Rassegna stampa 9 agosto

 

Giustizia: in Italia lo stato dei diritti è gravemente a rischio 

di Adriano Prosperi

 

La Repubblica, 9 agosto 2008

 

Qui si commenta una non notizia, un silenzio. Si dice: cane che morde uomo non fa notizia. È la massima fondamentale del mondo dell’informazione: quel che è abituale, ripetitivo, fissato nelle regole della natura e non vietato dalla legge non fa notizia.

Applichiamo la regola a un fatto dei nostri giorni. Un fatto a tutti gli effetti grave - una tentata strage - che però non ha fatto notizia. Ecco il fatto: nella tarda serata di lunedì 29 luglio anonimi attentatori a bordo di un "suv" hanno lanciato una bottiglia molotov contro roulotte in sosta nell’area industriale di un piccolo centro toscano. L’atto criminale è rimasto solo potenzialmente assassino perché la molotov non è scoppiata. Un caso fortunato, che non riduce la responsabilità di chi ha tentato di uccidere. Eppure la notizia, emersa per un attimo nella cronaca, è affondata immediatamente nel silenzio.

Chi scrive queste righe ha tentato di capire meglio i fatti e soprattutto i silenzi attraverso un contatto diretto con gli abitanti di un luogo che gli è per ragioni biografiche specialmente familiare. Ma si è dovuto arrendere davanti a gente distratta, disinformata, simpatizzante più o meno apertamente per gli attentatori. Molti affermavano di non sapere, pochi ammettevano che si era trattato di cosa spiacevole, ma minimizzando: una ragazzata, un gesto innocuo, che aveva fatto pochi danni (appena una carrozzeria ammaccata).

Il resto, il pericolo corso da una famiglia, lo spavento di bambini e adulti, la loro rapida decisione di fuggire dal luogo dell’aggressione, non sembrava suscitare nessuna partecipazione. Bilancio: solidarietà evidente con gli autori dell’attentato, ostilità verso chi ne era stato minacciato. Quasi un clima mafioso. Ma a differenza dei casi di mafia, in questo caso omertà e silenzio locali hanno avuto un riscontro nazionale. Il silenzio è rapidamente calato sul caso. E le indagini ufficiali, che di norma qualcuno deve pur svolgere, non avranno vita facile.

L’enigma ha una soluzione facilissima. Nel luogo dell’attentato era in sosta per la notte una carovana di automobili e roulotte di nomadi sinti. Solo per caso non ci sono stati dei morti: nelle roulotte c’erano dei bambini. E ancora una volta, come accadde anni fa al criminale che, non lontano da quel piccolo centro toscano, pose in mano a una piccola mendicante zingara una bambola carica di esplosivo, i potenziali assassini sono stati coperti dalla solidarietà collettiva.

Chi conosce la banalità del male, la quotidiana serpeggiante avanzata della barbarie che precede e sostiene le modificazioni profonde dei rapporti sociali tenga d’occhio l’episodio. O meglio: annoti il silenzio che ha inghiottito quella che solo per caso è stata una mancata tragedia. Ne è stata teatro una regione - la Toscana - che è d’obbligo definire "civile". Non si sa bene perché. "Civile" appartiene all’esercizio dei diritti e dei doveri di cittadinanza. Da quando la specie umana ha riconosciuto in documenti solenni che non deve esistere nessuna differenza di dignità e di diritti tra i suoi membri, la civiltà si definisce dall’assenza di razzismi e dalla lotta contro le discriminazioni di ogni genere.

E la cultura che si studia e si insegna ha la sua misura fondamentale nell’educare ai valori della cittadinanza attiva. Certo, la Toscana ha un patrimonio grande di cultura. La sua economia ne vive: cultura di terre incise dal lavoro come da un sapiente bulino, disegnate nelle opere di una grandissima tradizione pittorica. Bellezze naturali e bellezze d’arte vi sono inestricabilmente legate. Anche patiscono insieme le minacce del mercato.

Per esporre meglio la merce si affaccia periodicamente nelle opinioni locali la proposta di eliminare dalla vista dei clienti le presenze sgradevoli: i "vu cumprà", i mendicanti, gli storpi e naturalmente gli zingari. "Corruptio optimi pessima", diceva fa massima antica: la caduta è tanto più pericolosa quanto più dall’alto si precipita. Gli abitanti della regione che vanta tra i suoi titoli di nobiltà la prima abolizione legale della pena di morte oggi ospitano e nascondono un virus antico e pericoloso. Non sono i soli. E non basterà il voto di condotta restaurato nelle scuole a educare i futuri cittadini se chi getta una bottiglia molotov contro gli zingari viene impunemente vissuto dalla collettività come "uno di noi": noi in lotta contro loro - i diversi, i senza diritti.

Un’ultima osservazione: l’ostilità nei confronti dei nomadi, degli zingari, è antica e diffusa, in Toscana come in tutta Italia. Ma nessuno aveva mai pensato di ricorrere alle molotov contro di loro. È un salto di qualità senza precedenti, il gradino più alto toccato da aggressioni e tentativi di linciaggio che non fanno nemmeno più notizia.

E una cosa è evidente: non ci saremmo mai arrivati senza la campagna di diffamazione e di criminalizzazione condotta da partiti politici di governo e senza la recente legittimazione giuridica della discriminazione nei confronti delle presenze "aliene" - zingari, immigrati clandestini, esclusi dalla comunità ("extracomunitari").

Il cattivo esempio viene da chi ha la responsabilità di governare gli umori collettivi e non sa rinunziare a eccitarli. Se quella molotov fosse esplosa, oggi saremmo qui a contare le prime vittime di una campagna irresponsabile alimentata dall’alto. Chi favoleggia di proteste in difesa dei diritti di libertà in Cina cominci a prendere sul serio quel che si dice nel mondo sulla situazione dei diritti umani in Italia.

Giustizia: il "nuovo corso" s’è affermato… reprimi et impera!

 

L’Unità, 9 agosto 2008

 

Le forze del centro-destra italiano - è bene d’ora in avanti specificare con puntiglio la nazionalità del rassamblement conservatore per non cadere in spiacevoli equivoci e in giudizi ingiusti - si stanno specializzando in repressione, discriminazione, militarizzazione dei paesaggi urbani e disprezzo, quando non disgusto, verso le marginalità e le diversità.

Ma la loro ringhiosa ostilità si rivolge anche in direzione di vaste fasce sociali come gli operai, sempre sospettabili di essere "rossi" per collocazione di classe - anche se oggi l’equazione è improponibile - e i lavoratori dipendenti, soprattutto se precari, colpevoli di essere sfigati ovviamente per colpa loro.

