|
Giustizia: la repressione non dà sicurezza di Silvio Crapolicchio (Comunisti italiani)
La Rinascita, 15 novembre 2007
Nel decreto legge sulla sicurezza, varato qualche I giorno fa dal Consiglio dei ministri, emergono alcune zone d’ombra che avrebbero avuto bisogno di un maggiore approfondimento, soprattutto in occasione di una adeguata trattazione della problematica da parte del Parlamento. È chiaro che sull’onda di quanto accaduto a Tor di Quinto fosse da più parti avvertita la necessità di dare una risposta immediata al Paese, ma è altresì chiaro che il complesso problema, oggi di assoluta attualità, vada affrontato a tutto tondo. Innanzitutto, è necessario un segnale sul piano della certezza della pena, ancorché si tratti di un’esigenza che non riguarda soltanto l’orribile fatto di Tor di Quinto, ma qualunque crimine. Va poi sottolineato come il decreto non possa assumere i contorni di un provvedimento generalizzato e discriminatorio contro i romeni, la stragrande maggioranza dei quali, in Italia, vive una vita assolutamente dignitosa e laboriosa. Certo, molti di loro vivono in baraccopoli come quella di Tor di Quinto o come quelle lungo il Tevere ma, anche in questo caso, il problema non si risolve con un’espulsione generalizzata, né lasciando le famiglie e i bambini senza un tetto, sia pure quello di una baracca fatiscente, perché così si rischia di ottenere l’effetto esattamente contrario a quello auspicato; le baraccopoli vanno invece sostituite con dignitosi centri di accoglienza. Intendiamoci, la sicurezza è un tema importante: né di destra né di sinistra. Piuttosto, di destra o di sinistra sono i modi di risolvere il problema. Quanto accaduto a Tor di Quinto ci indigna, ma la politica ha il compito di non generalizzare ipocritamente; il problema sicuramente esiste, ma va affrontato in maniera organica, non soltanto sul piano della repressione, che sembra dettato per lo più dall’onda emotiva, ma anche - e soprattutto - su quello della prevenzione e dell’integrazione. Scendendo nel dettaglio del provvedimento, risultano piuttosto vaghi e generici i riferimenti ai non meglio precisati motivi di "pubblica sicurezza" o "ordine pubblico" che legittimerebbero l’espulsione del cittadino comunitario, con il grave e intollerabile rischio di espulsioni indiscrimi-nate, come populisticamente da sempre chiede la destra, a danno di chi semplicemente si trovi in situazione di indigenza, senza tuttavia avere alcuna propensione a delinquere. Sarebbe stato opportuno - al dì là della puntuale definizione dei motivi "imperativi" di pubblica sicurezza - fornire una definizione più circostanziata di questi concetti, così come sanciti e garantiti dalla direttiva comunitaria n. 38 del 2004 e dai principi fondamentali del nostro ordinamento in tema di tipicità delle fattispecie restrittive. Non a caso, la stessa direttiva citata chiarisce che "l’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per motivi d’ordine pubblico o di pubblica sicurezza costituisce una misura che può nuocere gravemente alle persone che, essendosi avvalse dei diritti e delle libertà loro conferite dal trattato, si siano effettivamente integrate nello Stato membro ospitante"; di questi criteri e della loro ponderazione non vi è al momento traccia nel decreto legge in questione. Tra l’altro, la direttiva prosegue chiarendo che: "quanto più forte è l’integrazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari nello Stato membro ospitante, tanto più elevata dovrebbe essere la protezione contro l’allontanamento. Soltanto in circostanze eccezionali, qualora vi siano motivi imperativi di pubblica sicurezza, dovrebbe essere presa una misura di allontanamento nei confronti di cittadini dell’Unione che hanno soggiornato per molti anni nel territorio dello Stato membro ospitante". In buona sostanza, in una materia così delicata, è di fondamentale importanza ridurre al minimo il margine interpretativo delle norme da parte dell’autorità amministrativa, ponendo la misura dell’allontanamento coattivo quale misura restrittiva di carattere eccezionale da utilizzare soltanto per fattispecie di reato assai rilevanti e in modo, comunque, non discriminatorio contro questa o quella particolare etnia; il tutto, ovviamente - e si tratta di uno dei principali aspetti dei quali dovrà occuparsi il Parlamento - sulla base di un serio e attento vaglio dell’autorità giurisdizionale. Il decreto legge in questione non soltanto non sembra tenere conto di questo problema, ma probabilmente non tiene neppure conto di tutte le prescrizioni comunitarie menzionate nella direttiva, oltre che dei principi fondamentali in materia di tutela dei diritti umani. Soltanto tenendo conto dei più profondi valori fin qui menzionati, tuttavia, il provvedimento in esame potrà porre principi di diritto idonei a garantire adeguate risposte al Paese in tema di sicurezza e tutela dell’ordine pubblico e, nel contempo, a rafforzare una cultura dell’integrazione e della solidarietà degna di un Paese civile e indenne da censure di incostituzionalità. Giustizia: con la polizia nell'Uepe diminuirebbero i detenuti?
