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Giustizia: hanno votato 1.368 detenuti, l’8% di aventi diritto
Ansa, 17 aprile 2008
Sono 1.368 i detenuti che hanno votato nei 205 istituti di pena italiani su circa 17mila aventi diritto al voto. Stando alle informazioni raccolte dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, le operazioni si sono svolte senza problemi. Alle urne potevano accedere solo i detenuti in attesa di giudizio e quelli che, pur condannati, non sono stati dichiarati interdetti al godimento dei diritti politici. Il maggior numero di votanti è stato registrato nelle carceri del Lazio: 353 (250 nelle quattro strutture della Capitale); seguono Lombardia 172; Triveneto 127; Campania 108; Sardegna 107; Piemonte - Valle d’Aosta 86; Sicilia 76; Toscana 76; Calabria 64; Emilia Romagna 59; Puglia 38; Marche 33; Liguria 24; Abruzzo e Molise 23; Umbria18; Basilicata 4. Pochi giorni prima del voto il sottosegretario alla Giustizia, con delega alle carceri, Luigi Manconi, aveva fatto sapere che le elezioni politiche e amministrative avrebbero potuto interessare circa 17 mila detenuti. La procedura, disciplinata da una legge del 1976, è però particolare e sconosciuta a molti reclusi con il risultato che alla fine sono pochi i detenuti che effettivamente votano. Il detenuto deve presentare, entro il terzo giorno precedente la votazione, al sindaco del Comune nelle cui liste elettorali è iscritto una dichiarazione della propria volontà di esprimere il voto nel luogo in cui si trova, con in calce l’attestazione del direttore del carcere comprovante la sua detenzione; solo così può ottenere l’iscrizione in un apposito elenco speciale e può ricevere la tessera elettorale. Giustizia: Osapp; vertici carcerari inadeguati e incompetenti
Comunicato Osapp, 17 aprile 2008
Una Polizia Penitenziaria autonoma dai funzionari e dirigenti dell’Amministrazione penitenziaria, con l’istituzione del Capo della Polizia Penitenziaria e dei ruoli tecnici di Polizia Penitenziaria, piena equiparazione alle altre Forze di Polizia, aumento dell’organico commisurato a quello della popolazione detenuta, riforma del processo penale con l’individuazione di strumenti alternativi al carcere per i reati meno gravi, soppressione del Dipartimento della Giustizia Minorile che va accorpato al Dap. Sono le istanze che l’Organizzazione sindacale autonoma di Polizia Penitenziaria (Osapp) rivolge a chi si appresta a governare il Paese. "È fondamentale fissare i paletti per una gestione degli istituti penitenziari verso standard europei - afferma Leo Beneduci, segretario generale Osapp - ripartendo da una situazione di grave emergenza a fronte della quale sono necessari impegni precisi, e anche epocali. Auspichiamo che il Governo sappia agire con celerità e determinatezza considerando quali necessità primarie, oltre a quella dei rifiuti e dell’Alitalia, anche il problema delle carceri, evitando quelle logiche di puro clientelismo che hanno prodotto, negli anni, vertici inadeguati, se non del tutto incompetenti. Giustizia: Osapp; no alla spettacolarizzazione del carcere in Tv
Comunicato Osapp, 17 aprile 2008
Apprendiamo da agenzie di stampa riportate ieri che si ci prepara a mandare in onda, su una piattaforma satellitare importante come Sky, un programma televisivo realizzato all’interno del carcere di Rebbibia. La notizia non ci sorprende più del dovuto visto che l’amministrazione ha deciso di trasformare il penitenziario in un sorta di "Grande Fratello", ponendo, questa volta, al centro dell’attenzione le vicende di cinque detenuti transessuali e omosessuali". Si legge in un comunicato stampa dell’Organizzazione Sindacale Autonoma della Polizia Penitenziaria, attraverso il suo Segretario Generale, Leo Beneduci che stigmatizza "il proposito di una gestione sensazionalistica della realtà carceraria, non tanto per i soggetti a cui è indirizzato il programma o per l’inutilità di mettere in video storie d’amore