Questa sottocultura politica dipinge il nostro paese come un paese popolato da cittadini massa cosiddetti "normali", privi di ulteriori connotazioni, esenti da difetti e contraddizioni, assediati da infidi nemici, ovvero vecchi pensionati e poveracci nazionali e di importazione che si danno alla pratica criminale di assaltare cassonetti alla ricerca di qualche avanzo di cibo o di qualche deiezione sufficientemente integra della diarrea consumista ancora utilizzabile se non si hanno pretese.

Orbene, questi pericolosi criminali privano il cittadino "normale" del suo sacrosanto diritto di avere la certezza che i suoi avanzi non andranno proditoriamente a nutrire qualche schifoso pensionato o peggio qualche sporco extracomunitario affamato e che i suoi telefonini della generazione giurassica non saranno riciclati da infami nullatenenti.

Nel mirino ci sono anche giovani turisti o autoctoni che osino sedersi a mangiare un panino in una bella piazza, che facciano un po’ di musica o peggio ancora che sostino sediziosamente di notte in un parco in più di due. Guai poi a chi osa mettere in discussione il tabù della sicurezza a senso unico come ha fatto il Censis che segnala come i morti uccisi da incidenti dal lavoro siano il doppio di quelli assassinati dalla criminalità.

Ecco che si leva l’anatema del grande moralizzatore, l’onorevole leghista Castelli, uomo dalla travolgente simpatia e dalla struggente umanità, a denunciare operai e muratori che truffano lo Stato facendo rientrare nelle morti per lavoro anche gli incidenti stradali che avvengono mentre si recano al lavoro, solo al fine di ottenere risarcimenti assicurativi.

Per evitare una così iniqua turpitudine i lavoratori potrebbero smaterializzarsi a casa e rimaterializzarsi sul posto di lavoro così da fare diventare statisticamente corretta la loro morte per sfracellamento da ponteggio. Questo è il tristo paese che stiamo diventando grazie a questa classe dirigente intollerante, populista e demagogica che ha dimenticato il più elementare ed istintivo principio universale e cristiano: la solidarietà.

Questi epigoni del prosindaco trevigiano Gentilini ignorano che solo una società solidale è autenticamente sicura. Ma una destra intrisa di nostalgie fasciste come può non coltivare nel proprio seno la nostalgia per lo stato di polizia, per il manganello e le liste di proscrizione contro i "sovversivi" vocazionali di ogni specie. L’opposizione, con poche eccezioni, è sempre più avvitata in un angusto orizzonte autoreferenziale, litiga o si perde in ridicoli distinguo e, come è tradizione in Italia, è divisa fra eccesso di moderazione da infausto buon senso e massimalismo velleitario, mentre i cittadini più deboli riescono a malapena a sopravvivere, i giovani perdono la speranza nel futuro e l’intera società precipita nel gorgo della recessione. Nel prevedibile caso che qualche lettore dovesse ritenere troppo cupa la mia visione ho l’obbligo di comunicargli che io sono un inguaribile ottimista.

Giustizia: tra i sindaci-sceriffo gara delle "ordinanze creative"

 

La Repubblica, 9 agosto 2008

 

È partita la gara delle ordinanze creative. Chi vincerà la coppa del Comune più fantasioso? Voghera, che vieta di sedersi sulle panchine di notte o Cernobbio che impone ispezione igenico-sanitaria nelle case dei novelli sposi? Verona che chiude la moschea o Torino che vieta le piscine pubbliche ai bulli? A dare il via alla competizione è il decreto Maroni sui sindaci sceriffo. Il rischio? Il conflitto istituzionale tra primo cittadino e questore.

La preoccupazione tra i dirigenti della Polizia è forte: il problema è l’interpretazione del nuovo ruolo di "ufficiale di governo". "Alcuni sindaci pensano invece di essere diventati autorità di Ps a tutto campo - sostiene Claudio Giardullo del Silp-Cgil - e questo li può portare a violare le norme che stabiliscono le competenze del Viminale, a livello centrale e dei prefetti e questori, a livello locale". Preoccupazione che non sembra però turbare i primi cittadini: l’elenco delle ordinanze creative ieri si è infatti arricchito di nuovi contributi.

A Voghera, il vicesindaco Graziano Percivalle (Udc) ha deciso di vietare l’utilizzo delle panchine pubbliche, a partire dalle 23, a gruppi composti da più di tre persone. A far discutere è anche l’ordinanza del sindaco di Cernobbio: tutti coloro che vogliono diventare residenti del Comune e tutti i nuovi sposi dovranno accettare un’ispezione igenico-sanitaria della loro casa.

A Genova da ieri nei carrugi del centro storico non si potrà più passeggiare con una bottiglia o una lattina di bevande alcoliche in mano, pena una multa che va dai 25 ai 500 euro. Intanto a Verona è scattata la sanzione di 500 euro per chi imbratta muri e monumenti e il divieto all’utilizzo di un capannone come moschea. A Torino, il sindaco si prepara a firmare un’ordinanza che vieta l’accesso nelle piscine comunali a chi, in passato, si sia reso protagonista di gesti di vandalismo o abbia disturbato gli altri bagnanti. A Silvi (Teramo) il primo cittadino ha predisposto un’ordinanza per multare fino a 500 euro sia le lucciole, che i loro clienti. Mentre Pescara ha vietato la prostituzione su tutto il territorio comunale. Riccardo De Corato, vice sindaco di Milano, annuncia invece "ordinanze per contrastare più efficacemente sia lo spaccio che il consumo di droga".

Prostituzione, spaccio e ritiro delle licenze commerciali di locali che rappresentano problemi di ordine pubblico, sono i tre campi su cui sta lavorando uno staff del comune di Parma per mettere a punto dopo l’estate altrettanti provvedimenti. Tra le prime ordinanze creative annunciate, ha avuto invece una battuta d’arresto, dopo le riserve espresse dalla comunità di Sant’Egidio, quella anti-rovistaggio nei cassonetti voluta dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che sembrava in dirittura d’arrivo. L’Anci intanto ha avviato una banca dati delle ordinanze emesse dai Comuni in tema di sicurezza urbana e di incolumità pubblica. L’obiettivo? Realizzare un monitoraggio da condividere con il ministero dell’Interno.

Giustizia: Sappe; caro ministro, a ferragosto venga in carcere

 

Ansa, 9 agosto 2008

 

"Un giorno in carcere per portare solidarietà agli agenti di polizia penitenziaria, che svolgono un lavoro duro e poco conosciuto dall’opinione pubblica". Donato Capece, segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), chiede al ministro della Giustizia Angelino Alfano e al capo della polizia penitenziaria Franco Ionta di passare "un Ferragosto alternativo", visitando alcune carceri italiane.