Blog di Solidarietà, 15 novembre 2007
La presenza della polizia penitenziaria nell’esecuzione penale esterna può far diminuire la popolazione detenuta? Leggere le affermazioni del Presidente Ferrara riportate nei giorni scorsi dai mezzi di informazione fa nascere parecchi interrogativi. Affermare che l’introduzione della Polizia Penitenziaria nell’Esecuzione Penale Esterna possa far aumentare la possibilità di applicare le misure alternative e così diminuire la popolazione detenuta non sembra rispondente a possibilità reali per diversi motivi. Innanzitutto sappiamo bene che almeno la metà dei detenuti è in custodia cautelare, quindi non può beneficiare di misure alternative, anzi se trova approvazione il pacchetto sicurezza del Governo le persone in custodia cautelare aumenteranno. Le misure alternative sono concesse dai Tribunale di Sorveglianza solo nei casi in cui la pena da scontare, per l’ammontare della stessa e per il tipo di reato in espiazione, ricada nelle previsioni di legge. Ad esempio la detenzione domiciliare (misura più restrittiva dell’affidamento in prova al servizio sociale) introdotta dalla Simeone per pene inferiori ai due anni (art. 47 ter O.P. 2.bis) non può essere applicata ai condannati per i reati di cui all’art.4 bis dell’O.P. e a quelli cui sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, 4° comma, del Codice Penale Quindi di fatto molti detenuti non sono nelle condizioni giuridiche per beneficiare di misure alternative, in tal senso ha operato una restrizione la Legge Cirielli e le norme proposte nel pacchetto sicurezza renderanno più difficile l’accesso alle misure alternative. Le misure alternative vengono concesse dai Tribunali di Sorveglianza non in modo automatico, come qualche organo di stampa vuol far credere, ma valutando molti elementi, quali le caratteristiche della persona (i suoi precedenti penali, la condotta tenuta dopo la commissione del reato, etc.) e l’esistenza di opportunità abitative, lavorative, di supporto sociale, che sono presupposti indispensabili per concedere una misura alternativa. È chiaro che molti stranieri che in Italia non hanno casa, famiglia, etc. difficilmente riescono ad accedere alle misure alternative e così non riescono ad accederci i cittadini italiani più svantaggiati, privi di abitazione stabile e di lavoro. Il servizio sociale della giustizia, sia pure numericamente ridotto, si è sempre adoperato ad attivare tutte le risorse disponibili nel pubblico e nel privato sociale, ma le opportunità offerte dai servizi territoriali non sono omogenee sul territorio nazionale. Forse una politica volta ad attivare maggiori risorse sul territorio per il concreto reinserimento sociale delle persone condannate aiuterebbe la promozione delle misure alternative più dell’introduzione della Polizia Penitenziaria negli Uepe. Per quanto attiene la sicurezza relativa all’esecuzione delle misure alternative i numeri conosciuti parlano chiaro, i reati commessi in misura alternativa rappresentano una percentuale bassissima sul totale delle misure alternative. Piuttosto c’è da chiedersi se la proposta, contenuta nel decreto interministeriale relativo alla polizia penitenziaria negli Uepe, di introdurre nuclei di 6-9 unità di Polizia Penitenziaria in Uepe come Milano, Roma, Napoli possa di fatto aumentare la "sicurezza" relativa alle misure alternative in città dove ci sono migliaia di carabinieri e poliziotti, la cui presenza è ampiamente decentrata sul territorio. I nuclei proposti potrebbero probabilmente fare solo orario d’ufficio e gli interventi sarebbero solo una sovrapposizione a quelli del servizio sociale. Chi crede che le misure alternative abbiano valore come modalità di esecuzione della pena, che accompagnando le persone in un processo di responsabilizzazione e reinserimento sociale realizza la condizione vera per evitare la recidiva, deve a nostro parere chiedersi come potenziare il lavoro degli operatori sociali e le risorse territoriali. Se si intende far acquisire un ruolo alla Polizia Penitenziaria nell’esecuzione delle misure alternative è necessario a nostro parere passare per un provvedimento legislativo che, come è stato chiesto più volte nei documenti prodotti dal Servizio Sociale, definisca il ruolo della Polizia Penitenziaria in modo che gli interventi non vadano a sovrapporsi a quelli di competenza del Servizio Sociale stesso, riconosciuto chiaramente dalla legge titolare della funzione di aiuto e controllo nell’affidamento in prova al servizio sociale. La distinzione delle funzioni e della collocazione è condizione per non sovrapporre interventi e per valorizzare le competenze professionali di ciascuno. Al di là di ogni progetto che si vuole fare sulle gestione delle misure alternative, resta il fatto che il numero dei detenuti presenti negli istituti dipende da fattori esterni all’amministrazione penitenziaria, quali la legislazione penale, le problematiche attinenti la presenza di immigrati clandestini, sui quali la parola spetta alla politica ed alla società civile.
