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Giustizia: Sd; un diverso approccio alla legalità è possibile di Andrea Scarchilli
Aprile on-line, 9 novembre 2007
Il convegno organizzato da Sinistra Democratica: "Giustizia penale ed equità sociale - il carcere dopo l’indulto". Le proposte del movimento le ha elencate il vicepresidente della Camera Carlo Leoni: tra queste, più spazio alle misure alternative al carcere e il superamento della Bossi - Fini. Vista, come si dice, l’aria che tira, tutto si può dire tranne che a Sinistra Democratica sia mancato il coraggio nell’organizzare un convegno dall’intestazione "Giustizia penale ed equità sociale - il carcere dopo l’indulto". Il vicepresidente della Camera Carlo Leoni, il responsabile della Cgil per il settore penitenziario Fabrizio Rossetti, il capo del Dipartimento dell’amministrazione delle carceri Ettore Ferrara e il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi hanno offerto un approccio diverso da quello che sta tentando, in queste ultime settimane, esponenti di disparate estrazioni culturali e politiche, il metodo cosiddetto "securitario". Un altro modo di affrontare il problema della lotta alla criminalità deve essere possibile se, come ha scandito Manconi al termine del suo intervento, "le categorie dell’immigrazione e del carcere sono le vere cartine di tornasole per distinguere la cultura della sinistra da quella della destra". È stato Carlo Leoni a mettere sul piatto le proposte, i passaggi dalla teoria alla pratica, che dovrebbero caratterizzare questo approccio. E, ha assicurato il vicepresidente della Camera, Sd si farà carico di chiedere che il governo le faccia proprie, altrimenti saranno i deputati e i senatori del movimento nato dalla scissione dei Ds a tradurle in criteri di battaglia parlamentare. Perché, ha detto Leoni, "non potevano non votare il decreto sulla sicurezza, ci saremmo esposti all’abbraccio con la destra. Ma ora dobbiamo muoverci in Aula". Secondo Leoni non serve a niente aumentare le pene, se la giustizia rimane lenta. Occorre, piuttosto, battersi per una riforma del codice penale che riduca e soprattutto razionalizzi le categorie dei reati e ampli il ricorso alle misure alternative al carcere, come l’affidamento ai lavori socialmente utili e gli arresti domiciliari. Occorre superare la Bossi - Fini, che incentiva la clandestinità e leggi anticostituzionali come la ex - Cirielli. "Servono risposte razionali piuttosto che emotive - ha detto Leoni - e l’indulto rientra nella seconda categoria". Lo difende, Leoni, l’indulto. Ha risolto - anche se solo provvisoriamente - il problema più grave, quello del sovraffollamento dei penitenziari, portando la popolazione carceraria dalle 60mila unità che Ferrara, in un intervento successivo definirà "soglia di tolleranza", a 38mila. Il tasso di recidiva (utilizzato per misurare la frequenza dei reati ripetuti dagli stessi soggetti) è rimasto lo stesso. Dopo un anno e mezzo siamo tornati a 46mila detenuti totali, e si viaggia velocemente verso il ritorno alla zona critica. Per questo, ha aggiunto il vicepresidente della Camera, "bisogna muoversi velocemente". In sintonia con Carlo Leoni è stato Ettore Ferrara, il primo amministratore delle carceri in Italia. Anche lui ha difeso l’indulto: "Dei 9.000 tornati in cella dopo l’approvazione, 8.100 non erano indultati". E comunque, poi, se è vero che l’indulto ha messo in libertà 26mila detenuti, almeno la metà sarebbero comunque usciti nelle settimane immediatamente seguenti. "In ogni scelta - ha detto Ferrara - ci sono costi e benefici. Nel caso dell’indulto ritengo che prevalgano i benefici, è stato risolto il problema del sovraffollamento". Le proposte di Ferrara. Innanzitutto sul piano normativo: serve il rafforzamento delle misure alternative, ma prima occorre lavorare sulla certezza della pena. Solo potenziando questo principio si può lavorare sul resto. Poi, sul piano amministrativo, Ferrara è convinto che si possano ottimizzare le mansioni dei responsabili: "Sono convinto che, sulla base della legge del 1990, alla polizia penitenziaria possa essere assegnata la funzione di vigilare l’applicazione delle pene alternative alla detenzione". Non si esime, Ferrara, dal chiedere "nuovi spazi detentivi" e una ristrutturazione dell’esistente: "Una buona metà dei nostri penitenziari risalgono almeno all’Ottocento, se non al Settecento". Amara la critica alle politiche del governo del rappresentante della Cgil, Fabrizio Rossetti: "All’assenza di politica sta corrispondendo l’insorgere della sfumatura del confine tra alcuni posizioni storiche, che hanno sempre distinto la destra dalla sinistra sui temi della sicurezza e dell’amministrazione della giustizia". Propone, Rossetti, una riforma del sistema penitenziario, che parta dal riconoscimento, ai detenuti, del diritto di usufruire del sistema sanitario nazionale. Il sottosegretario alla Giustizia Manconi lo auspica, la sintonia c’è. E ha posto un altro problema: "Assistiamo a una regressione culturale della magistratura di sorveglianza, molto ha inciso la mobilitazione di allarmi. Bisogna intervenire con forza". Tanti propositi, parecchi nodi da sciogliere. Con la speranza che i principi si traducano presto in realtà: la detenzione come "extrema ratio", il riconoscimento ai detenuti dei diritti alla salute e all’istruzione, sono tutti principi scritti nel programma dell’Unione, sottoscritto da tutte le forze politiche. Di ben altro peso, poi, la via maestra indicata dalla articolo 27 della Costituzione, quello che assegna alla pena una funzione rieducativa. Non punitiva. Giustizia: tra destra e sinistra c'è il "ballo della sicurezza" di Emiliano Sbaraglia
Aprile on-line, 9 novembre 2007
Veltroni apre, la sinistra chiude, il centrodestra tentenna, la destra attacca: a una settimana dal tragico omicidio di Giovanna Reggiani, il decreto che doveva inizialmente mettere tutti d’accordo viene ora "tirato" qui e là, per obiettivi politici e convenienze di circostanza. Placata l’onda travolgente dell’indignazione emozionale collettiva, istintiva e comprensibile reazione popolare a un omicidio tragico quanto efferato, la politica-politicante gettatasi tempestivamente come l’avvoltoio fa sullo straziato corpo animale, si trova ora costretta a fare i conti con l’anima razionale degli eventi, con le leggi del diritto, ma anche con una realtà quotidiana che non si può più far finta di non vedere. Le richieste di eventuali modifiche al decreto sulla sicurezza, voluto nei modi e nei tempi realizzati soprattutto da Walter Veltroni, e votato pressoché in tempo reale dal Consiglio dei Ministri, giungono da destra e sinistra, chiaramente con ben diverse motivazioni. Il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero apprezza l’intervento e il