Ogni anno, il 15 agosto, le più alte cariche dello Stato fanno visita a strutture della polizia, dei carabinieri e della guardia di finanza. "Nel giorno tradizionalmente dedicato alle ferie estive" dice Capece, "vorremmo che il ministro e i vertici dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile dimostrassero la loro vicinanza alle migliaia di agenti che lavorano nei penitenziari. Anche una metaforica pacca sulla spalla da parte delle istituzioni può essere utile". Il segretario del Sappe sottolinea la difficoltà del lavoro degli agenti, "soprattutto in un periodo che si caratterizza per un elevato sovraffollamento: il numero dei detenuti (oggi circa 55 mila) è in costante crescita".

Lombardia: un appello contro il sovraffollamento delle carceri

 

Dire, 9 agosto 2008

 

Inviato dall’assessore provinciale di Milano Francesca Corso al ministro della Giustizia: "Bisogna prendere atto che c’è un’emergenza e attuare provvedimenti immediati per umanizzare le pene".

Un appello al ministro della Giustizia per denunciare il sovraffollamento nelle carceri italiane e in particolare nel carcere milanese di San Vittore. Lo ha inviato stamane l’assessore provinciale Francesca Corso, con delega all’Integrazione sociale delle persone in carcere o ristrette nelle libertà. "Il drammatico sovraffollamento di San Vittore -dice Francesca Corso- è la diretta conseguenza degli effetti devastanti dei provvedimenti del Governo in materia di Giustizia. L’inasprimento delle pene causato dalla trasformazione di violazioni amministrative in reati penali e l’introduzione di nuovi reati colpiscono le fasce più povere e fanno aumentare in modo insostenibile il numero dei detenuti". Da qui l’invito al ministro di Giustizia "affinché assuma provvedimenti immediati per la umanizzazione delle pene" attraverso un decreto d’urgenza e al Parlamento a "intervenire subito prendendo atto che c’è un’emergenza".

L’assessore provinciale esprime anche la propria solidarietà al provveditore lombardo, Luigi Pagano, "costretto a gestire la drammatica emergenza attuale senza fondi né risorse". A Redattore sociale, il 5 agosto, il Garante dei detenuti della Provincia di Milano, Giorgio Bertazzini, aveva descritto come particolarmente drammatica la situazione nelle case circondariali di San Vittore e Monza: 1400 i detenuti del carcere milanese al posto degli 800 regolamentari, 800 i reclusi a Monza in uno spazio previsto per 400, con un centinaio persone costrette a dormire con il materasso sul pavimento. In tutta la provincia di Milano i reclusi sarebbero circa 4mila, la metà del totale regionale, mentre le strutture del territorio possono ospitare non più di 2500 persone.

Veneto: dalla Regione 475 mila euro per i progetti in carcere

 

Comunicato stampa, 9 agosto 2008

 

La Giunta regionale del Veneto, su proposta dell’Assessore regionale alle politiche sociali Stefano Valdegamberi, ha approvato una delibera che assegna 475 mila euro di contributi a favore di 29 progetti che riguardano gli istituti penitenziari del Veneto e che hanno finalità educative, culturali, ricreative e sportive, 21 di essi a favore dei detenuti negli Istituti di Pena del Veneto e 8 delle persone in area penale esterna (cioè affidate in prova ai servizi sociali, o in semilibertà, o detenzione domiciliare). Le iniziative sono proposte e curate da associazioni di volontariato e del privato sociale, in stretta collaborazione con le direzioni degli istituti.

"I progetti finanziati - spiega l’Assessore regionale - sono quelli che maggiormente traducono in azioni operative i nuovi obiettivi regionali previsti anche dal recente protocollo rinnovato tra Regione e Ministero: acquisizione di competenze lavorative, esercizio dei doveri/diritti di cittadinanza, supporto del rientro in patria dei detenuti stranieri privi di permesso di soggiorno, costruzione di percorsi di accompagnamento per il reinserimento sociale".

Inoltre Valdegamberi sottolinea che "il provvedimento regionale pone particolare attenzione al tema della tutela dei minori, in questo caso i minori che vivono con le madri detenute e si esprime attraverso il finanziamento di una progettazione specifica a supporto di questa delicata condizione nel carcere femminile della Giudecca a Venezia, e di progetti educativi personalizzati a favore di adolescenti sottoposti a misure penali.

Da un punto di vista generale - aggiunge - il sostegno delle iniziative educative destinate ai detenuti continua l’impegno costante della Regione Veneto in questo settore che ha come obiettivo il recupero della persona detenuta e il suo inserimento sociale e lavorativo non solo lo sconto della pena.

In questi ultimi sette anni - conclude Valdegamberi - la Giunta Regionale, ha stanziato 3 milioni di euro, la maggior parte dei quali con fondi propri, coinvolgendo la totalità degli istituti penitenziari del Veneto e svolgendo 215 progetti che hanno riguardato complessivamente 40.400 detenuti".

Il quadro provinciale degli interventi finanziati dalla Regione è il seguente:

AltraCittà Cooperativa Sociale presso C.R. PD € 15.528

Associazione Consortile Civitas presso C.C. VI € 16.132

Associazione Iride Onlus presso U.S.S.M.: € 21.968.

Associazione La Gabbianella e altri animali presso C.R. VE € 14.955

Associazione La Libellula presso C.C. VR € 22.857

Associazione Padova Sport e Tempo libero presso C.C. PD € 18.153

Associazione Piccola Comunità Onlus presso C.C. TV € 16.421

Caritas Diocesana di Venezia presso U.E.P.E. VE € 15.114

CO.GE.S. Cooperativa Sociale presso C.C. VE € 16.494

Comunica - Cooperativa Sociale presso C.C. TV € 6.702

Consorzio Rebus presso C.R. PD € 22.721

Cooperativa Sociale Orizzonti presso C.C. PD € 11.541

Cosep - Cooperativa Sociale presso C.R. PD: € 9.061

Fondazione Materdomini CTB presso U.E.P.E. VE € 13.866

Granello di Senape Padova Onlus presso C.R. PD: € 22.863

Il Granello di Senape presso U.E.P.E. VE € 21.813

Istituto Salesiano Don Bosco presso C.C. VR € 6.288

La Fattoria in città Onlus PD presso U.E.P.E. PD € 7.193

Lavoro Associato Cooperativa Sociale presso C.C. BL € 12.757

Nuovi Spazi Cooperativa Sociale presso C.C. PD € 21.875 euro

Nuovo Villaggio Cooperativa Sociale presso U.S.S.M. € 9.534

Opera Nomadi di Padova - Onlus presso C.R. PD € 16.666

Polesine Innovazione presso C.C. RO € 22.826

Prisma Soc. Coop. Sociale presso U.E.P.E. VR € 21.485

Progetto Carcere 663 presso C.C. VR € 22.379

Progetto Zattera Blu Cooperativa Sociale presso U.S.S.M. € 14.024

Rio Terà dei Pensieri - Cooperativa Sociale presso C.R. VE € 19.205

Tam Teatromusica presso C.R. PD: € 11.717

UISP Comitato Provinciale di Treviso presso I.P.M.: € 22.848

Cagliari: Caligaris (Ps), bambina di 18 mesi a Buoncammino

 