Anna Insardi e Luana Tunno Assistenti sociali Uepe L’Aquila Giustizia: Sappe; sì a misure alternative, ma col "braccialetto"
Comunicato stampa, 15 novembre 2007
"Una nuova politica della pena, necessaria e indifferibile, deve prevedere un "ripensamento" organico del carcere e dell’Istituzione penitenziaria, prevedendo un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico, che può essere molto utile anche per il controllo dei tifosi sottoposti al Daspo) che hanno finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva. E se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la Polizia Penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno e sull’adozione del braccialetto elettronico, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene." Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, organizzazione più rappresentativa della Categoria con 12mila iscritti, a commento del Convegno organizzato dall’Amministrazione penitenziaria sul tema "Una nuova politica della pena: quale progetto per l’esecuzione penale esterna?" programmato per oggi e domani all’Istituto Superiore di Studi penitenziari di Roma. Tra gli interventi programmati, quelli del Ministro della Giustizia Clemente Mastella, del Capo del Dap Ettore Ferrara, dei professori Giuliano Pisapia (presidente della Commissione per la riforma del codice penale) e Giuseppe Riccio (presidente della Commissione per la riforma del codice di procedura penale). Aggiunge Capece: "Affidare il controllo delle misure alternative alla detenzione alla Polizia Penitenziaria, accelerandone quindi l’inserimento negli Uffici per l’esecuzione penale esterna, vuole dire andare a svolgere le stesse funzioni di controllo oggi demandate a Polizia di Stato e Carabinieri, che in questo modo possono essere restituiti ai loro compiti istituzionali, in particolare il controllo del territorio, la prevenzione e la repressione dei reati, a tutto vantaggio dell’intera popolazione. È opportuno affidare al Ministero della Giustizia, e quindi al Dap ed al Corpo di Polizia penitenziaria, l’adozione e il controllo del braccialetto elettronico, previsto dal nostro Codice di procedura penale ma non ancora attivo. L’utilizzo di queste tecnologie eviterà di rendere evanescente e meramente teorica la verifica del rispetto delle prescrizioni imposte dall’autorità giudiziaria al momento dell’adozione delle misure alternative alla detenzione (ma penso anche, ad esempio, ad un suo uso nei confronti dei soggetti sottoposti al Daspo - acronimo di Divieto di Accedere alle manifestazioni Sportive - e ritenuti pericolosi a cui è vietato di poter accedere in luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive). L’esperienza internazionale dei Paesi che hanno adottato il braccialetto elettronico come strumento di controllo raggiunge obiettivi sociali (certezza della pena per effetto di un controllo costante e continuo, riduzione del sovraffollamento penitenziario, recupero e reinserimento degli individui nella società) ed economici (ottimizzazione delle risorse interne ai penitenziari)". Giustizia: Vera Slepoj; i delitti dei giovani... "senza problemi"
Il Giornale, 15 novembre 2007
Alberto Stasi, il bocconiano indagato per il delitto di Garlasco, in cella era "calmo, anche troppo calmo", dissero gli psicologi. E i due fidanzatini di Perugia? Lei, l’americana, dal carcere ha chiesto una chitarra; lui, il laureando, che ieri ha ricevuto la visita del cappellano, ha chiesto libri e pare legga moltissimo. La disperazione, che farebbe crollare qualsiasi persona finita per la prima volta dietro le sbarre portandola o a confessare o a gridare la propria verità costi quel che costi, sembra lontana da questi volti pallidi e angelici; malgrado la tragedia che si è abbattuta sulle loro vite e quelle di altri. Vera Slepoj, presidente degli psicologi, vede analogie addirittura somatiche tra i protagonisti. "Premesso che parliamo di presunti innocenti, è inquietante vedere come certi delitti maturino tra giovani apparentemente senza problemi reali ma, anzi, dal comportamento socialmente irreprensibile. In realtà, spesso esiste una scissione tra il ruolo all’interno della famiglia e un mondo interno tenuto rigorosamente al riparo da ogni controllo. Quest’isola resta paradossalmente integra anche dopo un delitto, vissuto non come tragedia ma come sballo emotivo, come gioco sociale".
Scusi, ma il conflitto generazionale non è sempre esistito? "Una volta il giovane si metteva in contrapposizione con i genitori per costruirsi una propria identità. Oggi molti giovani hanno una sfiducia a priori verso il mondo degli adulti, vanno bene a scuola ma si rifugiano in un delirio di onnipotenza, di cui a volte vediamo i contorni solo su internet".
Lei si occupò di Erika e Omar e parlò di una generazione addestrata al cinismo... "Esatto, ma i campanelli d’allarme ci sono eccome: indifferenza, intolleranza verso la diversità, incapacità a provare sentimenti autentici. Non mi stupisco che non si pentano di quello che hanno fatto".
Se fossero colpevoli, è possibile che non si rendano conto della gravità del loro gesto anche nella solitudine di una cella? "I giovani che compiono questi delitti vivono in un universo narcisistico-infantile svincolato dalla realtà e dai suoi codici etici e morali. Sono attratti da emozioni forti come droga, alcol, sesso estremo e violenza che fungono da antidepressivi a un disadattamento simile alla schizofrenia. Essendo più legati alle loro pulsioni interne che alla realtà, il luogo paradossalmente fa poca differenza, sopravvivono nel loro delirio".
Lei ha più volte puntato l’indice contro i genitori. È loro la responsabilità? "Sì. I genitori sono spesso loro stessi adolescenti e non instaurano nessun confronto, nessuna regola; ossessionati dal fatto che il figlio abbia tutto, abdicano al "no" e alla propria genitorialità. Così i figli non imparano a elaborare il concetto di "perdita", indispensabile allo sviluppo psico-affettivo".
Torniamo al caso di Perugia. Il più disperato sembra Lumumba, l’africano... "Lo credo. Rispetto a una cultura occidentale sempre più malata, l’extracomunitario viene da un vissuto in cui valori come la famiglia, la spiritualità e il giudizio della comunità hanno ancora un senso profondo. Chi non li rispetta è un traditore".
Elisabetta Ballarin, la ragazzina acqua e sapone delle Bestie di Satana, dopo la condanna a 24 anni disse invece alla mamma: "Tranquilla, quando uscirò tornerò ad avere 20 anni grazie a un microchip". "L’onnipotenza è tale che non ci si rende più conto che la vita finisce. Se ci fosse la percezione della perdita ci sarebbe pentimento e dolore. Invece...".
