Rassegna stampa 23 marzo

 

Roma: detenuto rumeno muore nella notte a Regina Coeli

 

Garante dei detenuti di Roma, 23 marzo 2007

 

Un rumeno, detenuto nel carcere di Regina Coeli, è morto questa notte per cause imprecisate nell’Ospedale Santo Spirito, dove era stato ricoverato con urgenza nell’estremo tentativo di salvarlo. Il cittadino rumeno, tossicodipendente, era detenuto per rapina, aveva numerosi precedenti penali ed era sotto osservazione psichiatrica per aver incendiato in passato la propria cella. Si trovava per questo in una cella dove era sorvegliato a vista.

Durante la notte l’agente che lo controllava lo ha sentito rantolare, ha aperto la cella, si è reso conto immediatamente che la situazione era grave ed ha dato l’allarme. Il detenuto non aveva ingerito le medicine che il medico gli aveva prescritto e aveva rigettato il cibo consumato la sera precedente. Il medico di guardia ha deciso l’immediato ricovero all’Ospedale Santo Spirito dove hanno tentato senza esito di rianimarlo con il defribillatore.

Non c’è allo stato motivo di ritenere che si sia trattato di un suicidio, di avvelenamento o dell’esito di un’overdose. È stata tuttavia disposta l’autopsia dalla Autorità Giudiziaria che chiarirà le cause della improvvisa crisi e della morte.

 

Gianfranco Spadaccia

Ufficio Garante dei Diritti delle Persone Private della Libertà

Giustizia: Mastella; la legge sul regime di 41-bis va modificata

 

Adnkronos, 23 marzo 2007

 

La legge sul 41 bis va modificata. Lo dice il ministro della Giustizia Clemente Mastella a margine della presentazione del volume "Il regime detentivo speciale del 41 bis" scritto da Sebastiano Ardita. Il 41 bis, ha affermato Mastella, "è un efficace strumento di prevenzione che va garantito perché bisogna spiegare agli italiani che la lotta e il contrasto alla criminalità rimangono molto intensi e molto forti e non ci sono sbiadimenti".

Detto questo, il Guardasigilli osserva: "credo che si tratti di rassodare un po’ l’impianto che già c’è, partendo dal dato per cui la norma del 41 bis è un fatto non secondario, che non mortifica le libertà e la dignità della persona ma un fatto fondamentale per la prevenzione, per evitare che ci siano collegamenti tra chi è dentro e continua ad essere boss e quelli che sono fuori". Inoltre il ministro della Giustizia rassicura i famigliari delle vittime che hanno lanciato il loro grido d’allarme in relazione al fatto che sono usciti dal carcere duro due dei condannati per la strage dei Georgofili. "Il loro grido di allarme - ha detto - è accolto dal governo e dal Guardasigilli".

 

Ettore Ferrara, Capo del Dap

 

I detenuti sottoposti al regime del 41 bis sono sempre di meno. A tutt’oggi, ha evidenziato il capo del Dap Ettore Ferrara, sono 533. Da qui il suo appello: "è indispensabile una riforma del 41 bis". Intervenendo alla conferenza stampa di presentazione del libro "Il regime detentivo speciale del 41 bis" scritto dal magistrato Sebastiano Ardita, il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha reso noti i dati relativi ai detenuti sottoposti al carcere duro.

In particolare, Ferrara ha evidenziato che dal 1992 al ‘98 i detenuti reclusi al 41 bis erano compresi tra i 450 e i 500, con una impennata dal ‘99 al 2004, periodo nel quale avevano superato la soglia dei 600. Nel 2005-2006 hanno raggiunto le 530 unità. Nel dettaglio in 185 casi sono detenuti di Cosa nostra; 138 di camorra; 97 di ‘ndrangheta; 47 della Sacra corona unita. Un numero, comunque, quello dei detenuti al carcere duro che è sempre più in diminuzione. Da qui l’invocazione del capo del Dap. "Siamo in presenza di un fenomeno allarmante per l’aumento dei provvedimenti di annullamento del 41 bis ma il Dap fa ogni sforzo per dare una risposta alla lotta alla criminalità organizzata".

