Rassegna stampa 18 novembre

 

Giustizia: la sicurezza sociale e il "vecchio capro espiatorio"

di Luigi Ferrajoli (Docente di filosofia del diritto)

 

Il Manifesto, 18 novembre 2007

 

Si è sviluppata una grave forma di espansione patologica del diritto penale - l’enorme aumento delle pene carcerarie -, frutto di una politica indifferente alle cause strutturali dei fenomeni criminali, promotrice di un diritto penale massimo, incurante delle garanzie, interessata soltanto a assecondare, o peggio a alimentare, le paure e gli umori repressivi nella società.

 

Criminalità di sussistenza

 

Il terreno privilegiato di questa politica è quello della sicurezza. Le statistiche storiche sulla criminalità ci dicono che il numero dei delitti, in particolare di quelli contro la persona - omicidi, risse, violenze, lesioni -, è diminuito, in proporzione alla popolazione, rispetto a qualche decennio fa e ancor più rispetto a un secolo fa. Eppure in tutti i paesi occidentali una domanda drogata di sicurezza, enfatizzata dalla stampa e dalla televisione, ha accentuato le vocazioni repressive della politica penale, orientandole unicamente nei confronti di quella che ho chiamato "criminalità di sussistenza".

Il messaggio espresso da questa politica è duplice. Il primo è quello classista, oltre che in sintonia con gli interessi della criminalità del potere, secondo cui la criminalità - la vera criminalità che attenta alla "sicurezza" e che occorre prevenire e perseguire - è solamente quella di strada; non dunque le infrazioni dei potenti - le corruzioni, i falsi in bilancio, i fondi neri e occulti, le frodi fiscali, i riciclaggi, né tanto meno le guerre, i crimini di guerra, le devastazioni dell’ambiente e gli attentati alla salute -, ma solo le rapine, i furti d’auto e in appartamenti e il piccolo spaccio di droga, commessi da immigrati, disoccupati, soggetti emarginati, identificati ancora oggi come le sole "classi pericolose".

È un messaggio che vale a assecondare, nell’opinione pubblica, il riflesso classista e razzista dell’equiparazione dei poveri, dei neri e degli immigrati ai delinquenti, e perciò a deformare l’immaginario collettivo sulla devianza e sul diritto penale: affinché la giustizia penale cessi di perseguire i reati delle "persone per bene" e si occupi - cosa oltre tutto più facile - dei soli reati che attentano alla loro sicurezza.

 

Pubblica sicurezza

 

C’è poi un secondo messaggio, ancor più regressivo, che viene trasmesso dalle campagne sulla sicurezza. Esso punta al mutamento, nel senso comune, del significato stesso della parola "sicurezza": che non vuole più dire, nel lessico politico, "sicurezza sociale", cioè garanzia dei diritti sociali e perciò sicurezza del lavoro, della salute, della previdenza e della sopravvivenza, né tanto meno sicurezza delle libertà individuali contro gli arbitri polizieschi, bensì soltanto "pubblica sicurezza", declinata nelle forme dell’ordine pubblico di polizia e degli inasprimenti punitivi anziché in quelle dello stato di diritto, sia liberale che sociale.

Essendo stata la sicurezza sociale aggredita dalle politiche di riduzione dello stato sociale e di smantellamento del diritto del lavoro, le campagne securitarie valgono a soddisfare il sentimento diffuso dell’insicurezza sociale con la sua mobilitazione contro il deviante e il diverso, preferibilmente di colore o extracomunitario.

È il vecchio meccanismo del capro espiatorio, che consente di scaricare sul piccolo delinquente le paure, le frustrazioni e le tensioni sociali irrisolte. Con un duplice effetto: l’identificazione illusoria, nel senso comune, tra sicurezza e diritto penale, quasi che l’intervento penale possa produrre magicamente una cessazione della micro-delinquenza, e la rimozione, dall’orizzonte della politica, delle politiche sociali di inclusione, certamente più costose e impegnative ma anche le sole in grado di aggredirne e ridurne le cause strutturali.

 

Tolleranza zero

 

È questo il duplice significato della parola d’ordine "tolleranza zero" sulla cui base è stata promossa, dagli anni Ottanta del secolo scorso, una crescita esponenziale della carcerazione penale. Il fenomeno è stato inaugurato e promosso negli Stati Uniti, dove nello spazio di trent’anni la popolazione carceraria si è moltiplicata per sette, passando da meno di trecentomila detenuti a oltre due milioni. Sostenuta da una pseudoscienza criminologica informata a un’aperta antropologia della disuguaglianza, questa politica di carcerazione di massa si è sviluppata simultaneamente alla riduzione dello stato sociale.

Si è così prodotto un ampliamento del ruolo penale e militare dello Stato, correlativo alla riduzione massiccia del suo ruolo sociale: una sorta di militarizzazione della politica interna, in aggiunta alla militarizzazione della politica estera operata in questi stessi anni dalla superpotenza americana con la riabilitazione della guerra come strumento di governo del mondo. Due strategie accomunate dalla mobilitazione delle paure a sostegno della sicurezza e dalla costruzione e criminalizzazione, quali principali fattori di identità collettiva, di nuovi nemici, interni e esterni: i poveri e gli immigrati all’interno, i paesi poveri del mondo e i loro "Stati canaglia" all’esterno. Non a caso le nuove politiche penali si sono sostituite, negli Stati Uniti d’America, alle pur deboli politiche sociali, all’insegna delle nuove parole d’ordine liberiste: "tolleranza zero" e "mano invisibile" del mercato rivestita da un "guanto di ferro" nei confronti entrambe dei ceti poveri.