Agi, 9 agosto 2008

 

"Ancora una volta, una creatura di appena 18 mesi, è rinchiuso nel carcere di Buoncammino e subisce innocente la detenzione. La madre, una giovane nigeriana di 27 anni proveniente da Napoli, è stata arrestata 48 ore fa nell’ambito di un’indagine su un traffico di stupefacenti e la bimba, indivisibile dalla mamma, rischia di rimanere per diverso tempo in cella in attesa degli accertamenti giudiziari che la riguardano".

Lo ha reso noto il consigliere regionale socialista Maria Grazia Caligaris (PS), componente della Commissione "Diritti Civili", ricordando che la legge Finanziaria 2008 ha previsto appositi fondi per la ristrutturazione ed il completamento di strutture destinate ad accogliere, tra altri soggetti deboli, anche le donne in stato di detenzione con bambini.

"La Regione sarda in questa materia è in grave ritardo mentre il ministero della Giustizia ed il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non hanno previsto in Sardegna un istituto di pena femminile. Soltanto dopo molte insistenze - ha sottolineato Caligaris - una cella del carcere di Buoncammino è stata trasformata in nido dove la direzione e le agenti della polizia penitenziaria con sensibilità cercano di alleviare le condizioni di vita dei piccoli detenuti. Ma non basta. Occorre evitare che i bambini riportino traumi psichici per essere costretti a vivere, loro malgrado, in un ambiente certamente inadeguato ai primi mesi e anni di vita. In attesa delle strutture idonee - ha concluso Caligaris - auspico che il periodo di detenzione della donna sia ridotto al minimo indispensabile e si provveda ad adottare misure alternative al carcere".

La presenza a Buoncammino della piccola nigeriana è emersa nel corso di una delle periodiche visite che l’esponente socialista effettua nell’istituto di pena cagliaritano. Durante la visita si è intrattenuta con il direttore Gianfranco Pala e ha incontrato alcuni detenuti.

Genova: Marassi; 3 risse e 1 autolesionismo in un solo giorno

 

Secolo XIX, 9 agosto 2008

 

Sempre più difficile la situazione nel carcere genovese di Marassi. Nei giorni scorsi sono avvenuti un suicidio e un’evasione, questa mattina gli agenti hanno dovuto far fronte a tre risse in altrettanti reparti e a un caso di autolesionismo. La rissa maggiore ha coinvolto una dozzina di detenuti albanesi-russi ed è avvenuta per motivi ancora sconosciuti. Le indagini della polizia penitenziaria sono ancora in atto.

Le altre risse, avvenute sempre tra detenuti stranieri, hanno coinvolto un minor numero di detenuti, ma sono state intense. L’atto di autolesionismo è stato compiuto da uno straniero, che si è inferto tagli in tutto il corpo con una lametta da barba, sottratta ai controlli.

La protesta del Sappe. "L’estate 2008 si fa sempre più incandescente nell’istituto di Marassi - dichiara Michele Lorenzo - segretario regionale del primo e più rappresentativo sindacato della Polizia Penitenziaria - è aberrante di come l’amministrazione rimane impassibile dinanzi a questi episodi - in pochi giorni si è passati dal suicidio di un detenuto, ad una evasione, a due aggressioni alla Polizia Penitenziaria ed oggi ad un a vera e propria guerriglia - Ma cosa aspetta il Dipartimento che ci scappa il morto ? oggi forse ci siamo andati vicino. Tre risse in tre reparti diversi e quasi contemporaneamente. Il personale di servizio costituito da pochissime unità ovvero uno per piano, per fronteggiare le risse ha dovuto abbandonare altri posti di servizio. Grande professionalità e tempismo della Polizia Penitenziaria ha evitato il peggio. Ma poteva accadere l’imprevedibile da quella contemporaneità di situazioni.

Oggi afferma Lorenzo - "si è temuto per il peggio, poteva capitare di tutto in quel frangente - Questi episodi accadono quando il detenuto avverte che si abbassa il livello di sicurezza, cioè quando il personale di Polizia scarseggia. Marassi, ormai lo denunciamo da sempre, non ha più i numeri per fronteggiare l’enorme capienza di detenuti. Sono ben 150 gli agenti che mancano da Marassi, e la popolazione detenuta ha superato le 630 unità.

Il vertici della nostra Amministrazione, che sono ben a conoscenza di tutto questo, ancora non decidono valide soluzioni". "Il personale di Marassi sa fare bene il suo lavoro,- ma fino a quando? Se accade l’imprevisto non deve ricadere nessuna responsabilità alla Polizia Penitenziaria conclude Lorenzo - è un’emergenza, bisogna ammetterlo. Per questo chiediamo l’intervento del nostro reparto speciale, il Gom che è costituito anche per fronteggiare eventi critici o gestire reparti ad alto indice di sicurezza (416 bis)".

Milano: Parco delle Groane sarà gestito da detenuti di Bollate

 

Agi, 9 agosto 2008

 

Si occuperanno di sfalcio dell’erba, potature, rimozione di arbusti e piante malate e manutenzione delle piste ciclabili. La manutenzione del Parco delle Groane sarà affidata ai detenuti del carcere di Bollate, grazie ad un accordo tra il consorzio di gestione dell’oasi verde - che si estende da Baranzate a Lentate sul Seveso - il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria e la cooperativa sociale Il Ponte di Albiate.

Il progetto prevede l’avvio in forma sperimentale l’inserimento lavorativo di detenuti per la manutenzione del bosco, a partire dalla settimana prossima fino alla fine dell’anno.

Da lunedì prossimo, dunque, i primi cinque carcerati ammessi al progetto (raddoppieranno entro due settimane) potranno uscire dal carcere al mattino, prendere un treno delle Ferrovie Nord e raggiungere Garbagnate, dove gli operatori della cooperativa Il Ponte li attenderanno per portarli con un furgoncino direttamente nelle aree di lavoro.