I giudici dicono che neppure Erika si è pentita... "Lo so". Giustizia: Pollastrini; tempi rapidi per la legge sullo "stalking"
Redattore Sociale, 15 novembre 2007
C’è il sì della commissione Giustizia della Camera allo stralcio del ddl. Per la legge si prevedono tempi rapidissimi, non essendo previsto il passaggio in aula ma l’approvazione in sede di commissione. Approvato stanotte dalla commissione Giustizia della Camera (contrari An e Lega, astenuta Forza Italia) lo stralcio del disegno di legge che il governo (prime firmatarie Barbara Pollastrini e Rosy Bindi) ha presentato a fine 2006 in merito a prevenzione della violenza contro le donne e omofobia, tutela della vittima, certezza della pena (Misure di sensibilizzazione e prevenzione, nonché repressione dei delitti contro la persona e nell’ambito della famiglia, per l’orientamento sessuale, l’identità di genere e ogni altra causa di discriminazione). Due i punti messi al centro dello stralcio rielaborato dalla Commissione e approvato stanotte: molestie gravi nei confronti delle donne e reati di omofobia. L’annuncio è stato dato poco fa dal ministro per le Pari opportunità Barbara Pollastrini a margine del convegno "La violenza in ambito familiare. Tessuto sociale e violenza in famiglia: che fare?". Ora per la legge si prevedono tempi rapidissimi, non essendo previsto il passaggio in aula ma l’iter abbreviato con l’approvazione in sede di commissione deliberante. "Se la Finanziaria passerà definitivamente - su questo Pollastrini si dice molto serena - passerebbero finanziamenti a tutela di bambini e anziani non autosufficienti e fondi, pari a 20 milioni di euro, per avviare concretamente i Piani d’azione contro la violenza sulle donne". Salute: comunicato del Sai-Sindacato Infermieri Penitenziari
Comunicato stampa, 15 novembre 2007
In data 13/11.2007, presso la sede del Ministero della Salute di Lungotevere Ripa, si è tenuto un incontro con esponenti dello stesso Ministero della Salute, del Ministero della Giustizia, di alcuni componenti la Commissione incaricata di studiare il passaggio della medicina penitenziaria nel SSN ed altre Organizzazioni Sindacali per una disamina del testo dell’emendamento da proporre in finanziaria per il trasferimento della sanità penitenziaria nel Servizio Sanitario Nazionale così come previsto dalla legge 230/99. In tale sede si è a lungo dibattuto sulla parte riguardante il personale in attività "libero professionale" negli Istituti Penitenziari, in quanto, a nostro avviso, così come proposto non viene garantito sul mantenimento del posto di lavoro, chiedendo, pertanto, che nella proposta fossero inseriti dei "paletti" che dessero certezza per il futuro a tale personale che ricordiamo essere per l’80% impiegato in "prima linea" a dare assistenza alle persone internate, e che si sono guadagnati sul campo il diritto di essere tutelati non solo per il mantenimento del posto di lavoro, ma anche di veder porre fine al lungo precariato. Ci sono state date assicurazioni che verrà studiato un idoneo sistema che possa permettere di avere quanto da noi richiesto, sistema complesso dato l’alto numero di tipologie di rapporti di lavoro esistenti. Saremo come sempre vigili e pronti all’informare gli iscritti Sai.
Il segretario nazionale Sai, Marco Poggi Perugia: direttore carcere su morte Bianzino "è un enigma"
Ansa, 15 novembre 2007
Continua "l’enigma" Bianzino. Stamani la terza commissione permanente del consiglio comunale di Perugia ha convocato il direttore del carcere di Capanne, Giacobbe Pantaleone, ponendo all’ordine del giorno le questioni legate alla morte, esattamente un mese fa, di Aldo Bianzino. Di cosa è morto Bianzino, all’età di 42 anni, arrestato dalla polizia, per droga, e trovato deceduto, da solo, nella sua cella, 36 ore dopo l’arresto? Questa domanda rimane insoluta, anche dopo l’audizione, che, se non altro, ha permesso al direttore del carcere di dare la propria versione dei fatti. Questa versione si differenzia da quella della stampa locale su di un unico ma fondamentale punto: secondo il direttore, seguendo il parere del medico legale, Bianzino è deceduto di morte naturale e non riportava affatto i segni di percossa di cui parlano i giornali. I risultati dell’autopsia, in attesa di essere noti, potranno fornire ulteriori elementi su ciò che lo stesso direttore non ha però esitato a definire "un enigma". Genova: 600 detenuti, a Marassi torna il sovraffollamento
Secolo XIX, 15 novembre 2007
Sono 268 a Marassi, 103 a Pontedecimo e 30 a Chiavari, controllano senza sosta per otto ore al giorno più di centinaia di detenuti, tenendo sempre alta la guardia, sedando sul nascere eventuali risse, sostenendo i carcerati più fragili e monitorando le teste calde. Sono i poliziotti penitenziari, lavoratori silenziosi, poco sotto la luce dei riflettori. Finché possono. "Perché quando un agente da solo deve controllare un piano con duecento detenuti per otto ore al giorno senza sosta, la depressione è in agguato e i nervi saltano". A dipingere l’attuale situazione delle carceri, soprattutto della casa circondariale di Marassi è il suo direttore, Salvatore Mazzeo, che difende e loda il lavoro di tutta la polizia penitenziaria per festeggiare la quale, sabato scorso, si è tenuta una festa a Villa Lo Zerbino, alla quale sono intervenuti il provveditore regionale penitenziario, Giovanni Salamone e i direttori dei tre istituti di pena, lo stesso Mazzeo (Marassi), Giuseppe Comparone (Pontedecimo) e Maria Milano (Chiavari). La mancanza di personale è stata sollevata anche dal Sappe, il più importante sindacato di Polizia Penitenziaria. Ma il problema non è solo questo. "Le carceri sono sovraffollate - continua Mazzeo - i poliziotti, per quanti sono o potranno essere in futuro, non potranno mai riuscire a far fronte al continuo afflusso di detenuti". L’ultimo indulto ha fatto uscire dalle celle di Marassi 360 carcerati (di cui 69 condannati per rapina, 155 per spaccio di stupefacenti, 56 per furto aggravato e 80 per altri reati). Di questi, i recidivi sono stati "solo" 94: il 23% contro una media nazionale che arriva al 42%. Prima dell’indulto erano presenti a Marassi 700 detenuti contro una capienza massima 450 persone. Oggi il carcere si sta ripopolando, toccando quota 600, di cui il 49% è rappresentato da cittadini stranieri. "Di questo passo torneremo alla situazione preesistente l’indulto - ammette Mazzeo - quando per ogni cella di 5 metri quadrati stavano nove persone ammassate". Per