impossibili in un clima da circo mediatico - prosegue il Segretario Generale -. L’accusa che si muove, a chi dell’attuale Amministrazione ha autorizzato il programma, è quella di consentire, ancora una volta, dopo il caso di "Rock in Rebibbia", la spettacolarizzazione di vicende personali di soggetti deboli, e quindi facilmente esposti dal punto di vista della privacy. A nostro parere non vi è alcun interesse sociologico nell’apprendere se vi sia una relazione d’amore tra Tizio, transessuale, e Caio, omosessuale. Il carcere riflette ciecamente quella che è la condizione del quotidiano, ma sembra che quest’Amministrazione non lo abbia capito e come per il "Grande Fratello", utilizzi lo stato affettivo dei telespettatori, per regolare i destini di quanti sono costretti in cella, a seconda delle gravi responsabilità che intende occultare. Nel carcere, peraltro, prestano servizio 42.000 donne uomini in uniforme, che giornalmente vivono il degrado proprio dei detenuti, e che intendono lavorare meglio ed in maniera fino ad oggi mai riconosciuta. Ci auguriamo che nel corso della trasmissione si evidenzi l’alto livello di inadeguatezza delle strutture a cui sono tenuti tutti, e che, casi simili rafforzino l’idea di un immediato cambio al vertice, per far sì che si possa veramente iniziare ad esaminare il disagio. Giustizia: 70 nuovi parlamentari sono indagati o già condannati
Ansa, 17 aprile 2008
"I parlamentari condannati, prescritti, indagati, imputati e rinviati a giudizio eletti in Parlamento sono settanta", di cui 45 nel Pdl e 13 nel Pd: ne dà notizia dal suo blog Beppe Grillo il quale ricorda che ne erano stati candidati 100, citando come fonte l’ultimo libro di Marco Travaglio e Peter Gomez, "Se li conosci li eviti". "I 70 - spiega il comico - voi non li avete votati. Sono stati scelti dai Segretari di partito. Reclutati nei tribunali e all’uscita delle carceri". I 70 neo eletti - si legge - sono così ripartiti: Pdl 45 (proposti 56); Pd 13 (proposti 18); Lega Nord 7 (proposti 8); Udc - Rosa Bianca 5 (proposti 9). "L’otto settembre 2007 - ricorda Grillo in riferimento al primo Vaffa-Day - un milione e mezzo di persone è scesa in piazza. Trecentocinquantamila cittadini hanno firmato tre leggi popolari per un Parlamento Pulito. Qualcosa hanno ottenuto. Il numero dei condannati in via definitiva è diminuito da 24 a 16. Giustizia: Contrada; clamorosa iniziativa… chiede di morire
Il Corriere della Sera, 17 aprile 2008
Presentata al Tribunale la richiesta per autorizzare l’eutanasia all’ex funzionario del Sisde. "Bruno vuole morire, perché questa sembra l’unica strada percorribile per mettere fine alle sue infinite pene". Anna Contrada, sorella dell’ex funzionario del Sisde, detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere dove sta scontando una condanna a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, ha spiegato così la "richiesta di formale autorizzazione per uccidere legalmente" il fratello presentata al giudice tutelare del Tribunale del carcere campano. La richiesta è stata depositata dal legale di Contrada, Giuseppe Lipera. "Questa difesa - ha scritto il penalista ai giudici - su espresso mandato del suo prossimo congiunto, la sorella Anna Contrada, con immenso e profondo dolore, presenta un’istanza formale di eutanasia". Anna Contrada si rifiuta di "continuare a pensare che il proprio fratello Bruno sia ridotto un dead man walking, l’espressione che usano comunemente i carcerieri americani per annunciare l’ultima passeggiata del condannato diretto dalla sua cella: Bruno è stanco di camminare per raggiungere una chimera chiamata Giustizia". "Del resto - è sottolineato nella richiesta di eutanasia - ad un tramonto così amaro è sicuramente preferibile l’eutanasia, ovvero letteralmente una dolce morte". Secondo l’avvocato Lipera "Bruno Contrada è oramai divenuto tragicamente un vero e proprio doloroso e disperato caso umano: la sua triste vicenda dimostra come la Giustizia