Rassegna stampa 3 dicembre

 

Giustizia: l’ergastolo; una pena inumana, è tempo di abolirla

di Giovanni Russo Spena e Gennaro Santoro (Rifondazione Comunista)

 

Liberazione, 3 dicembre 2008

 

L’ergastolo è una pena inumana, che toglie all’uomo la speranza, che confligge in modo inconciliabile con il principio costituzionale della umanità e della finalità rieducativa della pena. L’ergastolo è una pena premoderna che addirittura il codice penale francese del 1791, che pur prevedeva la pena di morte, lo aveva abolito.

Del resto, anche autorevoli personalità della nostra storia repubblicana, da Togliatti a Moro, da Ingrao a Dossetti, si sono espressi a favore dell’abolizione del fine pena: mai, perché tale pena contrasta con il principio "personalista" della nostra carta costituzionale, secondo il quale la persona è il fine ultimo del nostro ordinamento e la dignità umana non può essere calpestata: mai.

Per queste ragioni anche quest’anno Rifondazione sostiene attivamente la campagna Mai dire mai, indetta dagli ergastolani di tutta Italia per chiedere l’abolizione della pena perpetua e dei circuiti penitenziari di massima sicurezza. Una campagna iniziata con la presentazione di circa 750 ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo e che oggi prosegue con uno sciopero della fame degli ergastolani e che continuerà fino a marzo 2009 con uno sciopero a staffetta su base regionale che coinvolgerà anche cittadini liberi solidali con la mobilitazione.

Una campagna che ha già dato vita ad una prima pubblicazione "Mai dire mai. Il risveglio dei dannati", nella quale gli stessi ergastolani raccontano e valutano la prima parte della loro lotta.

Oggi sono circa 1.500 gli ergastolani in Italia, reclusi in una cinquantina di istituti differenti. Circa 25 sono donne, quasi tutte concentrate in sezioni di massima sicurezza. Solo una metà degli ergastolani reclusi nelle nostre carceri, secondo i dati di Liberarsi, ha accesso a qualche misura alternativa alla detenzione. Dunque i dati smentiscono il mito secondo il quale l’ergastolo in concreto non esiste. Basta accedere al sito "www.informacarcere.it" per scoprire che esistono ergastolani che patiscono la loro pena da più di 40 anni.

Rifondazione ha da sempre sostenuto l’abolizione dell’ergastolo sia con la presentazione di disegni di legge sia con la promozione di pubblici eventi di sensibilizzazione. L’anno scorso lanciammo una lettera aperta al mondo dello spettacolo che raccolse decine e decine di adesioni, da Mario Monicelli ad Ascanio Celestini, dal compianto Sandro Curzi a Erri De Luca.

Eppure, l’Italia continua ad essere uno dei pochi paesi in Europa dove continua ad esistere, in concreto, la pena dell’ergastolo. Così come non esiste ancora un Garante nazionale delle persone private della libertà personale e, per altro verso, non esiste ancora un reato di tortura. Tre tristi primati di quella che una volta era considerata culla del diritto e oggi sta diventando sempre più baratro dei diritti umani. La nostra solidarietà agli ergastolani che, come ha ricordato l’Associazione Antigone, hanno dimostrato di credere nei diritti dell’uomo e nella giurisdizione, al punto di servirsene, ben più di quanto non facciano molti funzionari dello Stato.

Giustizia: crisi sanità penitenziaria; colpa di governo e regioni

 

Ansa, 3 dicembre 2008

 

Ad oggi "non risulta" che le regioni a statuto speciale "abbiano ancora adottato le deliberazioni conseguenti" al trasferimento delle competenze in materia di servizio sanitario penitenziario. È quanto afferma Elio Vito, rispondendo - al question time alla Camera - a una interrogazione delle minoranze linguistiche che temono una paralisi del servizio. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, peraltro, sottolinea "l’assoluta esigenza di garantire continuità" nell’assistenza sanitaria nelle carceri ribadendo che il governo - dice richiamando lo stanziamento di 18 milioni di euro deciso ieri al Senato - intende "continuare ad avere particolare attenzione alla salute delle persone detenute" ed è pronto ad adottare "tutti gli interventi necessari. E l’emendamento al Senato - puntualizza - va in questa direzione".

Siegfried Brugger, in realtà, contesta quanto riferito dal ministro: "La responsabilità - obietta - è in capo al governo. Ci sono schemi di attuazione pronti, ma non possiamo operare - avverte il deputato altoatesino - perché manca l’indicazione dei rappresentanti governativi nella commissione paritetica".

Giustizia: Amapi; operatori sanitari del carcere senza stipendi

 

Lettera alla Redazione, 3 dicembre 2008

 

Gli Operatori Sanitari Penitenziari espletano mansioni professionali estremamente delicate ed importanti in un contesto ambientale difficile e denso di rischi fisici e biologici. Non chiedono la luna! Reclamano un loro sacro e santo diritto: quello di essere retribuiti regolarmente come del resto le stesse Convenzioni precisano. Invece niente di tutto questo!

Quello che temevamo tanto purtroppo sta avvenendo. L’Amministrazione Penitenziaria ha finito i fondi di bilancio e non riesce a pagare ai Medici e agli Infermieri il mese di Settembre 2008 a Melfi dove è stata inviata al Direttore e al Provveditore un’ingiunzione di pagamento con il preannuncio di durissime azioni sindacali. Dall’1 ottobre 2008 tutto risulta transitato alle Asl, ma le cose sono letteralmente precipitate in alcune Regioni già sommerse dai debiti. A fronte di Regioni serie e responsabili che hanno da subito saputo onorare i propri impegni(Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte) si contrappongono altre (Calabria, Campania, Lazio, Basilicata, Abruzzi) che hanno maturato già 2 mesi di ritardo nel pagamento delle retribuzioni, buttando nello sconforto tutti gli Operatori Sanitari Penitenziari.

Non è un buon biglietto da visita! Non è questa la Riforma che attendavamo da 38 anni. Da fonti ufficiali, poi, si viene a conoscenza che l’Amministrazione Penitenziaria dall’1 gennaio 2009 è costretta a interrompere i Servizi Sanitari Penitenziari nelle Regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle D’Aosta, Friuli e Trentino) in quanto non sono previsti i relativi capitoli di pagamento nella Giustizia. Prima di rasentare il grottesco, il Ministero della Salute deve riconoscere immediatamente per le Regioni a statuto speciale i fondi alla Giustizia, senza aspettare come al solito l’ultimo momento, accumulando ritardi su ritardi.

L’Amapi a tutela degli interessi e della dignità professionale di tutti gli Operatori Sanitari Penitenziari proclama a decorrenza immediata lo stato di agitazione di tutta la Categoria dichiarandosi pronta ad intraprendere durissime azioni sindacali fino all’abbandono del posto di lavoro,se entro breve tempo le Regioni non si metteranno in regola con il pagamento delle retribuzioni mensili e se il Ministero della Salute non farà transitare al Ministero della Giustizia i fondi riconosciuti per le Regioni a statuto speciale.

 

Il Presidente dell’Amapi

Francesco Ceraudo

Giustizia: Simspe; da riscrivere le regole di riforma sanitaria

 

Redattore Sociale - Dire, 3 dicembre 2008

 

"La nostra è una medicina di grande delicatezza. Ogni valutazione clinica è anche una valutazione medico legale. E il Servizio sanitario nazionale non ci sembra ancora pronto per assumere tale responsabilità".

Dal IX Congresso Nazionale Simspe (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria), in corso a Milano, Luciano Lucania, segretario generale dell’associazione, sottolinea i punti deboli della riforma che ha portato la sanità penitenziaria dal Dap dritto dentro il Servizio sanitario. C’è la specificità del malato recluso e del medico che lo cura: "Nelle carceri ci sono utenti che hanno libertà di scelta condizionata.

Non sono - sottolinea Lucania - come gli altri cittadini, che se nel Servizio sanitario hanno tempi di attesa troppo lunghi, si possono si rivolgono ad altri". La cosa, in teoria, al detenuto sarebbe permessa, ma è impedita nei fatti dalla burocrazia della giustizia. E poi, ricorda la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, ci sono "i grandi problemi di inquadramento del personale". Di medici e sanitari che si prendono cura dei carcerati e che lavorano per il ministero della Giustizia.

"In molte realtà - sottolinea - non manca una vera corsa alle poltrone". E ci sono poi i problemi "dell’obsolescenza delle strutture: locali non idonei, macchinari vecchi, assenza di manutenzione". Per questo, auspica la Simspe, "bisogna creare una nova medicina: chi ha stilato il Dpcm che sposta la sanità penitenziaria dalla Giustizia al Servizio sanitario ha ignorato questi problemi". Il decreto "va rivisto, vanno riscritte le regole, perché chi le pensate lo ha fatto senza gli operatori".