tipo di richieste fatte dal primo ministro rumeno Calin Popescu Tariceanu, ribadendo quella che secondo lui rimanere "l’unica linea per ricostruire un rapporto politico con Bucarest", vale a dire "la fermezza rispetto ai delinquenti", ma senza "sparare nel mucchio". Rimanendo al centrosinistra, i rumors di un diverbio piuttosto acceso avvenuto nel pomeriggio di mercoledì nei corridoi di Montecitorio tra lo stesso Veltroni e il capogruppo alla Camera di Rifondazione Gennaro Migliore, riportato dalle pagine del "Corriere" e de "Il Tempo", denotano in ogni caso le difficoltà tuttora esistenti per trovare un accordo sul pacchetto-ddl, che si vorrebbe trasformare in legge entro tempi brevissimi. Dalla maggioranza all’opposizione, anche se a sorpresa è Clemente Mastella, ministro della Giustizia, che prova a mettere in difficoltà la Cdl: "Sul decreto sicurezza Berlusconi ha fatto un errore politico clamoroso, ha sbagliato strategia. La Cdl avrebbe dovuto dire subito che votava il decreto, ci avrebbero messo in difficoltà, sarebbero emerse le nostre contraddizioni. Ma ormai il leader del centrodestra è Fini, e gli altri gli sono andati dietro...". Provocazione bella e buona, alla quale aggiunge: "La chiusura del centrodestra al dialogo ha ricompattato il centrosinistra"; a tal punto, spiega Mastella con discutibile sarcasmo, che la maggioranza "blindata" che in questi giorni sta votando al Senato "non è bulgara, ma romena...". Sulle mosse di Fini in tema di sicurezza torna anche Francesco Storace, leader de "la Destra", con un intervento altrettanto provocatorio: "Fini fa leva sui temi forti in tema di sicurezza? Sì ma i sondaggi non lo schiodano dal voto che gli viene attribuito. Però è legittimo. Bisogna decidersi: si può anche decidere di togliere il pane all’immigrato dopo che gli si è promesso il voto e il Corano nelle scuole. Ma questo è problema dell’on. Fini non nostro. Noi siamo coerenti. Noi camminiamo sempre sulla stessa retta via senza zigzagare da un lampione all’altro". Registrato il barcamenarsi più o meno palese della Cdl, rappresentato dalle accuse rivolte al Governo di aver ceduto al "diktat" della sinistra, lasciando così intendere in un primo tempo che non ci sono le condizioni per un voto bipartisan sul provvedimento, poi non chiudendo la porta a tale ipotesi ("Stiamo decidendo - ha detto Berlusconi -: se verranno accettate certe modifiche potrebbe essere anche che lo voteremo, stiamo lavorando"), nel corso di un vertice a Palazzo Madama per discutere di legge elettorale, è lo stesso Veltroni a introdurre di nuovo il tema sicurezza, seduto al fianco del ministro dell’Interno Amato, che già aveva comunicato il ritorno dal "giudice di pace" al giudice monocratico proprio per decidere eventuali espulsioni. Veltroni non dimentica "la tragedia che ha sconvolto l’opinione pubblica", convinto del fatto che "un governo che senta il sentimento dell’opinione pubblica faccia bene a farlo. Quindi quello che ha fatto il governo quella sera (quando il Cdm straordinario decise di varare un decreto legge nonostante fosse già stato licenziato il giorno prima un pacchetto di 5 disegni di legge, n.d.r.) è assolutamente giusto e concordo con quanto ha detto ora Giuliano Amato: ciò che conta del decreto è il corpo delle norme, che sono serve e rispettose della direttiva europea; sono norme che si possono applicare e che si stanno già applicando, e le correzioni che verranno fatte non modificano la sostanza dell’ispirazione che ha mosso il governo ad emanarle. Se le norme troveranno un consenso più ampio sarà un bene". A conti fatti, chi forse rende meglio la posizione critica all’interno di alcuni settori della coalizione dell’Unione rispetto al decisionismo del sindaco-leader, appare essere l’ex candidata alle primarie del 14 ottobre Rosy Bindi, che riferendosi alle parole del primo cittadino capitolino di questi e dei giorni scorsi, precisa che "di fronte al montare di posizioni xenofobe e violente, la nostra risposta non può essere banalmente dire che la sicurezza non è né di destra né di sinistra. La nostra impostazione deve sapere realizzare legalità e solidarietà. Altrimenti - aggiunge - finiamo per legittimare le ronde di chi vuol farsi giustizia da solo". La fine della prossima settimana è il tempo utile per presentare gli emendamenti, in attesa di fissare una calendarizzazione del voto. Giustizia: Dante Pomponi; quale politica per una società civile
Aprile on-line, 9 novembre 2007
Intervista a Dante Pomponi, assessore alle periferie e lavoro di Roma. La polemica alla fine è uscita fuori, grazie alla solerzia dei giornalisti parlamentari di un paio di quotidiani. Lo scontro verbale tra Walter Veltroni e Gennaro Migliore, avvenuto nei meandri di Montecitorio ("Avete detto che è colpa mia, che non so governare le persone, ma guarda che c’è un assessore che si occupa di queste aree ed è vostro", così Veltroni rivolto a Migliore"), ha coinvolto indirettamente Dante Pomponi, del Partito della Rifondazione comunista, assessore alle periferie e lavoro di Roma. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.
Dunque assessore, è stato direttamente chiamato in causa... "Credo che invece di parlare di queste cose sia meglio parlare di cose più concrete...
Siamo pronti… Allora innanzitutto usciamo dal binomio periferie-metropoli, come avviene in Europa, e discutiamo di trasformazioni culturali e sociali, di come cambiare la fisionomia di una città, evitando di suddividerla in periferia e centro. Una metropoli come Roma è ora che raggiunga un tale elemento di valutazione.
Ma non le pare che le periferie continuino malgrado tutto a rivelarsi tali? Proviamo a pensare alle periferie negli anni passati: luoghi in cui i nostri migranti del sud facevano le baracche al posto dei romeni di oggi. L’urbanizzazione dei luoghi è un intervento divenuto irrinunciabile, e in questo senso rimane importante la realizzazione delle piazze, intese come luoghi d’incontro e di socialità, unita alla partecipazione dell’amministrazione alla creazione di settori sociali, che spesso portano in sé una domanda di riscatto.
Dice davvero? Guardi, negli ultimi anni abbiamo assistito nei luoghi cosiddetti periferici a un proliferare di comitati , associazioni, richieste di partecipazione; e credo che oggi bisogna avere questa idea dinamica della città intera, non soltanto di una sua parte. Una città caratterizzata dalla partecipazione, dall’incontro interculturale, sociale, religioso, soprattutto tra generazioni diverse. Mi viene in mente la scuola, quale luogo ideale d’incontro come frequentazione assidua, dove i ragazzi non sembrano avere tutti questi problemi di integrazione rispetto ai loro genitori. La città deve essere questo, cercando di eliminare le contraddizioni che la città stessa presenta.