 

Pietro Grasso, procuratore nazionale Antimafia

 

La legge che regola la detenzione dei detenuti sottoposti al 41 bis "va rivista". Lo chiede il procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso nel corso di una conferenza stampa nella quale è stato presentato il volume ‘Il regime detentivo speciale del 41 bis’ scritto dal magistrato Sebastiano Ardita. Secondo Grasso, "si dovrebbe modificare qualcosa a partire dalla competenza, per esempio attribuendo la competenza al tribunale del luogo in cui si manifesta la pericolosità del detenuto sulla base dei delitti più gravi commessi". Dati alla mano, Grasso ha rilevato che dal 2003 al 2007 i detenuti che sono usciti dal 41 bis per essere trasferiti al regime ordinario sono 285. Ecco perché il procuratore nazionale Antimafia ritiene che i risultati di questa legge siano "negativi, qualcosa bisogna fare perché le modifiche che negli anno sono state apportate non hanno creato gli effetti desiderati".

Giustizia: Mastella; i processi più rapidi sono una priorità

 

Ansa, 23 marzo 2007

 

La lotta alla criminalità organizzata deve continuare ad essere un obiettivo chiaro della nostra azione politica. Senza mai abbassare la guardia, senza mai dimenticare le vittime e il forte esempio che ci hanno lasciato, è necessario proseguire nel cammino di contrasto alla criminalità organizzata, con una speranza ed una consapevolezza. E cioè che i giovani, la loro formazione, il doveroso impegno di tutti a trovare per loro le condizioni di una vita economicamente autonoma sono la chiave di volta per debellare il gioco al massacro del sopruso, della violenza e dell’illegalità, per rafforzare lo Stato e le sue istituzioni. È questo il messaggio del ministro della Giustizia, Clemente Mastella, nel giorno in cui si celebra la dodicesima edizione della giornata nazionale della memoria e dell’impegno contro le mafie organizzata dall’associazione "Libera".

Alle vittime della mafia - prosegue il Guardasigilli in una nota - voglio dire che da parte mia l’impegno a far si che i tempi dei processi siano più celeri, perché una giustizia lenta è una giustizia che non dà risposte, rappresenta una delle priorità assolute del mio Dicastero. Un obiettivo che intendo perseguire con tenacia e convinzione.

 

I tempi dei processi e il vivere civile

 

Creare in Europa una "cultura della celerità", che garantisca processi di "durata ragionevole", è indispensabile per dare piena attuazione ai diritti fondamentali dei cittadini. Il monito della Commissione europea sull’efficacia della giustizia nei Paesi membri del Consiglio d’Europa conferma, se ce ne fosse bisogno, che il vecchio continente e in particolare l’Italia - culla del diritto - deve incamminarsi con decisione verso una politica del risultato, della qualità e dell’efficacia dei sistemi giudiziari.

Giustamente, il monito è rivolto ai Governi ma anche agli operatori del diritto, in particolare a magistrati e avvocati, perché la "cultura della celerità" si coniuga con la "buona gestione" dei tempi processuali. E questo chiama in causa non solo la responsabilità politica ma anche la lealtà e la correttezza dei difensori nonché la professionalità e le capacità organizzative dei giudici. La durata ragionevole del processo non e uno slogan e nemmeno un’utopia. E una condizione essenziale del vivere civile, della crescita di un Paese, del rispetto effettivo dei diritti dei cittadini.