Giustizia: sondaggio C.d.S.; 3 italiani su 4 si sentono insicuri

 

Corriere della Sera, 18 novembre 2007

 

Nelle ultime settimane si è fortemente accresciuto il timore nei confronti della criminalità, il motivo principale è anche l’intensificarsi sui media delle notizie su vicende legate ad attività criminali: non a caso, la maggioranza assoluta dei cittadini dichiara che, informandosi di questi avvenimenti drammatici sui giornali o alla tv, ha provato un maggiore senso di paura. Il risultato è che negli ultimi mesi si è significativamente incrementata, a torto o a ragione, la percezione che, proprio nella zona in cui si vive, la pratica di attività illegali sia aumentata.

Ma, quel che è più importante, ha trovato una assai più larga diffusione l’inquietudine personale per la criminalità. Nell’ottobre 2006, più del 60% degli italiani dichiarava di essere turbato da questo fenomeno. Oggi la percentuale si è notevolmente accresciuta, sino a coinvolgere il 75%.

Naturalmente, oltre che dall’orientamento politico (gli elettori del centrodestra appaiono assai più sensibili al tema), contano nel determinare questo atteggiamento le caratteristiche personali: manifestano più preoccupazione i più anziani, le casalinghe, i residenti nel Nordest. Ma si tratta solo di mere accentuazioni, in quanto la percentuale dei "molto preoccupati" riguarda, come si è visto, gran parte della popolazione.

Non è un caso, dunque, che la lotta contro la criminalità rappresenti, ormai da tempo, una delle questioni prioritarie che, ad avviso degli italiani, il governo deve affrontare. Oggi essa costituisce addirittura la prima richiesta in assoluto di intervento all’esecutivo: Come sempre, la domanda proviene in misura maggiore dai votanti del centrodestra.

Ma la richiesta è diffusa, seppure con minore accentuazione, tra tutti gli elettori. La sicurezza dei cittadini costituisce insomma una delle attese più rilevanti per la popolazione e, di conseguenza, uno dei temi principali su cui l’esecutivo dovrà necessariamente intervenire nei prossimi mesi.

Giustizia: accordo tra Italia e Romania per rimpatrio detenuti

 

Quotidiano Nazionale, 18 novembre 2007

 

Firmato l’accordo tra il ministro della giustizia e il collega rumeno Alexandru Tudor Chiuariu: "Si stabilisce la presenza del magistrato di collegamento tra i due Paesi. Con questo protocollo si dà avvio a un flusso che riguarda i detenuti in carcere in Italia e che hanno ricevuto un decreto di espulsione".

Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ha firmato questa mattina un protocollo d’intesa con il collega rumeno Alexandru Tudor Chiuariu. Due le novità che riguardano i rapporto giudiziari tra i due paesi: la nascita del magistrato di collegamento fra Italia e Romania e la possibilità di far scontare a detenuti condannati in Italia e soggetti a espulsione la pena carceraria in Romania.

A spiegare il contenuto dell’accordo bilaterale i due ministri della Giustizia oggi in una conferenza stampa a Benevento, nella quale hanno ribadito entrambi la necessità di "lavorare per la sicurezza" e prevenire "ogni accenno xenofobo" perché pericoloso per il futuro dell’Europa e per entrambi i paesi.

"Oggi - ha esordito Mastella in qualità di padrone di casa - è una buona giustizia, perché è stato firmato un accordo che stabilisce la presenza del magistrato di collegamento tra Italia e Romania". Questo, per il ministro, è sinonimo di "una cooperazione giudiziaria molto più stretta" fra i due paesi. "Le polizie di Italia e Romania - ha detto il Guardasigilli - già collaborano. Da oggi lo faranno anche e maggiormente i magistrati, nel quadro - ha sottolineato - delle iniziative comuni nel contrasto alla criminalità".

"C’è poi - ha proseguito il ministro - un’altra novità: con questo protocollo si dà avvio a un flusso che riguarda i detenuti in carcere in Italia e che hanno ricevuto un decreto di espulsione dal nostro paese. Da oggi andranno a scontare la pena detentiva in Romania e questo dovrà essere una forma di deterrente a ogni tipo di crimine".

Infine, il ministro italiano ha ribadito il "massimo accordo con il giovane collega rumeno" e, inoltre ha anticipato che "a breve verrà firmato un accordo, anche con i ministeri degli Esteri, che riguarda la giustizia minorile. Ringraziamo la Romania per l’ospitalità che ha dato a tante imprese italiane e quei cittadini rumeni che assistono tanti italiani e che danno linfa e vigore al nostro tessuto economico".

Giustizia: decreto, in 15 giorni i romeni espulsi sono stati 177

di Fiorenza Sarzanini

 

Corriere della Sera, 18 novembre 2007

 

Le stime fornite il giorno dopo l’omicidio di Giovanna Reggiani, parlavano di migliaia di persone da allontanare. Romeni, ma non solo, perché il decreto approvato durante un consiglio dei ministri straordinario riguarda tutti i cittadini comunitari "pericolosi". Concede al prefetto il potere di espellere gli stranieri provenienti da Stati dell’Unione europea che rappresentino una minaccia per la collettività.

