorire e creare tutte quelle condizioni che possano aiutare una persona emarginata, autore di un reato, al reinserimento sociale.

Ciò è realizzabile con il dialogo tra società e detenuto. Nel carcere dovrebbe esserci più spazio per la cultura e per il lavoro. Avere più cultura significa avere più opportunità per affrontare e superare le devianze. Le iniziative messe in campo nel periodo natalizio sono state rilevanti sul piano del recupero sociale, pertanto, riteniamo utili intensificare alcuni interventi ricreativi e formativi.

Le varie iniziative che svilupperemo nel corso del nuovo anno vogliono offrire un nuovo percorso di autoconsapevolezza, conoscenza di sé, del proprio grado di autostima, valorizzazione delle risorse personali e scoperta delle proprie potenzialità per permettere di trasformare il disagio e la sofferenza in risorsa creativa guardando alla prospettiva di un futuro migliore una volta scontata la pena".

Mafia: inasprito regime carcerario a Bernardo Provenzano

 

Agi, 12 gennaio 2007

 

Il regime di carcere duro cui è sottoposto il capomafia Bernardo Provenzano è stato ulteriormente inasprito, per sei mesi, su disposizione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Secondo il Dap c’è il sospetto che Provenzano continui a mantenere rapporti con l’esterno, che qualcuno gli invii messaggi e che lui cerchi di farne arrivare fuori, attraverso annotazioni e appunti anche su volumi religiosi.

Il superboss corleonese, che era già detenuto secondo le regole dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, si è visto ora attribuire il regime speciale istituito con l’articolo 14 bis: questo gli impedirà di avere nuovi e ulteriori contatti con familiari e parenti, comporterà una situazione di supersorveglianza e soprattutto l’impossibilità di tenere in cella carte, appunti, abiti, ricambi. Per qualsiasi esigenza, anche per un cambio di biancheria, Provenzano dovrà rivolgersi agli agenti del Gom della polizia penitenziaria, incaricati della sua sorveglianza. Il sistema è stato adottato negli ultimi mesi anche per Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, e per il boss di Mazara del Vallo (Trapani), Andrea Mangiaracina.

Immigrazione: Pisa; il Governo nega il voto agli immigrati

 

Il Sole 24 Ore, 12 gennaio 2007

 

Il voto per gli immigrati si allontana. Il Consiglio dei Ministri ha infatti deliberato ieri, su proposta del ministro dell’Interno Giuliano Amato, l’annullamento straordinario, a fini di tutela e di unità dell’ordinamento, della delibera del Consiglio comunale di Pisa, risalente al febbraio 2006, che aveva esteso ai cittadini di provenienza non comunitaria o apolidi il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni amministrative e circoscrizionali, purché in possesso della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno da almeno cinque anni. La delibera aveva modificato lo statuto del comune toscano.

"Si tratta di una "bocciatura" che ci aspettavamo - ha commentato il sindaco di Pisa, Paolo Fontanelli - perché già in altri casi di Comuni e Province che avevano inserito negli Statuti il diritto di voto agli extracomunitari,

c’era stato un pronunciamento negativo, perché le leggi nazionali non riconoscono agli Enti locali la legittimità a intervenire in materia". Ma per il primo cittadino di Pisa "è proprio per questa ragione, in funzione di una pressione che ha l’obiettivo di cambiare la normativa nazionale e soprattutto di riconoscere un diritto - dovere essenziale per le politiche di integrazione, siamo andati avanti nelle deliberazioni del Consiglio Comunale".

Ma per Fontanelli la delibera non è stata un buco nell’acqua "tanto che è oggi all’ordine del giorno in Parlamento la riforma sulla cittadinanza che deve dare risposte sui diritti degli stranieri immigrati ed è anche stata avviata la discussione sul codice delle Autonomie locali che si propone di rafforzare ed estendere i poteri dei Comuni in linea con il Titolo V della Costituzione".