in Italia, in certi casi, possa diventare totalmente cieca, accanendosi su uno stanco e vecchio uomo, gravemente sofferente per l’età e per una serie innumerevole di malattie indiscutibilmente acclarate". In passato la difesa dell’ex funzionario del Sisde ha presentato più volte richieste di differimento della pena motivandola con gravissimi motivi di salute, ma sono state tutte respinte perché la condizioni di Contrada, per i giudici, sono compatibili con la detenzione. Per l’avvocato Lipera, a questo punto, anche se può sembrare assurda, "quella dell’eutanasia sembra a tutt’oggi l’unica strada percorribile affinché Bruno Contrada possa mettere fine alle sue infinite pene, chiudendo con coraggio e con forza d’animo una intera vita vissuta all’insegna della intransigente onestà, della correttezza ed anche di quella Giustizia che oggi gli viene costantemente negata con pseudo argomentazioni arrogantemente imperniate di onniscienza". Copia delle richiesta è stata inviata per conoscenza ai Presidenti emeriti della Repubblica Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi, e per competenza al magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere. Il caso Bruno Contrada - Bruno Contrada venne arrestato il 24 dicembre del 1992. L’accusa formale fu di concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex funzionario del Sisde fu accusato di intrattenere rapporti con Cosa Nostra tramite il conte Arturo Cassina, grande appaltatore palermitano, amico del boss Stefano Bontade. Dopo l’uccisione di Bontade nel 1980, Contrada avrebbe mantenuto contatti con i nuovi potenti di Cosa Nostra, i corleonesi di Totò Riina. Lui ha sempre respinto ogni accusa: "Sono un uomo di Stato". Messo all’indice "per vendetta" da criminali che lui stesso aveva perseguito e fatto finire in carcere. L’odissea di Contrada inizia il giorno del suo arresto, il 24 dicembre 1992. In carcere rimase per trentuno mesi malgrado ricorsi presentati perfino alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Il 12 aprile del ‘94 iniziò il primo processo a suo carico, e il 19 gennaio del ‘96, al termine di una requisitoria protrattasi per 22 udienze, il Tribunale inflisse all’ex poliziotto 10 anni di reclusione e tre di libertà vigilata. Il verdetto di primo grado fu però ribaltato dalla Corte d’Appello di Palermo che nel 2001 assolse Contrada. Ma il 12 dicembre del 2002 la Cassazione riaprì il caso, annullando l’assoluzione e disponendo un nuovo giudizio. La Corte d’Appello di Palermo, nel 2006, pronunciò la sentenza di condanna confermata in Cassazione il 10 maggio 2007. Giustizia: ex ministro Sirchia condannato a 3 anni di carcere
Il Corriere della Sera, 17 aprile 2008
L’ex ministro della Sanità, Girolamo Sirchia, è stato condannato a 3 anni di reclusione nell’ambito del processo milanese in cui è imputato insieme ad altre sette persone e una società per presunte tangenti nel mondo della sanità milanese. Per Sirchia l’accusa aveva chiesto 2 anni e 9 mesi di reclusione: una pena leggermente più pesante, dunque, che tuttavia non verrà scontata in quanto coperta da indulto. All’ex ministro è stata anche comminata la pena accessoria di cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. "Sono stato condannato nonostante avessimo portato prove e testimonianze a favore - è stato il primo commento dell’ex ministro -. Evidentemente io e i miei difensori non siamo riusciti a convincere i giudici". La vicenda - Le presunte tangenti, stando alle accuse, sarebbero state pagate per apparecchiature sanitarie a ospedali milanesi quando Sirchia era primario al Policlinico di Milano. L’inchiesta in questione portò il 29 settembre 2004 agli arresti domiciliari per il professor Francesco Mercuriali, ex primario di Immunoematologia del Niguarda, che si suicidò a casa sua il successivo 4 ottobre. Fra le presunte tangenti citate nell’atto di chiusura indagine, ci sono tre assegni su un conto corrente di Chiasso ritenuto