Sono trascorsi quindici giorni da quel maledetto venerdì, quando a Roma la signora di 49 anni, appena scesa da un treno fu aggredita, picchiata, seviziata e alla fine uccisa. Di quell’emergenza che aveva fatto litigare maggioranza e opposizione, che aveva diviso gli stessi partiti del centrosinistra, restano i numeri.

Cifre minime. Secondo i dati del ministero dell’Interno aggiornati al 15 novembre 2007, sono 177 i destinatari dei provvedimenti. Alcuni hanno già lasciato l’Italia, imbarcati sui voli che quasi ogni giorno collegano le grandi città a Bucarest. Altri sono nei Cpt, i Centri di permanenza temporanea, in attesa del trasferimento nell’aeroporto più vicino. Altri ancora hanno ricevuto l’intimazione a uscire "dal territorio nazionale entro trenta giorni". È quest’ultima la procedura seguita a Bologna, in testa alla classifica con 41 decreti già convalidati e notificati.

"Le persone da noi individuate - chiarisce il questore Francesco Cirillo - avevano precedenti penali e dunque rientravano nei criteri fissati dal governo. Ma nel passato non hanno mostrato particolare propensione alla violènza e quindi abbia-ritenuto di poter concedere loro il tempo sufficiente a organizzarsi per andar via con i familiari. La linea deve essere dura, ma io credo che in ogni azione non debbano mai mancare l’umanità e il buon senso". Genova è seconda nell’elenco con 20 provvedimenti, la maggior parte dei quali eseguiti con l’accompagnamento alla frontiera dei romeni. "Ci stiamo muovendo - chiarisce il prefetto Giuseppe Romano - con metodo e regolarità, n criterio che ci guida è quello di privilegiare le espulsioni di persone che hanno precedenti penali robusti e quindi possono rappresentare un pericolo. Nella nostra città non ci sono Cpt e quindi facciamo in modo di portarli a Malpensa ogni volta che c’è l’aereo per Bucarest".

Napoli è terza con 15 delibere. A Roma ne sono state firmate 11. "Si è stabilito di procedere soltanto nei confronti di chi è già stato rintracciato e controllato - sottolinea il dirigente dell’ufficio stranieri della Questura, Maurizio Improta -, ma soprattutto di verificare che la pericolosità sia attuale. Nel nostro elenco ci sono persone arrestate più volte, denunciate più volte e che non sono state in grado di dimostrare di avere un lavoro e una fissa dimora".

Come Ramona, prostituta romena già condannata a un anno e otto mesi e poi finita sotto inchiesta per concorso in sequestro di persona di una connazionale che voleva costringere a vendersi. O come un altro romeno accusato di riduzione in schiavitù per aver costretto alcuni minori all’accattonaggio.

Nel resto d’Italia le cifre restano basse: 6 espulsioni a Firenze, 4 a Padova, 1 a Venezia, Reggio Calabria, Pavia, Udine. E questo smentisce chi si aspettava "deportazioni di massa". Quando gli esponenti della sinistra radicale avevano paventato la possibilità di non votare la conversione in legge battendo proprio il tasto della "discriminazione nei confronti dei poveracci" e le autorità romene avevano accusato l’Italia di razzismo, il ministro dell’Interno Giuliano Amato aveva raccomandato ai prefetti di effettuare espulsioni "mirate, perché siamo in imo Stato di diritto".

Ma forse neanche lui si aspettava che i numeri fossero così esigui. Non a caso si è deciso di potenziare la "task force" istituita dal premier Romano Prodi e coordinata dal vicecapo della polizia Nicola Cavaliere che ha come obiettivo primario le indagini e la prevenzione.

Perché si è accertato che i romeni sono arrivati in massa da quando c’è la libera circolazione, ma è pur vero che da anni numerose organizzazioni criminali si sono trasferite nel nostro Paese per gestire il traffico della prostituzione e quello delle carte di credito. Sono ormai trenta i poliziotti di Bucarest che lavorano nelle questure italiane, oltre ai cinque del progetto "Icaro" che a rotazione vengono distaccati presso le squadre mobili di Roma, Bologna, Torino, Padova e Milano.

Seguono i flussi di chi parte dalla Romania e varca la frontiera nella speranza di trovare un’occupazione e una casa, di chi paga migliaia di euro e poi si ritrova in una baracca sul fiume tra topi e sporcizia. Molti scappano per sfuggire alle condanne. Proprio come Nicolas Romulus Mailat, il presunto assassino di Giovanna Reggiani, che nel suo Paese era già stato arrestato due volte.

Giustizia: Sappe; un'intesa per una nuova politica della pena

 

Comunicato stampa, 18 novembre 2007

 

"Auspichiamo una svolta bipartisan di Governo e Parlamento per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ‘ripensi’ organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, anche alla luce della sostanziale inefficacia degli effetti dell’indulto.

Destra, sinistra e centro concentrino sforzi comuni per varare una legislazione penitenziaria che preveda un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) delineando per la Polizia Penitenziaria un nuovo impiego ed un futuro operativo, al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale."

Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, organizzazione più rappresentativa della Categoria con 12mila iscritti, analizzando i dati penitenziari pre e post indulto.

"Alla data del 31 luglio 2006, prima dell’approvazione dell’indulto, avevamo nei 207 istituti penitenziari italiani 60.710 detenuti a fronte di una capienza regolamentare pari a 43.213 posti. Approvato l’indulto (Legge n. 241 del 31 luglio 2006), esattamente un mese, e cioè il 31 agosto 2006, il numero dei detenuti presenti in carcere era drasticamente sceso a 38.847 unità.

