Rassegna stampa 15 aprile

 

Giustizia: Colmegna; la gente ha paura, ma i problemi restano

 

Dire, 15 aprile 2008

 

Don Virginio Colmegna, Presidente della Casa della Carità, commenta l’esito delle elezioni: "Vanno affrontati cercando di abbassare la conflittualità".

"La gente ha paura, i problemi sociali però restano e vanno affrontati, cercando di abbassare la conflittualità": don Virginio Colmegna, Presidente della Casa della Carità, commenta così l’esito delle elezioni, con una Lega nord che ha fatto il pieno di voti non solo nella valli Bresciane o del Varesino, ma anche in quartieri della periferia di Milano come Quarto Oggiaro. Un voto che viene interpretato, dai dirigenti milanesi della Lega, come una richiesta ancora più forte di sicurezza. "Certo le persone che abitano in periferia hanno spesso paura - sottolinea don Virginio Colmegna -.

E bisogna dare una risposta a questa esigenza di maggiore sicurezza: la strada è quella di affrontare e cercare di risolvere i problemi e non di esasperarli. Noi lavoriamo per questo". L’8 aprile scorso a Milano più di quaranta sigle del terzo settore hanno sottoscritto un appello in cui chiedono "rispetto e dignità politica", di essere riconosciuti "come portatori di un interesse" e di "una visione della vita solidale".

E hanno anche annunciato la nascita di un "Cantiere per un patto costituente di un nuovo welfare", definito come "uno spazio di riflessione e di iniziativa politica sui temi del welfare, dei diritti di cittadinanza e della sicurezza sociale". "Andiamo avanti con quel progetto che è soprattutto di tipo culturale - spiega don Virginio Colmegna -. È necessario immettere nella vita politica e sociale una riflessione e uno scambio di idee che porti a ragionare senza contrapposizioni preconcette sui problemi. Noi lavoriamo a favore degli emarginati, al di là di chi governa". Il terzo settore è impegnato in prima linea nel combattere l’illegalità. "Penso ai tanti progetti nei quartieri a rischio che hanno come obiettivo quello di strappare i giovani dalla morsa della malavita -aggiunge il sacerdote-. Sicurezza e legalità sono sempre state al centro dei nostri progetti, perché riguardano proprio le persone più indifese e fragili: l’unica cosa che non facciamo è speculare sulla paura".

Giustizia: Albanesi; i poveri sono rimasti senza interlocutori

 

Dire, 15 aprile 2008

 

Le reazioni. Dura l’analisi del Presidente della Comunità di Capodarco: "Popolazione precaria senza interlocutori, cresceranno le aziende sociali e l’elemosina tornerà con prepotenza. Scenario umiliante".

A risultati elettorali acquisiti il presidente della Comunità di Capodarco don Vinicio Albanesi fa alcune considerazioni dal versante delle fasce di popolazione più svantaggiate. "La prima - spiega - è che la popolazione precaria (poveri, anziani, immigrati) non ha avuto interlocutori. Nel dibattito prima delle votazioni è sembrato che qualche milione di persone, con i relativi problemi, non esistesse. I voti espressi hanno dimostrato che l’attenzione a costoro è un non problema per il futuro. Nelle promesse elettorali non risultava una linea di tendenza di politica sociale; i risultati elettorali hanno confermato disinteresse e noncuranza". Che avverrà dunque domani con queste premesse?

"Prevediamo due risposte che sembrano lontane tra loro - prosegue don Albanesi -, ma unite da una stessa logica. Possiamo chiamarle: aziende sociali ed esercito della salvezza. Essendo scomparsa abbondantemente la filosofia della solidarietà (tra generazioni, tra territori, tra culture) saranno i prevalenti (cittadini a pieno titolo) a suggerire i contenuti, le modalità, le quantità di politica sociale per le fasce di popolazione marginale.

Appellando arbitrariamente ai principi della sussidiarietà, cresceranno le aziende sociali: saranno loro affidati i servizi. Esse dovranno essere capaci di gestire il sociale come qualsiasi altro affare economico. Parteciperanno ai bandi offrendo, al minor costo possibile, i servizi che l’amministrazione pubblica chiederà loro. Una tendenza già ampiamente in atto nel nord d’Italia che sarà estesa nel resto del paese. I motivi addotti saranno moltissimi, alcuni nobili, altri meno: la filosofia resta quella del rapporto economico del contratto. Che cosa serve, a chi e a quale prezzo sarà stabilito dal committente: alle aziende sociali la sola libertà di partecipare".

Dunque, se l’amministrazione pubblica non riuscirà a offrire risorse per il sociale, rimarrà la strada dell’"esercito della salvezza": "L’appello alla solidarietà personale e collettiva per sopperire ai problemi più urgenti e di primaria vitalità. Il 5 per mille, la raccolta fondi, le fondazioni si moltiplicheranno per drenare risorse. Ancora una volta l’elemosina ritorna con prepotenza nel welfare. Questo scenario, per noi, è umiliante.

Prima di tutto perché alcuni (i più bisognosi) non saranno più considerati soggetti portatori di dignità, ma solamente destinatari di aiuto. In secondo luogo perché coloro che dovranno offrire risposte saranno "mercenari": non avranno voce per far emergere problemi, per essere coscienza critica, ma saranno ridotti a "operatori" ad appalto (e per giunta al ribasso). Questa logica va combattuta. Anche in solitudine e anche di fronte al futuro incerto. I valori della dignità, della solidarietà, della rimozione delle cause di disagio vanno mantenuti alti, anche se l’immediato futuro suggerirebbe di adeguarsi alle nuove tendenze. Una battaglia in solitudine, ma non per questo meno giusta", conclude don Albanesi.

Giustizia: Beni (Arci); la società affidata ai proclami del leader

 

Dire, 15 aprile 2008

 

Parla il Presidente Nazionale dell’Arci: "Prevale l’idea di una società tutta affidata ai proclami del leader, alle soluzioni calate dall’alto. Una strada comunque perdente".

Quale terzo settore si prefigura, alla luce del risultato elettorale e alla luce del fatto che la campagna elettorale ha dato poco spazio al ruolo di anticipazione, denuncia della società civile organizzata? Redattore Sociale lo ha chiesto a Paolo Beni, presidente nazionale dell’Arci.

"Lo scenario è preoccupante, il risultato elettorale dà conferma dei segnali che avevamo visto e denunciato anche durante l’ultima fase del governo Prodi: una pericolosa deriva della politica italiana a chiudersi nella sfera istituzionale e limitare la partecipazione. Questo è stato un grosso limite del governo di centro sinistra, confermato poi da come si è condotta la campagna elettorale".