Siamo d’accordo. Ma la collaborazione tra lei e la giunta Veltroni come va? Faccio un esempio pratico, quello di "Altra economia", una città d’incontro tra "diversi", punto di riferimento soprattutto per i minori non accompagnati. Con Veltroni abbiamo fatto molte cose, che non sto qui a elencare per dire quanto siamo stati bravi. Ma Veltroni in questa specifica situazione che viviamo nel nostro paese credo debba essere considerato attraverso una proiezione diversa rispetto a quella di sindaco di Roma. Per quanto ci riguarda, noi come Rifondazione con il segretario romano abbiamo rinnovato la nostra fiducia e la volontà di partecipazione a questa giunta. In fondo, anche noi siamo una coalizione di "diversi". E bisogna trovare punti d’incontro.
Resta il fatto che in alcune zone della città si respira un’aria molto pesante, e una certa destra, quella di Forza nuova per intenderci, non esita certo a soffiare sul fuoco di un giustificato malcontento popolare. Come si può arginare questo tipo si situazione? Mah, intanto dico che dal mio punto di vista sono molto meno razzisti i cittadini dei politici, che vogliono organizzare le ronde. Certo ci troviamo di fronte a un cammino lungo e faticoso. Dobbiamo avere il coraggio, e mi riferisco in maniera specifica alla sinistra, di rinnovare un confronto diretto con i cittadini sui valori, affrontando il conflitto socio-culturale in atto in maniera decisa, senza diaframmi. Incontrare le persone, e se ti contestano, coltivare quotidianamente la capacità di dialogare, tenendo presenti in particolare le giovani generazioni, dicendo loro che il problema della convivenza si può risolvere anche incontrando gli altri, e non soltanto caricandoli sugli autobus che li riportano a casa. Giustizia: Ferrero; sicurezza non vuol dire espulsioni di massa
Dire, 9 novembre 2007
"Sicurezza non significa espulsioni di massa e indiscriminate come vorrebbe la destra. Per questo è giusto modificare il decreto". Lo afferma, in una nota, il ministro della solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, secondo il quale la sicurezza "si costruisce perseguendo i criminali e costruendo le condizioni per l’inclusione sociale di quanti vivono e lavorano nel nostro paese". Per il ministro, quindi, sicurezza non significa, invece, in alcun modo sparare nel mucchio, o sostenere espulsioni di massa e indiscriminate come continua a fare con la consueta demagogia la destra. Per questo - ribadisce - è importante operare nel decreto votato dal Cdm le modifiche che abbiamo già chiesto nei giorni scorsi". Giustizia: Arci; cambiare rotta su nomadi, carcere e droghe
Redattore Sociale, 9 novembre 2007
Il seminario per i 50 anni dell’Arci è proseguito oggi con una sessione intitolata "Diritti, generi e generazioni". La chiusura dei campi rom? "Avvenne lo stesso con i manicomi". Tossicodipendenze, "superare la Fini-Giovanardi". Il seminario nazionale per i 50 anni dell’Arci è proseguito questa mattina con la seconda sessione intitolata "Diritti, generi e generazioni". I temi trattati: giustizia e carceri, salute mentale, dipendenze, infanzia e adolescenza, politiche di genere. Hanno partecipato alcuni rappresentanti delle sedi regionali Arci ed esperti del settore. Tra gli interventi, Maria Grazia Giannichedda, presidente della Fondazione Franco Basaglia, ha ragionato sul ruolo del welfare nelle politiche sulla salute mentale, "che non deve essere compassionevole, ma fare sì che le politiche sociali agiscano assieme a quelle di sviluppo". Giannichedda ha portato la propria esperienza sulla modalità di chiusura dei manicomi, avvenuta in passato, comparandola con alcune realtà odierne. "Quando vennero chiusi i manicomi, alcuni vennero lasciati morire. Si parlava delle persone che ne uscivano come di residuo manicomiale: è un po’ quello che succede oggi con gli sgomberi dei campi rom. Non si può chiedere ad un territorio di sopportare un problema se non si dà alla gente un motivo valido per farlo. Basaglia diceva: noi abbiamo violentato una città rovesciandole addosso quello che c’era nel manicomio, ma noi eravamo lì per gestire le conseguenze. Questo significa che quando si fa uscire una persona, bisogna essere lì, e assumersene la responsabilità: è una libertà socialmente costosa". Alla collettività che viene coinvolta in un problema bisogna quindi portare delle risorse speciali, una contropartita di valore molto alto. Ed è a questo punto che entra in gioco il ruolo dei luoghi d’incontro, a livello locale, che vanno creati soprattutto nelle situazioni di conflitto, per rendere una convivenza possibile. Di dipendenze ha parlato invece Marco Solimano, dell’Arci di Livorno, seguito dall’intervento di Susanna Ronconi di Forum Droghe. Al centro della discussione la legge Fini-Giovanardi, ancora in vigore ma che va superata, anche considerato il numero delle persone che coinvolge: i consumatori di cannabis, per esempio, sono 7 milioni. Tre sono gli obiettivi principali, ha dichiarato Solimano: il superamento della Fini-Giovanardi; creare uno strumento che fornisca un’informazione corretta sui consumi; realizzare una cultura più ampia nei circoli associativi, spesso frequentati da consumatori, e spesso privi di risorse adeguate per creare un confronto. Sulla cultura in questo ambito ha insistito anche Susanna Ronconi di Forum Droghe: "Rischiamo di vedere il tema droghe riferito alla sfera penale o medico, quindi illegalità e devianza. In questo contesto è difficile costruire una cultura, bisogna produrre un altro tipo di visione; civilizzare le droghe, oggi si parla di guerra". Sul tema carceri è intervenuto Franco Uda, Arci Sardegna, seguito dalla testimonianza di Vincenzo Petralla, dirigente dell’Amministrazione Penitenziaria. Bisogna fare in modo che le persone non si chiudano nel privato per paura, ha raccontato Uda, creando "conflitti orizzontali", cioè guerre tra poveri; recuperare l’associazionismo, mettere insieme le persone, perché questo porta a maggiore sicurezza; e poi raccontare alla società la sua azione sul territorio, perché il carcere, invocato come rimedio di tutti i mali, non è l’unica soluzione. Giustizia: Coisp; ci sembra di essere su "scherzi a parte"
Ags Media, 9 novembre 2007