Gli ultimi dati, riferiti al 31 ottobre 2007, attestano la presenza di 47.807 detenuti presenti (e quindi ben oltre la capienza regolamentare pari a 43.352 posti), un trend velocemente in ascesa se si pensa che un anno prima, il 31 ottobre 2006, i detenuti erano 38.844. E si consideri che i detenuti che materialmente uscirono dal carcere per effetto dell’indulto sono stati circa 27mila, a cui bisogna aggiungere quelli che ne hanno beneficiato pur non essendo fisicamente in un penitenziario: circa 6.800 che fruivano di una misura alternativa alla detenzione, circa 200 già usciti dal carcere per l’indultino del 2003 e 250 minori."

"Questo dimostra" spiega Capece "l’occasione persa dalla classe governativa e politica quando, approvato l’indulto, non ha raccolto l’auspicio del Sappe di ripensare, allora, il carcere e adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario, chiesti autorevolmente più volte anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano.

Parliamo di provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci e potenzino gli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale. È per questo che il Sindacato più rappresentativo del Corpo auspica una urgente svolta bipartisan di Governo e Parlamento per una nuova politica della pena.

È opportuno affidare al Ministero della Giustizia, e quindi al Dap ed al Corpo di Polizia penitenziaria, l’adozione e il controllo del braccialetto elettronico, previsto dal nostro Codice di procedura penale ma non ancora attivo. L’utilizzo di queste tecnologie eviterà di rendere evanescente e meramente teorica la verifica del rispetto delle prescrizioni imposte dall’autorità giudiziaria al momento dell’adozione delle misure alternative alla detenzione.

E affidare il controllo delle misure alternative alla detenzione alla Polizia Penitenziaria, accelerandone quindi l’inserimento negli Uffici per l’esecuzione penale esterna, vuole dire andare a svolgere le stesse funzioni di controllo oggi demandate a Polizia di Stato e Carabinieri, che in questo modo possono essere restituiti ai loro compiti istituzionali, in particolare il controllo del territorio, la prevenzione e la repressione dei reati, a tutto vantaggio dell’intera popolazione. Proprio perché quella della sicurezza è una priorità per chi ha incarichi di governo e legislativi, auspichiamo una larga intesa politica per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile."

Giustizia: perché i nuovi educatori vanno solo nel Piemonte?

 

Ansa, 18 novembre 2007

 

"Un singolare privilegio per le carceri del Piemonte. Davvero singolare che con la Finanziaria il centrosinistra, con il voto determinante dei senatori a vita, fa assumere solo 22 educatori penitenziari e da destinarsi tutti ed esclusivamente alle carceri della regione Piemonte, quando in tutta Italia ne mancano 725 unità".

Lo sostiene il senatore Antonino Caruso, ricordando che gli educatori penitenziari dovrebbero essere circa 1.300 in tutt’Italia, ma ne manca oltre la metà, malgrado i numerosi giovani dichiarati idonei ai concorsi, ma mai assunti". "I direttori delle carceri del Piemonte, gli agenti della Polizia penitenziaria e gli altri operatori carcerari - prosegue Caruso - possono rallegrarsi per la loro fortuna. Le altre regioni, e gli altri 703 aspiranti educatori si arrangino.

Tacciano e nemmeno si affatichino a chiedere spiegazioni al ministro Mastella, perché tanto non ne avrebbero. In Piemonte vige l’art. 27 della Costituzione, che afferma che si dovrebbe garantire una pena anche a carattere rieducativo. In Lombardia, nel Veneto, nelle Marche, in Sicilia, in Basilicata e in tutte le altre regioni d’Italia, no".

"In una legge finanziaria che dispensa mance a destra e sinistra, non può certo stupire - prosegue il senatore di An - una banale mancetta elargita per tenere buono qualche senatore bisognoso. Nemmeno può essere oggetto di stupore l’assordante silenzio del ministro, tutte le volte che è chiamato a dare spiegazione sulla singolarità del suo operato.

E altrettanto è per il silenzio del magistrato Ferrara, direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, troppo occupato a contare la sua retribuzione annua (di qui, a sua vita natural durante) di circa 500 mila euro all’anno. Ma il fatto che anche in un caso come questo risultino determinanti i senatori a vita - conclude Caruso - è viceversa sommamente inaccettabile".

Reggio Emilia: la Commissione Servizi Sociali visita il carcere

 

Asg Media, 18 novembre 2007

 

La commissione consiliare Servizi sociali e solidarietà, presieduta da Paola Casali, si è recata nei giorni scorsi in visita alla casa circondariale di via Settembrini. Qui, i consiglieri provinciali, l’assessore provinciale alla Solidarietà Marcello Stecco, il presidente del Consiglio Provinciale Lanfranco Fradici e la dirigente del servizio Programmazione sociale e sanitaria Maria Lodovica Fratti hanno incontrato il direttore del carcere di Reggio Gianluca Candiano e il comandante della Polizia penitenziaria Mauro Pellegrino.

