Rassegna stampa 11 ottobre

 

Giustizia: obbligo di custodia cautelare per ladri e incendiari

di Giovanni Negri

 

Il Sole 24 Ore, 11 ottobre 2007

 

Certezza della pena. Misure cautelari con meno vincoli. Fine del patteggiamento in appello. Stretta sulla criminalità da "colletti sporchi".

Il pacchetto sicurezza, con le misure indirizzate anche a rafforzare le prerogative delle autorità comunali, si appresta al passaggio in Consiglio dei ministri. E a uscirne modificate, per effetto del lavoro dei tecnici del ministero della Giustizia, saranno, parti importanti del Codice penale e di procedura.

La logica è quella di evitare scarcerazioni facili, tagliare scorciatoie procedurali, dare un giro di vite per alcuni reati magari non di enorme allarme sociale, ma fonte di sicura preoccupazione per l’economia e la vivibilità urbana.

Una logica però non condivisa dalle Camere penali che, in una nota diffusa ieri dal presidente Oreste Dominioni, parlano di "deriva mediatica" che contribuisce "a un allarmismo collettivo, concependo misure contrarie all’efficienza della giustizia penale, clamorosamente sconfessando i propositi di velocizzarla. È il caso dell’impugnazione di un provvedimento sulla libertà personale senza effetto sospensivo dell’esecuzione della misura Che significa: intanto il carcere immediato, poi si vedrà se avrà fondamento. È anche il caso dell’abolizione del patteggiamento in appello, dove viene imposta la celebrazione del giudizio di secondo grado, con inutile sperpero di risorse".

Tra le misure più rilevanti sul piano della procedura c’è infatti la cancellazione della sospensione dell’esecuzione della carcerazione preventiva quando è accolta l’impugnazione del pubblico ministero. Ma anche il divieto di sospensione dall’esecuzione delle pene quando la condanna è stata pronunciata per reati come il furto, l’incendio o la prostituzione minorile. Per i reati per i quali è previsto l’arresto in flagranza, poi, le misure cautelari sono sempre disposte nel caso di recidivi (di chi cioè nei 5 anni precedenti è stato sorpreso a commettere delitti dello stesso tipo).

Sul diritto sostanziale, dal ministero della Giustizia è arrivata la precisazione delle condotte rilevanti per i reati di contraffazione, un più ampio ricorso air la confisca, una stretta prevista a carico delle falsificazioni di massa con l’allargamento delle sanzioni introdotte nel 2001 dal decreto 231. E quanto alle sanzioni. Un ventaglio di misure sono poi stabilite a tutela dei minori per reati "da strada" come l’accattonaggio, con aggravanti per gli adulti che spingono i minorenni a delinquere. Per i writers il reato di danneggiamento si allarga ai casi di azioni su immobili che contribuiscono al deterioramento delle città.

Giustizia: il brigatista semilibero e il rischio di buona legge

di Paolo Canevelli (Magistrato di Sorveglianza)

 

www.radiocarcere.com, 11 ottobre 2007

 

Una rapina in banca nel centro storico di Siena da parte di due individui armati, pronti a sparare per garantirsi il successo del colpo e la fuga, riapre il dibattito sulla pena, sul carcere e sugli strumenti che la società ha il diritto di utilizzare per reprimere forme di criminalità sempre più preoccupanti. Ma questa volta non si tratta del solito extracomunitario che ha commesso il reato dopo essere stato scarcerato per l’indulto. Uno degli autori della rapina è, infatti, un ex brigatista rosso, condannato all’ergastolo per aver compiuto ben sei omicidi, che usufruisce del regime della semilibertà.

Insorge la pubblica opinione ben orchestrata da mass media e da una classe politica che finge stupore ed incredulità, invocando l’intervento del Ministro della Giustizia perché accerti le responsabilità del giudice che ha consentito tale misfatto, ignorando il dolore delle vittime del terrorismo e, forse, anche le norme dell’ordinamento penitenziario.

Come è possibile che un ergastolano giri indisturbato per le nostre città? Perché invece di scontare la pena del carcere a vita è stato ammesso ad un regime di detenzione che gli consente di passare tutta la giornata fuori per fare rientro nel penitenziario solo di notte?