Il Coordinamento per l’Indipendenza Sindacale delle Forze di Polizia: "Non fateci pensare che per questo Governo la sicurezza può attendere". "Oramai da tempo assistiamo a deprecabili scherzi sulla sicurezza". Lo dichiara il Segretario Regionale Coisp (Coordinamento per l’Indipendenza Sindacale delle Forze di Polizia) per la Sardegna, Gilberto Pisu. "Due sere fa - spiega il rappresentante sindacale - Fassino, si era detto disposto ad accogliere alcuni emendamenti restrittivi proclamando che "la sicurezza dei cittadini è più importante di qualsiasi equilibrio politico". Da attenti osservatori - prosegue Pisu - abbiamo visto com’è finita: lo hanno mandato in Birmania. Lo stesso dicasi per il sindaco Veltroni, nel confronto a Ballarò con Casini, si era impegnato per una linea dura ed invece è finita, come sempre, col solito compromesso al ribasso, che trasforma la sicurezza del Paese in un dettaglio insignificante". "Assistiamo - aggiunge - anche alle costrizioni di alcuni nei confronti di un governo costretto a recitare la litania dell’ovvio: la responsabilità penale è personale, non si rimpatriano etnie ma singoli, il decreto può essere modificato visto che è stato scritto in fretta eccetera, eccetera. Il risultato è che i prefetti di fatto non avranno più il potere di espellere gli stranieri pericolosi, visto che dovranno sottoporre la loro decisione a un giudice monocratico, e si sa bene qual è l’orientamento rispetto all’immigrazione clandestina: la legge Bossi-Fini è stata molto spesso disapplicata, proprio a causa delle eccezioni di incostituzionalità. Il risultato di questa operazione sarà sconfortante, anche per noi poliziotti, in balia ai molteplici atteggiamenti di chi, tra l’altro, mal comprende un servizio così delicato quale quello rivolto all’ordine e alla sicurezza pubblica. Increduli assistiamo anche alle dichiarazioni di ieri del ministro Santagata - entro dicembre saranno rimpatriati cento detenuti romeni. E poi si prevede di poterne trasferire altri 230 nel corso del 2008". "Tutto qui… - conclude Pisu - incomprese le vertenze di questi giorni, manifestate da centinaia di poliziotti in piazza, per le scarse risorse di uomini e mezzi; per le scarne disponibilità di posta in bilancio finanziario; per la totale assenza di una previsione di aumento salariale. Non fateci pensare che per questo Governo la sicurezza può attendere". Giustizia: assistenti sociali rilanciano le misure non detentive
Il Velino, 9 novembre 2007
"Rilanciare le misure alternative alla detenzione e affidarne la titolarità agli assistenti sociali. È quanto ha chiesto oggi il Consiglio dell’ordine degli assistenti sociali, bocciando una delle proposte di riforma della Giustizia varate dal governo, che prevede l’inserimento della Polizia penitenziaria nell’attività degli Uffici di servizio sociale per l’esecuzione penale esterna. L’argomento è stato al centro della conferenza nazionale indetta dal Consiglio dell’ordine degli assistenti sociali sulle misure alternative alla detenzione, incontro cui hanno partecipato, oltre agli assistenti sociali, alcuni rappresentanti del ministero della Giustizia, i dipendenti degli uffici di esecuzione penale esterna del ministero stesso, sindacati e associazioni di volontariato del settore penitenziario. Punto chiave dell’incontro è stato la proposta di riforma, avanzata dal ministero di Giustizia, di inserire nell’attività degli Uepe la Polizia penitenziaria. Una proposta, questa, alla quale gli assistenti sociali dicono decisamente no, in quanto, come afferma Gloria Pieroni, assistente sociale Uepe di Siena, "sarebbe una soluzione negativa e controproducente". Il tema delle misure alternative alla detenzione si inserisce nel caldo dibattito sul pacchetto di sicurezza che in questi giorni impegna il governo e vede scontrarsi due diverse esigenze: quella dei cittadini che chiedono maggiore sicurezza, e quella del servizio sociale che mira alla ricostruzione dei legami sociali e personali di chi è condannato. Le forme penali alternative sono in vigore dal 1976 e da allora hanno avuto effetti significativi sui condannati (si parla solo del 19 per cento dei casi di recidiva, contro il 68 per cento di chi non è stato fruitore di pene alternative). Sono prescritte dalle ordinanze del Tribunale di Sorveglianza e vanno dalla detenzione domiciliare, alla libertà vigilata, alla semilibertà, all’affidamento al servizio sociale. Questo in particolare "si basa sul reinserimento sociale del condannato", come specifica Pierani, ed è la forma di esecuzione penale più "aperta", poiché scontata completamente all’esterno della struttura carceraria. Prevede il ruolo fondamentale del servizio sociale che segue da vicino il condannato nel suo processo di reinserimento nella comunità. "È un controllo sostanziale che prende in considerazione tutta la condotta del detenuto", come spiega Alessandro Margara, della Fondazione Michelucci. Quest’attività si scontrerebbe con quella della Polizia penitenziaria che attuerebbe un controllo di tipo "formale" perché non prenderebbe "in considerazione il percorso compiuto dal detenuto". Inoltre "la presenza della Polizia penitenziaria", sempre secondo Margara, non farebbe altro che rimarcare "lo stato di detenzione di quella persona". Per questo motivo la vicepresidente Franca Dente, a nome dell’Ordine degli assistenti sociali, "chiede il potenziamento degli uffici territoriali dell’Uepe, piuttosto che l’inserimento della Polizia penitenziaria". E rispondendo alla proposta del ministero della Giustizia Fiorella Cava, presidente dell’Ordine, sottolinea: "Diciamo sì all’ammodernamento del sistema giustizia ma chiediamo di non dimenticare che tutto questo passa anche attraverso le sanzioni e le misure non detentive. Esse vanno potenziate attraverso maggiori risorse e un aumento dell’organico degli assistenti sociali cui va assicurata la centralità e la titolarità del trattamento". Cagliari: Buoncammino è un inferno... ma fuori è il deserto
Il Sardegna, 9 novembre 2007
Il 60 per cento dei detenuti a Buoncammino soffre di gravi problemi psichiatrici dovuti al consumo massiccio di droga unito all’abuso di alcool. Il direttore: "Sono figli sbandati della nostra città. Per loro la società non offre strutture alternative". Al Capone non abita qui. E neppure banditi eccellenti, con le braccia tatuate per ingannare il tempo infinito in galera. L’umanità che sconta gli errori del passato dietro le grate del carcere di Buoncammino ha gli occhi sbarrati e le braccia molli, le ossa e i muscoli consumati dalla droga, il cervello mangiato dagli acidi che gli fa alternare momenti di estasi allo sconforto più cupo. Va e viene dall’infermeria, spesso dipendente dell’assistenza che arriva dall’esterno grazie alla collaborazione con i reparti di Psichiatria e Infettivi dell’ospedale Santissima Trinità, sogna il metadone e in alcuni casi spera in qualche grammo di marijuana che i visitatori ogni tanto cercano di far passare all’interno, nascosto tra cibi e altri piccoli regalini per i detenuti. Ma che puntualmente viene scoperto e sequestrato. Giovani e adulti finiti dentro in gran parte per piccoli reati: danneggiamenti, furtarelli da pochi euro, maltrattamenti in famiglia, spaccio. In gran parte affetti da disturbi della personalità tali da essere pericolosi per la società e che per questo vivono in cella. "Sono figli sbandati della nostra città", per il direttore della casa circondariale, Gianfranco Pala, che ai detenuti