L’incontro ha rappresentato l’occasione per i consiglieri provinciali di toccare con mano la realtà carceraria reggiana, dove "ci sono i problemi di sovraffollamento che caratterizzano tutte le strutture italiane" ha spiegato il direttore Candiano. I consiglieri hanno potuto visitare i reparti, quello per definitivi e quello per imputati: "È in quest’ultimo che si registrano le maggiori difficoltà da un punto di vista gestionale e di convivenza" ha spiegato il direttore del carcere, che ha poi accompagnato i consiglieri a visitare i luoghi di socializzazione e di educazione per i detenuti.

Fra questi, vi è la biblioteca "realizzata interamente dai detenuti - ha spiegato Candiano - e che grazie ad una convenzione con il servizio Biblioteche della Provincia - sarà a breve in rete con tutte le altre biblioteche del territorio. Questo consentirà ai detenuti di accedere al prestito interbibliotecario. Un’iniziativa che rappresenta per queste persone un momento di integrazione".

Sono poi molti altri i momenti di formazione previsti all’interno del carcere, dalla possibilità di frequentare corsi di alfabetizzazione, in particolare per gli stranieri, fino all’università. A questo proposito il direttore del carcere Candiano ha detto: "È nostro dovere offrire qualità, perché solo così possiamo pretendere poi un ritorno positivo". Agli amministratori Candiano ha infine chiesto "attenzione continua, perché il problema articolato che interessa la realtà carceraria, non può essere consegnato all’emotività dei momenti.

Occorrono soluzioni di lungo termine". L’assessore Stecco ha ringraziato la direzione carceraria per"l’opportunità offerta agli amministratori" ed ha anticipato, insieme alla presidente della commissione Casali, "una ulteriore riflessione su queste tematiche, da svolgersi sempre in sede di commissione, a Palazzo Allende", a cui ha invitato il direttore Candiano e il comandante Pellegrino, che si sono detti disponibili a partecipare

Ascoli: gli studenti delle medie vanno in carcere per un giorno

 

Corriere Adriatico, 18 novembre 2007

 

Anche quest’anno si ripete l’iniziativa "Una mattina in carcere". Il progetto, già avviato da alcuni anni, è stato accolto con molto interesse dal mondo scolastico per la sua carica fortemente innovativa. "Una mattina in carcere" è rivolto agli studenti delle Scuole superiori e mira da un lato ad "un’integrazione" della casa circondariale nel territorio e nel contesto sociale, dall’altro, invece, rappresenta per gli studenti un momento di "riflessione", evidenziando le conseguenze delle violazioni delle regole della convivenza civile ma anche i possibili percorsi di reinserimento.

Perché esiste il carcere? Come vivono i detenuti? Come trascorrono le ventiquattro ore della giornata? Sono queste alcune delle domande alle quali il progetto darà una risposta insieme ad altre quali: il carcere riesce ad essere efficacemente rieducativo? Oppure come possono il cittadino e la collettività contribuire al reinserimento sociale dei detenuti?

"Le esperienze vissute dai ragazzi gli scorsi anni - ricorda l’assessore alla Pubblica Istruzione, Gianni Silvestri - sono state estremamente formative dal momento che per i ragazzi la visita in carcere ha rappresentato indubbiamente un importante momento di riflessione e di solidarietà. Quella solidarietà che comunque dobbiamo a quelle persone che per i più svariati motivi hanno sbagliato". Il progetto si articola in due particolari tipologie d’azione.

Per gli studenti delle scuole medie superiori è prevista una visita guidata all’interno della Casa Circondariale. I ragazzi, accompagnati dai loro insegnanti, visiteranno alcuni ambienti del carcere ed incontreranno alcune figure professionali che operano nell’Istituto. Per i bambini delle scuole primarie e medie, invece, nell’ambito dei progetti di educazione alla legalità, sono previsti incontri in classe con delle figure professionali che operano nel carcere.

"Il progetto - prosegue l’assessore Silvestri - ha una sua specificità legata al non far sentire il carcere così lontano dalla nostra realtà e considerare chi è "dentro", prima di tutto una persona con i suoi diritti".

Il progetto vuole perseguire l’obiettivo di una crescente integrazione della Casa Circondariale nel territorio e nel contesto sociale in modo da favorire la condivisione da parte della collettività, del concetto di sicurezza sociale da perseguire anche tramite il reinserimento sociale del detenuto. "Sicuramente - ha concluso l’assessore Silvestri - sarà proficuo per i ragazzi poter conoscere da vicino questa realtà che li farà riflettere sul valore della norma, della giustizia e della libertà e, soprattutto, farà loro capire che è necessario vincere la diffidenza verso coloro che hanno sbagliato e che stanno pagando il loro debito verso la società".

Siracusa: Nap, piano contro l'emarginazione degli ex detenuti

 

La Sicilia, 18 novembre 2007

 

Il Nap (piano di azione nazionale) mira al reinserimento sociale di ex tossicodipendenti ed ex detenuti in osservanza ai dettami della "Strategia di Lisbona" e del Trattato di Amsterdam e fornire linee guida alla Comunità europea sulle azioni da applicare, in Sicilia, per arginare l’emarginazione sociale degli ex detenuti e tossicodipendenti.

Le finalità di una progettazione integrata tra autorità pubbliche e privato sociale per il prossimo Nap Italia sono state illustrate di recente a Siracusa. Sono state presentate, al palazzo del governo di Siracusa, nel corso del VII seminario sulla "Progettazione integrata tra autorità pubbliche e privato sociale per il prossimo Nap Italia" a valere sulla Call For Proposals Vp/2006-12 (National Awareness Raising Actions on Social Inclusion and Social Protection - Piano Azione Nazionale) finanziato dalla Commissione Europea.