riferibile a Sirchia per un totale di 30.500 dollari emessi da Health Care Id Inc. di Chicago, e tre assegni da 11.000 marchi tedeschi ciascuno emessi dalla Immucor tedesca, la filiale centrale europea della Immucor Usa. "Fuori dalla realtà" - Sirchia si è sempre difeso dicendo che quel denaro era il corrispettivo di una serie di consulenze. Per questo, a caldo dopo il pronunciamento della corte, parla di una sentenza "fuori dalla realtà e non condivisibile". "Sono ovviamente dispiaciuto perché malgrado le prove e le testimonianze portate ha prevalso il teorema dell’accusa - ha detto dopo la lettura della sentenza -. Ovviamente mi riservo di impugnare una decisione che reputo fuori dalla realtà". L’ex primario del Policlinico ha inoltre sottolineato che per lui è un dovere "rispettare quello che il Tribunale decide ma è anche un dovere - ha detto - difendere la mia onorabilità". Il professore, assistito dagli avv. Giovanni Maria Dedola e Paolo Grasso, si è detto comunque amareggiato per essere uscito da un processo con una condanna coperta da indulto e una pena accessoria legata a un preciso episodio che presto cadrà in prescrizione. Torino: all’Ipm "Ferrante Aporti" aggredito un altro agente
Asca, 16 aprile 2008
Altri momenti di tensione, dopo quelli dei primi di aprile, si sono verificati nei giorni scorsi nel carcere minorile "Ferrante Aporti" di Torino. Un giovane detenuto, come trapela da fonti del personale, lo scorso 11 aprile ha tentato di impiccarsi ed è stato salvato dall’intervento della polizia penitenziaria. Due giorni fa, invece, un agente è stato colpito alla schiena da una sedia scagliata da un ragazzo e in ospedale gli hanno diagnosticato l’incrinatura di due vertebre con dieci giorni di prognosi. Gli incidenti di due settimane fa avevano portato il Centro interregionale della giustizia minorile a rimuovere il direttore del carcere, Paolo Planta, che però ha trovato il sostegno dell’Osapp, un sindacato di polizia penitenziaria. In quell’occasione, il 2 aprile, due reclusi extracomunitari avevano cercato di togliersi la vita, mentre il giorno precedente due agenti dovettero ricorrere alle cure del medico dopo essere stati percossi. Il personale, tra l’ altro, continua a segnalare una situazione di disagio: un agente - viene spiegato - è stato richiamato in servizio e ha dovuto sostenere un turno di 23 ore consecutive Genova: "Tzedaqah", per i condannati in misura alternativa di Francesco Bizzini
www.ilreporter.com, 16 aprile 2008
Il carcere sulla carta dovrebbe essere un luogo dove l’individuo deviante espia la propria pena tentando un reinserimento in quelle regole sociali che ha bruscamente abbandonato nell’atto di delinquere. Questo, ovviamente, sulla carta. Vittime di un sovraffollamento e della mancanza di progetti rieducativi consistenti, le carceri invece assomigliano sempre di più ad immensi sgabuzzini dove rinchiudere chi non vogliamo tra i piedi. Per fortuna che alle volte le cose non vanno in questa maniera. È la storia di Tzedaqah, che non è una persona, bensì un luogo a Genova dove i detenuti sottoposti a misure alternative al carcere verranno coinvolte in percorsi di reinserimento sociale. Il progetto è partito dalla mente di giovani volontari vicini alla Caritas diocesana del capoluogo ligure e alla Fondazione Auxilium, ente che si occupa di chi vive nel disagio. Ai microfoni del mensile di strada Scarp dè tenis questi ragazzi spiegano che il complicato nome dell’iniziativa è tratto dalle Sacre Scritture ed indica la giustizia misericordiosa di Dio Padre che rifiuta la vendetta, guarda oltre la colpa, offre riconciliazione e perdono ai colpevoli e alla società. Nessuno di loro nasconde il nocciolo del problema: la società chiede sicurezza, la pena è necessaria, ma molte volte la speranza di poter ritrovare alla fine di questo cammino uno spazio nella società è disattesa. "Giorno dopo giorno, la persona condannata verrà incoraggiata a prendere coscienza del