Giustizia: epatite C, la malattia infettiva più diffusa in carcere

 

Redattore Sociale - Dire, 3 dicembre 2008

 

Ne soffre il 38% dei detenuti; il 7% è positiva all’Hiv e il 6,7% all’epatite B. Novati, infettivologo consulente di Opera (Milano): "Non abbiamo mai avuto epidemie". Il problema maggiore è costruire la fiducia col paziente.

È l’epatite C la malattia infettiva più diffusa negli istituti di pena italiani: ne soffre il 38% dei detenuti. C’è poi un 7% della popolazione carceraria positiva al virus Hiv e un 6,7% positivo all’epatite B. "C’è poi la tubercolosi - spiega Roberto Monarca, responsabile nazionale dell’area malattie infettive della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria .

La percentuale di positività al test di Mantoux è superiore al 50%: persone che hanno avuto un contatto pregresso con la malattia e che indica una condizione di infezione latente". Malgrado i numeri e le difficoltà oggettive (vedi lancio precedente) non è il caso di parlare di allarme. Per Stefano Novati, infettivologo dell’ospedale San Matteo di Pavia e consulente per il carcere di Opera (Milano) "i problemi maggiori sono quello organizzativi. Il carcere è un condensato di marginalità, ed è evidente che vi siano concentrazioni maggiori di patologie. Non abbiamo mai avuto epidemie, né di Tbc né di epatite".

Ma c’è un’altra difficoltà che incontrano i camici bianchi del carcere: la difficoltà a costruire la fiducia con il paziente detenuto, elemento fondamentale nel rapporto medico-paziente. "Il detenuto si vede imporre la figura del medico, un problema che si aggrava ancora di più per gli stranieri - spiega Roberto Monarca -.

Per questo dovremo avvalerci di mediatori culturali, ma anche di peer educators: detenuti formati per trasmettere conoscenze mediche tra pari". L’iniziativa, portata avanti con il progetto "In & Out", ha coinvolto quattro istituti di pena italiani (San Vittore, Viterbo, Rebibbia e Bari) in cui si è lavorato per informare i detenuti sull’importanza di sottoporsi al test di screening per individuare la positività al virus Hiv. "Solitamente la media di accettazione è del 30% - commenta Roberto Monarca - con questo progetto l’accettazione del test di screening è passata al 70%".

Giustizia: circuiti penitenziari e affari d’oro delle super-carceri

di Valerio Fioravanti

 

L’Opinione, 3 dicembre 2008

 

Si ritorna, è una cosa molto periodica, a parlare di sovraffollamento delle carceri. I giornali hanno gioco facile nel segnalare i soliti sprechi: carceri nuove che non sono mai state aperte, costruzioni lasciate a metà, ristrutturazioni infinite e costosissime di edifici obsoleti, nuove strutture "in costruzione" ormai da vent’anni, eccetera. E poi si indicano le solite soluzioni: stanziare più soldi, assumere più agenti, costruire più carceri.

Manca, al centro di qualsiasi proposta, un elementare elemento di razionalizzazione: costruire e gestire carceri oggi in Italia è molto costoso perché ogni carcere viene inteso come un Supercarcere. Da un punto di vista dei costi, un giorno di detenzione di un pericolosissimo killer della mafia equivale a un giorno di detenzione di un vecchio borseggiatore slavo. Lo spessore del cemento delle loro celle è lo stesso, le doppie porte blindate sono le stesse, le sbarre di acciaio speciale alle finestre sono le stesse, le mura di cinta sono alte uguali.

Pochi critici conoscono la complicatezza dei capitolati di appalto per la costruzione dei carceri: mura sovradimensionate, sotterranei blindati che devono coprire l’esatta planimetria della costruzione superiore, perché periodicamente qualcuno deve scendere a ispezionare se i detenuti stanno scavando qualche galleria, e dai sotterranei devono poter passare gli agenti in caso di rivolta armata, solai blindati a evitare che qualcuno cerchi di arrivare sui tetti di notte per poi essere prelevato da un elicottero o qualcosa del genere, insomma tutto blindato, blindatissimo.

E invece, oltre l’80% dei detenuti che transitano per le celle italiane non hanno alle spalle reati violenti, e una percentuale altrettanto alta dovrà scontare solo poche settimane di pena, o spesso pochi giorni in attesa degli arresti domiciliari o altro. Perché dedicare carceri costosissime anche a questo 80% di persone che a una rivolta armata non ci penseranno mai, che non hanno nessuna intenzione di accoltellare un agente per rubargli la divisa e tentare di evadere, né scaveranno mai tunnel stile "la grande fuga"?

Il problema è di duplica natura: da un lato ci sono i classici interessi economici, per cui sono tutti contenti di avere a che fare con appalti molto grossi. Poi però c’è anche il problema "culturale", per il quale in Italia nessuno se la sente di sostenere apertamente che le carceri possano avere diversi "livelli" di sicurezza/durezza.

Sono trent’anni che qualsiasi riforma "ragionevole" viene bloccata da chi sostiene che l’adozione di circuiti penitenziari equivarrebbe ad introdurre la "meritocrazia". E sappiamo quanti nemici, anche in buona fede, abbia la meritocrazia di qualsiasi tipo, in Italia.

Giustizia: il "metodo Brunetta", per il personale penitenziario?

di Emilio Gioventù

 

Italia Oggi, 3 dicembre 2008

 

Cercasi disperatamente personale per gli istituti di pena italiani. Agenti di polizia penitenziaria e personale civile scarseggiano. Ci vorrebbe un colpo alla Renato Brunetta per ovviare all’impossibilità di fare nuove assunzioni. Magari un bel trasferimento d’ufficio di personale in esubero della Pa lì dove ci sono posti da coprire oppure il ricorso a "processi di rafforzamento delle motivazioni professionali e lavorative".

E a questo che vorrebbe aggrapparsi il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, quando si mette di impegno a rispondere a due interrogazioni sull’argomento presentate dai deputati Franco Ceccuzzi del Pd e da Tommaso Foti del Pdl. Il primo, nell’interrogazione cita stime di Cgil e Cisl che indicano "una carenza di organico del 30% per quanto riguarda la polizia penitenziaria e del 75% per le aree pedagogica, amministrativa e contabile".

Alfano risponde per iscritto: "Per sopperire alle esigenze di servizio la direzione è stata supportata dal provveditorato competente attraverso l’assegnazione di 46.856 ore di straordinario, con un evidente incremento rispetto al biennio precedente il cui monte ore si attestava mediamente intorno alle 42 ore".

Intanto, in attesa di poter procedere a nuove assunzioni, tocca affidarsi al "recupero e alla razionalizzazione delle risorse umane esistenti, attraverso processi di rafforzamento delle motivazioni professionali e lavorative", è la risposta di Alfano che si ripete anche nella replica a Tommaso Foti che passa ai raggi X le carenze d’organico in 13 istituti penitenziari dell’Emilia Romagna.

E qui, leggendo la risposta di Alfano, il pensiero va appunto a Brunetta quando si legge che il Dap (il Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria) "mediante l’adozione di provvedimento di mobilità ordinaria ha incrementato il personale" per le sedi di Bologna, Ferrara, Piacenza e Parma. Anche questa volta Alfano torna a ribadire che in attesa di poter assumere nuove unità si potrebbe pensare a motivare i dipendenti, magari adottando "sistemi di sorveglianza nuovi, capaci di valorizzare la flessibilità del servizio istituzionale" e soprattutto "in grado di assorbire meglio il maggiore carico di lavoro determinato dalla crescita della popolazione detenuta".

Colpi di professionalità creativa a parte, resta in generale il problema della carenza di organico nell’amministrazione penitenziaria. Secondo gli ultimi dati statistici forniti mancherebbero all’appello poco meno di 2.000 agenti e assistenti e una ventina di ispettori di polizia penitenziaria. Così come all’appello mancherebbe più di un migliaio di personale cosiddetto civile, ovvero di competenza ministeriale.

Giustizia: Maroni; braccialetti inutilizzati? dipende dai giudici

 

Agi, 3 dicembre 2008

 

"La possibilità di utilizzare il braccialetto elettronico per controllare persone sottoposte agli arresti domiciliari - ha ricordato Maroni - è stata introdotta con un decreto legge del novembre 2000, poi convertito in legge nel gennaio 2001". Successivamente è scattata "una fase sperimentale nelle città di Milano, Roma, Napoli, Catania e Torino, con diverse tecnologie e diverse ditte, coinvolgendo la Telecom Italia per la componente della rete".