Nel corso dell’incontro di Siracusa sono stati illustrati il meccanismo del "Metodo aperto di coordinamento", gli obiettivi europei e il ruolo dell’Ue nel processo di inclusione sociale, le buone prassi e i progetti realizzati nel territorio provinciale. Ma anche il ruolo dei Partenariati nell’accesso ai fondi europei e la realtà sociale di Siracusa con dati attinenti ai processi di reinserimento sociale e professionale degli ex detenuti ed ex tossicodipendenti.

È stato posto l’accento sulle aspettative e gli scopi che tramite il progetto Nap vuole perseguire la Commissione Europea ed il Piano d’azione nazionale (Nap) per l’inclusione sociale e le sue procedure. Al seminario hanno partecipato Andrea Giostra, presidente Fenice coop. sociale onlus, assieme ai referenti istituzionali della Prefettura di Siracusa, della Prefettura di Ragusa, del Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Sicilia, del Centro Giustizia Minorile per la Sicilia, del coordinamento nazionale Comunità d’Accoglienza e della Federserd.

Il progetto Nap (piano di azione nazionale) venne già illustrato nel mese di gennaio nella sede del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria per la Sicilia e, nasce dalla collaborazione tra la cooperativa sociale Fenice di Palermo, il Provveditorato Regionale dell’amministrazione penitenziaria per la Sicilia, il Centro per la Giustizia Minorile per la Sicilia, Prefettura di Trapani, l'Azienda Usl 6 di Palermo, la Federserd, Cnca Sicilia, il Dipartimento di Psicologia dell´Università degli Studi di Palermo, la Coop. Azzurra e la Co.gi.p.s.

Pordenone: le arrestano la figlia e la madre muore d’infarto

 

Il Gazzettino, 18 novembre 2007

 

Era stata indagata quando abitava in periferia a Pordenone. Aveva poi cambiato casa senza comunicarlo agli inquirenti. I processi, conclusisi con condanne a complessivi 4 anni di reclusione, erano stati celebrati con l’imputata contumace. A inizio settimana la Procura di Pordenone, conosciuta la residenza dell’indagata, l’aveva fatta arrestare e condurre in carcere perché (nonostante i 3 anni cancellati dall’indulto), le restava da scontare un anno di reclusione. Martedì la Polizia l’ha raggiunta e condotta in cella. Alcuni amici hanno poi raggiunto la madre della donna, che risiede in provincia, comunicandole che la figlia si trovava in carcere a Trieste. Appresa la cattiva notizia la donna è stata colta da malore. Un infarto che, nonostante i soccorsi, l’ha uccisa.

È il dramma che sta vivendo Avila Emilia Izquerdo, 35 anni, originaria della Colombia, ma cittadina italiana per matrimonio. La donna, dopo un’inchiesta della Procura di Treviso, era stata condannata a 3 anni di reclusione perché avrebbe usato la forza per strappare la borsetta a una conoscente. Era stata accusata di rapina e condannata in contumacia (non era però scappata ma aveva cambiato casa).

Qualche settimana più tardi il giudice Pordenone, in relazione a un’inchiesta per favoreggiamento della prostituzione, aveva condannato a un anno di reclusione, sempre in contumacia, Emilia Avila Izquerdo perché - secondo la ricostruzione degli inquirenti - avrebbe permesso di utilizzare il proprio appartamento ad alcune connazionali che offrivano prestazioni sessuali a pagamento e che contribuivano alle spese d’affitto.

Sommate le pene (dopo aver cancellato 3 anni per l’indulto) la Procura ha fatto arrestare e condurre in carcere la donna. Gli amici hanno pensato di informare la madre che, appresa la notizia, si è sentita male, crollando a terra uccisa da un infarto. I parenti, a quel punto, hanno chiesto consiglio all’avvocato Laura Ferretti: "Ho già preparato una memoria al giudice di sorveglianza chiedendo l’affidamento in prova di Emilia Avila Izquerdo - ha precisato il legale - in modo che possa lasciare subito il carcere. Chiederò poi un permesso perché la cliente possa partecipare ai funerali della madre. Ho infime chiesto gli atti dei due processi - ha concluso l’avvocato Ferretti - per poter presentare Appello, cercando di far modificare le sentenze di condanna".

Fossano: l’arredo urbano sarà realizzato anche dai detenuti

 

Targato CN, 18 novembre 2007

 

Il Municipio di Fossano ha ospitato venerdì mattina una riunione con i Comuni limitrofi per discutere i temi inerenti al Progetto Iso, rivolto all’inserimento sociale ed occupazionale dei detenuti del "Santa Caterina". Tra le azioni previste nel progetto figura anche l’incentivazione delle attività lavorative in carcere per favorire l’ingresso dei detenuti nel mondo lavoro.

A questo scopo, i Comuni di Fossano e Mondovì hanno invitato le altre Amministrazioni locali a rivolgersi al "Santa Caterina" per piccole commesse riguardanti l’arredo urbano: dalle panchine ai cestini portarifiuti, dalle rastrelliere per le biciclette ai tabelloni per le affissioni. All’incontro erano presenti i rappresentanti dei Comuni di Savigliano, Trinità e Salmour, insieme agli educatori e operatori che prestano assistenza nel carcere di Fossano e agli operatori del Cfpp che gestiscono i corsi, oltre all’operatrice della Cooperativa Orso che segue il progetto Iso.