Non si fa neppure in tempo ad avviare una riflessione, che è già pronta una soluzione preconfezionata: il giudice che ha scarcerato il brigatista ha sicuramente sbagliato e, se pure ha agito rispettando la legge, vuol dire che la legge è sbagliata e deve essere subito abrogata!

La legge Gozzini e la magistratura di sorveglianza che ne fa quotidiana applicazione sono, di nuovo, al centro di infuocate polemiche tra i paladini della sicurezza a tutti i costi e chi si preoccupa della tenuta complessiva di un ordinamento che, da oltre trenta anni, ha il compito di garantire piena attuazione al principio costituzionale che pretende che la pena detentiva, compresa quella perpetua, abbia come obiettivo la rieducazione ed il reinserimento sociale della persona condannata.

Cosa prevede, dunque, la tanto vituperata legge Gozzini? Stabilisce che il Tribunale di Sorveglianza possa concedere la semilibertà ad un ergastolano solo dopo l’espiazione di almeno venti anni di pena, quando, in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, vi siano le condizioni per un suo graduale reinserimento nella società. La norma colpisce per il suo rigore e la sua chiarezza.

Lo Stato non fa sconti all’ergastolano, non abdica alla sua essenziale funzione punitiva, ma richiede che il condannato abbia trascorso in carcere almeno venti anni. Gli esperti del trattamento riferiscono sulla condotta penitenziaria tenuta, sul grado di maturazione personale raggiunto e sulla idoneità del contesto familiare, ambientale e lavorativo che attende il condannato all’esterno. Le forze di Polizia raccolgono notizie in ordine alla pericolosità del condannato, nonché sulla esistenza di collegamenti con organizzazioni criminali e di potenziali rischi di ripresa di attività delittuose.

Il Tribunale di sorveglianza valuta tutte le informazioni disponibili e decide se il condannato ha raggiunto una condizione personale adeguata all’avvio di un reinserimento nella società.

La concessione della semilibertà ad un ergastolano non è, quindi, un atto dovuto in base alla legge Gozzini, ma rappresenta il frutto di un’autonoma decisione della magistratura di sorveglianza, che si avvale del contributo di esperti e professionisti qualificati.

Le attività che l’ergastolano semilibero è ammesso a svolgere al di fuori dal carcere sono sottoposte al controllo delle forze di Polizia che riferiscono al magistrato ogni eventuale violazione delle prescrizioni.

Chi ha sbagliato, allora, se l’ex brigatista è tornato dopo oltre venti anni di pena a delinquere? È colpa del giudice o della legge Gozzini? La risposta l’ha fornita qualche anno fa la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Giudicando sulla eventuale responsabilità dello Stato italiano per la morte di un giovane per mano di un detenuto in semilibertà, i giudici europei hanno stabilito che il sistema dei benefici penitenziari previsto dalla legge Gozzini non è in contrasto con il dovere dello Stato di proteggere il diritto alla vita, in quanto prevede misure sufficienti ad assicurare la protezione della collettività.

È fuorviante, dunque, andare alla ricerca di un colpevole, senza comprendere che il rischio che un semilibero commetta nuovi reati rappresenta un costo sociale che grava su tutta la collettività, in nome del principio costituzionale che ammette la pena dell’ergastolo solo se finalizzata ad un futuro reinserimento sociale. Si vuole abrogare insieme alla legge Gozzini anche la Costituzione?

Giustizia: sì alla legge Gozzini, però deve funzionare meglio

di Marco Cafiero

 

www.radiocarcere.com, 11 ottobre 2007

 

Parlare della "legge Gozzini" in questo momento in cui infuriano le polemiche del "dopo indulto" diventa difficile. Qualunque visione prospettata rischia di essere impopolare.

In particolare le questioni legate al nostro sistema penitenziario sollecitano il levarsi di voci quasi sempre incompetenti, caratterizzate da una forte emotività condizionata dai fatti di cronaca, che si stempera nel tempo allorquando l’interesse dei mass media si sposta su altre questioni sociali.

Il bisogno di sicurezza sociale, diritto sacrosanto di quei cittadini che, invece, hanno scelto di vivere nella legalità, sta soverchiando quell’illuminato senso di recupero degli ultimi che ha caratterizzato l’evoluzione civile del sistema sanzionatorio.