A sperimentazione conclusa, "il ministro dell’Interno dell’epoca, su conforme parere dell’Avvocatura generale dello Stato, propose alla Telecom di assumere la veste di referente unico per la gestione del sistema: conseguentemente, il 6 novembre 2003 venne definito in accordo con Telecom Italia una nuova modalità di erogazione di queste prestazioni, passando dal noleggio degli apparati alla fornitura diretta del servizio".

"Il braccialetto - ha proseguito il ministro - viene collocato alla caviglia o al polso, invia impulsi radio a un’unità ricevente installata nell’abitazione del detenuto e, tramite linea telefonica, questo dispositivo invia segnalazioni alla centrale operativa di Telecom Italia.

L’accordo con la Telecom ha comportato un impegno finanziario una tantum, all’epoca, per l’attivazione del servizio, pari a circa 10,3 milioni di euro per il 2003 e un canone annuo di 10 milioni e 899 mila euro dal 2004 al 2011 per la realizzazione della rete, cosa che Telecom ha fatto".

"Ovviamente - ha concluso - visto lo scarso utilizzo del braccialetto ho parlato con i responsabili Telecom per vedere che cosa si poteva fare, ma Telecom ha dato attuazione all’accordo regolarmente, lo scarso utilizzo del braccialetto dipende non tanto dal ministro quanto dalla magistratura".

Giustizia: Sappe; un incontro con Alfano, non è più rinviabile

 

Il Velino, 3 dicembre 2008

 

Riteniamo sia non più rinviabile un incontro con il Ministro della Giustizia Angelino Alfano per conoscere gli intendimenti che il Governo vuole adottare per il sistema penitenziario nazionale. Un incontro che - alla luce degli ultimi, drammatici episodi che hanno visto coinvolti appartenenti al Corpo di Polizia penitenziaria (a Catanzaro, Scampia e Milano San Vittore) - non può che essere urgente e necessario.

È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria che questo pomeriggio terrà a Roma (con inizio alle ore 15.30 presso l’Istituto Superiore di Studi Penitenziari di via Barellai) un Convegno nazionale sul tema "Riforma dell’esecuzione penale per la sicurezza del cittadino - Direzione Generale della Polizia penitenziaria e Riordino delle carriere".

Ciò che è accaduto in questi ultimi giorni è semplicemente inquietante e necessita di una ferma presa di posizione e di intervento - quale può essere appunto l’incontro con il Ministro della Giustizia, dal quale dipende il Corpo di Polizia penitenziaria - per analizzare le criticità attuali penitenziarie, spiega Capece.

A Catanzaro un detenuto ha scagliato le sue feci contro il nostro Personale; a Scampia un’autovettura del Corpo di rientro dal servizio di piantonamento negli ospedali civili napoletani, con a bordo due nostri Agenti, è stata accerchiata da cinque vetture di malintenzionati che hanno furiosamente minacciato i nostri colleghi.

Ieri a San Vittore una rissa tra una dozzina di detenuti (otto magrebini e quattro albanesi) scoppiata durante l’ora d’aria non ha avuto gravi conseguenze solamente per il pronto intervento del Personale di Polizia penitenziaria il quale ha evitato che la rissa degenerasse e potesse quindi coinvolgere altri ristretti. Ecco, queste criticità e molte altre che quotidianamente avvengono nelle oltre 205 carceri italiane sovraffollate di oltre 58mila detenuti a fronte di 43mila posti regolamentari ci inducono a sollecitare il Ministro della Giustizia Alfano ad incontrarci quanto meno per sapere quali sono gli interventi annunciati dal Governo in materia penitenziaria.

Capece sottolinea infine che se la strada del Governo sembra essere quella di affidare a privati la costruzione di nuove carceri vorremmo capire come ci si intende muovere, fermo restando che la gestione dei penitenziari deve restare un compito dello Stato affidato al Corpo di Polizia penitenziaria. Ma costruire nuovi carceri vuol dire assumere nuovo Personale, di Polizia e del Comparto Ministeri (oggi entrambi nettamente sotto organico), vuol dire stanziare fondi e risorse. Vorremmo sapere come il Governo intende muoversi, visto che è addirittura previsto, nella Finanziaria approvata quest’estate, una netta riduzione ai fondi riservati all’Amministrazione penitenziaria.

Giustizia: Maroni; "molto soddisfatti" sull'utilizzo dell’esercito

 

Agi, 3 dicembre 2008

 

"L’utilizzo di mille militari per la vigilanza a 16 centri per immigrati ha consentito di recuperare 778 operatori di forze di polizia, mentre l’impiego di mille appartenenti alle forze armate per la vigilanza a siti e obiettivi sensibili ha permesso di adibire a compiti operativi 369 uomini delle forze dei Polizia". Lo afferma il ministro dell’Interno Roberto Maroni, intervenendo al question time, che fa così un bilancio dell’utilizzo dell’esercito.

A tal proposito, sottolinea inoltre: il Governo "è anche soddisfatto dell’intervento dell’esercito a Caserta, che ha avuto grandi risultati e che dal 4 ottobre al 30 novembre ha portato ad identificate oltre 35 mila persone, ad arrestarne 81, a controllare 19 mila 200 veicoli e a denunciare quasi 200 persone e a sequestrare armi, stupefacenti e droghe".

Ma più in generale, aggiunge Maroni, "il Governo è molto soddisfatto da tutti gli interventi", perché "è aumentata la presenza sul territorio e l’azione di contrasto, soprattutto alla microcriminalità", ma è anche migliorata "l’azione di prevenzione di questi reati. L’esperienza di questi mesi - conclude - ci dà ragione".

Giustizia: Rutelli (Pd); togliere figli a chi li manda a mendicare

di Dino Martirano

 

Corriere della Sera, 3 dicembre 2008

 

"Accetteremmo mai che la nostra vicina di casa si piazzi sul marciapiede a chiedere l’elemosina con il figlio seminudo accanto...? E accetteremmo mai che il marito della signora, poi, passi a ritirare i soldi?".

Le domande retoriche se le pone Francesco Rutelli che, anche in forza di una lunga esperienza in Campidoglio, ha fatto un salto nel leggere per intero la sentenza con cui la Cassazione ha derubricato, da riduzione in schiavitù a maltrattamenti in famiglia, il reato contestato dalla corte d’Appello di Napoli a una madre rom che praticava il "manghel" (accattonaggio) part-time con il figlioletto semi-svestito anche di inverno.

Rutelli non si limita all’indignazione. E per questo fa una proposta al Pdl: "Bene Maroni, che con il suo ddl raccoglie la proposta mia e di Amato sull’inasprimento delle pene per chi impiega i minori nell’accattonaggio. Ma, se la maggioranza è d’accordo, io proporrei che in ogni caso scatti la privazione della potestà genitoriale...".

 

Lei propone la linea dura ma è vero che la Cassazione ha cercato di differenziare tra il nomade adulto che riduce in schiavitù e il genitore rom che si fa accompagnare nell’attività di accattonaggio "molto radicata nella cultura e nella mentalità di tali popolazioni".

"Io non intendo criticare i magistrati. Prendo solo atto del dispositivo della sentenza anche se culturalmente non lo condivido. Penso, infatti, che noi dovremmo affermare con forza una visione universale dei diritti umani. I bimbi - senegalesi, rom, italiani - sono tutti uguali perché nel nostro Paese l’inquadramento di una persona al di fuori delle condizioni della convivenza civile non può essere tollerato".

 

Vieterebbe l’accattonaggio, come propone la Lega?

"Se un adulto è costretto a fare l’accattonaggio non commette reato perché qualsiasi persona potrebbe trovarsi in condizione di necessità, anche se è dovere della comunità sostenere le persone più povere. Ma l’accattonaggio sistematico, organizzato da alcune comunità rom, non è tollerabile perché vivere nel nostro Paese credo significhi anche superare aspetti di tradizioni evidentemente deteriori ".

 

Il ddl Maroni all’esame del Senato prevede un inasprimento delle pene per chi sfrutta i minori di 14 anni nell’accattonaggio. Che farà il Pd?

"In realtà un inasprimento delle pene, grazie a un emendamento per il quale mi sono molto battuto in consiglio dei ministri, era già previsto nel ddl Amato. La mia proposta, seppure non prevedesse un automatismo tale da far configurare sempre la riduzione in schiavitù, produceva gli stessi effetti del reato più grave, con tanto di pena accessoria di perdita della potestà genitoriale in caso di condanna per l’impiego di minori nell’accattonaggio".