il direttore di Marassi l’indulto da solo non risolve il problema del sovraffollamento e a chi, come il ministro della Giustizia Mastella, propone di costruire nuove carceri, risponde: "Ci vogliono almeno 10 anni per costruirne uno e come la risolviamo nel frattempo la situazione?". Bisogna andare a monte del problema: "Con cambiamenti del sistema penitenziario". Il carcere per Mazzeo deve essere l’ultima soluzione. "I tossici, che a Marassi rappresentano i due terzi dei detenuti, sono malati, hanno bisogno di cure. Meglio sarebbe destinarli alle comunità di recupero. E il sovraffollamento diminuirebbe ulteriormente se gli extracomunitari invece che incarcerati in Italia, fossero espulsi". Chi è in cella, può lavorare. "Noi facciamo lavorare il 10% dei carcerati, 60 detenuti impiegati nella panetteria di recente apertura o in altri lavori. Per legge vanno retribuiti e noi li paghiamo 600 euro al mese, personalmente credo che il lavoro deve essere l’espiazione della pena". Se Mazzeo volesse far lavorare più detenuti non potrebbe farlo perché la legge stabilisce un tetto massimo di spesa del carcere, che non permette di pagare gli stipendi a più del 10% dei detenuti. Anche perché ogni carcerato, lavoratore o meno, costa alla casa circondariale 300 euro al giorno. Ancona: detenuto in isolamento perché ha cambiato sesso
Corriere Adriatico, 15 novembre 2007
Il cambio di sesso costa una punizione doppia al detenuto Cristian Silla. Lui paga nel silenzio dell’isolamento all’interno del carcere di Montacuto la scelta presa con coraggio un paio di anni fa di diventare uomo, chiudere la sua avventura su questo mondo col nome di Elena, e iniziarne un’altra infilando i pantaloni e scrivendo all’anagrafe "Cristian" davanti al cognome. Fuori gridano all’ingiustizia la ex moglie Antonella e il suo legale - l’avvocato Pietro De Gaetani - che sta preparando un’istanza per l’attenuazione della misura cautelare applicata dopo la convalida dell’arresto avvenuto il 2 novembre scorso. Silla, 34enne di Montesilvano, era stato fermato dai carabinieri ad Alba Adriatica con Antonio Guarnieri, 36 anni, di Lanciano, con l’accusa di aver rapinato la moglie di un ex gioielliere nella sua abitazione di Senigallia, e di aver tentato un colpo nella gioielleria "Diociottokarati" di corso Amendola. Identikit e tracce telefoniche avevano irrobustito gli indizi di colpevolezza, e il Gip confermato la permanenza in carcere. Il provvedimento suonava come una doppia sentenza per Silla. È solo transitato in sezione a Montacuto per poi essere trasferito dalla direzione in isolamento. Il motivo? Nella casa circondariale si era sparsa la voce che Cristian fino a un paio di anni fa era stata Elena, e per tutelare la sua incolumità fisica hanno dovuto allontanarlo dagli altri detenuti. "Lui è incensurato, per questa vicenda non è stato ancora processato e già è stato condannato due volte, non è giusto", esplode d’indignazione Antonella Flati, la ex moglie di Cristian, finito nel 2005 sui giornali per il matrimonio con quella che - quando era ancora una ragazza - era stata la sua amica del cuore. Un prezzo troppo caro, anche per l’avvocato De Gaetani che già oggi dovrebbe presentare istanza dell’incompatibilità di Silla con il carcere. "Ha anche un problema fisico, gli hanno dovuto rimuovere una protesi e presto dovrà subire una nuova operazione". Il legale spera di poter risolvere la situazione e chiederà un colloquio con il direttore di Montacuto e con il dirigente sanitario. "C’è anche da tenere conto che è la prima volta che va in carcere, ed è penalizzato rispetto agli altri detenuti". Lo sconcerto del suo difensore è lo specchio dell’amarezza di Antonella. "Cristian è un bravo ragazzo, ha sempre lavorato in una struttura ospedaliera rinomata con ottime referenze, e ha dimostrato grande coraggio con la sua scelta". Lei lo protegge, anche come presidente dell’associazione "Antocris" (l’acronimo con i loro nomi abbreviati e accostati) che si occupa di ragazzi "in transizione" per il cambio di sesso. Il disagio di Cristian non è il migliore degli spot. Meglio la sua grinta e dignità. Noto: interrogazione del Garante su funzionamento carcere
Comunicato stampa, 15 novembre 2007
"Notizie circa il funzionamento del carcere di Noto". All’On. Presidente della Regione siciliana, premesso che: la Casa Circondariale di Noto l’unica realmente specializzata in attività lavorative; si tratta quindi di una struttura che offre concrete possibilità di reinserimento sociale ai detenuti; sono infatti presenti numerosi laboratori e, tra questi, spiccano la falegnameria, dove vengono prodotti tavoli, sedie e pensili vari; i telai, dove vengono prodotte lenzuola e biancheria similare; officine meccaniche, dove vengono prodotti letti; inoltre, sono parzialmente utilizzati i laboratori di sartoria, i laboratori informatici ed i laboratori elettrici ed elettronici; il parziale utilizzo dei sopradetti laboratori è anche dovuto al fatto che, prima dell’indulto risultavano reclusi circa novanta soggetti, a seguito dell’indulto sono rimasti circa quaranta e l’unica possibilità per un completo utilizzo delle strutture è stata l’emanazione di un bando, ancora in corso di espletamento, che dovrebbe consentire l’immissione di altri detenuti; ma, quel che più conta, è che la struttura carceraria dispone di un’ulteriore edificio, recentemente ristrutturato e perfettamente utilizzabile, che può contenere circa duecento reclusi ma, malgrado le numerose richieste e sollecitazioni, non pervengono, pare da parte dei Vigili del Fuoco, le prescritte autorizzazioni necessarie al reale utilizzo del nuovo edificio; è ormai nota la precaria situazione dei detenuti in Sicilia, dove si toccano punte di sovraffollamento carcerario tali da dover temere anche per la salute dei reclusi e, non si intuisce come invece, vi siano realtà come quelle di Gela e Villalba o come quella di Noto dove gli spazi esistono e, in quest’ultimo caso, garantiscono pure reali prospettive di reinserimento che dovrebbe essere l’unico scopo delle strutture carcerarie. Per sapere: quali indagini intende effettuare per riscontrare quanto in premessa indicato; se non intende procedere ad un immediata verifica circa il mancato rilascio delle autorizzazioni necessarie all’utilizzo del nuovo edificio; entro quali tempi si concretizzerà un incontro con il Ministro della Giustizia al fine di verificare percorsi utili per una ottimale utilizzazione delle strutture carcerarie della Sicilia.