I detenuti si occuperanno dello sfalcio d’erba, delle potature, rimozione di arbusti e piante malate o pericolose, e manutenzione delle piste ciclabili, per poi rientrare nel penitenziario la sera. Durante le ore di lavoro i detenuti saranno sorvegliati da personale della polizia penitenziaria.

Torino: disperazione di un ex detenuto "nessuno crede in me"

 

La Stampa, 9 agosto 2008

 

Stanco di una vita di espedienti, rapine, e il ricordo dei giorni spesi tra alcool e droga, Bruno Vallora aspetta un’occasione che ancora non si è presentata. Da quando è uscito dal carcere passa le sue giornate seduto su una panchina di via Sacchi, nei pressi della stazione di Porta Nuova: "Non so ancora per quanto resisterò, non so a chi rivolgermi, dove andare: pur di non tornare a delinquere ero pronto ad uccidermi ma non ce l’ho fatta".

Pochi giorni fa la tentazione di farla finita: "Volevo buttarmi nel fiume, ho preso la rincorsa da un ponte ma ho sentito come una mano che mi tirava indietro. La vita non può finire a 53 anni. Sono malato di Aids e sto tentando in tutti i modi di non tornare a bere o a drogarmi. Mia moglie è malata e non so davvero come possa aiutare anche lei".

Inutile rivolgersi a servizi sociali, comunità di recupero o cercare la via per ottenere un sussidio: "Ho provato in tutti i modi, ho bussato ad ogni porta: ho saldato il mio debito con la giustizia e voglio tornare ad essere una persona normale. E pensare che basterebbe un lavoro, accetterei qualsiasi lavoro, ma chi la vuole una persona come me?". È questa la vera condanna per Vallora: "Vivo su una panchina, alla stazione: non ho un posto dove andare e devo curarmi, il mio terrore è ora quello di tornare a delinquere. Una scelta alla quale non voglio essere costretto ma che, ora come ora, sembra l’unica soluzione per sopravvivere".

Venezia: seconda vita per Katharina Miroslawa, sarà teologa

 

Ansa, 9 agosto 2008

 

Ora il sogno di Katharina Miroslawa è quello di laurearsi in teologia. L’ex ballerina polacca, detenuta nel carcere femminile dell’isola della Giudecca, dove sta scontando una condanna a 21 anni per l’omicidio del suo amante, l’industriale parmense Carlo Mazza, ucciso nel 1986 dopo che le aveva intestato un’assicurazione sulla vita da un miliardo di lire, ha confidato il suo desiderio di iscriversi allo Studium Generale Marcianum, il polo accademico fondato nel 2004 dall’attuale Patriarca di Venezia, il Cardinale Angelo Scola, per studiare teologia.

Ma la non intende diventare suora né votarsi alla castità la bella Katharina, prosegue il quotidiano, anzi nei suoi sogni, insieme agli studi teologici, c’è un nuovo matrimonio, con l’uomo che le sta accanto, discretamente, da tempo, e che la aiutò durante gli anni della latitanza: il commerciante d’auto Leonardo Salvioli, 57 anni, anche lui di Parma, da cui avrebbe avuto una figlia segreta che attualmente vivrebbe in Polonia. A chi le sta vicino Katharina racconta che il suo non è un capriccio né un rifugio, ma "un percorso complesso, profondo, ponderato", venuto "dopo una lunga riflessione interiore", e dopo "aver passato molto tempo a leggere in fondo alla mia anima".

In carcere, riferisce il quotidiano, dov’è rinchiusa dal 2000, dopo 8 anni di latitanza e l’arresto a Vienna, la considerano una detenuta esemplare. Discreta, gentile, sempre disponibile, la prima ad arrivare, velo in testa, a tutte le funzioni religiose. La prima in fila per la comunione. Si è anche messa a studiare, tanto che il mese scorso si è diplomata "tecnico dell’abbigliamento e della moda" con la media dell’otto all’istituto Ruzza di Padova. Ma il "bene prezioso" della fede l’ha trovato, ed è stato "un grande regalo", nelle lunghe giornate trascorse a meditare dietro le sbarre.

Immigrazione: Cpa di Foggia, più di mille persone "ospitate"

 

Dire, 9 agosto 2008

 

1.020 persone ospitate in 91 tende e 41 container disposti sulla pista del vecchio aeroporto militare di Ortanova, a Foggia. Donne e famiglie nei locali del Cie mai aperto. Cri l’ente gestore. Carente l’assistenza legale.

Le ultime cinquanta tende le hanno montate la settimana scorsa. Adesso la tendopoli occupa un paio dei sette chilometri della pista d’atterraggio del vecchio aeroporto militare di Ortanova. Le tende, di sei metri per sei, sono 91. E ospitano metà dei richiedenti asilo presenti al Centro di prima accoglienza di Borgo Mezzanone, a Foggia.

Ma al momento della nostra visita, alle undici di questa mattina, le tende erano semivuote. Nonostante il telo ombreggiante infatti, il sole di agosto rende impossibile rimanere sotto le tende quando il sole è alto. Come gli altri centri di prima accoglienza, da Borgo Mezzanone si può uscire dalle 8.00 alle 22.00 e così ogni ora, un centinaio di uomini e donne si pigiano uno contro l’altro sull’autobus di linea che collega il centro alla stazione di Foggia.

In data 8 agosto gli ospiti del centro sono 1.020, di cui 546 nelle tende. In ogni tenda ci sono da sei a otto letti. Materassini in gommapiuma e lenzuola monouso che - dicono gli ospiti - vengono cambiate ogni 15 giorni anziché ogni settimana, come previsto dalla convenzione tra la Prefettura e l’ente gestore: la Croce rossa italiana.

Nonostante ripetute richieste, la direttrice del centro, Giuliana Valleri, si rifiuta di fornire dati sulle nazionalità e sul numero di donne e nuclei familiari. E ci impedisce di visitare le tende e i container per più di cinque minuti, adducendo problemi di sicurezza. Ma il tempo è sufficiente per verificare che in ogni container dormono da otto a dodici persone. Su letti a castello, ma anche su materassi buttati per terra.

Alcune persone lamentano che nei loro container l’aria condizionata è rotta e che nonostante le segnalazioni nessuno l’ha ancora aggiustata. Musa, ivoriano, è a Borgo Mezzanone da oltre sei mesi. Il suo è un caso Dublino. È arrivato in Europa in aereo, con un visto turistico per il Belgio. E dopo aver chiesto asilo a Bruxelles, è venuto a chiederlo in Italia. Dice di non sapere che fine abbia fatto la sua domanda. Nessuno gli ha mai parlato dell’unità Dublino. Musa non è il solo a lamentare una totale disinformazione.