proprio errore; al tempo stesso, tramite pratiche di mediazione penale, sarà condotta a praticare azioni credibili e concrete di riparazione del danno". Chiaramente tutto ciò percorre anche la via dell’aiuto al mantenimento di una vita salda e sicura nelle sue necessità primarie. "Occorre infine poter proporre alla persona supporto nella soddisfazione dei bisogni primari (abitazione, cibo, igiene, abiti, salute), in modo tale da liberarla dal bisogno più urgente e permetterle di impiegare le proprie energie vitali nell’affrontare il lavoro e la ripresa di modalità relazionali adeguate con la società". Perché il destino non è scritto. Da oggi a "casa Tzedaqah" non più. Sulmona: "Oltre il muro", apre mostra di dipinti dei detenuti
Agi, 16 aprile 2008
"Infliggere una pena non significa e non deve significare mai, emarginare: l’obiettivo è quello di tendere al bene comune". Con questa affermazione Sergio Romice, direttore della Casa di reclusione di Sulmona, plaude all’impegno profuso dai detenuti per l’allestimento della mostra pittorica "Oltre il muro". I quadri saranno esposti a partire da domani a Castel di Sangro, presso la "Pinacoteca Patiniana" in Palazzo de Petra. L’evento, patrocinato dal Comune di Castel di Sangro, dalla Rergione Abruzzo, dalla Provincia dell’Aquila e dalla Comunità montana Alto Sangro e Cinquemiglia, è organizzato da Lino Alviani, dal direttore dell’area Pedagogica del carcere di Sulmona, Frank Mastrogiuseppe e dall’assessore alle Politiche sociali del comune di Castel di Sangro, Andrea Liberatore. Quest’ultimo ha commentato: "Auguro ad ognuno dei detenuti espositori di non perdere mai il desiderio di un’esistenza migliore e che l’arte possa aiutarli nell’introspezione della propria coscienza, in compagnia dei propri ricordi, rimorsi e speranze". Alla cerimonia di inaugurazione, domani alle 17,30, interverranno la presidente della Provincia, Stefania Pezzopane, l’assessore Andrea Liberatore, il presidente della Comunità montana, Pasqualino Del Cimmuto, il curatore della mostra, Lino Alviani e il direttore Frank Mastrogiuseppe. L’esposizione, aperta da domani 18 aprile fino al 4 maggio, con ingresso libero, sarà visitabile dal giovedì alla domenica, dalle 17.00 alle 19.00. Droghe: Ferrero; troppa repressione e… poca prevenzione
Dire, 17 aprile 2008
Per quanto riguarda la prevenzione e le strategie di gestione del consumo di alcool, "la politica italiana commette gli stessi errori che ha fatto con la droga". Lo ha detto il ministro delle Politiche Sociali, Paolo Ferrero, durante l’Alcool Prevention Day, organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità. Secondo Ferrero infatti negli ultimi venti anni "la politica sulle droghe è stata proibizionista con risultati insoddisfacenti, visto il costante e significativo aumento di consumatori di sostanze stupefacenti". Anche nell’ultimo governo Prodi non si è avuto un atteggiamento coerente per quanto riguarda l’alcool. "Ritengo vergognoso che in questo passato governo si siano aumentate le pene repressive per chi guida in stato di ebbrezza, cosa corretta, senza riuscire neanche a discutere la proposta di legge che vietasse la pubblicità degli alcolici in televisione. Una cosa da ipocriti". C’è quindi, sia nella droga che nell’alcool, "una schizofrenia tra repressione dura e non prevenzione sugli stili di vita. Tutto ciò con risultati inefficaci. Ritengo invece che la strada intrapresa dalla Consulta e dalle associazioni vada nella direzione giusta". Droghe: "cocktail" sconosciuti… ogni volta si rischia la vita
Corriere della Sera, 16 aprile 2008