On.le Salvo Fleres Garante dei detenuti della Regione Sicilia Libri: in "Miracolo a Milano" ci sono le storie di 31 clochard
Redattore Sociale, 15 novembre 2007
È scritto da Nicoletta Molinari, volontaria della Croce Rossa. Da "The King", il re dei senza dimora con una lunga barba e un cappellaccio nero, al "Paolino", che vive nelle cabine telefoniche. Nel periodo in cui la vita di strada diventa più dura per il freddo, esce "Miracolo a Milano", un libro di storie sui clochard della città. Si tratta di una galleria di personaggi straordinari, una visita guidata attraverso gli abitanti che appaiono e scompaiono nelle pieghe della metropoli. In 31 racconti brevi Nicoletta Molinari, volontaria della Croce Rossa, narra gli incontri, buffi o drammatici, significativi e toccanti, con le decine di senza tetto con cui si imbatte quasi tutte le sere. Con l’inverno la presenza di volontari sul territorio aumenta: sono una decina le uscite settimanali delle unità di strada della Croce Rossa. Portano thè caldo, coperte e vestiti pesanti. In tutto gli assistiti sono circa 200, ma ogni unità ne incontra una settantina. "Sono quasi sempre gli stessi. Ad un certo punto si diventa quasi amici", dice Nicoletta Molinari. "Viaggio tra i potenti della Terra, coloro che non hanno nulla da perdere": il sottotitolo del libro preannuncia i protagonisti delle storie. C’é the King, il re dei clochard, che, con il suo barbone e il suo cappellaccio nero, rappresenta in pieno l’icona del senza casa. Americano, ex musicista vive da anni nel vicolo della Pusterla. "È famoso: è anche stato intervistato dai giornali e c’è un sito di ammiratori - dice l’autrice -. È un piacere sentirlo parlare. È un grande oratore ed è orgoglioso della sua via come di una reggia". Poi c’é Paolino, un altro personaggio: lui dorme nelle cabine del telefono. "Non ci vuole vedere e quando lo troviamo ci guarda sempre con l’aria rassegnata, come dire ecco, mi hanno beccato di nuovo. Penso non si lavi mai - continua Nicoletta Molinari -. Ha una piccola pensione, un conto in banca e una figlia che vive in Svizzera". Oppure, i due sposi: "due ragazzi tossici che, un giorno anche se completamente fatti, ci hanno detto che quella mattina si erano sposati, mostrandoci il loro anello matrimoniale nuovo di pacca. Una scena dura, drammatica, e commuovente", ricorda la volontaria. Nel libro la parola viene data soprattutto ai clochard. "Una volta ho incontrato due soldati della Folgore senza casa - racconta Nicoletta Molinari -. Erano appena stati cacciati in malo modo dai vagoni dove dormivano. Nonostante fossero di fatto due vagabondi maltrattati, uno di loro mi ha detto io, per il mio paese, morirei anche oggi. È una frase che, in tre parole, apre uno squarcio. "Rivela quanto queste persone avrebbero voglia di reinserirsi e avere un ruolo attivo nella società - dice Nicoletta Molinari - mentre spesso ricevono solo l’indifferenza della gente". La rassegna di racconti è accompagnata da una quindicina di foto in bianco e nero scattate da Gianni Villa, un altro volontario della Croce Rossa: immagini dai tratti buffi e drammatici insieme, che immortalano i volti e gli sguardi del popolo dei senza dimora. La presentazione al pubblico e ai giornalisti si terrà giovedì 22 novembre, alle 17.30 nella sala Redaelli del Palazzo di via Pucci 7 a Milano. Il prezzo di 12 euro del volume sarà devoluto in beneficenza. Televisione: giovani, devianza e crimine, è possibile prevenire?