Mario Gozzini evocava quel senso di responsabilità collettiva che impone la creazione dei presupposti per la risocializzazione dei condannati, e rinforzava l’impianto già determinato dai Padri Fondatori della riforma penitenziaria, in totale coerenza con la visione umanitaria delle pene prevista dalla nostra Carta Costituzionale.

La cosa che più mi preoccupa è la messa in discussione del Tribunale di Sorveglianza, organo collegiale deputato alla concessione delle misure alternative alla detenzione. Qualcuno pensa che debba essere ribattezzato "Tribunale della pena", ma questa dicitura mi allarma perché mi sembra che voglia snaturare quella funzione di controllo dell’esecuzione della pena la cui irrogazione spetta alla Magistratura di merito.

Negli ultimi venti anni questo organo ha dimostrato di saper aderire alla funzione utilizzando gli strumenti giuridici di cui è dotato ma, soprattutto, cercando di usufruire di quelle informazioni che il sistema penitenziario è stato in grado di offrirgli contemperandole con lo spirito ideologico, sotteso alla normativa vigente.

I Magistrati sono, ora, perennemente esposti allo stato di crescente emotività che accompagna la polemica sulla credibilità della legge Gozzini. Basti pensare al caso "Izzo" di qualche anno fa che ha provocato l’indignazione contro quel Magistrato di Sorveglianza che presiedeva il collegio che aveva concesso al condannato Izzo la misura alternativa della semilibertà. Un collegio composto di professionisti di consumata esperienza, in grado di leggere tutta quella documentazione che l’osservazione inframuraria aveva prodotto nel corso del lungo periodo di detenzione dell’assassino del Circeo. Lo stesso Collegio che per anni aveva concesso misure a persone che avevano saputo far tesoro dei benefici penitenziari e che, probabilmente, erano riusciti a reinserirsi nel tessuto sociale.

La concessione di un benefico è una scommessa importante che lo Stato fa nei confronti di un condannato, anche per delitti gravi, confidando in quel cambiamento, assolutamente possibile, dell’essere umano. In questo senso non mi sento di condividere chi lamenta una eccessiva indulgenza di chi opera all’interno del carcere allorquando prospetta al Tribunale di Sorveglianza una importante modifica di chi ha avuto la possibilità di metabolizzare la propria espiazione e riesce ad immaginare una vita differente. Il contesto carcerario è fortemente limitante e non inficia la genuinità della prospettiva, probabilmente la coarta. Ciò non significa che lo stato di libertà, successivamente riconquistato, non vanifichi l’effettiva risocializzazione. Ciò non significa che l’opportunità offerta al condannato di realizzare gli intenti debba essere preclusa a priori.

Condivido l’opinione dell’Avv. Carlo Federico Grosso, che dalla colonne del quotidiano "La Stampa" ribadisce come la pena debba essere certa ed applicata inflessibilmente in tempi sufficientemente rapidi. È l’insigne collega a parlare di scommessa da parte di una società, a mio avviso sufficientemente matura, sulla possibilità di rieducare un condannato che non appaia socialmente pericoloso.

Condivido anche la sua riflessione sul forte mutamento sociale, più che politico, che ci impone una meditazione sulla nostra legislazione in tema di benefici penitenziari; una riflessione che non porti alla ricerca di capri espiatori e non punti l’indice contro chi, in questi anni ha cercato di rendere il nostro sistema sanzionatorio più umano.

Ripensare alla legge Gozzini è opportuno e significa interrogarci sugli strumenti che ne permettono il funzionamento non a metterne in discussione la filosofia, sostenendo in modo banale che sia affetta da "perdonismo" e "ipergarantismo".

Bisogna valutare con maggiore attenzione il livello di pericolosità sociale alla luce di un osservazione professionale, scrupolosa ed incondizionata da effettuarsi nel contesto detentivo, con particolare riferimento alla gravità del reato commesso.

Giustizia: rapporto del Dap; la pena come un terno al lotto

di Guido Ruotolo

 

La Stampa, 11 ottobre 2007

 

Una rapina a mano armata vale seicento giorni di carcere, meno di due anni. Tanto quanto vale lo spaccio di droga. Una violenza sessuale, settecento giorni, un furto, duecentodieci giorni. È il catalogo dell’ingiustizia, che spiega perché si ripetono vampate di indignazione per l’omicidio di turno, per le povere vittime finite sul selciato perché colpevoli di essersi trovate nel posto sbagliato al momento sbagliato, in mezzo a una sparatoria tra bande, o bersagli prescelti perché tabaccai o commercianti.