Attacchi di panico, allucinazioni, depressione, problemi di concentrazione e perdita di memoria, blocchi respiratori. Le pasticche di ecstasy sono un veleno per il cervello. "Anche una sola pastiglia può avere effetti tossici, si può anche morire - spiega Franco Lodi, professore di tossicologia forense all’Università di Milano - perché in realtà non si conoscono mai precisamente le sostanze che si assumono e i dosaggi. E contano anche i cocktail con altre sostanze. In certi casi una particolare ipersensibilità e intolleranza può causare choc anafilattici, con conseguenze anche fatali". Come nel caso di Kristel: in lei la pastiglia killer ha scatenato un’ipertermia maligna, con una temperatura corporea sopra i 41 che l’ha portata al coma e poi alla morte. Attenzione, non è immune a rischi neppure chi è abituale consumatore di pasticche. "L’ecstasy è un derivato delle anfetamine e le intolleranze possono verificarsi anche all’improvviso. Assumere quelle sostanze è un rischio. Sempre. È vero, i casi mortali sono rari. Ma le conseguenze sono sempre pesanti. Qualche tempo fa proprio qui a Milano abbiamo avuto il caso di una ragazza che per una di quelle pastiglie colorate ha dovuto subire un trapianto di fegato". Gli effetti a lungo termine sono l’invecchiamento cerebrale: il sistema nervoso subisce pesanti stress e i fenomeni a cui si va incontro sono simili al Parkinson o l’Alzheimer e, come in queste malattie, il recupero completo non sembra essere possibile. "Altro aspetto assolutamente sottovalutato dai giovani è la dipendenza che crea l’ecstasy - conclude Lodi - e c’è da chiedersi se davvero vale la pena per lo sballo di una sera rischiare danni tanto gravi al cervello, o addirittura la vita". Stati Uniti: Corte Suprema; lecito l'utilizzo dell’iniezione letale
Ansa, 16 aprile 2008
Con una mossa a sorpresa, perché ha deciso di anticipare i tempi previsti di diverse settimane, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha confermato ieri a Washington che l’uso delle iniezioni letali (un cocktail di tre sostanze) per i condannati a morte del Kentucky è legale. Il presidente della Corte John Roberts, un cattolico, ha giudicato, in una opinione pubblicata ieri in coincidenza con la visita del Papa negli Usa, che la procedura in vigore nello Stato "rispetta l’ottavo emendamento della costituzione", che proibisce qualsiasi punizione "crudele e inusuale" dei detenuti. La decisione è stata presa ad ampia maggioranza, sette voti a favore e due contrari, e secondo gli osservatori dovrebbe permettere, forse con qualche eccezione, la ripresa delle esecuzioni capitali negli Usa, sospese dallo scorso settembre in attesa della sentenza odierna. La Corte ha respinto il ricorso inoltrato da due condannati a morte del Kentucky, secondo i quali l’attuale cocktail di tre sostanze (un sedativo, un prodotto paralizzante oltre alla sostanza killer) utilizzato nelle esecuzioni sarebbe contrario alla Costituzione. La Corte Suprema ha una maggioranza di giudici cattolici (cinque su un totale di nove). Il verdetto era atteso entro luglio, e si sono espressi contro Ruth Bader Ginsburg, la più "liberal" dei nove, e David Souter, un indipendente. Il ricorso dei due condannati a morte del Kentucky, Ralph Baze e Thomas Bowling, non aveva come obiettivo di evitare l’esecuzione. I due chiedevano semplicemente di essere uccisi con una dose massiccia di barbiturici, come succede ogni giorno per gli animali, visto che il cocktail dei tre prodotti letali è risultato molto doloroso in alcuni casi. Ma Roberts sostiene che Baze e Bowling non sono stati in grado di dimostrare la loro teoria ed è convinto che la tecnica attuale sia storicamente la meno dolorosa di tutte. Iran: spacciatori frustati e impiccati, 54 le esecuzioni nel 2008
Associated Press, 16 aprile 2008
Tre uomini sono stati impiccati in un solo giorno in Iran: uno per avere violentato un bambino e due per traffico di stupefacenti. Le esecuzioni sono avvenute nel carcere di Isfahan, nell’Iran centrale. Uno di loro ha anche ricevuto dieci frustate. Salgono ad almeno 54 le impiccagioni avvenute dall’inizio del 2008 in Iran. Secondo Amnesty International, lo scorso anno le esecuzioni sono state 317, un numero che situa l’Iran al secondo posto al mondo, dopo la Cina.
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