Comunicato stampa, 15 novembre 2007
Il percorso didattico dentro e fuori dal carcere gestito da Techne. Va in onda su Video Regione (Emilia Romagna) la terza puntata di "Voci di dentro". Mondo giovanile, criminalità e devianza… è possibile prevenire?: a questo interrogativo cercheranno di dare risposta gli ospiti dell’ultima puntata di "Voci di dentro", la trasmissione realizzata dal laboratorio di comunicazione, gestito da Techne nell’ambito del progetto Equal Pegaso, per creare un ponte tra il carcere e la città. Lo speciale è condotto dal giornalista Leonello Flamigni e va in onda venerdì 16 novembre alle 9 su Video Regione (repliche domenica 18 alle 21.45, il 26 alle 20.05 e il 27 alle 22.25). In studio ci saranno Debora Battani, psicologa e coordinatrice del laboratorio "Voci di dentro", Viviana Neri, co-conduttrice del laboratorio e presidente dell’associazione "Con...tatto", Roberta Manni, docente dell’istituto superiore "Ruffilli", una delle scuole coinvolte nel progetto didattico di sensibilizzazione degli studenti sui temi del disagio sociale, della legalità, della prevenzione alla criminalità. La trasmissione conclude il ciclo dei tre appuntamenti dedicati al carcere, con le testimonianze di chi opera, in diversi ruoli, nell’ambito della Casa circondariale forlivese. Le prime due puntate erano state dedicate al tema "Indulto" (un bilancio sulla realtà carceraria a circa un anno di distanza) e al tema "Immigrazione e legalità". Venerdì 23 novembre, a chiusura del progetto "Voci di dentro", è previsto un incontro con gli studenti ed i protagonisti del laboratorio di comunicazione: verrà dato conto dell’esperienza compiuta sullo stesso progetto con le scuole, delle risultanze emerse dai ben 900 questionari distribuiti agli studenti della città e delle attività condotte in parallelo con i detenuti della Casa circondariale. Immigrazione: ministro Ferrero; espulsioni di massa? no, grazie di Paolo Ferrero (ministro della Solidarietà sociale)
La Stampa, 15 novembre 2007
Il commento di Lorenzo Mondo in merito al decreto legge sulle espulsioni apparso sulla Stampa dell’11 novembre scorso deforma la realtà. Innanzitutto, per quanto concerne le espulsioni non c’è una pratica dilatoria. Piuttosto, il provvedimento rispetta le regole dello Stato di diritto e di reciprocità con la normativa dell’Unione europea. Per questo è necessario che sia il magistrato e non il giudice di pace a decidere sulle espulsioni emesse dal prefetto. Trattandosi di provvedimenti di espulsione individuale deve essere chiaro chi può essere espulso e per quali motivi. È evidente che è necessario promulgare una legge che non permetta l’espulsione di un lavoratore perché ha partecipato a una manifestazione sindacale. La lotta alla criminalità va condotta nel rispetto costituzionale evitando ogni forma di imbarbarimento. Su questo punto sono peraltro perfettamente d’accordo con il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino che solo ieri, sempre dalle pagine della Stampa criticava l’efficacia e la legittimità delle espulsioni di massa, parlando invece della necessità di provvedimenti mirati. In secondo luogo, è inutile nasconderci che ci sono fenomeni razzisti e organizzazioni che usano il disagio sociale per seminare odio. In tal senso sono politicamente irresponsabili affermazioni recentemente fatte da esponenti della destra che soffiano sul fuoco dei pregiudizi per piccoli calcoli elettorali e per creare la sindrome del nemico interno di antica memoria. Pertanto non credo sia inutile o massimalista richiamare nel decreto misure contro la xenofobia e il razzismo. Un terzo elemento da non trascurare è il rapporto tra Italia e Romania. Le espulsioni di massa richieste dalla destra, oltre a essere impossibili, avrebbero minato seriamente le relazioni tra due Paesi dell’Unione europea. Credo sia invece importante costruire con il governo rumeno un lavoro comune così come abbiamo iniziato a fare nei giorni scorsi a Roma incontrando il premier Tariceanu. Il problema della criminalità va trattato per quello che è. Viceversa i problemi dei migranti vanno affrontati attraverso politiche di inclusione e percorsi di reciproca comprensione tra italiani e stranieri. Non è retorica. È questo l’unico modo per far fronte a un fenomeno epocale e irreversibile come quello delle grandi migrazioni che stanno avvenendo in questo nuovo millennio. Per ultimo, la direttiva europea del 2004 stabilisce regole precise per cittadini membri dell’Unione che commettono reati. Su questo piano il governo di centrodestra non ha agito, anzi non ha fatto proprio nulla e oggi ci troviamo ad affrontare le emergenze. Per chi conosce i tempi estenuanti della giustizia italiana, "pratica dilatoria" è un eufemismo, tenuto conto, tra l’altro, della propensione della nostra magistratura all’indulgenza. E suona umoristico vantare i buoni accordi con il governo romeno, che ci accusa di avere leggi a differenza delle loro, troppo permissive. Quanto ai fenomeni razzisti, che vanno beninteso repressi, non sono equiparati dal senso comune alla delinquenza che alligna nell’immigrazione clandestina. Se il ministro praticasse bar e mercati di periferia, se facesse visita a qualche casa di campagna, capirebbe che discutere di razzismo è un parlar d’altro. Immigrazione: la direttiva che sta dividendo l’Europarlamento
Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2007