Giustizia: (Ugl); sanità penitenziaria resti competenza Stato

 

Adnkronos, 23 marzo 2007

 

"La sanità penitenziaria, le competenze in materia di giustizia, l’esecuzione penale intramuraria ed esterna non possono essere delegate agli enti locali ma devono restare di pertinenza dello Stato". Ad affermarlo è il segretario nazionale della Ugl Ministeri Paola Saraceni preannunciando degli emendamenti alla proposta di legge regionale del Lazio n. 11 del 2005, che prevede il passaggio delle competenze in materia di sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia agli enti locali. La Saraceni sottolinea che "affidare alla Regione compiti del ministero della Giustizia comporterebbe confusione e spreco di risorse oltre che il rischio di creare disparità e differenze nell’amministrazione della stessa. La centralità dello stato rischia di venire meno sebbene sia garantita dalla stessa Costituzione".

Giustizia: mediazione penale; quando parte sperimentazione?

 

Redattore Sociale, 23 marzo 2007

 

Esperti internazionali a confronto nel convegno promosso da Antigone. In Francia si praticano ogni anno circa 40 mila mediazioni e nell’80% dei casi si giunge alla fine ad un accordo. Favorevole il sottosegretario Manconi.

Oggi la mediazione penale e le pratiche di "giustizia riparativa" occupano spazi molto limitati all’interno dei Codici di procedura. L’Europa però spinge nella direzione dell’ampliamento dell’area della mediazione e c’è anche chi è convinto che la mediazione stessa possa diventare una valida alternativa ai sistemi penali che dimostrano il loro fallimento. Lo ha detto oggi, introducendo un convegno al quale sono stati invitati i massimi esperti della materia, Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.

Ma che cos’è la mediazione e in particolare che cos’è la mediazione penale? E come è possibile che si parli di questo strumento addirittura come di una possibile alternativa al penale? Dal convegno di questa mattina, al quale hanno partecipato anche il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi e l’assessore alle periferie (con delega alle carceri) del Comune di Roma, Dante Pomponi, è emersa prima di tutto una certezza paradossale: che su questa materia non ci sono certezze, a cominciare dalle definizioni teoriche.

Un primo approccio alla definizione lo ha fornito oggi il sociologo francese Jacques Faget, autore di numerose ricerche sul tema. Secondo Faget, la mediazione penale nasce dalla constatazione che il sistema penale è diventato anacronistico e che è quindi necessario sperimentare anche altre strade nel "fare giustizia".

Senza perdersi in elucubrazioni troppo astratte, Faget ha parlato delle pratiche di mediazione che già esistono in Europa e da queste ha tratto una sorta di modello generalizzabile. Il mediatore penale è colui che si pone come il tramite tra la vittima e l’autore del reato e rimanendo super partes cerca di avviare un dialogo tra i due soggetti che possa portare a sbocchi positivi. Il campo di applicazione migliore della mediazione - ha spiegato Faget - è quello dei conflitti di prossimità, la famiglia, il lavoro, il caseggiato e via dicendo. L’obiettivo della mediazione, nei casi di conflitti di prossimità, è quello di permettere ai soggetti (vittima e autore del reato) di poter continuare a vivere insieme dopo il processo, visto che il sistema penale non fa che "buttare benzina sul fuoco".

La mediazione offre anche un’opportunità unica: quella di far dialogare i soggetti direttamente, superando anche quell’astrazione tipica in questi casi. È noto infatti che la vittima (per chi ha commesso un reato) è solo una siluette astratta e viceversa. Al convegno di questa mattina si è fatto l’esempio dello scippo. Nell’immaginario dello scippatore non esiste la persona scippata, esiste solo l’oggetto dello scippo (la borsetta). E viceversa nella testa della vittima non esiste la faccia e la persona dello scippatore, se non una siluette astratta che rimane nella memoria. Magari per l’anziana signora scippata la siluette che rimane in mente è quella di un tossico.