Oggi che si discute di pacchetti sicurezza, di revisione della Gozzini e di inasprimenti pene, oggi che si ascolta con inquietudine e nervosismo la "pancia" dell’opinione pubblica, allarmata per la microcriminalità, la classe politica dovrebbe prendere sul serio quel rapporto del Dap, del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, quei dati elaborati che Sebastiano Ardita, direttore generale detenuti, ha reso pubblici. E che il capo del Dap, Ettore Ferrara, ha spiegato ai componenti della Commissione affari costituzionali della Camera. Rapporti, numeri e statistiche che raccontano il cortocircuito che si è creato tra sistema penale e penitenziario, e che si può sintetizzare così: "L’incertezza della pena". "La permanenza media in carcere per gli autori, per esempio, del delitto di rapina a mano armata è appena superiore a 600 giorni (meno di due anni, ndr), sommando il periodo medio trascorso in custodia cautelare con quello medio in esecuzione pena". Chi finisce dentro perché fa parte di un’associazione di trafficanti di droga, rimane dentro (tra carcere preventivo e definitivo) per tre anni e mezzo; per chi commette una violenza sessuale due anni e due mesi; per chi è colpevole di sequestro di persona, quasi otto anni; per un assassino, idem; per un mafioso, tre anni; per un clandestino, sei mesi.

Colpisce un dato, a proposito degli arresti per immigrazione clandestina: i 13.081 incarcerati escono dopo una permanenza media di appena 13 giorni. Fin qui i numeri del Dap. Le carceri si sono "sgonfiate", grazie all’indulto, passando da 63.000 a 42.119 detenuti (alla data del 20 giugno scorso). Ha spiegato non molto tempo fa Ettore Ferrara ai deputati: "Poco più del 58% dei detenuti risulta imputato (di cui il 34% circa in attesa di giudizio, il 18% appellante, quasi il 6% ricorrente in Cassazione). Il 42% circa risulta definitivo". Ma il capo del Dap aveva lanciato un allarme ancora più preoccupante: "L’assenza di interventi strutturali sul sistema legislativo vigente sta determinando un incremento della popolazione carceraria che si aggira intorno alle duemila unità ogni mese".

Insomma, siamo in presenza di un fenomeno di turnover strutturale a saldo positivo: "Il turnover penitenziario si è attestato attorno alle 90.000 persone circa che, nell’arco dei 12 mesi, hanno fatto ingresso nelle carceri italiane, a fronte di circa 88.000 scarcerati nello stesso periodo; determinandosi una conseguente crescita costante pari a circa 2000 unità l’anno". Ecco la fragilità della "tigre" giustizia che ruggisce ma non graffia: "La presenza di "flusso" negli istituti penitenziari registra un dato molto basso in termini di permanenza del singolo soggetto detenuto - imputato o condannato per qualsiasi tipo di reato -, giungendo a valori medi che raramente superano i 90/120 giorni".

E in questo caso, verrebbe da dire purtroppo, l’indulto non c’entra nulla, nel senso che non è stato preso in considerazione per queste statistiche. Dunque, il rapporto del Dap e l’audizione alla Camera del suo responsabile infieriscono sul vero e proprio cortocircuito che si è determinato nel sistema giustizia. Ettore Ferrara: "Siamo partiti da un sistema giudiziario e penitenziario che, per la parte che ci riguarda, trova riscontro nell’articolo 27 della Costituzione - La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, ndr. - e che si sviluppava in modo abbastanza controllato con il ricorso alla sanzione detentiva in un numero più limitato di casi di quanto accada oggi e con una permanenza nell’istituzione penitenziaria più prolungata di quella odierna. La popolazione carceraria era quindi tendenzialmente molto più stabile e soprattutto molto più omogenea di quanto accade oggi".