 

Maurizio Gasparri (Pdl) ha annunciato emendamenti. Collaborerete?

"Io, innanzitutto, confermo che bene ha fatto il ministro Maroni a raccogliere quella norma che aveva previsto anche il governo Prodi. Ben venga poi un’intesa con il Pdl per ripristinare l’automatismo che, in presenza di minori di anni 14 portati sulla strada a mendicare, preveda le sanzioni proprie della riduzione in schiavitù".

 

La proposta Rutelli, dunque, inasprisce la pena prevista dal ministro Maroni?

"Rutelli va oltre Maroni? Se vogliamo, mettiamola così per il semplice motivo che queste erano le intenzioni originarie che ho sostenuto in seno al governo Prodi. La proposta politica, ora, consiste in un appello bipartisan: migliorare il testo prevedendo la perdita della potestà genitoriale anche in caso di condanna per il delitto di impiego di minori nell’accattonaggio. Con una pena edittale più alta, da 3 mesi a 3 anni e 6 mesi, per consentire l’arresto in flagranza e il ricorso alla direttissima. Un rito più rapido, effettivamente dissuasivo: così i giudici avrebbero un chiaro riferimento della volontà del Parlamento".

 

Scusi Rutelli, da presidente del Copasir (Comitato di controllo sui servizi, ndr) come fa a seguire questo genere di problematiche?

"Guardi, le dico che nella nostra prima relazione al Parlamento sulla tratta degli esseri umani ci sarà un capitolo consistente sullo sfruttamento dei bambini che coinvolge migliaia di minori non accompagnati giunti nel nostro Paese. Molti di loro sono sfruttati sessualmente, per l’accattonaggio, per il lavoro minorile. Tutto ad opera della malavita senza che, devo dire, l’intelligence si sia occupata a fondo della tratta negli anni passati: poca cooperazione internazionale, scarse analisi su gli interessi che alimentano una spietata criminalità".

 

Lei si è occupato molto del dramma dell’infibulazione. Anche per questa pratica illegale c’è bisogno di misure di polizia?

"Fortunatamente contro la pratica dell’infibulazione, che spesso è un’imposizione dei capi maschi capace di generare violenza e atroce umiliazione in alcuni gruppi etnici, c’è stata una grande mobilitazione culturale femminile. Il fenomeno sembra ridimensionato, in Italia, grazie anche alle strutture come il servizio di medicina preventiva della migrazione del San gallicano guidato dal dottor Aldo Morrone. In queste ore, in cui i pescatori di Mazara del Vallo hanno salvato dalla morte sicura centinaia di immigrati, riconosciamo le virtù civili di un Paese in cui va tutelata sempre la vita e la dignità umana. Anche dei bimbi rom agli angoli della strada".

Giustizia: Maroni; giusto togliere la potestà a chi usa i bambini

 

Ansa, 3 dicembre 2008

 

"Ritengo che la proposta di privare i genitori della potestà genitoriale anche nel caso di condanna per l’impiego di minori sia un’ottima proposta che ha il consenso del governo". È quanto afferma Roberto Maroni, ministro dell’Interno al question time di oggi in merito al problema dell’accattonaggio minorile. "Il ministero dell’Interno - sottolinea Maroni - intende continuare ogni forma di prevenzione e di repressione di ogni tipo di sfruttamento minorile. Questa costituisce una priorità nell’azione del ministero che si è vista sin dall’inizio, perché già il primo Cdm ha approvato il pacchetto sicurezza nel quale c’è il ddl attualmente in discussione al Senato, nel quale è prevista la reclusione sino a 3 anni per coloro che per mendicare si avvalgono di persone al di sotto dei 14 anni o comunque non imputabili, ovvero che permettono che questa persona possa essere adibita a questo scopo".

E aggiunge Maroni: "Uguale sanzione è prevista nei confronti di coloro che permettono ad altri di avvalersi di questi minori per mendicare". E annuncia il ministro: "Tra pochi minuti presiederò una riunione al ministero dell’Interno proprio per definire le politiche, le azioni, le strategie per garantire ai bambini che abbiamo identificato nei campi nomadi abusivi un processo di scolarizzazione, di socializzazione, che finora è sempre stato negato".

Giustizia: Carfagna; un Garante per lotta a pedopornografia

di Valentina Arcovio

 

Il Messaggero, 3 dicembre 2008

 

Neppure la crisi economica rallenta lo sfruttamento sessuale dei bambini. Non ci sono differenze tra Stati, religioni e partiti. "È responsabilità di tutti impedire che ai bambini venga rubata l’infanzia. Non ci sono dubbi: tolleranza zero". Dopo aver guidato la delegazione italiana al terzo Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei minori a Rio de Janeiro, Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità è più decisa che mai a lottare contro gli abusi sui minori."È stata un’esperienza davvero speciale. Alla favela "Morro dos cabritos" ho avuto modo di conoscere centinaia di bambini in estrema difficoltà che stiamo cercando di aiutare: non dimenticherò mai la loro dolcezza e allegria nonostante le condizioni in cui vivono".

 

Quali le conclusioni del Congresso?

"Oltre a ribadire la necessità di tutelare i bambini è stato predisposto un documento che conterrà un piano di azione contro lo sfruttamento sessuale dei minori. Il piano prevede l’adozione di misure che in Italia già esistono a tutela e a protezione dei minori. È importante la necessità di collaborare e di cooperare a livello internazionale e di investire negli strumenti di investigazione".

 

Nonostante in Italia ci sia una politica dura contro lo sfruttamento dei minori, ci sono ancora moltissimi casi di abuso. Cos’altro si può fare?

"È vero. Abbiamo fatto tanto, ma ora dobbiamo fare di più. Il nostro paese si sta dotando di strumenti giuridici e tecnologici all’avanguardia per contrastare il fenomeno anche nei suoi aspetti più moderni come la pedopornografia e l’adescamento dei minori via Internet. Anche per questo ho presentato un disegno di legge che prevede l’istituzione di un Garante per l’infanzia e l’adolescenza. Il Garante sarà un grande "occhio" e dovrà svolgere diversi compiti. Oltre infatti a occuparsi di promuovere campagne di sensibilizzazione, avrà il compito di proporre azioni legislative per la tutela dei minori e di riferire ai Tribunali per minorenni le segnalazioni dei cittadini attraverso un numero verde, il 114".

 

A che punto è questo disegno di legge?

"La conferenza Stato-Regioni ha dato il suo parere favorevole. Ho chiesto anche il contributo dell’opposizione affinché il disegno di legge non subisca ritardi. In questo senso finora ho ricevuto risposte incoraggianti".

Lettere: sono in carcere da più di 18 anni… e senza mai uscire!

 

Lettera alla Redazione, 3 dicembre 2008

 

Tra due mesi compio 38 anni. È da più di 18 anni che sono in carcere senza mai uscire! Non è da me fare del vittimismo, però sono a dir poco incazzato perché da 18 anni sento solo belle parole.

Ora voglio rivolgere un appello a tutte quelle persone: dello spettacolo, dello sport, della politica - non importa di quale schieramento - giornalisti, scrittori, medici, imprenditori, filosofi, critici d’arte, critici televisivi e soprattutto del mondo ecclesiastico, che sostengono che la vita è solo di Dio. Bene, gli ergastolani non sono creature di Dio? È giusto che dobbiamo morire in carcere per volere di un nostro simile?

È giusto che combattete anche per non farci vivere morendo giorno dopo giorno! Basta con le solite interviste dove sbandierate che l’ergastolo è una pena che deve essere abolita, che bisogna dare un’altra possibilità; misure alternative per coloro a cui rimane poco da scontare e bla... bla… bla… Basta, che le visite le fate solo sotto le feste comandate!

Basta con promesse illusorie! Basta con il piccolo intervento e poi non se né parla più! Basta, cavalcare l’onda dell’emotività tutte le volte che si verifica un fatto eclatante. Basta sparare a zero sui detenuti che stanno in carcere da 20 anni e più.

Dal 1° dicembre in tutte le carceri italiane inizierà un sciopero a staffetta, vi chiedo di dare voce alla nostra iniziativa. Organizzate dei dibattiti televisivi con chi è contro e pro l’ergastolo. Prendiamo esempio dal padre che nel massacro di Como ha perso moglie, figlia e nipotino. Non ha nominato mai la parola ergastolo anzi, vuole incontrare i presunti assassini ed ha affermato: "le vittime non sono solo i familiari che purtroppo ho perso, ma lo sono anche i coniugi che stanno dietro le sbarre".