Una tendenza che il risultato elettorale ha suffragato, secondo Beni: "Prevale l’idea di una società tutta affidata ai proclami del leader, alle soluzioni calate dall’alto". Una strada "comunque perdente" per Beni, secondo il quale "c’è bisogno che si attivino le energie, ci vorrebbe una politica maggiormente attenta a questo, capace di fare un passo indietro e di riconoscere la rappresentanza sociale del terzo settore e della società civile tutta".

La tendenza alla chiusura della politica è stata percepita con forza dall’elettorato di sinistra, sinistra "che ha visto indebolirsi fatalmente il legame con la base". E il risultato delle urne lascia milioni di cittadini senza rappresentanza in Parlamento, "e questa è una deriva pericolosa".

 

Si riferisce alla possibilità di derive di gruppi extraparlamentari che possono mettere a rischio la democrazia, come ipotizza questa mattina Massimo Cacciari in un’intervista al quotidiano La Repubblica?

"Ci sono anche queste possibilità. È un dato di fatto che le forze che fanno riferimento alle aree socialista e comunista, che hanno una base diffusa e grande capacità di mobilitazione, non sono in Parlamento. Sono movimenti sociali che hanno aiutato la società italiana a interrogarsi positivamente su tanti temi fondamentali. Io credo che si debba porre estrema attenzione a questo, e al Partito democratico in particolare spetta questo compito".

 

Quali le responsabilità del terzo settore, in questo contesto?

"Aumentano ancora di più le responsabilità dell’associazionismo, del volontariato, del terzo settore tutto. Deve riuscire a darsi strumenti di rappresentanza unitaria".

 

Per farlo vanno superate tante frammentazioni, ci si può riuscire?

"Per riuscirci deve superare la pericolosa tendenza alla lobby e alla frammentazione di chi si relaziona in modo subalterno con la politica, perché tutto questo non è utile al Paese".

 

C’è chi sostiene che il maggiore problema del Paese sia quello culturale.

"C’è un grosso problema culturale, altrimenti non si spiegherebbe la vittoria di una destra populista e reazionaria e fortemente condizionata dalla Lega. Il successo della Lega si sta estendendo oltre il Nord, registra un buon risultato anche in Emilia Romagna, e questo deve preoccupare. I cittadini hanno difficoltà a manovrare gli strumenti della conoscenza e a elaborarli per costruirsi autonomia di pensiero e di giudizio. Questo è alla base della crisi della politica".

Giustizia: Sappe; ora "larghe intese" per il sistema penitenziario

 

Comunicato Sappe, 15 aprile 2008

 

"Ora che l’esito delle urne ha evidenziato con chiarezza la necessità di una nuova guida politica del Paese, auspico che il tema della sicurezza dibattuto in entrambi gli schieramenti durante la campagna elettorale non disgiunto da quello di una maggiore attenzione e sensibilità verso le donne e gli uomini della Forze di Polizia e della Polizia Penitenziaria in particolare non rimanga uno slogan elettorale, ma sia tra gli impegni prioritari del nuovo Parlamento e del nuovo Governo.

Oggi, a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti nei 205 istituti penitenziari italiani, abbiamo più di 52mila detenuti nonostante l’indulto del 2006 ne fece uscire 27mila. Non sono state fatte le necessarie riforme strutturali nel sistema penitenziario, da noi più volte sollecitate, ed oggi le carcere sono di nuovo nel caos.

Non è stato fatto, ad esempio, il riordino delle carriere dei poliziotti, provvedimento da tempo atteso dalle centinaia di migliaia di appartenenti al Comparto Sicurezza né sono stati stanziati adeguati fondi per prevedere nuove assunzioni e l’ammodernamento strutturale dei Corpo di Polizia. Ci vuole dunque un impegno responsabile e urgente nel settore da parte di chi andrà a governare il Paese nelle prossime settimane con l’inevitabile contributo della opposizione parlamentare. Perché la sicurezza dei cittadini, dei poliziotti, dell’Italia non può e non deve avere colorazione politica ma deve essere un impegno primario per tutti."

È quanto afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria con 12mila iscritti -, nel commentare gli esiti della consultazione elttorale.

Il Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione sindacale della Polizia Penitenziaria, auspica dunque una politica di larghe intese su 3 questioni fondamentali per il sistema penitenziario:

1. una modifica del sistema penale - sostanziale e processuale - che rendano stabili le detenzioni dei soggetti pericolosi affidando a misure alternative al carcere la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale, prevedendo procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici come il braccialetto elettronico;

2. l’impegno ad assumere nuovi poliziotti penitenziari, stante la grave carenza di Personale che si registra nel Paese;

3. l’impegno a costituire, attraverso il Ministro della Giustizia, la Direzione generale del Corpo di Polizia Penitenziaria nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria.

Giustizia: Cgil; lettera su gravi episodi in settore penitenziario

 

Ristretti Orizzonti, 15 aprile 2008

 

Al Capo del Dap

Presidente Ettore Ferrara

 

Egr. Presidente, i gravi episodi che hanno interessato il penitenziario in questo ultimo periodo evidenziano, a nostro parere, un malessere ed un disagio operativo e professionale che trasversalmente sta interessando tutto il personale che a vario titolo svolge il suo mandato istituzionale in un contesto, quello carcerario, che risente ormai da troppo tempo della disattenzione politica ed amministrativa e degli effetti irrimediabilmente negativi che questa comporta all’organizzazione nella sua interezza.

La grave ed endemica carenza di personale che interessa le diverse professionalità, i conseguenti gravosi carichi di lavoro, l’impossibilità di ricongiunsi ai propri affetti attraverso seri e razionali percorsi di mobilità previsti dalla norma contrattuale, l’agire quotidiano pregno di difficoltà molto spesso inespresse, l’incomunicabilità inter ed intra professionale che non favorisce il confronto, la solitudine operativa e la frustrazione professionale spesso acuite da inadeguate capacità gestionali, evidenti sui posti di lavoro, diritti e pari opportunità professionali spesso negati, sono solo alcune delle problematiche che, a nostro parere, possono ricondursi al disagio e al clima di malessere di cui sopra e che più volte abbiamo voluto rappresentare per dare voce a quei tanti lavoratori invisibili di codesta amministrazione.

Riconoscendo però a Lei Sig. Presidente la sensibilità di approccio al contesto, ci risulta alquanto incomprensibile e decontestualizzato dalla richiesta di intervento formulata dalle OO.SS., a seguito dei gravi episodi avvenuti negli istituti penitenziari di Genova Marassi e di Bologna, quanto espresso nella nota n.118910 del 3 aprile u.s. dell’Ufficio delle relazioni sindacali, il cui contenuto pretenderebbe essere la risposta .