di Buoncammino guarda quasi con benevolenza e che, nonostante il via vai continuo tra nuovi ingressi e scarcerazioni, cerca il più possibile di conoscere personalmente ognuno che varca il portone di ferro. "Per molti di loro - osserva - il vero problema è che non c’è alternativa al carcere, la società non offre altre strutture, la possibilità di scelta". Per dar forza alle sue parole snocciola qualche cifra. Sono circa 350 i detenuti attualmente rinchiusi a Buoncammino, dei quali almeno il 60 per cento soffre di problemi psichiatrici gravi, in gran parte conseguenti all’uso massiccio di droghe combinate all’abuso di alcool. Almeno 140 detenuti hanno l’epatite, 130 si sono dichiarati tossicodipendenti e sono seguiti costantemente dai medici del Sert, in quaranta casi le turbe psichiche sono in fase acuta. "È chiaro che per questa gente la comunità non può funzionare", commenta ancora Pala. "Sono soggetti pericolosi che hanno vissuto di microcriminalità e che spesso non hanno ancora maturato l’idea di dover uscire dal tunnel della droga, che non hanno la benché minima intenzione né la forza di cambiare vita". Ma se la loro destinazione non può essere una comunità di recupero, per il direttore non è neppure giusto che vengano "dimenticati" in carcere. "Bisognerebbe pensare a strutture alternative, magari ugualmente coercitive, ma dove possa essere pensato anche un programma di recupero", aggiunge ancora Pala. "Anche le famiglie di appartenenza spesso non sanno cosa fare o non vogliono fare nulla. Attivano quasi un processo di rimozione". Proprio la sensazione, o anche la consapevolezza, di non avere un paracadute all’esterno, è alcune volte la molla che porta a atti di autolesionismo o al suicidio. "Da noi fortunatamente i suicidi sono pochissimi - conclude il responsabile di Buoncammino-. In genere sono legati all’avvicinarsi della scarcerazione. La paura di essere soli prende il sopravvento". Perugia: An; diritti per i detenuti, ma anche per gli agenti
Ags Media, 9 novembre 2007
"Il carcere di Capanne ha una buona gestione. Ad oggi non ci sono problemi di soprannumero, tanto che la gestione dei turni risulta abbastanza agevole. Ma il problema si presenterà con l’imminente apertura del nuovo braccio, per il quale si prevede il fabbisogno di altri 100 agenti". Così il capogruppo di Alleanza nazionale Franco Zaffini che oggi ha fatto visita al penitenziario perugino dove ha anche voluto incontrare - come specifica in una nota - l’agente in servizio la notte in cui è morto il detenuto Aldo Bianzino per esprimergli la propria "solidarietà umana e quella del gruppo di Alleanza nazionale". Nel corso della visita, accompagnato dal direttore e dal vice comandante dell’Istituto, il capogruppo di An è stato informato che nel carcere ci sono attualmente 210 detenuti, di cui 35 donne, a fronte di un organico di 200 agenti distribuiti nei vari turni."I detenuti - fa sapere Zaffini - sono, per il 75 per cento stranieri e per il 55 per cento tossicodipendenti, e la maggior parte di loro non ha neanche i soldi per le sigarette. Sono persone senza un lavoro e spesso è questo il motivo del loro delinquere. La cosa - commenta - dovrebbe far riflettere sulle politiche di integrazione portate avanti senza criterio e senza assicurare la discriminante del lavoro, che dovrebbe essere essenziale per l’ingresso e la permanenza degli stranieri". L’esponente del centrodestra, oltre a sottolineare la "buona gestione" dell’Istituto, informa anche che "a fine dicembre dovrebbe disporre del nuovo centro clinico, realizzato per una capacità di 30 posti. "La direzione - dice - attende con ansia l’apertura del centro perché, finalmente, potranno essere evitati tutti i pericoli causati da un’assistenza sanitaria che non può usufruire di strutture interne. Attualmente anche per lievi problemi di salute si fa ricorso alle strutture pubbliche". Riguardo alla recente "sciagurata morte del detenuto Aldo Bianzino", Zaffini sottolinea, nella nota, "la serenità con cui l’Istituto sta affrontando tutte le procedure di indagine, fattore positivo che non lascia adito a dubbi sulla serietà del lavoro della polizia penitenziaria. Credo necessario però - aggiunge - esprimere la completa solidarietà all’agente in servizio quella notte, destinatario di un avviso di garanzia, forse atto dovuto, ma non meritevole di tutto il polverone che è stato alzato soprattutto dai media". "La storia di Capanne - commenta - è costellata di episodi problematici le cui conseguenze sono sempre ricadute esclusivamente sull’agente, anello debole della catena del mondo penitenziario. Credo che in questi frangenti - dice - si debba invece lasciare il passo a chi ha la competenza di indagare e attenderne i risultati, evitando la superficialità del giudizio comune ( proveniente anche da esponenti politici della sinistra radicale) e l’isolamento di chi lo subisce. È importante - aggiunge - ricordare che nelle carceri non ci sono soltanto i diritti dei detenuti, che per stare dentro hanno evidentemente violato i diritti di qualcun altro. La vita penitenziaria è fatta anche del lavoro di persone che hanno scelto di stare dove pochi vorrebbero lavorare, e che per questo meritano rispetto e considerazione". L’esponente di An - è scritto nella nota - richiama anche l’attenzione su un’esigenza già altre volte da egli stesso sottolineata e per cui oggi è stato "nuovamente sollecitato dalle suore del Gesù Redentore che si occupano del sostegno alle detenute e ai loro bambini. Il carcere di Capanne - denuncia - a tutt’oggi non può ancora usufruire di un soddisfacente servizio di trasporto pubblico. Dalle 9 di mattina alle 19 di sera passa un autobus ogni ora, la cui fermata tra l’altro è troppo distante dall’Istituto. I visitatori, gli operatori, chiunque si rechi a Capanne quotidianamente, - fa sapere - spesso con carichi pesanti e con bambini, sono costretti a percorrere la distanza a piedi, un viavai continuo di malcapitati che ha tracciato una vera e propria mulattiera. Non credo - conclude il capogruppo Zaffini - che per gli efficientissimi e ultramoderni servizi di trasporto pubblico dell’Umbria, sia così difficile trovare il modo di fissare il capolinea davanti all’Istituto e magari aumentare le corse" Lecce: ispezione al reparto detenuti dell'ospedale "Fazzi"
Ansa, 9 novembre 2007