Il sociologo Faget ha anche dato qualche cifra. In Francia si praticano già ogni anno circa 40 mila mediazioni penali. Ma i mediatori scontano molti problemi perché subiscono perennemente le pressioni del sistema penale tradizionale. Il mediatore deve badare quindi prima di tutto alla sua autonomia professionale e alla sua collocazione appunto super partes, ma non in veste di un giudice. Il mediatore non è un magistrato che deve emettere sentenze. È piuttosto un facilitatore, un comunicatore, colui che appunto fa dialogare.

Sempre in Francia nell’80% dei casi di mediazione si giunge alla fine ad un accordo. La percentuale si abbassa al 60% quando i soggetti in campo (vittima e autore del reato) appartengono alla stessa famiglia. Perché si sviluppi una pratica efficace della mediazione penale, secondo Faget sono necessari almeno quattro elementi: 1) la mediazione deve essere scelta liberamente dalle parti e deve avere carattere consensuale: 2) deve riguardare solo le persone con piene capacità psichiche: 3) non deve condurre in alcun modo a rinunciare al processo "giusto"; 4) deve prevedere specifici percorsi di formazione per i mediatori. Un modello, quello proposto dal sociologo francese che è stato molto apprezzato dal sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, secondo il quale la mediazione può essere una valida alternativa (o comunque un importante bilanciamento) di quel fenomeno sempre più evidente nella nostra società che riguarda il continuo allargamento della sfera penale.

Manconi parla di "pan-penalismo", o di processi di "criminalizzazione" della società. Per spiegarsi ha parlato anche del caso del portavoce di Prodi, che Manconi non ha mai citato, chiamandolo "il signor S." che è stato messo alla gogna (ovviamente mediatica) solo perché colpevole di aver avuto una pulsione, senza commettere alcun reato. Per Manconi quello del signor S. è solo l’ultimo dei tanti episodi che confermano l’invasione della sfera privata e delle scelte individuali della stigmatizzazione pubblica e della "penalizzazione senza pena". "Una tendenza che supera le nostre più cupe previsioni".

Il sottosegretario Manconi si schiera dunque a favore dei propugnatori della mediazione penale e della giustizia risarcitiva. Lo fa polemizzando da una parte con tutti coloro che sono scettici o critici nei confronti della mediazione stessa (oggi, durante il convegno l’obiettivo polemico di Manconi è stato l’intervento del filosofo del diritto Eligio Resta) e dall’altra proponendo una serie di iniziative concrete che dovrebbero permettere l’avvio di una sperimentazione anche in Italia della mediazione praticata già da anni in altri paesi europei. Gli operatori e gli studiosi non trovano però - almeno finora - l’accordo e i dissensi sono anche molto netti

Giustizia: riforma del c.p.p. e sviluppo della mediazione penale

 

Redattore Sociale, 23 marzo 2007

 

Il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, che questa mattina ha partecipato al convegno di Antigone sulla mediazione e la giustizia riparativa dal titolo "Mediare, non punire" (vedi lancio precedente), ha annunciato una serie di iniziative innovative.

La prima riguarda una struttura che sta per essere costituita all’interno del ministero e che si occuperà essenzialmente di studiare il problema della mediazione penale. La seconda questione riguarda la riforma del codice di procedura penale. All’interno della discussione e della riforma vera e propria, ha spiegato Manconi, ci si deve preparare a dedicare risorse mirate allo sviluppo della mediazione penale che da noi è ancora molto indietro rispetto ad altri paesi europei, come i Paesi Bassi e la Francia. Infine Manconi ha invitato gli studiosi intervenuti al convegno e in generale tutti coloro che si occupano di questa materia a produrre studi e riflessioni dettagliate che oltre a fornire elementi teorici, possano diventare indicazioni operative. "Abbiamo bisogno - ha detto Manconi - di piani di lavoro".