Il condizionale è d’obbligo visto che la nota facendo riferimento ai fatti sopra detti, si esplica enunciando come interventi "ad hoc", da parte dell’amministrazione centrale, riferimenti che a nostro parere risultano poco attinenti, per usare un eufemismo, alla problematica in questione. Si rimanda, infatti, quasi a voler eludere il problema, alla sperimentazione della Polizia Penitenziaria negli Uepe, all’utilizzo dei dispositivi elettronici di sicurezza (braccialetti elettronici), all’espiazione della pena nella nazione di provenienza dei detenuti stranieri.

Problematiche di degno rispetto, qualcuna anche oggetto di costante confronto sindacale ma, e crediamo Lei convenga con noi, che non possono affatto costituire la risposta ai gravi episodi avvenuti né alla conseguente richiesta di attenzione da noi espressa all’amministrazione. Abbiamo avvertito un certo disagio, non lo nascondiamo, alla lettura attenta della nota perché, purtroppo, ripropone una immagine dell’amministrazione non certo edificante che pensavamo in qualche modo superata. Dobbiamo credere che l’arroganza, la disattenzione e l’indifferenza siano ancora gli elementi caratterizzanti la politica penitenziaria? Vorremmo poter rispondere ai lavoratori che non è così, ma Presidente ci aiuti a farlo.

 

Il Coordinatore Nazionale Fp Cgil

Settore Penitenziario Lina Lamonica

 

Il Coordinatore Nazionale FP Cgil

Polizia penitenziaria Francesco Quinti

Giustizia: 8 anni per una sentenza, il magistrato sotto processo

 

Ansa, 15 aprile 2008

 

È slittata al prossimo 21 aprile, per l’assenza giustificata di un difensore, l’udienza preliminare per valutare la nuova richiesta della Procura della Repubblica di Catania di rinvio a giudizio per omissione in atti d’ufficio del giudice Edi Pinatto per il mancato deposito della motivazione del processo "Grande Oriente" emessa nel 2000 quando era in servizio a Gela (Caltanissetta). Il Gup incaricato è Antonino Fallone.

La richiesta, firmata dal procuratore Vincenzo D’Agata e dal sostituto Antonino Fanara, è stata presentata prima del deposito della motivazione avvenuto a 8 anni dalla sentenza. Un’analoga richiesta era stata avanzata, nell’ottobre del 2006, dall’allora procuratore Mario Busacca, adesso a riposo, e dal sostituto Ignazio Fonzo, oggi consulente dell’Antimafia, ma fu respinta dal Giudice per le udienze preliminari perché, ritenne il giudice, "il fatto non costituisce reato se il magistrato è oberato di lavoro" e quindi "non c’era dolo".

La nuova richiesta si basa sulla mancata stesura della stessa motivazione della sentenza di condanna degli imputati del processo "Grande Oriente". La competenza è radicata a Catania perché nel capoluogo etneo si trattano i fascicoli che riguardano i magistrati del distretto di Caltanissetta.

Giustizia: la seconda vita degli ex terroristi; siamo soli e precari

di Piero Colaprico

 

La Repubblica, 15 aprile 2008

 

La vecchia casa popolare ha i muri scrostati: in un appartamento al piano terra abita Mario Ferrandi, ex Prima Linea, il capo del gruppo diventato famoso perché, P38 in mano, sparava ad altezza d’uomo in via De Amicis, quando venne ammazzato l’agente di polizia Antonino Custra. Dall’armadio Ferrandi estrae una tuta blu: "Vuoi sapere chi mi paga lo stipendio? Eccola qua", dice e con l’indice che una volta tirava il grilletto mostra il marchio Fiat. "Ne sono orgoglioso, l’officina è di un compagno, collaudo i motori. Ho passato anni tostissimi e per mantenermi facevo anche l’imbianchino. Però con un marchio, "Rullo e pennello" dipinto - scherza - come fosse falce e martello...".

Roberto Sandalo, l’ex terrorista rosso di 51 anni che nei mesi scorsi metteva le bombe contro le moschee milanesi e s’ispirava a un fantomatico e autoprodotto "Fronte cristiano", ha ributtato in primo piano gli ex. Che cosa fanno realmente? Che cosa passa per la loro testa? Molti, sia rossi che neri, sono rimasti a lavorare insieme con i primi che hanno dato un po’ di fiducia, e cioè i preti: i don Mazzi, i don Gino Rigoldi, i don Ciotti (che da lavoro a Sergio Segio e Susanna Ronconi).

Barbara Balzerani fa informatica musicale, Paola Besuschio, Anna Laura Braghetti, Alberto Franceschini stanno tutti in cooperative sociali. Lauro Azzolini sta nella Compagnia delle Opere e si occupa di aiuto ai disabili. E anche l’ex capo delle Br milanesi, Vittorio Alfieri, ha lasciato la Caritas di don Colmegna per entrare in una Comunità che si occupa di ragazzi.

Qualcuno ha avuto idee del tutto "nuove". Per esempio, Giorgio Semeria, ex leader delle Brigate Rosse, ferito gravemente durante l’arresto, è diventato un consulente sui risparmi energetici: "Ma - dice - preferisco non parlare né delle vecchie né delle nuove esperienze". Invece Diego Forastieri, che militava in PL, spiega: "Sono vent’anni che lavoro in una cooperativa agricola, abbiamo cominciato a produrre frutta e verdura biologica nell’87, su una cascina delle "Suore poverelle" nella provincia di Bergamo.

Allora non si parlava del biologico, abbiamo imparato il mestiere grazie ad altri contadini, ora siamo all’avanguardia; abbiamo cominciato a commercializzare prodotti non nostri e ci manteniamo senza bisogno di aiuti dello Stato. Il nostro giro d’affari è sui due milioni di euro all’anno, dall’apertura della nostra cooperativa abbiamo dato lavoro a 150 detenuti, e a molti ragazzi con problemi psichici".

La sua coop si chiama Areté, parola greca che sta per coraggio, forza: virtù serie. Condivise anche da un ex della colonna Walter Alasia delle Br, Cecco Bellosi: "La seconda vita è, come direbbe Alberto Sordi, comunque "una vita difficile", ma per fortuna ce l’abbiamo. Mi sento con molti compagni, molti di noi lavorano nel sociale, so che fanno fatica, ma non siamo abituati a lamentarci. Non è un caso che molti facciano un lavoro dedicato agli altri, o che mantengano, come me, un rapporto con le difficoltà del mondo del carcere", spiega lui, che è il coordinatore delle sei comunità di recupero del "Gabbiano".