L’assessore all’igiene, sanità, randagismo e qualità della vita Alfredo Pagliaro si è recato ieri in sopralluogo presso il reparto speciale che ospita i detenuti all’ospedale "Vito Fazzi", a seguito di alcune lamentele pervenute da parte dei familiari degli stessi. Il reparto, costituito da tre stanze, di recente ha subito interventi di manutenzione ed in particolare di imbiancatura delle pareti e di ripristino a norma di legge dei bagni e del cucinotto. Si è ora in attesa di predisporre il funzionamento delle telecamere ed altre suppellettili di cui è stata fatta richiesta da parte degli operatori della Casa circondariale di Lecce. Per quanto riguarda altri problemi evidenziati, compreso l’oscuramento dei vetri delle stanze, l’Assessore ha riscontrato la disponibilità di provvedere alla loro risoluzione, entro pochi giorni, da parte della Asl, della quale evidenzia la sempre proficua collaborazione. L’iniziativa segue quella del sindaco Paolo Perrone che poche settimane fa ha sollecitato il Commissario Rodolfo Rollo ha verificare la situazione del reparto in seguito ad analoghe segnalazioni su presunte carenze nell’espletamento dei servizi infermieristici, degrado e sporcizia e ritardi nella manutenzione straordinaria della struttura. Napoli: convegno dei medici cattolici su umanizzazione pena
Il Mattino, 9 novembre 2007
Domenica prossima, 11 novembre 2007 (ore 11), nella sede dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (Amci), sez. San Luca di Napoli (presso la Casa di esercizi spirituali Sant’Ignazio, sita in Napoli in via S. Ignazio di Loyola 51, Cappella Cangiani), si svolgerà un incontro-dibattito sul tema "Umanizzazione della pena e tutela della salute". Presiede e modera: prof. Aldo Bova (dirigente nazionale Amci e presidente Amci San Luca). Relatori: prof. Raffaele Pempinello, direttore dell’Unità Operativa Complessa "Malattie infettive e sezione detenuti" dell’ospedale "Cotugno"; dott. Salvatore Acerra e suor Lidia Schettino, rispettivamente direttore e assistente sociale della Casa circondariale di Poggioreale. L’incontro, preceduto dalla Santa messa celebrata dall’assistente spirituale padre Vincenzo Pezzimenti alle ore 10, rientra nel quadro degli impegni dell’anno sociale 2007-2008 dei medici cattolici napoletani che si riuniscono ogni mese, con il coinvolgimento degli aderenti all’Amci di tutta la Campania. Palermo: sanità penitenziaria, chieste più cure per i detenuti
La Sicilia, 9 novembre 2007
Tutelare il diritto alla salute al di là della condizione di libertà del paziente, studiare metodi che possano facilitare la continuità terapeutica anche fuori dal carcere; ed ancora, aiutare i detenuti stranieri malati che non hanno alcun documento di identità. Questi i temi che saranno affrontati domani a Castello Utveggio nel corso del convegno "La Medicina penitenziaria, le epatiti virali e l’Aids: una possibile gestione integrata". Secondo uno studio condotto dall’Istituto superiore di sanità, il detenuto affetto da Aids ha appena 30 anni, nell’81% dei casi è italiano e nel 50% dei casi ha contratto il virus perché tossicodipendente, nel restante 50% dei casi perché ha avuto rapporti non protetti, o perché ha fatto dei tatuaggi oppure delle trasfusioni. "Il diritto alla salute - spiega il professore Tullio Prestileo, dirigente medico alla divisione malattie infettive dell’ospedale Casa del Sole - deve essere garantito a tutti, anche ai detenuti che, ancora oggi, non sono obbligati a sottoporsi al test dopo avere varcato il cancello del carcere". In questo quadro si inserisce una convenzione con la Casa del Sole che permette ai detenuti che soffrono di una malattia infettiva, di recarsi in visita ogni venerdì, previa richiesta alla direzione penitenziaria. "Questo - spiega ancora Prestileo - ci permette di seguire regolarmente i pazienti detenuti che nel 70% dei casi, tornano per continuare le cure anche dopo essere tornati in libertà". Prestileo spiega anche che la Casa del Sole segue un centinaio di detenuti tra Agrigento, Palermo e Trapani. "Il 50% - conclude - è affetto da infezione da Hiv, l’altra metà ha avuto invece diagnosticata un’epatite virale cronica". L’attenzione è rivolta anche ai detenuti stranieri senza documento per i quali la legge prevede il rilascio di un documento "Stp" (straniero temporaneamente permanente) che garantisce il diritto alle cure. Bologna: un "negozio" per l’artigianato dei ragazzi dell’Ipm
Redattore Sociale, 9 novembre 2007
Si chiama "Lavorare stanca" e apre in via del Pratello a fianco all’istituto penale. La mostra-mercato riapre, dopo una pausa dettata dalla mancanza di fondi, grazie alla collaborazione con due associazioni bolognesi. Un "negozio" per rendere visibile l’artigianato artistico realizzato dai ragazzi del carcere minorile e che magari apra loro una strada professionale. Si chiama "Lavorare stanca" (dall’omonimo romanzo di Cesare Pavese) ed è il "nuovo" punto espositivo che inaugurerà in via del Pratello, proprio di fianco all’istituto penale minorile di Bologna, più o meno all’altezza del civico 32, il 24 novembre alle 16. "Nuovo" si fa per dire: la mostra-mercato degli oggetti realizzati dai ragazzi detenuti, infatti, aveva già aperto i suoi battenti nel ‘94 per poi chiuderli nel ‘99 per mancanza di fondi, volontà e volontari. A rendere possibile la riapertura di "Lavorare stanca" è stata la collaborazione delle associazioni Terra Verde, che dal 2000 gestisce i laboratori creativi all’interno del carcere minorile, e Uva Passa (Unione volontari al Pratello associazione d’aiuto), dell’Istituto d’arte di Bologna, i cui studenti hanno lavorato tutto lo scorso anno scolastico insieme a una cinquantina di ragazzi detenuti, e la donazione di 3.500 euro che il Garante per i diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna ha ricevuto dallo scomparso Domenico Maracino, candidato sindaco alle scorse elezioni e fondatore del circolo culturale Iqbal Masiq. Il negozio, il cui costo si aggira intorno ai 6.000 euro, sarà aperto per due pomeriggi la settimana, il mercoledì e il sabato, dalle 16 alle 20 circa. L’obiettivo del progetto è duplice: "se da una parte si vuole costruire un ponte tra dentro e fuori, tra il carcere minorile e il resto della città, dall’altra invece si vogliono creare percorsi per un futuro avviamento al lavoro dei ragazzi detenuti", spiega la vicesindaco con delega alle Politiche sociali Adriana Scaramuzzino. "L’idea dei laboratori, infatti, è quella di offrire un’attività qualificante e qualificata, propedeutica all’inserimento professionale", dice Teresa Sirimarco del Centro giustizia minorile dell’Emilia-Romagna, e che sia al tempo stesso fonte di "impegno, responsabilità, socializzazione e autostima: tutte cose che i ragazzi detenuti non hanno mai incontrato prima" d’ora. "Si parla tanto di carcere ma quasi mai di quello minorile - commenta la Garante per i diritti delle persone private della libertà personale Desi Bruno -. Invece è importante nell’ottica del reinserimento sociale di giovani che hanno tutta una vita davanti". E tra gli scopi di "Lavorare stanca" c’è anche quello di far uscire i minorenni dal carcere, naturalmente con l’autorizzazione del magistrato e accompagnati da un educatore, sia per far vedere loro che fine fanno gli oggetti di artigianato artistico che realizzano sia per farli vestire i panni del commesso