Giustizia: ddl di An; niente semilibertà per gli ergastolani

 

Agi, 11 ottobre 2007

 

Un disegno di legge per modificare la legge Gozzini e le norme sul patteggiamento è stato presentato dai senatori di Alleanza Nazionale, Filippo Berselli e Alberto Balboni in una conferenza stampa alla quale ha partecipato anche il presidente dei senatori di AN, Altero Matteoli, che ha firmato il testo. L’obiettivo del ddl è di recuperare certezza ed effettività della pena, evitando pericolosi automatismi come quelli evidenziati dall’arresto dell’ex brigatista Cristoforo Piancone dopo una rapina.

"Mi ritengo un supergarantista - ha esordito Matteoli - e questo ddl non mina la filosofia di base della Gozzini per la rieducazione dei condannati, mettendo i magistrati in condizioni di usare il buon senso, evitando le storture portate alla ribalta della cronaca. Potevamo fare un ddl di abrogazione della Gozzini - ha spiegato Berselli - ma abbiamo preferito un ddl ragionevole che mette i paletti per evitare situazioni estreme con norme facilmente applicabili per garantire la certezza della pena e tutelare nel patteggiamento le esigenze delle parti offese".

Al riguardo il ddl di AN prevede che il giudice condanna l’imputato al pagamento di una adeguata provvisionale a favore della persona offesa, subordinando l’applicazione del patteggiamento all’effettiva corresponsione della provvisionale che sarà quindi una sorta di acconto sui danni. Queste le altre norme illustrate nel dettaglio dal sen. Balboni: niente semilibertà per gli ergastolani; permessi premio agli ergastolani dopo aver scontato vent’anni (e non dieci); affidamento in prova al servizio sociale solo se la pena non supera un anno (e non tre) e obbligo per l’affidamento dell’osservazione in istituto; detenzione domiciliare per le pene fino a due anni (erano quattro) ed elevazione del limite di età a 75 anni (erano 70) con obbligo di effettuare maggiori controlli ed un monitoraggio continuo da parte degli uffici esecuzione penale esterna con relazioni al magistrato di sorveglianza; per la semilibertà il condannato dovrà aver espiato almeno due terzi della pena (e non la metà) che per i casi più gravi diventano almeno tre quarti; viene inoltre abrogato l’istituto della liberazione anticipata che sconta tre mesi di pena per ogni anno; mentre la sospensione della pena sarà possibile se la pena non è superiore a un anno (e non tre).

"Su questo nostro ddl - hanno osservato Berselli e Balboni - abbiamo ricevuto una sola osservazione dall’on. Giulia Bongiorno, responsabile della Consulta Giustizia di An: saranno necessari nuovi carceri. E allora occorrerà investire nell’edilizia penitenziaria per ospitare i condannati in condizioni umane perché non è possibile scarcerare i detenuti per evitare il sovraffollamento delle carceri". Il ddl che sotto la guida di Berselli è stato elaborato e discusso dal coordinamento regionale di AN dell’Emilia Romagna, domani sarà presentato alla Camera dai deputati Foti, Raisi e Germontani.

Giustizia: Amato; sono 794 collaboratori di giustizia protetti

 

Adnkronos, 11 ottobre 2007

 

Sono 794 i collaboratori di giustizia sottoposti a misure di protezione. Di questi, 159 sono attualmente in istituti penitenziari, per 316 sono previste misure alternative al carcere e 319 sono liberi. È stato il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, a fornire il quadro aggiornato della situazione dei "pentiti" intervenendo in commissione parlamentare Antimafia. Per quanto riguarda la caccia ai latitanti, tra il 1 gennaio e il 3 ottobre sono stati catturati dalle forze dell’ordine 51 grandi ricercati, di cui due inseriti nella speciale lista dei 30 latitanti più pericolosi.

Lettere: detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 11 ottobre 2007

 

Renato dal carcere di Santa Maria Capua Vetere

"Cara Radio Carcere, lo so che sembra incredibile ma sono un detenuto accusato ingiustamente. Un detenuto che si professa innocente ma che purtroppo non viene creduto.

La mia città è lontana e lontani sono i miei famigliari. Mi hanno sbattuto qua giù e non so neanche io il perché. La cosa che mi dispiace è che sui giornali o in tv non sento mai parlare della gente vittima di una cattiva giustizia. Ne parlano solo quando la mala giustizia tocca qualche politico e basta. Ora sto in una cella del carcere Santa Maria Capua Vetere con altri 7 detenuti. Pensa che nessuno di loro sa leggere o scrivere. E pensare che non sono stranieri sono italiani! È questa una macelleria di uomini, non un carcere. Ti saluto, anche se sono orami stanco di aspettare una giustizia che non arriverà".