Negli anni scorsi i terroristi sono tornati sui giornali per qualche rapina. Come Francesco Gorla, ex PL, che faceva parte del commando che nel marzo di nove anni fa bloccò un furgone blindato in via Imbonati, a Milano, e nella sparatoria morì un giovane poliziotto. O come Cristoforo Piancone, ex Brigate Rosse, beccato a Siena alla fine dell’anno scorso mentre fuggiva da banca assaltata. A destra è stato clamoroso l’arresto, cinque anni fa, di Gilberto Cavallini: un altro che come Sandalo, arrestato giovedì, nei processi parlava di aver "ritrovato" Dio e i Vangeli, e chissà perché girava da semilibero con una pistola automatica con il colpo in canna. Quando si cerca di fare però un minimo e razionale censimento tra gli ex terroristi, emergono soprattutto i sommersi e i salvati.

Un piccolo popolo che è ritornato faticosamente da dove partiva prima di credere possibile la rivoluzione: tra famiglie proletarie o piccolo borghesi.

"Molti di noi - spiega ancora Ferrandi - sono interdetti dai pubblici uffici, e questa cosa, che sembra una banalità, comporta un sacco di limitazioni concrete. Mi è capitato di fare delle collaborazioni, ma poi, quando mi è stata proposta l’assunzione, quando cioè ci vogliono i certificati, ho dovuto svignarmela, o mi hanno mandato via i datori di lavoro. Tutti, senza eccezioni".

Tra i vari casi che gli sono capitati, ne cita uno: "Per anni ho tenuto numerosi corsi su come usare il computer. I più recenti erano dedicati ai dipendenti delle case farmaceutiche, i manager avevano bisogno di modificare i software dei computer e così, una volta, mi hanno mandato in trasferta a Taormina. Ma sono arrivati i Carabinieri e ho perso il mio miglior lavoro, 150 euro al giorno. L’unica cosa che a noi ex è possibile fare legittimamente è aprire una Partita Iva. E stare in ogni caso attenti".

Attenti a che cosa? "Beh, un altro dei miei vecchi amici fa l’aiuto capo cantiere. Una volta guidava il furgone, a bordo c’erano i colleghi, una pattuglia li ha controllati... Ha fatto finta di non avere i documenti, se lo avessero controllato al terminale sarebbe venuto fuori il suo curriculum, al cantiere l’avrebbero saputo e, una volta che la voce è in giro, le agenzie di lavoro interinale non ti chiamano più".

Anche Franco Bonisoli, della direzione strategica delle Br, membro del commando che trent’anni fa era in via Fani, non sopporta le lamentele: "Qualche volta m’invitano a spiegare il passato; mi costa fatica ma lo faccio, cercando di dirla tutta.

La vita dura - continua - era quella di mio padre, che stava in una generazione uscita dalla Seconda Guerra Mondiale. O adesso è dura quella degli extracomunitari che dormono nelle baracche. Noi ex terroristi abbiamo fatto tanti danni, la seconda vita che oggi abbiamo e ho è un dono. Avrei potuto morire in battaglia o vivere in carcere, invece faccio l’impiegato in una ditta, dopo essere stato a lungo operaio serigrafo, con una paga molto bassa.

Ma ho accettato le regole del gioco. Per uno come Sandalo non ho mai avuto stima e l’impressione mi si conferma". Lo stesso concetto emerge da Andrea Perrone, ex PL, ora direttore di un teatro milanese, il Blu: "Sandalo mi accusò di alcune rapine, ma ero già in carcere quando avvennero, è uno che è rimasto ancorato alle vecchie logiche, alla cattiveria, mentre la stragrande maggioranza di noi ha chiuso con il passato".

Osservate dalla prospettiva della strada, le polemiche politiche sull’eccessiva visibilità di qualcuno, o su alcuni incarichi dentro le istituzioni, come è successo a Sergio D’Elia, eletto nella passata legislatura Deputato Radicale e Segretario alla Camera, sembrano davvero riguardare pochi "fortunati". Lo si capisce meglio al Giambellino, dove gira Marietto Proti.

Ai lettori dice poco, ma tra gli ex detenuti politici è molto popolare, forse perché sembra uno in pace con il mondo: "Sono un sopravvissuto anche nel senso reale del termine. Mi ricordo quando mi svegliai dall’operazione, il proiettile mi aveva trapassato la gola. Uno dei miei compagni era stato ammazzato mentre ci arrestavano, nel luglio dell’82.

Il chirurgo mi guardò e mi disse che era stato un miracolo. In carcere partecipai a un corso per imparare l’assistenza agli anziani, poi un tirocinio in vari istituti e nel giugno del 2004 mi hanno fatto questo contratto sperimentale del portierato sociale, e cioè mi occupo di andare, casa per casa, dove ci sono le persone fragili, do una mano. Questo contratto - racconta - viene rinnovato di sei mesi in sei mesi, il 30 aprile scade. In fin dei conti che cosa sono io? Un precario, come tanti altri".

Giustizia: parte oggi  la campagna nazionale contro il bullismo

 

La Repubblica, 15 aprile 2008

 

Il bullismo è un fenomeno da sempre noto nelle scuole ma che gli ultimi tempi sembra essere cresciuto in frequenza e anche nella violenza delle aggressioni. Impossibile far finta di nulla, impossibile fermarsi a mere dichiarazioni di biasimo: il Moige - in collaborazione con il Ministero della Solidarietà Sociale - ha voluto fare qualche cosa di più.

Parte così da metà aprile, dalle scuole elementari di Roma, la campagna informativa e di prevenzione "i bulli W gli amici". Il progetto è destinato ai bambini tra i 6 e gli 11 anni ma mira anche a coinvolgere profondamente i loro insegnanti e i genitori. "Non possiamo rimanere inerti di fronte al dilagare del fenomeno del bullismo", ha affermato Maria Rita Munizzi, Presidente Nazionale del Moige. "Da una recente indagine condotta da SWG per il Moige emerge che oltre un quarto dei ragazzi fino a 15 anni è stato vittima o ha assistito ad episodi di bullismo, che l’86% dei genitori considera importante la lotta al bullismo, e che il 17% ritiene debba essere addirittura una priorità della politica.

Noi abbiamo scelto di coinvolgere i genitori nell’iniziativa, sposando una linea condivisa anche a livello europeo: proprio recentemente si è svolto a Roma l’incontro dell’EPA, l’European Parent’s Association, nel corso del quale è stato affrontato fra gli altri il tema del bullismo, e ciò che è venuto fuori con forza è l’importanza del fatto che i bambini ed i ragazzi che ricevono informazioni sul fenomeno a scuola trovino, una volta a casa, dei genitori informati ed aggiornati che possano aiutarli nella comprensione dello stesso".