di un negozio almeno per qualche ora e con la speranza che in futuro possa comunque diventare un vero impiego. "Smentisco il dato uscito in questi ultimi giorni secondo cui i reati più gravi sono commessi da stranieri, almeno per quanto riguarda gli istituti penali minorili, compreso quello bolognese - commenta Paola Ziccone, direttrice del carcere del Pratello -. I reati più gravi, quelli contro la persona, sono commessi da ragazzi italiani, non da giovanissimi immigrati". Nel primo semestre del 2007 sono stati 72 gli ingressi effettivi nel carcere minorile di Bologna (e per circa l’80% si è trattato di ragazzi stranieri, di cui oltre il 50% in Italia da soli); la permanenza media è stata di circa 40 giorni, mentre per quanto riguarda l’età il discorso si fa più generale: di norma hanno più di 16 anni i minori italiani, mentre i ragazzini immigrati sono un po’ più piccoli. E visto che la maggior parte dei detenuti del Pratello sono stranieri, la garante Desi Bruno ha sollevato anche un altro problema oltre a quello dell’inserimento socio lavorativo: quello dei permessi di soggiorno "per questi ragazzi", una volta raggiunta la maggiore età. "Spero che il ddl Amato-Ferrero possa risolvere positivamente questa questione", ha aggiunto. Pistoia: convegno per un confronto sull’inclusione sociale
In Toscana, 9 novembre 2007
Un convegno per fare il punto sulle cooperative sociali di tipo B, luoghi privilegiati per i percorsi di integrazione delle persone che vivono condizioni di disagio. Si tiene nel pomeriggio di oggi, venerdì 9 novembre, nella Sala Maggiore del Comune di Pistoia, un convegno dal titolo "Inclusione sociale e lavorativa: esperienze a confronto". L’incontro prevede la partecipazione del sindaco Renzo Berti, che aprirà i lavori e dell’assessore alle Politiche Sociali, Stefano Cristiano, che introdurrà e coordinerà gli interventi di Alfio Baldi (assessore alle Politiche Sociali del Comune di Livorno), Don Alessandro Santoro (parroco della Comunità Le Piagge di Firenze), Daniela Gai (assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Pistoia) e Andrea Friscelli, (presidente della cooperativa La proposta di Siena). Questa iniziativa è inserita all’interno di un programma in cui il Comune di Pistoia si è impegnato da tempo per promuovere dei percorsi di inclusione sociale e lavorativa, individuando principalmente nella cooperazione sociale lo strumento fondamentale per "produrre" inclusione. Le cooperative sociali di tipo B diventano, quindi, i luoghi privilegiati per i percorsi di inclusione lavorativa e costituiscono lo strumento fondamentale per l’integrazione sociale di tutti quei soggetti (minori a rischio, detenuti ed ex detenuti ammessi alle misure alternative al carcere, invalidi civili, persone con disagi mentali, ex tossicodipendenti, portatori di handicap) che altrimenti resterebbero ai margini della società. In questi anni il Comune ha promosso diverse azioni dirette al rafforzamento della cooperazione sociale di tipo B presente sul territorio pistoiese, creando occasioni di confronto con tutte le realtà coinvolte sui temi delle politiche attive del lavoro e con coloro che operano a favore dell’inserimento lavorativo di persone in situazione di svantaggio sociale. I settori principali d’intervento di queste cooperative vanno dalle attività florovivaistiche, di pulizie, raccolta differenziata, a quelle di tipo artistico-teatrale-musicale. Le cooperative di tipo B presenti nel Comune di Pistoia sono: Cooperativa Agricola Giovani, Città Aperta, Onlus Don Chisciotte, S.L, G.P (Gestioni Pratiche), Prod.84, Il Poeta, Il Seminatore, Gulliver, In Cammino, Sun e Service. Milano: a San Vittore chiude il concorso letterario Casalini
Adnkronos, 9 novembre 2007
Il carcere di San Vittore ospiterà, il 13 novembre, la cerimonia conclusiva del VI Premio "Casalini", concorso di poesia e prosa riservato ai detenuti delle carceri italiane. A fare da madrina, ma anche da interprete di alcune poesie e racconti, sarà l’attrice Veronica Pivetti. Non tutti sanno che, la comunità esterna, offre una preziosa ed insostituibile collaborazione all’amministrazione penitenziaria attraverso l’impegno di oltre 8.000 volontari e operatori del sociale, che partecipano e promuovono attività di sostegno, sia culturali, che formative, lavorative e di vario genere, all’interno dei 205 istituti penitenziari italiani. La proposta del Premio Letterario Nazionale "Emanuele Casalini", promosso da Unitre e Società di San Vincenzo De Paoli, s’inserisce a pieno titolo in questo quadro e riesce a coinvolgere parecchie centinaia di detenuti che, con i loro scritti, raccontano i loro drammi personali, racchiusi in quel mondo inaccessibile che si chiama carcere e in quello ancor più segreto del loro animo. Padova: l’ex bandito Mesina apre un'agenzia immobiliare
Il Gazzettino, 9 novembre 2007
Graziano Mesina, Raniero Erbì, Damiano Longhi. L’ex bandito sardo tornato in libertà con la grazia dopo quarant’anni, l’ex capoposto del carcere Due Palazzi finito nei guai per la clamorosa evasione di Felice Maniero nell’estate del 1994, l’ex calciatore capitano del Padova dell’ultima storica promozione in serie A. Cosa li unisce? La "11 Mori", racconta Panorama in edicola, una società che a partire dal mese prossimo si occuperà di affari immobiliari e turismo e che avrà sede in provincia di Padova, a Roncaglia di Ponte San Nicolò. A unire i tre è anche la passione per il calcio (l’11 è un omaggio a Gigi Riva, il bomber del Cagliari campione d’Italia nel 1970 amico di Mesina) e l’amore per la Sardegna. "L’idea è venuta a me e Raniero Erbì - spiega Damiano Longhi, oggi allenatore di una squadra di calcio dilettantistica -. È da tre anni che militiamo nella stessa formazione di over 40. È lì che è nata l’amicizia tra di noi. Poi, un anno fa, abbiamo pensato di entrare in affari assieme. Lui ha già un’agenzia immobiliare, dunque è già inserito nel settore". E Mesina? "L’ho incontrato un paio d’anni fa in Sardegna. Devo ammettere che il primo impatto è stato un po’ particolare ma poi, conoscendolo, ho avuto modo di apprezzarlo sotto il profilo umano. Del suo passato io non giudico niente, per quel che ha fatto ha pagato. E, personalmente, per me è stata una gratificazione che si sia aperto nei miei confronti visto che non sono nemmeno sardo. Tante, infatti, sono le persone che lo avvicinano, molte con l’obiettivo magari di guadagnarci qualcosa sfruttando il personaggio. Lui voleva fare l’imprenditore e noi gli abbiamo proposto un progetto che ha deciso di abbracciare". Non è ancora certa la data dell’inaugurazione che sarà, comunque, di sicuro entro la fine del mese. E quel giorno ci saranno lo stesso Mesina ma anche Gigi Riva e un altro campione di quel Cagliari degli anni Settanta, il brasiliano Nenè che da allora non ha più lasciato l’Italia. "L’obiettivo - spiega Longhi - è di far conoscere la Sardegna al di là di Porto Cervo. Mesina già oggi fa la guida e lo farà anche con noi. Per quanto riguarda i viaggi saremo in franchising con Goingfly. Prepareremo dei pacchetti per far scoprire gli angoli più belli della Sardegna. Dove, chi vorrà, potrà avvalersi dei nostri servizi anche per affittare o acquistare case e ville". Droghe: Torino; promotori narco-sala scrivono a Chiamparino