Presa visione dei lavori effettuati dai detenuti, i convenuti hanno manifestato l’interesse a diventare futuri committenti del carcere e si sono dati appuntamento a Mondovì per un secondo incontro, nella prospettiva di incrementare il numero di aderenti.

"Ringrazio i Comuni che hanno partecipato e invito tutte le Amministrazioni locali a fare riferimento al Santa Caterina - commenta l’assessore Bergia -. È uno sforzo importante che abbiamo il dovere di compiere per far sì che la pena abbia un aspetto davvero rieducativo. Tengo a sottolineare che non si tratta di beneficenza, ma di un’iniziativa che potrà assicurare un ritorno a tutta la collettività, perché offre l’occasione a chi ha sbagliato di reinserirsi nella società e - fatto nient’affatto trascurabile - perché i lavori sono davvero di ottima fattura, eseguiti con cura e professionalità".

Televisione: "Liberi di giocare", fiction sui detenuti-calciatori

 

Asca, 18 novembre 2007

 

Una storia che si è già vista in tv nell’ottimo programma di Raitre Sfide e che ora diventa lo spunto di Liberi di giocare, la fiction di Raiuno in programma domenica e lunedì in prima serata su Raiuno.

Il punto in comune tra i due prodotti? Francesco Micciché: "Sfide, di cui sono stato regista per tre anni, aveva parlato della vera storia di una squadra di detenuti (del carcere Opera di Milano, ndr) che aveva vinto il campionato di terza categoria. Ci siamo ispirati a quella vicenda per intrecciare i due temi del carcere e dello sport. Abbiamo voluto raccontare una storia di sport ‘pulito’ in un periodo in cui invece il calcio sta attraversando un momento difficile. Il tema del carcere è considerato dal punto di vista degli ‘affetti negati’. Chi è detenuto continua ad amare e a provare sentimenti: attraverso questi e lo sport i protagonisti cercano di risorgere".

Una storia sul calcio pulito, dunque, scritta proprio mentre scoppiava Calciopoli e trasmessa ora a pochi giorni dall’uccisione di un tifoso. Francesco Nardella, capostruttura Fiction Rai: "Dopo la morte di quel povero ragazzo, Gabriele Sandri, sembra strano sentire la parola giocare legata al calcio. E, invece, in Liberi di giocare, lo sport fa da lievito alla crescita individuale dei protagonisti". Un’unica nota stonata: "Volevamo organizzare un’anteprima, ma il ministro della Giustizia non ci ha dato il permesso. Tra i motivi, il fatto che la rappresentazione delle guardie carcerarie non è piaciuta. È stata una questione di opportunità e non voglio fare polemiche".

La fiction parla di un ex giocatore, Stefano Mariani, interpretato da Pierfrancesco Favino, che torna nella città natale, Pesaro, dove il padre è malato e il fratello Carlo (Edoardo Leo) è detenuto in un carcere. Qui conosce la direttrice Silvia Mauri, che gli propone di allenare la squadra di calcio del carcere.

Diritti: il gratuito patrocinio per gli italiani detenuti all’estero

 

News Italia Press, 18 novembre 2007

 

Straordinario successo della petizione lanciata da Secondo Protocollo a sostegno dell’iniziativa dell’On. Marco Zacchera, responsabile esteri di An, per chiedere al Governo l’istituzione del gratuito patrocinio per gli italiani detenuti all’estero affinché siano garantiti i diritti sanciti dall’art. 24 della Costituzione e dagli articoli 9-10 e 11 della Dichiarazione Universale per i Diritti Umani.

I casi emblematici che stiamo seguendo ­ afferma Franco Londei di secondo protocollo - come quello di Carlo Parlanti detenuto negli Usa, di Angelo Falcone e Simone Nobili, detenuti in India e di Simone Righi a tutt’oggi detenuto in Spagna, nonostante l’annunciata liberazione fatta dal viceministro degli Esteri Franco Danieli il 14 novembre; possono dare l’idea di quanto sia importante garantire il diritto alla difesa dei cittadini italiani fuori dai confini nazionali.

Nel caso di Simone Righi: arrestato il 7 ottobre scorso dalla polizia spagnola nel corso di una pacifica manifestazione promossa da associazioni ambientaliste per denunciare la soppressione e il maltrattamento del canile di Puerto Real nel quale sono stati peraltro uccisi i tre cani dello stesso Righi servono subito 9.000 euro di cauzione per farlo uscire dalla prigione

spagnola , denaro che i famigliari non hanno. Nonostante sia incomprensibile come un connazionale , malato di cancro, possa essere detenuto in uno stato comunitario senza aver commesso alcun reato ­ prosegue Londei ­ stiamo facendo l’impossibile per raccogliere l’importo necessario alla cauzione necessaria a restituire la libertà a Simone Righi,detenuto ingiustamente . Per la difesa di Carlo Parlanti sono stati già spesi oltre 200.000 dollari e ne servono altri 25.000 subito per potergli garantire un’adeguata difesa in un processo che ormai è diventato l’emblema delle farse. Nelle condizioni di Simone e di Carlo - conclude Londei - ci sono Falcone, Angelo C., Kassim Britel e altri 3.000 (tremila) italiani come denunciato dall’On. Zacchera che ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica le gravi violazioni di diritti umani dei nostri connazionali.