Il progetto consiste nella realizzazione di una lezione interattiva, di un fumetto e di incontri con genitori ed insegnanti, un percorso educativo volto ad informare e a sensibilizzare bambini, insegnanti e genitori relativamente al fenomeno del bullismo e della violenza in generale. La campagna si articola in due fasi. La prima consiste in una lezione interattiva di circa 45 minuti che, attraverso il linguaggio dei fumetti, spiega ai bimbi l’importanza dell’amicizia e del dialogo e la necessità di non imitare i bulli e di non tacere le loro angherie, bloccando fin sul nascere i loro tentativi di prevaricare gli altri e di attirare attenzione.

La seconda fase del progetto, invece, consiste in un incontro formativo per insegnanti e genitori della durata di circa 1 ora e mezza. Alla fine della giornata di formazione a tutte le persone coinvolte, bimbi, genitori e docenti, sarà consegnato un depliant esplicativo ed il fumetto, per recepire meglio i contenuti della campagna e coinvolgerli nella diffusione del messaggio.

Per questo progetto sarà, inoltre, creato un sito internet dedicato che mirerà ad offrire informazioni e consigli su come affrontare il problema del bullismo. Ci sarà anche la possibilità di contattare una psicologa ed una pedagogista attraverso il link "L’esperto risponde". La campagna del Moige, sostenuta dal Ministero della Solidarietà Sociale, partirà da Roma il 15 aprile e si concluderà a Verona il 21 maggio. Nell’arco dei due mesi verranno coinvolte ben 20 scuole elementari a Roma, Pescara, Napoli, Caserta, Taranto, Firenze e Verona, per un totale di circa 6.000 bambini.

Giustizia: delitto di Cogne; torna alla difesa l’avvocato Grosso 

di Enrico Martinet

 

La Stampa La Repubblica, 15 aprile 2008

 

Così com’era cominciata: la vicenda giudiziaria del delitto di Cogne ritorna all’inizio quando a difendere Annamaria Franzoni sospettata di aver ucciso il figlio Samuele di 3 anni era l’avvocato Carlo Federico Grosso. Ora che la "mamma di Cogne" è stata condannata per il delitto anche in secondo grado e che manca poco più di un mese (il 21 maggio) all’udienza di Cassazione, Grosso sarà di nuovo a fianco di Annamaria.

Lo ha chiamato l’avvocato Paolo Chicco di Torino, titolare dello studio di cui fa parte Paola Savio, subentrata a Carlo Taormina nella difesa durante il processo d’appello. Grosso ha letto le 200 pagine dei motivi di ricorso in Cassazione e ha risposto "sì, accetto". Ha spiegato: "Per arrivare a una condanna ci vuole la prova certa, al di là di ogni ragionevole dubbio. E la mia impressione, come già scrissi su La Stampa all’indomani della sentenza, è che questa prova certa, negli atti processuali, non ci sia".

Stefano Lorenzi, marito di Annamaria, dice: "Quando l’avvocato Chicco ci ha prospettato la possibilità che Carlo Federico Grosso avrebbe potuto far parte del collegio di difesa, Annamaria ed io siamo rimasti entusiasti". Eppure era stato sostituito da Taormina. Così aveva voluto papà Franzoni. In realtà Annamaria e Stefano avevano subito quella decisione. E Grosso, spiegando loro con garbo che il suo modo di condurre le cause era diverso da quello di Taormina, aveva lasciato. Lui, l’unico avvocato finora, ad aver avuto la propria tesi condivisa dai giudici. È anche per questo che Lorenzi aggiunge: "Il professor Grosso ha sempre manifestato la propria convinzione sull’innocenza di Annamaria.

Anche quando non era più l’avvocato. Di questo gli saremo per sempre grati". Annamaria era in carcere quando Grosso presentò ricorso al Tribunale del Riesame di Torino e lo vinse. I magistrati accolsero la sua tesi, quella che le indagini avevano seguito una sola direzione, non analizzando a fondo la posizione di altre persone, tra cui i vicini dei Lorenzi. Una sentenza che fece scalpore. Annamaria tornò in libertà per la Pasqua del 2002. Poi la Cassazione diede ragione alla Procura di Aosta sulle indagini e contro quella sentenza del Riesame. Una delle tante tappe controverse e difficile di una vicenda giudiziaria fra le più confuse degli ultimi anni.

Ora i giudici di Cassazione dovranno esaminare il ricorso della difesa della Franzoni che in Appello è stata condannata a 16 anni (14 in meno rispetto al primo grado). L’avvocato Paolo Chicco in quelle duecento pagine punta soprattutto su due problemi che a suo giudizio devono far tornare il processo in Appello. La perizia psichiatrica che Annamaria ha rifiutato e che è stata fatta sui documenti e sulle interviste televisive, su quelle dei giornali e perfino sui "fuori onda", cioè su frasi che l’imputata aveva detto prima e dopo le interviste.

"Credo che tutto ciò si commenta da solo", dice il difensore della Franzoni che spiega: "È stata una perizia psicologica, non psichiatrica, e questo è vietato dalla legge". Perizia che aveva concluso definendo Annamaria affetta da una sindrome "ansiosa crepuscolare". Ancora l’avvocato: "Soprattutto i periti hanno concluso con la seminfermità che non è stata però concessa dalla Corte.

Sono state riconosciute ad Annamaria le sole attenuanti generiche, altrimenti la pena sarebbe stata di dieci anni, non di 16. La perizia ha pesato sulla decisione della Corte fornendo il presunto movente. Non è stata soltanto una ricerca sulla capacità di intendere e di volere di Annamaria, ma anche una ricostruzione dei suoi comportamenti prima e dopo la morte del bambino. Anche per questo diciamo che è una perizia psicologica".

Ma la Cassazione dovrà valutare anche la lesione del diritto alla difesa. Secondo i difensori della Franzoni, l’imputata non ha avuto una giusta possibilità di difesa perché la sua posizione era in contrasto con quella del suo avvocato, il professor Carlo Taormina. Tra imputata e difensore c’era, secondo il ricorso, un "conflitto d’interesse". Erano entrambi indagati nel processo "Cogne bis", cioè nell’inchiesta sulle prove artefatte scoperte nella villetta di Cogne. La Corte d’assise d’appello di Torino era a conoscenza del "Cogne bis". Fatto che è sottolineato più volte nel ricorso dell’avvocato Chicco. E che ha convinto anche il professor Grosso.

Monza: Scarcerando... salute mentale tra carcere e territorio

 

Comunicato Stampa, 15 aprile 2008

 

Scarcerando - Mercoledì 23 aprile 2008 dalle ore 9.30 alle 13.00. Casa Circondariale di Monza San Quirico.