 

Gigi carcere di Como

"Cara Radio Carcere, anche io sono stato trattato diversamente dalla Baraldini. Io come lei ero stato condannato all’estero e sono stato portato in Italia in base alla Convenzione di Strasburgo. Proprio come la Baraldini. Quando è arrivato l’indulto, io come la Baraldini, ne ho fatto richiesta. Ma alla Baraldini lo hanno dato e a me no perché nella convenzione di Strasburgo, tra gli sconti di pena che si possono dare, no c’è la parola indulto, ma solo grazia e amnistia. Strano che per la Baraldini questo problema di interpretazione non c’è stato, mentre c’è quando a chiedere l’indulto sono detenuti senza nome."

Tante persone detenute, condannate all’estero e poi trasferite in Italia per la Convenzione di Strasburgo, si sono viste rigettare l’indulto perché la parola indulto non c’è in quel trattato internazionale. Solo una, pare, ha ottenuto l’indulto. Solo per una detenuta, pare, si è capito che la parola indulto non c’è nella convenzione per un motivo strettamente legato alla traduzione. In francese e in inglese, le lingue in cui è redatta la convenzione, la parola indulto non esiste. Nella Convenzione si parla solo di amnistia e grazia. Ma questo sforzo interpretativo pare sia stato fatto solo per una detenuta. Per tanti altri no.

 

Gianni e Giusto, dal carcere di Vasto

"Cara Radio Carcere, noi abbiamo un problema che non ci sembra da poco. Infatti mesi fa abbiamo fatto richiesta per poter beneficiare dell’indulto ma ancora oggi non ci è stata notificata nessuna risposta. Ti facciamo presente che tutti e due con l’indulto potevamo uscire a fine agosto o nei primi giorni di settembre. Capisci quindi la nostra preoccupazione. Noi ogni giorno speriamo che sia quello buono e invece nulla. Non si saranno dimenticati di noi? Grazie".

Droghe: Ferrero; le narco-sale riducono morti e criminalità

 

Fuoriluogo, 11 ottobre 2007

 

"Dove sono state sperimentate, all’estero, le cosiddette narco-sale hanno ridotto il numero di morti, le malattie, la microcriminalità legata alla tossicodipendenza, e anche l’allarme sociale e i rischi per la popolazione": lo ha detto il ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, rispondendo al Question-time alla Camera a un’interrogazione del deputato di An Alberto Giorgetti.

Ferrero ha detto di condividere il giudizio del ministro della salute Livia Turco in merito all’iniziativa del Comune di Torino su questo tipo di sperimentazione. Ha poi spiegato quali sono le iniziative sulle dipendenze messe in cantiere dal suo dicastero: innanzitutto il Piano d’azione nazionale; poi un accordo con i ministeri della pubblica istruzione e della giustizia (16 milioni di spesa) per programmi già avviati dal precedente governo; un accordo di programma con le Regioni (5 mln) per l’intervento sui giovani; un altro accordo con la Pubblica istruzione per interventi con 40 consulte studentesche in 40 province sulla prevenzione. Ferrero ha anche reso noto che è stato appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando sul reinserimento abitativo delle persone tossicodipendenti che hanno beneficiato dell’indulto (3 mln); "stiamo finendo - ha aggiunto - la costruzione dell’Osservatorio del disagio giovanile legato alle dipendenze con la Conferenza Stato-Regioni (5 mln), abbiamo confermato i progetti di ricerca con il Cnr (8 mln)".

Ancora, il ministro ha annunciato che tra due giorni sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando per l’affidamento di una campagna informativa rivolta alla dissuasione al consumo di sostanze stupefacenti: "un progetto da 2,5 milioni di euro, che facciamo insieme alle Regioni e al Ministero della salute. Siamo sulla strada di proseguire sulla via maestra della prevenzione e del potenziamento dei servizi pubblici, a partire dai Sert e dalle comunità".