 

Ivano Rapisarda, dal carcere di Spoleto

Puglia: Sappe; carceri regionali sono fuori legge, vanno chiuse

 

Comunicato Sappe, 3 dicembre 2008

 

Purtroppo è così, non è una provocazione ma è il risultato di visite ai luoghi di lavoro presso gli Istituti penitenziari pugliesi effettuati dalla segreteria regionale del Sindacato autonomo penitenziaria, al fine di verificare le condizioni di vita e di lavoro della Polizia Penitenziaria.

La situazione di degrado delle condizioni igienico-sanitarie dovuta alla fatiscenza delle strutture carcerarie è stata aggravata dal grave sovraffollamento dei detenuti che ormai ha superato la popolazione detenuta prima dell’indulto (circa 3.600 detenuti di cui 600 stranieri).

Per questo motivo il Sappe, ha inviato alle Asl competenti la richiesta di intervento ai sensi dell’art. 11 della legge 345/75 e successive modificazioni che prevede che "Il medico provinciale (ora Asl) visiti almeno due volte l’anno gli istituti di prevenzione e di pena allo scopo di accertare lo stato igienico-sanitario, l’adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario e le condizioni igieniche e sanitarie dei ristretti negli istituti. Il medico provinciale (ora Asl) riferisce sulle visite compiute e sui provvedimenti da adottare al Ministero della sanità e a quello di grazia e giustizia informando altresì i competenti uffici regionali e il magistrato di sorveglianza".

Finora questi controlli quando ci sono stati, non sembrano essere stati efficaci considerata la situazione disastrosa in cui versano le carceri pugliesi. Se le cose non cambieranno interverrà la magistratura ordinaria a cui nei giorni scorsi abbiamo trasmesso per conoscenza, una dettagliata relazione informando della situazione anche i magistrato di sorveglianza, l’ispettorato del lavoro, il presidente della regione, i presidenti delle province, i sindaci interessati. L’attuale situazione oltre ad andare contro alcune leggi costituzionali ed ordinarie che dovrebbero tutelare i lavoratori nonché la popolazione detenuta, né offende la dignità.

Il Sappe nel suo viaggio nei penitenziari pugliesi ha trovato di tutto: stanze di 1,5 x 3 metri che ospitano fino a 5 detenuti, oppure stanze per 3 posti con 7 detenuti senza acqua; cubicoli stretti e maleodoranti con il bagno a vista; sezioni detentive in cui cadono pezzi di intonaco; muri scrostati; precaria assistenza sanitaria; mancanza di medicinali; cucine fuori legge; sezioni detentive scarsamente illuminate che emanano cattivi odori dovuti all’umidità, al fumo passivo, al cibo; detenuti affetti da diverse patologie che vivono in maniera promiscua; mancano addirittura letti, materassi, lenzuola e coperte.

Potremmo parlare di molte altre cose che abbiamo visto, ma vogliamo ricordare le cifre che danno il polso della drammatica situazione che si sta vivendo all’interno delle carceri e che costringe la Polizia Penitenziaria a carichi di lavoro massacranti e riteniamo che si debba intervenire con urgenza prendendo decisioni gravi ed estreme: Bari oltre 500 detenuti (capienza 290), Foggia 620 (380), Lecce 1.210 (660), Lucera oltre 200 (135), Taranto circa 450 (200), Turi oltre 150 (110).

Il fatto che non si scherzi lo dimostra il provvedimento del sindaco di Pordenone che con il proprio Ufficio Sanitario ha diffidato l’Amministrazione penitenziaria al rispetto delle norme igienico-sanitarie all’interno del locale penitenziario, pena la chiusura dello stesso.

La Legge deve essere applicata è se ciò non avverrà saranno i Dirigenti delle Asl, soprattutto ora che la sanità penitenziaria è passato sotto la loro responsabilità a spiegarne il perché.

Il Sappe si augura che presto ciò accada anche in Puglia, per mettere finalmente l’Amministrazione Penitenziaria e la Politica di fronte alle proprie responsabilità che continuano a perpetrarsi a tutt’oggi considerati gli ingenti sprechi di denaro pubblico con cui invece di pensare a costruire nuovi Carceri (Bari e Brindisi) o ristrutturare quelli più operativi (Foggia, Lecce, Taranto) si continuano a ristrutturare vecchi e fatiscenti penitenziari (Bari, Brindisi) ormai inadeguati ed insufficienti.

Bisognerebbe interrogarsi per esempio, perché si lasciano per anni decadere strutture decenti come Taranto, Lecce o Foggia, mentre si continua a lasciare il carcere di Bari e Brindisi in ostaggio delle imprese costruttrici, quasi sempre romane, (con pochi operai) per anni, a scapito della sicurezza degli operatori e delle cittadinanze. Se non si porta trasparenza ed efficienza in quei luoghi di potere, è inutile poi lamentarsi.

 

Il Segretario Regionale

Federico Pilagatti

Puglia: Pd; emergenza carceri, il governo confuso e in affanno

 

Ansa, 3 dicembre 2008

 

"Il ministro della Giustizia ha il dovere di chiarire, nelle sedi istituzionali, se esistono e quali siano i piani di intervento sull’edilizia penitenziaria; a maggior ragione se questi prevedono la chiusura del 50% delle case circondariali, comprese quelle di Foggia e Lucera". È il commento di Michele Bordo, deputato del Pd, alla notizia, diffusa dal Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, sulla probabile dismissione dei due istituti della Capitanata.

"Il sovraffollamento e l’inadeguatezza strutturale non possono fungere da motivazione di una decisione tanto grave quanto dissennata - continua Bordo - Al contrario, questo dovrebbe convincere il Governo della necessità e dell’urgenza di investire nell’edilizia carceraria, tanto per riqualificare le strutture esistenti che per attivarne di nuove, a tutela della salute e della dignità di chi vi lavora e di chi vi è detenuto".

Il deputato del Partito Democratico annuncia, dunque, la presentazione di un’interrogazione, che fa seguito a quella - "depositata 4 mesi fa e ancora inevasa" - in cui si chiedeva al ministro della Giustizia "se e come il Governo intenda procedere all’attivazione delle strutture costruite in provincia di Foggia e abbandonate all’incuria ed al vandalismo". Il riferimento è ai 5 istituti di pena costruiti ad Accadia, Bovino, Castelnuovo della Daunia, Orsara e Volturara Appula, investendo oltre 10 milioni, e mai entrati in funzione.

"Se fosse vero che il Governo intende chiudere gli istituti di Foggia e Lucera - conclude Michele Bordo - in Capitanata si realizzerebbe un paradosso difficilmente comprensibile da parte della comunità e per nulla rispettoso delle regole fondamentali della buona e oculata amministrazione".

Lazio: Uil; Dap è immobile e inefficiente, le carceri sono incivili

 

Ansa, 3 dicembre 2008

 

"I circa 5.500 detenuti ad oggi ristretti; i 16 suicidi e i circa 60 tentati suicidi verificatisi nell’anno in corso sono numeri che testimoniano, senza tema di smentita, l’emergenza penitenziaria nel Lazio. A ciò debbono coniugarsi le pessime condizioni detentive e le gravi deficienze organiche del personale".

Lo ha dichiarato il Segretario Generale della Uil-Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, che è intervenuto a conclusione dei lavori del Direttivo Regionale svoltosi presso la Casa Circondariale di Civitavecchia. "Nonostante gli allarmi lanciati da più parti sulle critiche condizioni del sistema penitenziario laziale - spiega Sarno - l’Amministrazione Penitenziaria continua a caratterizzarsi per inefficienza ed immobilismo. Nel mentre esseri umani sono sottoposti a detenzioni incivili che incattiviscono e abbrutiscono, rendendo vani quei pochi e rari tentativi di porre in essere percorsi davvero risocializzanti e rieducativi".

Per quanto riguarda la sicurezza, "dobbiamo constatare - ha aggiunto Sarno - come gli impegni e le promesse del Dap siano solo parole al vento. Quando, come accade a Rebibbia, due soli agenti debbono attendere alla sorveglianza notturna di un padiglione che ospita oltre 450 detenuti, parlare di emergenza è persino superfluo. Nonostante queste penalizzanti condizioni di lavoro e la sistematica compressione dei diritti soggettivi (ferie, riposi, straordinari) il personale continua a prestare encomiabilmente la propria opera, nel silenzio e nel disinteresse".