La salute mentale in carcere rimane, a trent’anni dalla riforma psichiatrica italiana, una delle aree maggiormente critiche e meno approfondite. Per la maggior parte dei detenuti con sofferenza psichica il periodo di permanenza all’interno di un’istituzione totale come il carcere comporta anche l’interruzione totale del percorso di cura precedentemente avviato.

A partire da queste considerazioni, il progetto Scarcerando, attivo da due anni sul territorio dell’Asl 3 di Monza interviene, in sinergia con gli operatori della Casa Circondariale di Monza, per mantenere la continuità terapeutica e attivare, per le persone giunte a fine pena, il percorso di reinserimento sul territorio. Il progetto è il frutto di un ampia collaborazione che si è realizzata a livello territoriale e che ha coinvolto: la Casa Circondariale di Monza San Quirico; la cooperativa Lotta contro l’Emarginazione - Sesto San Giovanni; l’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza; l’Azienda Ospedaliera "Ospedale Civile" di Vimercate; l’Organismo di Coordinamento sulla Salute Mentale - dell’Asl 3; i comuni dell’Asl 3 - rappresentati dal Comune di Monza.

La ricerca intervento, realizzata dalla cooperativa Lotta contro l’Emarginazione, dall’azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza e dall’Azienda Ospedaliera "Ospedale Civile" di Vimercate, viene presentata il 23 aprile 2008 presso la Casa Circondariale di Monza. La ricerca, a partire dall’esperienza del progetto, approfondisce il tema e le problematiche della salute mentale in carcere e, attraverso le interviste realizzate utilizzando l’approccio narrativo, restituisce il punto di vista dei diretti interessati. La ricostruzione dei percorsi di vita delle persone ha consentito di sviluppare riflessioni ed apprendimenti che possono essere considerati significativi ed utili anche in termini generali sia per gli operatori che per la reti, interna ed esterna, al carcere. La ricerca intervento è stata realizzata grazie al contributo della Fondazione della Comunità di Monza e Brianza.

Milano: clochard salva 17enne aggredita alla stazione centrale

di Paolo Colonnello

 

La Stampa, 15 aprile 2008

 

Lei urlava, trascinata con forza da un energumeno che la voleva violentare, ma nessuno è intervenuto per bloccare quella specie di gigante che, incurante dei passanti, aveva deciso, alle cinque del pomeriggio di sabato, di soddisfare i suoi istinti con una minorenne. Lei, 17 anni, stava camminando a Milano sul marciapiede della galleria dei taxi della Stazione Centrale per raggiungere la mamma che l’aspettava dall’altra parte.

Una ragazzina acqua e sapone e senza paura. In fondo alle 17 anche la stazione può essere un luogo tranquillo: da una parte il grande spiazzo pieno di gente, dall’altra le biglietterie e le scalinate. Invece, colpa dei lavori di riqualificazione che da un anno nascondono con grandi pannelli blu buona parte degli ingressi della stazione, la passeggiata si è trasformata in incubo. Improvvisamente da un angolo buio, vicino a una colonna, è spuntata una mano che l’ha afferrata con violenza e l’ha trascinata verso un antro coperto dalle impalcature, facendola sparire dalla vista dei passanti. Michele Ruggieri, 38 anni, pugliese corpulento, brizzolato e malato di Aids, l’ha sbattuta contro uno dei pannelli e dopo averle tappato la bocca con una mano ha tentato di violentarla.

Pochi minuti di terrore interrotti dall’intervento di Raja, un clochard trentenne di origine indiana, che vedendo la scena è corso ad avvertire gli agenti in borghese che aveva notato poco prima, lì vicino. "La cosa incredibile - dice Raja - è che nessuno vedendo la scena ha provato a fare qualcosa...".

La ragazza, mentre gli agenti accorrevano, è riuscita a liberarsi e a correre sconvolta tra le braccia della madre. Agli uomini della Polfer, con l’aiuto di Raja, c’è voluto poco per rintracciare il violentatore che si stava allontanando verso la biglietteria ovest, dov’è stato bloccato. Portato al cospetto della ragazza, è stato riconosciuto e poi arrestato per violenza sessuale aggravata ai danni di una minore. Aveva precedenti specifici.

Il pm Perrotti ha chiesto la convalida del provvedimento che oggi il gip dovrebbe firmare. La giovane è stata accompagnata in ospedale, i medici le hanno diagnosticato un’ecchimosi al braccio sinistro. "È traumatizzata e impaurita - dice la madre - come può esserlo una donna che sa di essere in una posizione pericolosa perché è merce d’aggredire, anche in pieno giorno". Non è la prima volta che si verificano episodi del genere alla stazione.

L’otto aprile era stato un altro senzatetto a salvare un minore disabile, aggredito e violentato in un sottopasso da un algerino pregiudicato e clandestino, segnalando l’episodio ai vigili urbani. Ieri, quando la notizia ha cominciato a circolare, il centralino dei City Angels è stato preso d’assalto da donne che chiedevano di essere accompagnate nella zona da una scorta.

Stigmatizza il ministro delle Pari opportunità, Barbara Pollastrini: "È un altro dramma che conferma quanto la violenza contro le donne sia la prima emergenza culturale e sociale per chi abbia davvero a cuore i diritti umani. E che sia stato un umile clochard a dare l’allarme, spazza via tanti stereotipi e dimostra con chiarezza chi ha davvero coraggio, chi non gira la testa dall’altra parte e non ha paura di denunciare".

Immigrazione: la Lega pensa a nuova legge... la "Bossi-Bossi"

 

Dire, 15 aprile 2008

 

 

"Umberto Bossi sta lavorando da tempo a una nuova legge sull’immigrazione, che noi chiamiamo Bossi-Bossi". È quanto afferma Mario Borghezio, eurodeputato della Lega Nord, parlando ai microfoni di Radio R101. Secondo Borghezio "bisogna varare subito provvedimenti severi per mettere fine allo sconcio di espulsioni solo sulla carta, di entrata in massa di clandestini da valichi che sembrano buchi di groviera, a tutto questo buonismo a spese dei cittadini italiani. Noi non vogliamo che i padani a casa loro si sentano cittadini di serie B a spese di zingari ed extracomunitari".

Immigrazione: sequestrò l’Achille Lauro, ora rischia l'espulsione

di Orsola Casagrande

 

Il Manifesto, 15 aprile 2008

 

Dopo aver trascorso vent’anni in carcere, Ibrahim Fatayer oggi è rinchiuso nel cpt di Ponte Galeria. In mezzo al clamore dei risultati elettorali rischia di consumarsi nel silenzio un vergognoso provvedimento in ultima istanza del governo uscente. Abdellatif Ibrahim Fatayer è palestinese. Ha scontato in Italia vent’anni di carcere per l’azione del Fronte di liberazione della Palestina, legato a Abu Abbas, sull’Achille Lauro. Allora Fatayer era, come i suoi compagni, molto giovane. Ha trascorso metà della sua vita in un carcere italiano.