"Come può il ministro Ferrero, da membro del governo, dare la sua approvazione a un’iniziativa che è palesemente in contrasto con la legge?": se lo chiede Maurizio Gasparri, di An, il quale sottolinea che ‘dicendosi d’accordo con il ministro della salute Livia Turco sulla sperimentazione delle cosiddette narco-sale, di fatto Ferrero dà il suo placet a un progetto illegale e che non si può realizzare né a Torino né in alcun’altra parte d’Italia".

Secondo Gasparri "nessuno può dar vita a questa sperimentazione, perché troverà la nostra ferma opposizione in nome di quella stessa legge che vogliono violare. Questo governo - insiste - non solo non è in grado di produrre alcuna seria politica antidroga, ma con bugie e inganni cerca di alimentare il gorgo della droga, che invece si combatte con la prevenzione e il recupero". "La smettano di dire bugie, di alimentare false speranze - conclude l’esponente di An - quando i risultati sulle narco-sale sono riconosciuti come fallimentari. Si tratta di un progetto la cui realizzazione è esclusa a priori perché noi lo impediremo".

"Il commento alle dichiarazioni del ministro Ferrero è molto semplice: c’è chi pensa che la riduzione del danno sia l’unica strada possibile per la lotta alla droga e c’è chi invece continua a credere che la lotta alle tossicodipendenze si una lotta per la vita e la dignità dell’uomo". Lo afferma Beatrice Lorenzin, coordinatrice nazionale dei giovani di Forza Italia, che aggiunge: "Come giovani non possiamo rinunciare imbelli alla speranza di una società libera che garantisca la dignità della persona e non possiamo non rifiutare un governo che proponga la via per uno stato etico della morte".

"Dopo le narco-sale il ministro Ferrero cosa si inventerà: allestirà delle sale a spese del contribuente, in cui le persone invece di disintossicarsi dall’alcol potranno liberamente ubriacarsi quando e quanto vogliono?": così Domenico Di Virgilio, capogruppo di Forza Italia in Commissione Affari Sociali della Camera, commenta le affermazioni di Ferrero sulle narco-sale.

Germania: violentatore ottiene sconto di pena perché sardo

 

Ansa, 11 ottobre 2007

 

Sta suscitando polemiche in Sardegna, isola nella quale gli studiosi sostengono esista ancora il matriarcato, la notizia che un giudice tedesco di Hannover ha concesso uno sconto di pena "per attenuanti etniche e culturali" ad un imputato sardo condannato, peraltro, a sei anni di reclusione, perché riconosciuto responsabile di violenza sessuale continuata ai danni dell’ex fidanzata lituana. La sentenza del magistrato tedesco è stata emessa un anno fa, ma è stata conosciuta in Sardegna solo pochi giorni fa quando il difensore di Maurizio Pusceddu, di 29 anni, di Cagliari, ha presentato istanza alla Corte d’Appello del capoluogo sardo per ottenere che la pena possa essere scontata in Italia.

"L’udienza si svolgerà il 23 ottobre prossimo - ha spiegato all’Ansa l’avv. Annamaria Busia - ho depositato la sentenza del giudice tedesco tradotta in italiano mentre alla Corte è giunta la documentazione con la quale la magistratura tedesca chiede la garanzia che il detenuto sconti per intero la pena senza poter usufruire di indulti o altre facilitazioni". Le attenuanti "etniche e culturali" - spiega ancora l’avv. Busia - hanno prodotto uno sconto di pena di due anni. Ma la sentenza è chiaramente permeata di inaccettabile razzismo.

 

Dichiarazione di Luigi Manconi, Sottosegretario alla Giustizia

 

"Se fossero vere le motivazioni rese note a proposito dello sconto di pena per il ventinovenne sardo, condannato in Germania per gravi violenze e abusi nei confronti dell’ex fidanzata, siamo in presenza di uno straordinario, forse irraggiungibile, esempio di razzismo contemporaneo. Quel "razzismo differenzialista" che tanti guai ha già combinato e tanti altri potrebbe provocarne. Le appartenenze culturali, le tradizioni etniche (ma non esiste una etnia sarda), le credenze religiose, le consuetudini alimentari, le forme di relazione, i costumi e gli stili di vita possono, e devono essere, accettati e fin tutelati. Ciò vale per i sardi, i valtellinesi e i musulmani ma a una e irrinunciabile condizione: che non violino i diritti fondamentali della persona. In questo caso, la parità, la libertà e l’integrità della donna".

 

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