Tutti contro tutti: più passano i giorni e più appare questo il risultato paradossale della crisi italo-rumena scoppiata in seguito all’assassinio a Roma di Giovanna Reggiani per mano di un rom rumeno entrato illegalmente in Italia. Con l’Europarlamento trasformato nell’arena di scontri feroci e insieme anche un po’ surreali. Prima Alessandra Mussolini attacca i rumeni a mezzo stampa, i cinque rumeni del suo gruppo se la prendono al punto che per ritorsione decidono di abbandonarlo, con il risultato di affondare l’Its, il gruppo di estrema destra "Identità Tradizioni e Sovranità" che aveva debuttato a Strasburgo solo 7 mesi fa. Poi centro-destra e centro-sinistra, che pure avevano fatto fronte comune dopo la tragedia di Tor Vergata, si accapigliano sul testo di una risoluzione sull’applicazione della direttiva 38 del 2004, quella che regola la libera circolazione dei cittadini europei e rispettive famiglie all’interno dell’Unione. Pomo della discordia, le dichiarazioni di Franco Frattini, commissario Ue a Interni e Giustizia sulla possibilità di espellere chi non abbia mezzi di sostentamento e di sgomberare i campi rom. E anche le interpretazioni da dare alla direttiva. Il suo approccio non è stato super partes come dovrebbe, accusa la sinistra. Risultato: divorzio tra i due schieramenti, rottura delle trattative, da una le risoluzioni diventano due: una del centrosinistra cui aderiscono socialisti, liberali, verdi e comunisti e che andrà al voto oggi a Strasburgo. L’altra del centro-destra firmata da popolari e destra. Ma liti, scontri e polemiche non finiscono qui. In difesa di Frattini, oltre al centro-destra di cui fa parte, scende in campo anche la Commissione europea di cui è membro. "La qualità del lavoro di Frattini sull’immigrazione è unanimemente riconosciuta e incontra vasto consenso. Noi facciamo politica ma non politica di parte", ha commentato ieri il portavoce di Bruxelles aggiungendo che invece "il dibattito in corso a Strasburgo sembra appartenere a quelli fra partiti, mentre la Commissione è abituata a condurre politiche su basi oggettive". In compenso il ministro dell’Interno Giuliano Amato, che chiede la modifica della direttiva 38 e di quella Schengen perché "pensate per casi individuali e non migrazioni di massa mai avvenute prima", si ritrova solo. Prima incassa il no di Frattini: "Irrealistico, comunque richiederebbe almeno due anni". Poi presa di distanza e critiche aperte dagli esponenti della sua maggioranza di Governo. "È un’opinione di Amato, non un’iniziativa del Governo", commenta Roberto Musacchio del Prc. "Ho dubbi sui presupposti della proposta. Ricordiamo il dramma degli albanesi con numeri ben più grandi e il flusso dei polacchi in Inghilterra molto maggiore di quello dei rumeni in Italia", puntualizza Monica Frassoni dei Verdi. Per Gianni Pittella (Ds) Schengen non si tocca, "è una pietra miliare della costruzione europea". Claudio Fava di Sinistra unita vede "sollecitazioni emotive e non ragionamenti politici". In questa confusione diffusa che di sicuro non fa bene né ai rapporti né all’immagine dell’Italia in Europa, ha finito per implodere su se stesso il gruppo parlamentare di estrema destra. Peraltro senza provocare il rimpianto di nessuno. Se non forse dei diretti interessati che si ritroveranno così tagliati fuori dai benefici anche economici previsti per i gruppi. Con la defezione dei cinque del partito Grande Romania il gruppo, cui aderivano il Fronte nazionale francese e il Vlams Belang fiammingo, ha visto scendere a 18 il numero dei membri, sotto cioè la soglia minima di 20. I cinque rumeni dovranno affrontare le elezioni europee il 25 novembre: i sondaggi andavano male per loro. Ora sperano di risalire. Usa: in internet un documento-choc su carcere Guantanamo
Affari Italiani, 15 novembre 2007
I cani che minacciano i detenuti, gli "oggetti di comfort", come la carta igienica, dati in premio a chi tra loro si comporta meglio, la manipolazione psicologica. L’orrore di Guantanamo è in un manuale denominato "Camp Delta Standard Operating Procedures", datato marzo 2003 e contrassegnato come "Unclassified/for Official Use Only". A svelarne i contenuti non è stato il Pentagono, che anzi si è rifiutato di commentarlo, ma wikileaks.org, il sito web di Wikipedia dedicato ai documenti riservati, più o meno ufficiali. Tutti possono leggere le 238 pagine in cui la macchina di Guantanamo è descritta attraverso le istruzioni date ai carcerieri sotto il cui controllo, da quattro anni, passano centinaia di "nemici combattenti", il termine coniato dall’amministrazione americana per sottrarre al giudizio di una corte ordinaria gli accusati di terrorismo. Per anni le associazioni dei diritti umani hanno chiesto di vedere il documento, invano. "Ciò che mi colpisce", può dire oggi Jamil Dakwar, direttore del programma per i diritti umani dell’Unione americana per le libertà civili, "sono le indicazioni dettagliate su come gestire tutti i tipi di situazione: dall’accoglienza alla rasatura, fino alla sepoltura dei detenuti". Il documento, siglato dal generale Geoffrey Miller, sottolinea, tra l’altro, l’importanza dell’uso dei cani per intimidire i detenuti, abitudine americana in Iraq documentata dalle foto di Abu Ghraib. Una sezione intitolata "Deterrenza psicologica" suggerisce di far "passeggiare i Mwd (Military Working Dogs) per la strada principale del campo durante i turni d’aria per mostrare la loro presenza fisica ai prigionieri". Miller è uno convinto di questi metodi, corrispondendo d’altronde alla convinzione dell’ex comandante dell’esercito statunitense in Iraq, Riccardo Sanchez, che intendeva far leva sulla "paura che gli arabi hanno dei cani". Ciò che preoccupa di più Dakwar è, però, la procedura di comportamento prevista nel manuale quando ai cancelli di Camp Delta si presenta la Croce Rossa, l’unica organizzazione internazionale autorizzata a visitare i detenuti. Eccola: Unrestricted Access: i medici possono visitare il prigioniero e porgli domande più o meno liberamente; Restricted Access: le domande al prigioniero riguardano solamente la sua salute; Visual Access: il detenuto può essere solo osservato; No Access.
|