Nel 2005 è uscito in libertà vigilata a Perugia, sottoposto a obbligo di firma. Dall’8 aprile, cioè da quando anche l’obbligo di firma era terminato, Fatayer si trova rinchiuso nel centro di detenzione romano di Ponte Galeria. Una vicenda assurda ma reale. Con il giovane che rischia di essere espulso. Dove non è chiaro, visto che Fatayer risulta apolide. È nato infatti in Libano, nel campo di Tali Al Zaatar, tristemente noto per la strage commessa dai smani nel 1976. Ha visto uccidere il padre che cercava di proteggerlo dai militari davanti ai suoi occhi. Ha perso tanta parte della sua famiglia nella guerra del Libano e dopo.

Il 7 ottobre del 1985 si è imbarcato sull’Achille Lauro con altri profughi palestinesi, per scendere al porto israeliano di Ishdud e rapire dei soldati israeliani in cambio della liberazione di alcuni prigionieri palestinesi. Le cose, poi, andarono diversamente, con il commando che assassinò Leon Klinghoffer, un cittadino americano di origine ebraica.

Ibrahim venne arrestato nella base Usa di Sigonella, in Sicilia, con i suoi compagni. Per la Bossi Fini Fatayer rischia l’espulsione in Tunisia, paese di provenienza diretta nel 1985. "Ho già presentato ricorso - dice l’avvocato Sancirò Clementi - alla Corte europea richiamandomi all’articolo 2 della convenzione per i diritti umani che riguarda il diritto alla vita". La Tunisia infatti non rappresenta un paese sicuro.

"Ho presentato nell’ultimo anno e mezzo - spiega Gementi - venti ricorsi contro espulsioni di terroristi veri o presunti. E tutti sono stati accolti dalla Corte europea che a gennaio ha anche condannato l’Italia a risarcire alcuni miei clienti". L’Italia si è presa una bella strigBata da Strasburgo per i suoi comportamenti assai poco rispettosi nei confronti di cittadini che sono stati espulsi dal nostro paese e sono letteralmente scomparsi.

Non solo, spesso, lamenta Gementi, le espulsioni avvenivano mentre il legale stava presentando il ricorso. La Corte europea ha ribadito a gennaio "il divieto assoluto di espulsione verso paesi che non garantiscano i diritti minimi - dice Clementi - ed è su questa base che ho presentato ricorso anche per Fatayer". Da Ponte Galeria Fatayer attende con ansia la risposta della Corte europea e denuncia i modi vergognosi in cui è stato trattato. "Sono andato a firmare in questura - racconta - e mi hanno detto che ero un clandestino e che mi avrebbero mandato in un Cpt e poi espulso".

Clandestino dopo vent’anni di galera e tre anni di obbligo di firma. Teoricamente Fatayer potrebbe rimanere nel centro di detenzione fino a sessanta giorni, ma l’avvocato Clementi spera che la Corte europea "blocchi in via cautelare l’espulsione", proprio per i precedenti assai poco rispettosi dell’Italia. Nel decreto di questore e prefetto di Perugia si motiva l’espulsione di Fatayer, altro assurdo legale, sostenendo che il giovane è "soggetto dedito al delitto".

Diritti: Amnesty; sono 27mila detenuti già condannati a morte

 

Dire, 15 aprile 2008

 

Nuovo rapporto di Amnesty International: nel 2007 1.252 condanne eseguite e 3.347 sentenze capitali emesse in 51 paesi. L’organizzazione chiede ai governi di "sollevare il velo sulla segretezza delle esecuzioni".

In un nuovo rapporto pubblicato oggi, Amnesty International ha reso noto che nel 2007 sono state eseguite più di 1.200 condanne a morte e si è detta profondamente preoccupata per il fatto che molte altre persone siano state messe a morte in segreto, in paesi come la Cina, la Mongolia e il Vietnam.

Secondo i dati raccolti dall’organizzazione per i diritti umani, nel 2007 sono state messe a morte almeno 1.252 persone in 24 paesi e sono state emesse almeno 3.347 sentenze capitali in 51 paesi. Si stima che nei bracci della morte del mondo si trovino circa 27.500 prigionieri in attesa di esecuzione.

Amnesty International ha registrato nel 2007 un incremento del numero delle esecuzioni in diversi paesi: 317 in Iran, 143 in Arabia Saudita e 135 in Pakistan, rispetto alle 177, 39 e 82 esecuzioni del 2006.

L’88% delle esecuzioni note è avvenuto in cinque paesi: Cina, Iran, Arabia Saudita, Pakistan e Usa. L’Arabia Saudita ha il più alto numero di condanne a morte eseguite pro-capite, vengono poi Iran e Libia. Le esecuzioni confermate in Cina sono state almeno 470: la cifra più alta in assoluto, anche se Amnesty International ritiene che il totale effettivo sia stato senza dubbio maggiore.

La Cina, il primo paese del mondo per numero di esecuzioni, considera la pena di morte un segreto di Stato. I visitatori di Pechino 2008 possono solo immaginare il numero delle persone uccise per mano dello Stato, conosciuto con esattezza soltanto dalle autorità cinesi.

"L’uso segreto della pena di morte deve cessare. Il velo che avvolge la pena di morte deve essere sollevato. Molti governi dichiarano che le esecuzioni hanno il sostegno dell’opinione pubblica che, proprio per questo, ha il diritto di conoscere ciò che viene fatto in suo nome", ha commentato Amnesty International.

Nel corso del 2007 molti paesi hanno continuato a eseguire condanne a morte per reati comunemente non considerati tali o a seguito di procedure inique. Ecco alcuni esempi: a luglio in Iran, Jàfar Kiani, padre di due figli, è stato lapidato per adulterio; a ottobre in Corea del Nord, il manager 75enne di un’azienda è stato fucilato per non aver dichiarato le proprie origini familiari, aver investito i suoi risparmi nell’azienda, averne messo a capo i figli e aver fatto telefonate all’estero; a novembre in Arabia Saudita, il cittadino egiziano Mustafa Ibrahim è stato decapitato per aver praticato la stregoneria; il 25 settembre in Texas, Usa, Michael Richard è stato messo a morte dopo che la segreteria di un tribunale aveva rifiutato di prorogare l’orario di apertura di 15 minuti, per consentire il deposito di un appello basato sulla costituzionalità del metodo dell’iniezione letale.