Sicilia: Uil; 7mila detenuti e solo 1.500 agenti, per sorvegliarli

 

Il Velino, 3 dicembre 2008

 

"È davvero sconcertante che di fronte ad una situazione di allarme gravissimo per l’ordine e la sicurezza pubblica in tema di sovraffollamento delle carceri, si registri solo assordanti silenzi, quindi rese incondizionate". Lo si legge in una nota della Uil-Pa Penitenziari della Sicilia.

"In una regione come la Sicilia ove la capienza regolamentare di detenuti negli istituti dovrebbe essere pari a 4.600, oggi invece se ne custodiscono quasi 7.000 e nessuno si preoccupa delle conseguenze che ogni giorno patiscono i lavoratori della polizia penitenziaria impegnati in prima linea contro ogni genere di rischio che il problema comporta. Il personale di Polizia penitenziaria presente è di 4.628 unità, a fronte di 4.915 previsti da tabelle ministeriali, quindi già ne mancano 300.

Ma per la Uil-Pa Penitenziari della Sicilia il dato purtroppo è solo fittizio, tutti lo sanno ma nessuno lo dice, difatti, dalle 4.628 unità presenti, circa 1.500 unità sono impiegati in compiti di ufficio, altre 1.000 nei nuclei traduzioni, altri 900 assenti per fruire dei riposi e dei congedi, quindi effettivamente solo 1.550 unità vigilano sui settemila detenuti, di cui 1.200 del circuito alta sicurezza.

Con tali carenze il personale di polizia è impiegato in turnazioni di oltre otto ore al giorno all’interno dei penitenziari, quelli invece dei nuclei raggiungono e superano le dieci ore al dì, la soppressione sistematica dei congedi, dei riposi ai lavoratori. Per la Uil-Pa Penitenziari in Sicilia mancano all’appello 1.000 unità tra donne e uomini della Polizia penitenziaria, considerato che le dotazioni organiche sono ferme al 2001, e non tenevano conto dei nuovi servizi assunti dal corpo, tra cui le traduzioni, i piantonamenti, le scorte delle personalità. Le assunzioni sono ferme al 1996, ma di contro il governo per fronteggiare l’emergenza ingressi di detenuti, pensa solo di aprire nuove carceri (Gela, Noto), e senza un aumento dell’organico genererà solo la paralisi della Polizia penitenziaria siciliana.

Sardegna: Caligaris; un detenuto di 260 kg, un altro di 82 anni!

 

L’Unità, 3 dicembre 2008

 

Le carceri continuano a riempirsi e con gli spazi stretti e angusti delle celle devono farei conti anche anziani e obesi. Succede in due carceri della Sardegna dove sono detenuti un anziano di 82 anni e un uomo che pesa 260 chili. A denunciare i "due casi limite" è la Commissione diritti civili del Consiglio regionale attraverso la sua componente Maria Grazia Caligaris.

"Non è pensabile che nonostante l’impegno degli operatori, debba essere il sistema carcerario a farsi carico di persone che hanno necessità di assistenza specialistica in ambienti idonei - dice la consigliera - nella Casa Circondariale San Daniele di Lanusei è detenuto un uomo di 82 anni che dietro le sbarre dovrà starci per altri tre anni dato che deve scontare un residuo di pena".

Una situazione al limite, come la definisce la consigliera che da tempo chiede l’istituzione del garante per i diritti dei detenuti. "L’uomo è il più anziano detenuto dell’isola e quasi sicuramente d’Italia - aggiunge -.

Non solo per l’età avanzata ma anche per le specifiche patologie dovrebbe essere ricoverato e curato in una residenza sanitaria assistita o essere ospitato in una struttura alternativa". L’altra situazione limite si registra, invece al carcere di Buon Cammino di Cagliari dove è recluso un uomo in attesa di giudizio che pesa 260 chili.

"Le condizioni di salute di quest’ultimo, a causa dell’obesità, si sono ulteriormente aggravate ed è a rischio della vita. Ritengo che in Sardegna e nella penisola il Servizio Sanitario sia in grado di trovare delle sistemazioni in apposite strutture per i due cittadini che garantiscano sia le esigenze di tutela e di sicurezza richieste dalla magistratura sia il diritto alla salute previsto dalla Costituzione".

Due casi limite che, come spiegano anche i rappresentanti delle associazioni che si occupano di volontariato carcerario, sono visti come una sorta di "effetto del sovraffollamento delle carceri". Una conseguenza dei numerosi rientri che si sono registrati dopo l’indulto. Riccardo Arena, ideatore e conduttore di Radiocarcere, in onda ogni martedì su radio Radicale e curatore del sito www.radiocarcere.com non ha dubbi.

"Non conosco i due casi però bisogna subito dire che nel sistema penitenziario e giudiziario ci sono una serie di cose che devono essere ripensate". Tipo? "Prima di tutto pene esecutive alternative, secondo poi è necessario costruire altre carceri più funzionali alle esigenze. E per far questo è necessario, naturalmente reperire le risorse. Questi cambiamenti però, è necessario farli".

Annuncia di essere pronto a portare avanti una vera e propria campagna di sensibilizzazione per trovare una sistemazione all’ottantenne detenuto a Lanusei Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone. "Che io sappia non ci sono in Italia altri detenuti con più di 80 anni, se non qualcuno sottoposto a 41 bis, reclusi nelle carceri - dice - per questa persona è necessario trovare una soluzione alternativa. La nostra associazione è pronta a mobilitarsi perché questo avvenga".

Milano: a San Vittore una maxi rissa tra magrebini e albanesi

 

Apcom, 3 dicembre 2008

 

Una rissa al carcere milanese di San Vittore ha visto contrapposti oggi un gruppo di magrebini e uno di albanesi. A riferirlo è il segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) Leo Beneduci. "La rissa è scoppiata alle ore 13.50 - spiega Beneduci - durante la fruizione dei cosiddetti passeggi. Alcuni detenuti di nazionalità magrebina - prosegue il segretario generale - sono stati barbaramente aggrediti da un gruppo di detenuti di nazionalità albanese per mezzo di bastoni preparati per l’occasione".

Il bilancio delle vittime - prosegue - è grave: 8 detenuti magrebini sono dovuti ricorrere alle cure del pronto soccorso per ferite più o meno gravi, uno è stato urgentemente ricoverato presso un ospedale esterno per la probabile rottura del setto nasale e gravi tumefazioni facciali. Per sedare lo scontro - sottolinea l’Osapp - la polizia penitenziaria è entrata in azione in massa e solo con grande sforzo e rischio è riuscita a calmare le acque, impedendo più gravi conseguenze, ancorché per gli stessi agenti intervenuti".

A San Vittore la situazione è sempre quella - denuncia il segretario - anzi sta rapidamente peggiorando: la struttura, con oltre 1.400 detenuti, quando se ne possono ospitare al massimo 800, sta letteralmente scoppiando e i fatidici sfollamenti, che lo stesso ministro della Giustizia Alfano nella stessa sede tempo fa aveva annunciato, non si sono proprio visti".

Vicenza: mai così tanti i detenuti, 333 a fronte di soli 125 posti

di Chiara Roverotto

 

Giornale di Vicenza, 3 dicembre 2008

 

È l’ennesimo grido d’allarme di una situazione che ormai sta sfuggendo di mano non solo a Vicenza, ma anche nelle case circondariali del resto della Regione. I detenuti aumentano e gli spazi si fanno sempre ristretti. Non è tutto: il numero degli agenti di polizia penitenziaria è sempre più ridotto per cui sono costretti a lavorare in condizioni impossibili. A denunciarlo ancora una volta è Sergio Merendino, segretario provinciale della Funzione pubblica della Cgil. "San Pio X sta scoppiando - attacca il sindacalista - ci sono 333 detenuti a fronte di 125 posti disponibili. Questo carico ricade sugli agenti che non riescono nemmeno ad effettuare i riposi settimanali. Alcuni hanno ferie arretrate dal 2007, il lavoro straordinario è diventato una consuetudine per cui i turni sono massacranti".

Sulla base della dotazione prevista dal Ministero gli agenti dovrebbero essere 191, invece in via Della Scola ne sono impiegati 145, di cui 20 sono distaccati in altre sedi. "Ogni giorno - prosegue il sindacalista - il servizio piantonamento e traduzioni richiede almeno quindici agenti. Di fatto quelli occupati stabilmente all’interno del carcere sono una settantina".

Da anni non si registrava nel carcere cittadino un sovraffollamento così consistente e come se non bastasse si aggiungono altri problemi. "A causa dei tagli operati dal Governo - aggiunge Merendino - il ministero di Grazia e Giustizia non riesce più a fornire lenzuola per i detenuti. La direzione di S. Pio X ha chiesto più volte nuove dotazioni e solo in questi ultimi giorni è arrivata altra biancheria. Senza contare che la caserma in cui vivono gli agenti in trasferta è completamente fatiscente e ci sono solamente tre docce per tre piani di alloggi".