Notiziario Aduc, 9 novembre 2007
Oggi, i promotori della petizione popolare per una narcosala a Torino (Domenico Massano/Associazione Radicale Adelaide Aglietta - Alessandro Orsi/Malega 9 - Franco Cantù/Forum Droghe) hanno inoltrato al sindaco di Torino, Sergio Chiamparino (e per conoscenza a tutti i consiglieri ed assessori comunali) una lettera aperta in cui, tra l’altro, chiedono di poter essere ricevuti dal primo cittadino per potergli illustrare personalmente la loro iniziativa. Signor Sindaco, intendiamo, innanzitutto, informarla che lunedì 29 ottobre abbiamo depositato presso gli uffici comunali una petizione popolare rivolta al Consiglio Comunale per l’istituzione nella città di Torino di almeno una "sala del consumo", corredata dalle firme di un migliaio di cittadini torinesi. A tale proposito, dopo aver letto sui giornali notizie relative a sue dichiarazioni, da cui emergeva il rischio di confusione fra il servizio socio-sanitario della "sala del consumo" ed il trattamento sanitario con eroina, ci permettiamo di precisare quanto segue: 1) Le Sale del consumo (altrimenti dette "narco-sale", "sale da iniezione", …) sono luoghi protetti e igienicamente garantiti, per l’assunzione di sostanze psicoattive (che il consumatore si procura all’esterno); sono ambienti gestiti da uno staff sanitario professionale, formato allo scopo, e sono parte di una più ampia rete di servizi, al fine di raggiungere il più alto numero possibile di tossicodipendenti, in particolare quella fascia di tossicodipendenti più marginale e difficilmente agganciabile con altri tipi di servizi. Sono dei servizi di bassa soglia, ovvero di accesso semplice, immediato e diretto, dove i cittadini che consumano droghe per via endovenosa possono evitare: la morte per overdose, grazie a un soccorso immediato con l’utilizzo di farmaci salvavita e con l’intervento di personale specializzato per tali situazioni di emergenza; le sieroconversioni da HIV (Aids) e HCV (Epatite C), utilizzando materiale sterile e monouso, che sarà immediatamente distrutto dopo l’uso; endocarditi, ulcere, piaghe, lesioni cutanee anche croniche ed infezioni provocate spesso dalle pessime condizioni igieniche dei luoghi di assunzione, da modalità di consumo non informate e consapevoli e dall’uso promiscuo di siringhe e altro materiale utilizzato per iniezioni. Sono una concreta iniziativa di riduzione del danno, non in contrasto bensì in continuità, in sinergia, con gli altri interventi di prevenzione e di cura delle dipendenze: chi frequenta le sale del consumo può trovare servizi interni atti a migliorare le condizioni di una vita di strada sempre più sommersa ed emarginata, con pochi mezzi, a rischio di atti di violenza, perdita della salute e quant’altro. Può trovare: infermeria, colloqui con medici, relazioni socio-educative e riabilitative con educatori e psicologi, con l’ulteriore opportunità di accedere ad una vasta rete di servizi che comprende: dormitori, sportelli legali, docce, lavanderie, guardaroba, mense, drop-in, Sert, centri crisi, comunità terapeutiche, aziende ospedaliere… All’interno delle sale del consumo, equipe miste, composte da diverse figure professionali socio-sanitarie, instaurano rapporti cosiddetti "deboli" (non immediatamente trattamentali) con i pazienti del servizio, per acquisire nel tempo un buon grado di fiducia, senza che essi si sentano giudicati, e lasciando a loro la decisione del se e quando abbandonare il consumo di sostanze stupefacenti. A questo punto la sala del consumo, in rete con gli altri servizi sul territorio, potrà innescare un percorso che l’utente sentirà più suo, meno imposto, orientandosi verso una maggior stabilità e consapevolezza nel consumo, magari fino a decidere di abbandonare la sostanza e di intraprendere il cammino verso l’astinenza. Dunque, una tutela ed un miglioramento della vita sociale ed individuale, nella prospettiva di quella riacquisizione di fiducia e autostima personale necessaria ed indispensabile per il cambiamento dello stile di vita. 2) La somministrazione controllata del farmaco eroina (trattamento con eroina) è un servizio di alta soglia (ovvero con criteri rigidi e selettivi di accesso), di tipologia strettamente sanitaria, che rientra negli interventi di cura e non di riduzione del danno relativamente alle tossicodipendenze e nulla ha a che vedere con il servizio sopra citato. Dove esiste la somministrazione "controllata" (lo dice l’appellativo stesso) il profilo di chi può accedere a tale servizio deve corrispondere a regole ben precise (es.: età avanzata, diversi programmi terapeutici falliti, deficit dello stato di salute, riconoscimento clinico dello stato di cronicizzazione della tossicodipendenza, …). Il monitoraggio degli utenti è costante e rigoroso; chi arriva ai servizi di somministrazione controllata sono coloro che vivono una vita già fortemente debilitata dal precedente uso/abuso di sostanze stupefacenti. Inoltre, se la somministrazione controllata di eroina richiederebbe, quantomeno, la definizione di un protocollo sperimentale a livello nazionale, l’attivazione del servizio socio-sanitario della "sala del consumo" è, invece, attuabile con la legge vigente. L’art. 79 del DPR 309/90 non vieta l’attivazione di una "sala del consumo", servizio socio-sanitario di riduzione del danno, parte integrante di quella che comunemente viene definita come la politica dei quattro pilastri per il contrasto alle dipendenze (lotta al narcotraffico, prevenzione, cura e riabilitazione, riduzione del danno). Infine, signor Sindaco, converrà con noi sul fatto che le condizioni politiche per attuare le "stanze del consumo" sono attualmente le migliori possibili, difficilmente ripetibili in futuro: i due ministri competenti in materia (Paolo Ferrero/Solidarietà Sociale e Livia Turco/Salute) hanno espresso pubblicamente la loro approvazione; l’Assessore regionale alla Sanità è dello stesso avviso; è possibile raggiungere sulla mozione presentata in Consiglio Comunale da ben venti esponenti della sua maggioranza il necessario consenso. Occorre, però, agire subito, senza rinvii, senza tentennamenti. Se non ora quando? Saremmo lieti se Lei, sulla base di queste considerazioni, ci concedesse un appuntamento per poter approfondire le questioni esposte. In attesa di un cortese cenno di riscontro, Le rivolgiamo distinti saluti.
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