Gli avvocati di Richard avevano avvisato del ritardo a causa di un problema al computer. La Corte suprema federale ha rifiutato di sospendere l’esecuzione, nonostante qualche ora prima avesse deciso, accettando il ricorso di un condannato a morte del Kentucky, di riesaminare una questione analoga. Quella decisione ha poi causato una moratoria di fatto su tutte le esecuzioni che avrebbero dovuto aver luogo, negli Usa, con l’iniezione letale. Un pronunciamento della Corte suprema è atteso nel corso dell’anno.

In violazione del diritto internazionale, tre paesi (Arabia Saudita, Iran e Yemen) hanno eseguito condanne a morte nei confronti di imputati che avevano meno di 18 anni al momento del reato. Tuttavia, il 2007 è stato anche l’anno in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato (con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astensioni) una risoluzione per porre fine all’uso della pena di morte.

"L’Assemblea generale ha assunto la storica decisione di chiedere a tutti i paesi del mondo di cessare di mettere a morte i prigionieri. Il fatto che la risoluzione dello scorso dicembre sia stata adottata con una così chiara maggioranza, mostra che l’abolizione globale della pena di morte è possibile", ha affermato Amnesty International.

"Quando lo Stato prende la vita di una persona, siamo di fronte a una delle azioni più drastiche che possa compiere. Chiediamo a tutti i governi di dare seguito all’impegno assunto dalle Nazioni Unite e abolire la pena di morte una volta per tutte", ha concluso Amnesty International.

Gran Bretagna: parlamentare chiede legalizzare tutte droghe 

di Katia Moscano

 

Notiziario Aduc, 15 aprile 2008

 

Il parlamentare laburista e scienziato Des Turner ha chiesto che tutte le droghe siano legalizzate. La dichiarazione è giunta dopo un reportage di The Argus sul massiccio spaccio in alcune strade di Brighton e sulla morte dell’ennesima giovane per overdose di eroina. L’inchiesta che ne è seguita ha rivelato che l’eroina era così pura che iniettarsela era "come giocare alla roulette russa". Il reporter del giornale, Andy Whelan, è riuscito a comprare, in soli 26 minuti, eroina in una delle vie più frequentate della città per lo shopping.

Il dottor Turner ha dichiarato che è arrivato il momento di depenalizzare il consumo e regolare la vendita delle sostanze stupefacenti oggi proibite. Certo di causare molte polemiche, ha aggiunto: "L’attuale politica di proibizionismo evidentemente non funziona. Abbiamo bisogno di un diverso modo di pensare, come permettere alle persone che sfortunatamente sono tossicodipendenti di acquistare le sostanze nelle nostre farmacie, che sappiamo essere sicure". Dal 2002, l’International Centre for Drug Policy dell’università di Londra ha nominato le città di Brighton e Hove le capitali del Paese per quanto riguarda le morti per droga, primato che nel 2006 era andato a Blackpool.

Questo nuovo approccio potrebbe cancellare il commercio illecito miliardario, in cui gli spacciatori determinano la qualità delle sostanze. "Non penso ci sia una soluzione magica, ma la politica attuale non riduce la portata del problema. C’è bisogno di controlli per tenere le droghe lontane dalle strade. Dobbiamo concentrarci sugli spacciatori. Le persone mi accusano di andare leggero sulle droghe, ma non è vero. È un punto di vista che ho adottato perché altre politiche non funzionano", conclude.

Il capo della polizia di Brighton e Hove ha dichiarato: "Il controllo dell’uso delle droghe è importante perché riguarda molti aspetti della società. Il servizio giornalistico appena pubblicato ha mostrato quanto sia facile procurarsi l’eroina in città. La polizia cerca di incoraggiare un aperto e onesto dialogo sulle droghe, e il dibattito dovrebbe informare sui pericoli causati non solo ai tossicodipendenti, ma anche a coloro che direttamente o indirettamente ne sono vittime".

Lo scorso anno, il capo della polizia del Galles del nord chiese apertamente la legalizzazione delle droghe, e contemporaneamente il laburista David Lepper, parlamentare per Brighton, chiese che le sostanze fossero distribuite agli eroinomani per evitare che commettessero atti criminali per procurarsela. Una ricerca dell’Home Office rivela che ogni eroinomane commette 432 crimini l’anno e costa circa 45mila sterline (56mila euro) alla collettività.

Canada: il Governo; "stanza di consumo" è strumento efficace

 

Notiziario Aduc, 15 aprile 2008

 

"Insite", clinica per il consumo medicalmente controllato di eroina, previene almeno una morte per overdose l’anno, il crimine e impedisce l’aumento del consumo delle droghe, facendo risparmiare 4 dollari per ogni dollaro speso dalle finanze pubbliche. Insite gode anche del sostegno dell’opinione pubblica. Questi sono i dati della ricerca commissionata dal ministero della salute Tony Clement. Il gruppo di ricerca è stato creato alla fine del 2006, per studiarne l’efficacia e prevenirne la chiusura minacciata dal Governo tory.

Insite svolge la propria attività grazie all’esenzione federale sulla legge sui narcotici che scade, però, il prossimo 30 giugno. Il rapporto sulla clinica è stato relativamente positivo, e il senatore Larry Cambpell, ex sindaco di Vancouver, ha dichiarato che gli scienziati hanno detto quello che si sapeva già, ossia che Insite funziona.

Per il sindaco in carica, Sam Sullivan, la ricerca rivela che "la clinica non è il problema, ma parte della soluzione", riconoscendo tuttavia che non risolve il problema della tossicodipendenza, ma spera comunque che Ottawa estenda l’autorizzazione.

Il sindacato di polizia della città non è rimasto impressionato dalla ricerca, la quale ha dimostrato che la clinica è costosa, e l’aiuto che offre ai tossicodipendenti è minimo, così come è minimo il tasso di riduzione delle infezioni o delle morti per overdose.

Giordania: rivolta detenuti nel più grande carcere del paese

 

Associated Press, 15 aprile 2008

 

Prigionieri in rivolta nel più grande carcere della Giordania. I detenuti del penitenziario di Swaqa hanno dato vita a una durissima rivolta, all’indomani della morte di tre prigionieri di un altro istituto del regno.

Il portavoce della polizia locale, il maggiore Mohammed al Khatib, ha detto che numerosi prigionieri sono rimasti intossicati dal fumo scaturito da piccoli incendi appiccati all’interno della struttura carceraria. Altri detenuti hanno accusati lievi ferite. Il Penitenziario Swaqa è la più grande delle 10 prigioni della Giordania ed ospita migliaia di prigionieri. Il carcere si trova a circa 100 chilometri a sud di Amman.

 

 

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