Il problema, afferma l’Onorevole Zacchera non è più rinviabile, il dieci dicembre in occasione dell’avvio delle celebrazioni del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo inoltrerò le firme raccolte dalla petizione lanciata da Secondo Protocollo, alla nostra rappresentanza presso L’Onu.

Droghe: l'obbligo del "test" per autotrasportatori e tassisti

di Mauro Meazza

 

Il Sole 24 Ore, 18 novembre 2007

 

Favorisca patente, libretto e test antidroga. Domanda legittima, da giovedì, per chiunque guida un mezzo che mette a rischio l’incolumità propria e altrui: per l’aereo o l’autobus, per il treno o la nave (ma ci sono anche le ruspe) debutta infatti un sistema di controlli molto più stringente, con verifiche almeno annuali e test per verificare l’uso anche sporadico di sostanze stupefacenti.

Lo screening di questi patentati C, D e E può cominciare subito, curiosamente risparmiando, a quanto sembra, chi lavora in proprio. Ma finendo per coinvolgere, forse per i termini un po’ generici dell’elenco dei "sorvegliati", anche tassisti e autotrasportatori. La stretta è stata completata in pochi mesi, da maggio a novembre, per iniziativa del ministro della Salute, Livia Turco, anche se un intervento del genere era annunciato sin dal 1990, nel Testo unico per la prevenzione delle tossicodipendenze.

Ma l’attuazione si era poi dispersa. Ora, invece, si impone a tutti i datori di lavoro di sorvegliare la buona condotta di alcuni dipendenti. Che non rischiano il posto, ma la mansione sì, finché non risultano "puliti".

Arriva la vigilanza antidroga sul lavoro: conia pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale", debutta infatti r"Intesa" della Conferenza unificata Stato Regioni che impone controlli periodici per una lunga lista di mansioni, legate a lavorazioni pericolose e soprattutto ai trasporti.

L’intesa - apparsa sulla "Gazzetta" di giovedì 15 novembre - rappresenta una sorta di "testo unificato" (e rafforzato) della sorveglianza contro l’uso di stupefacenti in alcuni luoghi di lavoro: addetti ai trasporti (stradali, aerei, marittimi e ferroviari) e ad alcune macchine come quelle del movimento terra dovranno sottoporsi a test antidroga. Se trovati positivi, saranno adibiti ad altre mansioni. Coloro che non si sottopongono agli esami e i datori che non verificano lo stato dei dipendenti rischiano sanzioni pesanti (anche l’arresto).

Stando alla lettera del provvedimento, controlli e multe riguardano solo il personale che può fare riferimento a un datore di lavoro, "qualunque sia il tipo di rapporto instaurato" (articolo 4 dell’Intesa). Sarebbe quindi escluso chi, pur svolgendo mansioni "che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute proprie e di terzi", opera come lavoratore autonomo. E questo sarà solo uno degli aspetti su cui giuristi e consulenti avranno il loro daffare: altri dubbi sorgono infatti sull’ampiezza che si potrà dare alle misure, per comprendervi ad esempio altri comportamenti pericolosi quali l’alcolismo.

Il provvedimento - i cui contenuti erano stati anticipati dal Sole 24 Ore del 22 giugno - fa seguito alle indicazioni del ministro della Salute, Livia Turco, che si era attivata nella primavera scorsa per una revisione delle pratiche di vigilanza. A innescare questa iniziativa, fu un incidente stradale avvenuto all’inizio di maggio: due scolari persero la vita nel ribaltamento di un autobus il cui conducente risultò positivo alla cannabis.

In base all’Intesa il datore, prima di adibire il dipendente alle mansioni indicate dall’allegato (si veda la scheda qui accanto) deve chiedere una visita al medico competente, con gli accertamenti per verificare l’assunzione "anche solo sporadica" di stupefacenti Gli accertamenti comprendono visita medica ed esami di laboratorio.

Le procedure diagnostiche saranno fissate entro tre mesi con un accordo tra Stato e Regioni e Province autonome, ma nel frattempo sono applicabili le modalità fissate dalla Sanità (Dm 186 del 1990) per accertare l’uso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope.

I test dovranno essere ripetuti almeno una volta all’anno e, in caso di esito positivo, il lavoratore dovrà essere giudicato temporaneamente inidoneo al servizio, sospeso dall’attività a rischio e affidato al Sert (Servizio per le tossicodipendenze) della Asl dove ha sede l’attività produttiva in cui risiede il lavoratore. Se dal controllo risulterà uno stato di tossicodipendenza, il lavoratore dovrà sottoporsi a un percorso di recupero.

Non è prevista la risoluzione automatica del rapporto di lavoro, ma il lavoratore dovrà essere adibito a mansioni diverse anche nel caso in cui non si sottoponga ai controlli. Restano garantiti la riservatezza e il diritto a conservare il posto di lavoro.

Brasile: 5 detenuti uccisi durante un tentativo di evasione

 

Ansa, 18 novembre 2007

 

Cinque detenuti della prigione di Algoas, nel nord est del Brasile, sono rimasti uccisi durante un tentativo di evasione. Un gruppo di prigionieri ha tentato ieri sera un’evasione, ma è stato scoperto dalle guardie che hanno intimato l’alt ai fuggitivi. I detenuti hanno quindi aperto il fuoco sugli agenti. L’incidente ha provocato l’accendersi di una rivolta, durata circa due ore, da parte di altri detenuti nella prigione, che ospita 290 persone.

 

 

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