Mamadou, nigerino, è arrivato al centro domenica scorsa. In cinque giorni ancora nessuno - dice - gli ha spiegato quali sono i suoi diritti e doveri, qual è il suo status, come chiedere l’asilo. Gli hanno soltanto fatto la visita medica e dato un cartellino identificativo. Non ha ricevuto nessuna nota informativa tradotta in francese, inglese o arabo. "Chiediamo a chi sta qui da più tempo - dice - cerchiamo di arrangiarci". Hussein invece è al centro da 40 giorni. È sbarcato a Lampedusa alla fine di giugno. Dice che il problema sono i ricorsi, che non c’è assistenza legale e che gli avvocati esterni chiedono 300 o 400 euro per presentare i ricorsi.

Effettivamente la Croce rossa italiana non prevede un servizio di assistenza legale, come altri enti gestori fanno. C’è solo la Caritas che due volte a settimana provvede un servizio di orientamento legale, mettendo in contatto gli ospiti con alcuni avvocati esterni di riferimento. Ma è evidente la scarsità delle risorse in un centro da dove, nel solo 2007, sono transitate oltre 3.000 persone.

Hussein mi espone il problema dei dinieghi nella sala d’attesa dell’infermeria. Insieme a lui sono seduti una ventina tra uomini e donne. Aspettano il proprio turno per la visita. L’ambulatorio è aperto 24 ore al giorno. Eppure, in 40 giorni, Hussein non ha ancora risolto il suo problema. Ha forti dolori all’addome. L’hanno portato all’ospedale per una visita ma non gli hanno trovato niente. E le sue continue richieste per una seconda visita non stanno dando esito positivo.

Immigrazione: viaggio tra i braccianti in campagne di Foggia

 

Dire, 9 agosto 2008

 

La raccolta del pomodoro attira migliaia di lavoratori stranieri nella piana del Tavoliere. Vivono nelle masserie occupate, senza corrente, acqua e servizi. Non hanno documenti, ma c’è chi è in Italia da 17 anni.

A Verona lavorava come addetta alle pulizie, in una libreria. Poi l’incidente in auto, il femore rotto, la lunga degenza. E l’inizio di quella lenta discesa che dal ricco nord l’ha portata nelle campagne foggiane, in mezzo ai nuovi schiavi che alle prime luci dell’alba ogni mattino vanno a cercare lavoro nei campi per 20-25 euro al giorno.

Nella masseria occupata dove vivono una trentina di nigeriani, in mezzo a una distesa piatta di piantagioni di pomodori e campi appena arati, la chiamano mommy, mamma. Avrà una cinquantina d’anni. Nel femore ha ancora i ferri dell’operazione. Vive in Italia da diciassette anni. L’incidente le ha fatto perdere il lavoro. E senza lavoro non ha potuto rinnovare il permesso di soggiorno. Adesso, con un decreto di espulsione alle spalle, è tagliata fuori dai giochi.

Foggia dista meno di 20 chilometri, ma è un altro mondo quello dove vivono i braccianti senza documenti. Un mondo di sfruttamento sul luogo di lavoro, di miseria nella vita quotidiana, e di segregazione nella vita sociale. Nella masserie occupate spesso non c’è elettricità, né ci sono bagni. La Regione ha finalmente montato le cisterne per l’acqua potabile, ma spesso si debbono percorrere chilometri a piedi con le taniche sulle spalle per raggiungerle. C. mi accompagna al piano di sopra della masseria dei nigeriani.

È togolese ma vive con loro. In una stanza di pochi metri quadrati conto cinque materassi a una piazza e un matrimoniale. Alcuni buttati per terra, altri sulle reti. Alcuni dormono fuori. In una stanza al pian terreno, una vecchia cucina a gas serve a preparare il riso ogni sera. C. ha trent’anni. In Italia è arrivato otto anni fa, nel 2000. Sbarcò a Lampedusa e chiese asilo politico. L’asilo non gli è mai stato riconosciuto. C’è un ricorso pendente presso la Commissione stralcio a Roma, ma otto anni non sono stati sufficienti a chiarire il suo caso.

Fino al 2004 ha lavorato a Varese in un’azienda di montaggio di piscine prefabbricate. Aveva registrato il contratto con il permesso di soggiorno di un amico che gli somigliava. Poi i primi controlli, e l’ordine di espulsione. A Foggia vive dal 2005. Ma dall’Italia se ne vuole andare. "Com’è possibile vivere in queste condizioni e lavorare dieci ore al giorno nei campi per 25 euro! In Italia ci sono ancora gli schiavi!". In Togo gli è rimasta soltanto la madre. Il padre è stato ucciso, durante la dittatura del vecchio presidente Eyadema, prima che partisse.

T. invece al ghetto ci è arrivato una settimana fa. Il 28 luglio. È uno dei 100 nigeriani che sbarcarono a Lampedusa alla fine di maggio e vennero trasferiti direttamente nel centro di identificazione e espulsione di Bari Palese, senza la possibilità di chiedere asilo politico. Dal Cie è uscito il 28 luglio. Qui ce l’ha portato il passaparola. Ma del bracciante non ha niente.

Sulle palme delle sue mani non ci sono calli e gli occhiali da vista gli danno un’aria troppo seria. T. dice che in Nigeria lavorava come cameraman alla televisione Nta a Benin City. In Italia invece dovrà imparare a raccogliere pomodori. Non ha altra scelta. Gli servono soldi per proseguire il viaggio verso nord, dove magari troverà qualche lavoro in nero.

E dal nord invece c’è chi scende ogni estate per raccogliere i pomodori. Sono soprattutto senegalesi, che per un mese l’anno, approfittando della chiusura delle fabbriche, vengono ad arrotondare lo stipendio. Ma sono davvero pochi. La maggior parte di chi vive, lavora e si ammala nelle campagne foggiane, non ha un permesso di soggiorno. Ci sono potenziali rifugiati politici, persone bisognose di cura, uomini di cultura. Non hanno altra opzione.

E intanto il governo, come ogni anno, annuncia che sta lavorando a un decreto flussi per l’ingresso di lavoratori stranieri. Quest’anno saranno 170.000 i visti rilasciati dalle nostre ambasciate. Poco importa se almeno il doppio già vivono e lavorano in Italia, schiavizzati nelle campagne foggiane piuttosto che nei cantieri edili romani. Probabilmente è più importante mantenere basso il prezzo del pomodoro.