Droghe: in Vaticano detenzione e spaccio non sono reati

 

Notiziario Aduc, 12 gennaio 2007

 

Il Codice Penale in vigore nello Stato del Vaticano, risalente al 1884, non contempla come reato la detenzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti. Quindi per condannare una persona accusata di questo delitto il Tribunale vaticano ha dovuto usare un vero "escamotage" giudiziario.

"Quest’anno abbiamo avuto un caso di spaccio e di uso di sostanze stupefacenti - riferisce, in un’intervista all’Osservatore Romano, il promotore di giustizia Nicola Picardi, alla vigilia della sua relazione per l’apertura del nuovo anno giudiziario -. Non avevamo la legge che sancisse in qualche modo questo grave reato. Il promotore di giustizia si è avvalso dell’art. 23 della legge fondamentale, la legge n° 2 sulle fonti, la quale dice che se non risultano norme penali applicabili e se manca una legge speciale, ma esiste un fatto che offende i principi della religione, della morale, dell’ordine pubblico, della sicurezza delle persone, il giudice può applicare una pena con ammenda o l’arresto".

Picardi, la cui funzione è omologa a quella del procuratore generale nel sistema italiano, spiega che "questo articolo 23 non era mai stato applicato. Si è stabilito che l’interpretazione da parte del giudice costituisce un elemento portante del sistema penale e quindi il principio di legalità va visto anche alla luce dell’interpretazione giudiziaria". "La nostra fu una sentenza importante, che risale al 6 ottobre 2007. Fra l’altro il tribunale ha evitato che si creasse una carenza legislativa che poteva far diventare il territorio vaticano una zona franca, proprio in una realtà così delicato quale lo spaccio degli stupefacenti". Picardi, comunque, non rinuncia a segnalare "la sanzione ridicola, una sanzione di sei mesi, un arresto di soli sei mesi. Le pene - conclude - sono molto maggiori negli altri stati per questi reati".

GB: aumento dei ricoveri per intossicazione da cannabis

 

Notiziario Aduc, 12 gennaio 2007

 

Aumentati di oltre il 50% i consumatori di cannabis che si sono recati negli ospedali per disintossicarsi. Nel 2006/07 sono state oltre 16.500 le persone dipendenti dalla cannabis, mentre erano 11.057 nel 2004, anno della declassificazione della sostanza da Fascia B a C.

Attualmente sono 500 gli adulti e i bambini che ricorrono settimanalmente a questo tipo di cure. Inoltre le statistiche rivelano che più di mille persone al giorno sono ricoverate per l’alcolismo. Il numero di ragazzini che necessitano di cure disintossicanti per cannabis è aumentato ad oltre 9.200. Negli ultimi sette anni è aumentato del 40% il numero dei 18enni che ricorrono a consultazioni mediche.

Francia: cappellani critici per progetto di legge sulla sicurezza

 

Sir, 12 gennaio 2007

 

I cappellani delle carceri di Francia di diversi culti religiosi (cattolici, protestanti, ebrei e musulmani) hanno diffuso ieri un comunicato congiunto in cui prendono le distanze riguardo al progetto di legge sulla sicurezza che prevede norme più restrittive per lo sconto della pena, soprattutto per i recidivi.

"Siamo anche noi convinti" - scrivono i cappellani - che il fatto "che si sanzioni di nuovo dei colpevoli che hanno finito di pagare la loro pena alla società, pone dei problemi". "È nostro lavoro anche far prendere pazientemente coscienza ai colpevoli delle sofferenze che subiscono lo loro vittime". Ma - aggiungono . "la posta in gioco è troppo importante perché sia trattata con urgenza". "Per noi il senso della pena si pone in questi termini: rendere un individuo condannato responsabile della gestione della sua pena e mettere in opera, se necessario, una cura medica, un lavoro educativo e anche un accompagnamento spirituale se richiesto".

I cappellani chiedono pertanto che la prossima legge penitenziaria includa nella parte relativa ai percorsi di esecuzione della pena, la necessità e la possibilità effettiva per i detenuti di affrontare i loro problemi di ordine psicologico o psichiatrico con l’aiuto di specialisti e di prevedere misure di reinserimento una volta scontata la pena.

 

 

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