Disagi, turni massacranti, qualità di vita insostenibili. "A questo punto - conclude il rappresentante sindacale - chiediamo che il Ministero intervenga immediatamente per aumentare la presenza di agenti e che vengano eseguiti almeno i lavori per rendere più abitabile la caserma per la polizia penitenziaria".

Nemmeno il direttore del carcere di S. Pio X ricorda un affollamento così consistente. "Sicuramente da quando sono qui non ci sono mai stati così tanti detenuti - spiega Fabrizio Cacciabue - e del resto le operazioni di polizia si succedono con una certa intensità e gli arresti ne sono una conseguenza. Ma questa è la legge e non possiamo farci nulla, se non attrezzarci per farla rispettare. Certo, le condizioni non sono delle migliori anche perché la gestione diventa difficile, le tensioni aumentano e di conseguenza anche la nostra professionalità viene messa a dura prova. Però - continua il direttore - credo sia impossibile pensare ad una ridistribuzione della popolazione carceraria visto che in tutte le case circondariali del Veneto, e non solo, le condizioni sono identiche. Ieri alcuni agenti sono stati di scorta per 14 ore e oggi erano al lavoro. La buona volontà non manca e nemmeno impegno e coraggio. Per il resto, non possiamo che attendere le misure che devono arrivare dal Ministero".

Infine, il direttore si sofferma sulla condizione della caserma degli agenti. "È vero, le condizioni di vita all’interno non sono ottimali: le suppellettili sono insufficienti, ci sono porte da riparare e tutto questo fa mancare quel minimo di benessere necessario per vivere in condizioni più adeguate, ma se non ci arrivano finanziamenti, difficilmente potremo intervenire anche con una manutenzione solamente ordinaria. Quanto riusciremo a reggere? Non dipende da noi. O meglio, per quanto ci riguarda, sempre.

Firenze: suo figlio morì a Sollicciano; lei non crede al suicidio

 

Il Tirreno, 3 dicembre 2008

 

"Lotterò fino alla fine dei miei giorni per fare chiarezza sulla morte del mio angelo". Ornella Gemini non si rassegna alla morte del figlio di 26 anni, morte per suicidio avvenuta nel carcere di Sollicciano (Firenze). La donna una volta al mese fa tappezzare l’intera Avezzano, dove vive, con un manifesto il cui contenuto cambia ogni volta.

Sono frasi d’amore di una madre nei confronti di un figlio, ma anche di denuncia nei confronti di un’inchiesta giudiziaria che Ornella Gatti ritiene lacunosa e che ha scaricato solo sul suo ragazzo responsabilità di altri.

Ma soprattutto la madre di Niki Aprile Gatti, non crede al suicidio del figlio messo in cella di isolamento con altre due persone, due extracomunitari. Non crede ai risultati dell’autopsia che parlano di suicidio; si oppone all’archiviazione dell’inchiesta; scrive a personaggi impegnati sul fronte dei diritti dei detenuti (Marco Pannella, Beppe Grillo, Marco Travaglio); attacca i giornali locali che non si occupano più di tanto della "misteriosa" vicenda di Niki.

Ha scritto anche alla trasmissione "Chi l’ha visto?" di RaiTre, con la speranza di far riaprire l’inchiesta sul suicidio del figlio. Adesso la mamma chiede la restituzione degli effetti personali del ragazzo, misteriosamente scomparsi dall’appartamento di San Marino dove viveva: spariti abiti e computer.

E per questo ha presentato una denuncia per furto contro ignoti alla Procura della Repubblica di Avezzano. "Non coincide niente in questa inchiesta", ha spiegato la donna all’Agi. "Troppi misteri. "Perche" a mio figlio in isolamento è stato consegnato un telegramma con il quale qualcuno gli ha ordinato di cambiare avvocato prima dell’interrogatorio di garanzia? Perché hanno fatto sparite tutti i computer di Niki: chi lo ha fatto giacché non è stata la magistratura?".

Niki fu arrestato il 19 giugno scorso a Cattolica (Rimini) con l’accusa di frode informatica. Il 23 giugno il Gip di Firenze convalidò l’arresto e il giorno successivo, intorno alle ore 10, il giovane viene trovato morto nel bagno della cella n. 10 a causa di arresto cardiocircolatorio dovuto ad impiccagione.

Bologna: il carcere minorile cade a pezzi, a rischio di evasioni

di Paola Benedetta Manca

 

 

Disastrosa. Non è certo un aggettivo esagerato per descrivere la situazione in cui versa il carcere minorile del Pratello. I lavori per costruire la nuova struttura, iniziati nel 2003, non sono ancora finiti e l’istituto di pena è "fatiscente, quasi al livello del collasso" come riporta Stefano Santuari, dirigente del Centro di Giustizia Minorile Emilia Romagna.

Le sue parole sono confermate da Paola Ziccone, direttrice del carcere, che denuncia uno scenario che ha dell’incredibile. "L’istituto si sta sgretolando. È pieno di buchi. C’è una cavità che collega gli uffici sotterranei degli educatori al parcheggio esterno, con il rischio di evasioni continue, accentuato dalla carenza di organico".

Il carcere, in più, è sovraffollato. In stanze troppo piccole sono stipati fino a 6 ragazzi. Il nuovo istituto avrà una capienza di 50 posti. Santuari ha indicato, ieri, come data di fine lavori, marzo 2009. "Ho forti dubbi in merito" replica Ziccone. Ma i problemi, a quanto pare, non si risolveranno con il trasferimento, infatti - sottolinea la direttrice - "i locali diurni non inizieranno ad essere costruiti prima del 2010".

A rischio anche il teatro per i giovani ospiti. "I ragazzi devono avere qualcosa da fare durante il giorno, per non suicidarsi, e devono poter avere una formazione professionale" denuncia Ziccone che avverte anche che, visti i tagli recenti, in futuro sarà a rischio il vitto per i detenuti.

"Il carcere del Pratello - commenta Ugo Pastore, procuratore presso il Tribunale per i minori - ora non offre nessun servizio ai ragazzi e anche la struttura nuova, vista la mancanza di spazi, risulterà non conforme alla legge". "Nell’ultimo anno - mette in guardia - c’è stato un aumento di circa 1.000 iscrizioni civili per minori condannati e l’Emilia copre l’8% di quelle penali in Italia. A questi dati è legata anche la mancata risposta educativa negli istituti minorili".

Valerio Monteventi, presidente della commissione Politiche Sociali, ha annunciato che chiederà alla Asl, per conto del Comune, la verifica di agibilità della struttura e al Ministero della Giustizia, costi e tempi dei lavori. Elisabetta Calari (Pd) propone che la denuncia della situazione del carcere minorile sia portata avanti anche dai parlamentari bolognesi che potrebbero, fra l’altro, visitare la struttura senza bisogno di autorizzazioni.

Rieti: nuovo carcere è inutilizzato, perché manca il personale

 

Il Tempo, 3 dicembre 2008

 

Da oltre sei mesi è stata completata la costruzione del nuovo istituto penitenziario nei pressi di Rieti, ma la struttura non è ancora entrata in attività per mancanza di personale in grado di renderla operativa.

Questo nuovo carcere potrebbe contribuire ad alleggerire i problemi di sovraffollamento degli istituti penitenziari, che attualmente nel Lazio ospitano tra i 5.400 ed i 5.500 detenuti a fronte di una capienza di posti stimata attorno ai 4.500.

A lanciare ancora una volta l’appello, in merito al sovraffollamento delle carceri, è il garante per i diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, a margine della presentazione del progetto "Educazione alla legalità".

"Da oltre sei mesi sono finiti i lavori per il carcere di Rieti, potrebbe ospitare circa trecento detenuti ma ancora non è stato aperto perché manca il personale - spiega Marroni - I tagli alla Polizia penitenziaria di fatto impediscono di bandire concorsi per nuove assunzioni. Per poter aprire il penitenziario servirebbe un rapporto poco inferiore ad un lavoratore per ogni detenuto".

Padova: panettoni "made in carcere", vendite sono in crescita

 

Redattore Sociale - Dire, 3 dicembre 2008

 

Riscuote consensi e continua a ricevere prenotazioni il laboratorio di pasticceria dell’istituto di Padova: già 12 mila gli ordini, ma saranno alla fine più di 20 mila per queste festività.