Immigrazione: Msf distribuisce un kit sanitario ai braccianti

 

Dire, 9 agosto 2008

 

Spazzolino, dentifricio e sapone, una bacinella e una tanica di plastica. Servirà a fare prevenzione. Una settimana fa la Regione aveva installato 20 cisterne per l’acqua potabile e bagni chimici.

Spazzolino, dentifricio e sapone, una bacinella e una tanica di plastica. Medici senza frontiere ha iniziato la distribuzione di questi kit igienico sanitari, destinati a circa un migliaio di braccianti immigrati impiegati nella sola provincia di Foggia per la raccolta del pomodoro, tra agosto e settembre. Servirà a fare prevenzione, dopo l’installazione di cisterne e bagni chimici. Adesso l’impegno è potenziare i 20 ambulatori per stranieri temporaneamente presenti (stp) della provincia foggiana, attraverso la distribuzione di materiale informativo multilingue.

I pomodori iniziano a tingersi di rosso, e come ogni estate, migliaia di lavoratori stranieri raggiungono la piana del Tavoliere in cerca di un lavoro nella raccolta di uno dei prodotti più importanti dell’industria agroalimentare italiana. Da Cerignola a Stornara, da Lucera a San Severo. C’è chi è sbarcato a Lampedusa tre mesi fa. C’è chi ha i documenti e approfitta della chiusura delle fabbriche del nord. Ma la maggior parte è senza permesso di soggiorno e si sposta nelle campagne del sud tutto l’anno, seguendo il calendario delle stagioni del pomodoro, delle fragole, delle patate, dell’oliva e dell’uva. Da Caserta al foggiano, da Rosarno (in Calabria) ad Avola e Cassibile in Sicilia.

Grazie ad un accordo con Msf, la Regione Puglia ha installato una settimana fa 20 cisterne per l’acqua potabile, da 2.000 litri l’una, e 60 bagni chimici, in quattro siti diversi, in prossimità delle vecchie masserie abbandonate occupate dai braccianti. Il progetto si aggiunge all’attivazione dei primi tre "alberghi diffusi" che ospiteranno circa 300 lavoratori stagionali, in regola con i documenti, nelle campagne di Cerignola, Foggia e dal prossimo settembre anche a San Severo. Tuttavia la maggior parte dei braccianti seguiti da Msf, di documenti non ne hanno. C’è chi lavora nelle campagne del Sud da dieci anni. Guadaganano 25 euro al giorno. Oppure vengono pagati 3 euro per ogni cassa da 300 chili che riescono a riempire. Cinque euro vanno via per pagare il caporale, che ogni mattina li porta nei campi dal carrefour, il luogo dell’appuntamento per la selezione dei braccianti. E con le spese per il cibo, in tasca rimane davvero poco.

I braccianti arrivano sani e si ammalano in Italia. Sono giovani uomini e donne. In maggioranza africani, ma anche polacchi, ucraini e rumeni. Tra il luglio e il novembre 2007, Msf visitò e intervistò oltre 600 braccianti stranieri nel sud Italia. Nel rapporto che ne seguì, intitolato "I frutti dell’ipocrisia", venivano denunciate patologie osteomuscolari, dermatologiche, respiratorie e gastroenteriche, spesso croniche. Tutte chiaramente legate non solo alle dure condizioni di lavoro, ma anche alle situazioni igienico sanitarie in cui vivono e allo scarso accesso alle cure di primo livello.

Il 90% degli intervistati da Msf nel 2007 non aveva un contratto di lavoro. Il 65% viveva in strutture abbandonate. Nel 62% dei casi le case erano senza bagni né acqua corrente, mentre il 92% degli alloggi era sprovvisto di riscaldamento. Il 72% dei pazienti è stato formulato almeno un sospetto diagnostico. La legge italiana garantisce l’accesso alle cure per tutti gli stranieri regolari e irregolari. Nella sola provincia di Foggia sono presenti 20 ambulatori Stp per stranieri senza documenti. Tuttavia il 71% degli stranieri intervistati da Msf non aveva nessuna tessera sanitaria.

Un anno dopo il rapporto, la situazione è ancora la stessa. Con la differenza che quest’anno c’è meno lavoro. In parte la rotazione delle colture, che ha dedicato al grano molti terreni precedentemente coltivati a pomodoro. E poi la crescente meccanizzazione dei sistemi di raccolta che rendono inutili tanti braccianti. E infine il risultato indiretto del giro di vite deciso da un paio d’anni a questa parte. Alcune imprese agricole hanno ricevuto multe salate per lo sfruttamento dei braccianti senza documenti di soggiorno, e così adesso si affidano più volentieri a polacchi e romeni, che in quanto neocomunitari fanno diminuire il rischio di sanzioni. Sempre più braccianti così cercano lavoro nelle campagne di Brindisi e Lecce, e perfino a Taranto, fino a Metaponto.

Droghe: spaccio nel Cpt, arrestati operatore Cri e 3 stranieri

 

Ansa, 9 agosto 2008

 

Il Tribunale di Torino ha convalidato l’arresto dei tre marocchini accusati di spaccio di droga all’interno dell’ex Cpt di Torino. Lunedì scorso erano stati fermati insieme ad un milite della Croce Rossa, Antonio Ciampo, 59 anni, finito in manette per lo stesso reato. L’uomo, residente a Trofarello, nascondeva nella tasca dei pantaloni 70 grammi di hashish. Altri dieci grammi sono stati ritrovati nella sua auto. Il volontario della Cri, difeso dall’avvocato Simonetta Fiore Marocchetti, si è così difeso: "Io non sapevo che cosa ci fosse in quegli involucri. Inizialmente l’ho fatto solo per fare un favore. Poi, quando ho cominciato a sospettare qualcosa, sono stato minacciato e ricattato dai tre marocchini".

In carcere sono finiti, insieme a Ciampo, Karim Kaarte (detto lo "sfregiato"), 24 anni, Ayoub Adil Maftah, 18 anni, e il fratello Rachid Maftah, 26 anni. Quest’ultimo dallo scorso 8 luglio era ospite dell’ex Cpt di corso Brunelleschi, dove aveva proseguito a spacciare servendosi della complicità del dipendente della Croce Rossa. Ciampo, reduce da un brutto fallimento, aveva trovato un posto alla Croce Rossa, si recava periodicamente dal fratello di Rachid e dal Kaarte, due abituali spacciatori dei quartieri a rischio di Porta Palazzo e Barriera di Milano.

Dietro ad un compenso di 80-100 euro per viaggio, portava nell’ex Cpt la droga che poi veniva smistata da Rachid. Nei filmati effettuati dai carabinieri nel corso delle indagini, si vede Antonio Ciampo passare un piccolo oggetto, probabilmente una dose di hashish, dalle inferriate dell’ex Cpt. Un gesto rapido e furtivo, ripreso durante uno dei tanti servizi svolti dal milite della Croce Rossa nella struttura di corso Brunelleschi. L’indagine è partita dalla segnalazione della presenza sospetta di Ciampo in alcuni bar della zona di Porta Palazzo, Ciampo sarebbe stato visto anche in un locale di corso Emilia, all’angolo con corso Giulio Cesare, luoghi noti per essere frequentati da spacciatori nordafricani. Sono così scattati gli accertamenti che hanno portato ai quattro arresti.

Scozia: nel 2007 "record" di overdosi, 60% dei casi da eroina

 

Notiziario Aduc, 9 agosto 2008

 

Il 2007 è stato l’anno record per i decessi connessi alle droghe. Sei volte su 10 la colpa è da attribuire a eroina o morfina, mentre una volta su quattro c’è di mezzo il metadone, il che ha dato il via alla lapidazione della riduzione del danno. Secondo Annabel Goldie, che è la leader dei Tories scozzesi, ogni morte rappresenta "la devastazione di una famiglia e una ferita per la società. Ecco perché i conservatori scozzesi lavorano senza sosta per rinnovare le strategie nazionali antidroga".

L’86% delle volte la vittima è un uomo, il 50% delle volte ha più di 35 anni. Secondo i dati del General Register Office, negli ultimi 10 anni, per otto volte sono aumentati i decessi per droga, che si contano di più nei distretti sanitari di Greater Glasgow and Clyde, Lanarkshire, Forth Valley and Ayrshire e Arran. Tra il 1996 e il 2000 la media è stata di 128 morti all’anno per eroina e/o morfina, con un aumento del 229% dal 2003 al 2007, lustro molto più letale del 1996-2000 anche per cocaina e alcol.

Usa: Texas giustizia honduregno, si ripete il caso di Medellin

 

Ansa, 9 agosto 2008

 

Un detenuto honduregno condannato nel 2001 per omicidio è stato giustiziato nel carcere di Huntsville, in Texas, con una iniezione letale. Heliberto Chi, 29 anni, aveva presentato ricorso alla Corte Suprema lamentando la negazione del diritto all’assistenza legale del consolato del suo paese. I giudici lo avevano respinto sostenendo che il condannato al momento dell’arresto non rivelò subito la propria identità e non disse agli agenti di essere un cittadino straniero. Il caso è molto simile in parte quello di Josè Ernesto Medellin, giustiziato nello stesso penitenziario, per salvare il quale era intervenuto anche il segretario generale delle Nazioni Unite. Chi, nel 2001, rapinò e uccise il suo datore di lavoro, proprietario di negozio di abiti ad Arlington.

Israele: la disumana quotidianità delle detenute palestinesi…

 

www.infopal.it, 9 agosto 2008

 

Nei giorni scorsi, il Centro Palestinese per la Difesa dei Prigionieri ha reso noto che, sabato 2 agosto, le autorità di occupazione israeliane hanno liberato la detenuta Suad ash-Shayukhi (22 anni), di Silwan, Gerusalemme. La giovane è stata liberata dopo 18 mesi di "detenzione amministrativa", cioè una prigionia in assenza di capi di accusa e senza processo. Il Centro ha spiegato che le autorità israeliane arrestano e imprigionano decine di cittadini palestinesi in assenza di accuse, ma solo con il pretesto si tratti di casi "top secret".

La dura vita delle prigionieri palestinesi. In un’intervista rilasciata al Centro, l’ex prigioniera Suad ha parlato delle sue compagne che "conducono una dura vita di umiliazioni nelle carceri israeliane". La ash-Shayukhi ha spiegato che, in particolare, le prigioniere trasferite al reparto 11 della prigione ad-Damun, "vivono in condizioni molto difficili".

"Piango sulla situazione disastrosa delle detenute che non trovano chi le difende - ha aggiunto -. I loro diritti vengono violati senza alcun controllo. Molte sono demoralizzate e hanno sviluppato problemi psicologici che richiederebbero cure adeguate". Anche le notizie contraddittorie sullo scambio di prigionieri tra Israele e l’Anp influisce negativamente sul morale delle donne, ha precisato Suad.

Sono 98 le donne rinchiuse nelle prigioni israeliane. Alcune di loro sono malate e richiedono visite specialistiche, ma le autorità carcerarie rifiutano categoricamente di concedere loro tale diritto.

Malate di cancro. Il Centro palestinese per la Difesa dei Prigionieri ha reso noto che una detenuta, Amal Jumma, è malata di cancro all’utero e avrebbe bisogno di cure adeguate. "Sei mesi fa - ha spiegato -, la donna ha avuto un’emorragia interna, ma le autorità di occupazione si sono rifiutate di farla curare e, addirittura, di farla visitare dai medici, finché non le è stato diagnosticato il tumore all’utero".

"Quando finalmente la direzione carceraria si è decisa di farla curare - ha raccontato Suad - per spostarla da una parte all’altra, dovevamo sollevarla sulle nostre spalle, perché ormai non ha più la forza di muoversi. Sembra un corpo morto. Le autorità carcerarie aspettano che muoia. Abbiamo chiesto loro una barella per poterla spostare, ma hanno sempre rifiutato".

Bambini detenuti. Ash-Shayukhi ha aggiunto: "Quando le autorità di occupazione hanno deciso di liberarmi, il 2 agosto, ho salutato le mie compagne. Non riesco a dimenticare il momento in cui ho abbracciato il piccolo Yusef az-Zeq, nato in prigione. Il bimbo continua a vivere rinchiuso con la madre, insieme a un’altra bambina, Ghada, anche lei nata in prigione. Le mamme prigioniere sono private delle visite dei loro mariti e dei loro figli".

Appello per la liberazione delle prigioniere. Suad si è rivolta alla comunità internazionale, alle associazioni nazionali, arabe e internazionali, affinché si muovano per la liberazione delle detenute palestinesi rinchiuse nelle prigioni israeliane, e le ha invitate a visitare le prigioni sioniste per constatare "da vicino la loro sofferenza e la loro difficile vita". E ha chiesto ai capi di Stato, agli emiri, ai re arabi di "prendere a cuore la situazione delle prigioniere e a premere sulle autorità di occupazione affinché vengano liberate".

 

 

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