Sono buoni, ma sono soprattutto "sociali". I panettoni "made in carcere" continuano a riscuotere consensi e a ricevere ordini e prenotazioni. Segno di una ritrovata attenzione dell’opinione pubblica verso il sociale, ma anche della immutata ricerca della qualità artigianale. È entusiasta Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa Giotto di Padova, che da anni conduce le attività nella casa di reclusione Due Palazzi, tra cui spicca l’ormai celebre laboratorio di pasticceria.

Reduci dal lancio del "panettone a Ferragosto", che al meeting di Rimini ha portato alla produzione di cinque tonnellate di panettoni, i detenuti del Due Palazzi sono già in pieno tour de force in vista delle festività natalizie. Se lo scorso anno la produzione si è assestata sui 15 mila esemplari, quest’anno si pensa che verrà superata la quota dei 20 mila (a distanza di due mesi da Natale sono già arrivate 12 mila prenotazioni). Molte sono le richieste a livello nazionale ma, come in passato, il nome de "I dolci di Giotto" ha superato anche i confini italiani.

"Una carta vincente - sottolinea Boscoletto - è la continua ricerca della qualità, che per i clienti resta una condizione indispensabile. Basti pensare che il 9 novembre abbiamo ricevuto a Milano il Premio Golosaria 2008, che ci riempie di orgoglio. Senza dimenticare che l’Accademia italiana della cucina ha recentemente attribuito a questa esperienza il prestigioso Piatto d’argento". Non si stanca mai di ricordare, Boscoletto, la valenza delle attività all’interno delle carceri, come quella di pasticceria, che permettono - come è scritto nella presentazione del laboratorio - "non solo di imparare un mestiere, ma anche di partecipare a un esempio di imprenditoria sociale che attraverso il lavoro, il gusto e la bellezza propone percorsi di rieducazione per la verità di sé e il senso della vita". Le offerte natalizie per il 2008 comprendono non solo il tradizionale panettone, ma anche novità come il gusto "Arabica" che unisce cioccolato e caffè, "Eden" con fichi e cacao, "Equador" per chi non rinuncia al cioccolato e altre invenzioni.

"Procedono bene anche le altre esperienze - conclude Boscoletto - che vedono i detenuti impegnati a garantire l’assemblaggio e il confezionamento dei prodotti a marchio Roncato per le valigie e Morellato per i gioielli". Sempre quest’estate, a Rimini, la mostra allestita nel corso del meeting ha contato oltre sessantamila visitatori. Per prenotare e acquistare on-line i dolci scrivere a info@idolcidigiotto.it o entrare nel sito www.idolcidigiotto.it.

Monza: una mostra sui temi della giustizia e della detenzione

 

Asca, 3 dicembre 2008

 

La mostra presentata in collaborazione con il Comune e la Casa Circondariale di Monza propone una riflessione sul tema della giustizia e della detenzione, soffermandosi in particolare sul valore del lavoro durante il periodo della pena. Con esso, infatti, prende forma una visione della reclusione finalizzata prima di tutto ad offrire un percorso per l’individuo, che possa creare le condizioni per un reinserimento nella società e, ancor prima, per un cambiamento personale.

I 32 pannelli già presentati in occasione dell’edizione 2008 del Meeting per l’amicizia tra i popoli e corredati di un video contenente numerose testimonianze, saranno seguiti da un’esposizione fotografica realizzata all’interno del carcere di Monza dalla scuola Confalonieri. Inoltre saranno esposti alcuni oggetti fatti dai detenuti sotto la guida di volontari. L’inaugurazione della mostra si terrà martedì 9 dicembre. L’iniziativa è sponsorizzata da Auchan-Gallerie Commerciali Italia s.p.a., Novartis Italia.

Ha ricevuto il patrocinio di Camera dei Deputati, Parlamento Europeo, Ministero della Giustizia, Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Assessorato all’Attuazione della Provincia di Monza e Brianza della Provincia di Milano, Casa Circondariale di Monza, Comune di Monza, Circolo culturale Talamoni, Centro Culturale Brianza, Diesse - Sezione Brianza, Associazione Argonauti.

Mondo: Fleres (Pdl); interrogazione su detenuti italiani estero

 

Asca, 3 dicembre 2008

 

Il Garante per i diritti dei detenuti in Sicilia, Sen. Salvo Fleres sul problema dei detenuti italiani all’estero ha presentato un’interrogazione al Ministro della giustizia e al Ministro degli affari esteri.

"Sono circa 3.000 gli italiani detenuti all’estero - ha dichiarato il Sen. Fleres - conseguentemente, sono circa 3.000 le famiglie italiane costrette a confrontarsi con legislazioni sconosciute e affrontare ingenti spese legali e di trasferta. Eppure esiste la Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, che regola le procedure di trasferimento dei detenuti all’estero che chiedono di scontare la pena residua nel territorio italiano.

Un cenno particolare merita l’India - ha aggiunto il Sen. Fleres - questa, infatti, non ha firmato la Convenzione di Strasburgo, non ha sottoscritto nessun trattato bilaterale con l’Italia e si è rifiutata di invitare l’osservatore speciale dell’Onu sulla tortura.

In India muoiono 1.500 detenuti ogni anno per le torture subite perpetrate dalle guardie carcerarie, dai militari e da funzionari pubblici e, quando le torture non giungono alle estreme conseguenze, non mancano pestaggi, elettroshock, tentativi di annegamento, frustate, e per le donne detenute, stupri di gruppo. Per i diversi italiani reclusi in India si ha il dovere di intervenire a garanzia di una giusta detenzione".

Nell’atto parlamentare il Sen. Fleres chiede al Governo di prendere tutte le iniziative necessarie per giungere alla firma di un accordo bilaterale con l’India, finalizzato ad una più umana esecuzione della pena ed all’eventuale estradizione in Italia di alcuni nostri connazionali.

Mauritania: Amnesty I.; i detenuti torturati con l’elettroshock

 

Reuters, 3 dicembre 2008

 

Gli osservatori internazionali per i diritti umani hanno stilato un rapporto sulla lotta del governo mauritano nei confronti dei presunti prigionieri per terrorismo dal titolo "Torture nel cuore dello stato". Sembra che addirittura gli organi giudiziari del paese appoggino la pratica della tortura come unico metodo di investigazione.

Poco conosciuta ai più la Repubblica Islamica di Mauritania è il 26esimo paese al mondo per estensione (1.030.000 kq), ha una popolazione di 3 milioni di abitanti e Nouakchott è la città principale e capitale del paese. La Mauritania confina ad ovest con l’Oceano Atlantico, a sud-ovest con il Senegal, ad est con il Mali, a nord-est con l’Algeria e il Marocco.

Dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960, il paese africano ha attraversato 27 anni di dittatura fino a quando nel 2007, in seguito ad un colpo di stato, sono state indette le prime elezioni democratiche dopo il periodo colonialista. Sidi Ould Cheikh Abdallahi è stato eletto presidente e il paese mussulmano ( per il 99.8% della popolazione) ha ricevuto elogi da parte di molti paesi occidentali per il processo di democratizzazione.

Nell’agosto 2008, in seguito ad un golpe militare, il presidente Abdallahi è stato destituito e ora il potere è in mano ad una giunta militare. Il mondo occidentale ha condannato tale gesto, nonostante il paese appoggi la lotta contro Al Qaeda.

Sembra che per contrastare il terrorismo islamico, il governo abbia sempre usato metodi sistematici di tortura verso i detenuti; elettroshock, bruciature, violenze sessuali ecc.. Secondo osservatori di Amnesty International, sembra che queste pratiche si siano intensificate dopo la presa del potere da parte della giunta militare in agosto. Gli osservatori per i diritti umani nel paese hanno steso un rapporto intitolato "Torture nel cuore dello stato" e accusano le autorità mauritane di adoperare la tortura come unico metodo di investigazione. Amnesty continua il rapporto affermando che queste pratiche vengono intraprese dalle forze dell’ordine consapevoli di essere appoggiate dalle autorità giudiziarie.

Nel rapporto sono raccolte alcune testimonianze di prigionieri sottoposti a tali metodi coercitivi. " Le forze dell’ordine hanno preso le mie braccia e le mie gambe e me le hanno legate dietro la schiena, mi hanno bendato e mi hanno sottoposto all’elettroshock. Ho perso conoscenza con il naso che mi sanguinava." Il testimone continua " Ogni individuo imprigionato per ragioni politiche o per aver contravvenuto alla legge ordinaria corre il rischio di essere torturato." Intanto, il governo mauritano tace.

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

 

 

 

Precedente Home Su Successiva