Durante il convegno di Antigone si sono comunque confrontate posizioni molto diverse sul tema della mediazione penale. Quello che è considerato il padre dell’abolizionismo penale, Louk Hulsman, ha raccontato per esempio le esperienze positive di Amsterdam e ha proposto di cominciare a introdurre la riflessione sulla vittima. Finora, ha detto Hulsman, si sono studiati i criminali e si sono prodotte statistiche sui reati.

Di recente si stanno invece moltiplicando gli studi sulle vittime dei reati. Si tratta quindi da una parte di relativizzare gli allarmi (perché dei reati sono una piccola parte sono poi tradotti in pene effettive) e dall’altra introdurre appunto la mediazione penale perché - tra le altre cose - è uno strumento che offre un ruolo nuovo alla vittima. La mediazione serve poi per Hulsman ha controbilanciare la continua violazione dei diritti umani che viene prodotta paradossalmente proprio all’interno dei sistemi penali che dovrebbe garantire la giustizia.

Non condivide l’ottimismo e le tante aspettative nei confronti della mediazione il filosofo del diritto Eligio Resta, secondo il quale sarà anche vero che il sistema penale raccoglie il malcontento della società, ma è anche da tener ben presente che la mediazione e il penale usano due linguaggi diversi e hanno storie completamente diverse.

È molto rischioso fare confusioni o sovrapposizioni. La vittima - secondo Resta - non deve avere un posto nella storia penale perché lo scopo di quel sistema è un altro: limitare l’arbitrio della punizione. Il sistema penale che abbiamo ereditato dall’Illuminismo, ha spiegato Eligio Resta, è un sistema che serve ad "ingannare la violenza", così come il Parlamento è un sistema che serve a "ingannare la guerra".

Non si potrà mai pretendere che il sistema penale possa ridurre la violenza e si deve aver ben chiaro che comunque si guardi il problema al posto centrale del penale non c’è la vittima, ma l’imputato. Le vittime, quindi, è la conclusione di Resta, devono rimanere "fuori". La mediazione, comunque, può essere applicata ma dipende molto anche dai settori. Per Resta, per esempio, pensare a una mediazione penale nel settore fiscale è un’assurdità, mentre potrebbe essere fattibile per i reati ambientali.

Anche dagli altri interventi del convegno di Antigone è arrivata poi la conferma che il tema della mediazione penale è ancora molto sfuggente. Si tratta prima di tutto di mettersi d’accordo sulle definizioni. È necessario poi raccogliere le esperienze pratiche e cercare di far avanzare questi discorsi in sintonia con il processo di riforma del codice penale.

Su questi punti sono intervenuti oggi Sergio Moccia, penalista e componente della commissione di riforma del codice penale, Carlo Florio, processual-penalista, componente della commissione per la riforma del codice di procedura penale. Molto utili anche gli interventi di Maria Pia Giuffrida, dirigente dell’amministrazione penitenziaria ed esperta di mediazione e di Patrizia Ciardiello, funzionaria dell’amministrazione penitenziaria. Il sociologo Giuseppe Mosconi, dell’università di Padova, insieme a Patrizio Gonnella (promotore del convegno), ha svolto il compito di coordinare un dibattito che non è per nulla semplice.

Giustizia: ddl su reato tortura; dal Senato modifiche al testo

 

Dire, 23 marzo 2007

 

Cambiano le pene e la loro differenziazione a seconda della gravità del reato; cambia in parte la definizione e il contesto; si introducono elementi nuovi come il fondo di risarcimento per le vittime (6 milioni di euro l’anno) e un’apposita commissione presso il ministero della Giustizia. Resta, nel complesso, l’obiettivo di base: introdurre nel codice penale italiano il reato di tortura. Per il resto il Senato "corregge", e non di poco, il provvedimento sul reato di tortura approvato a larga maggioranza dalla Camera a metà dicembre.

La nuova versione, infatti, è il frutto del lavoro svolto negli ultimi due mesi dalla commissione Giustizia di Palazzo Madama che ieri ha adottato come testo base un testo unificato che ricomprende parti del provvedimento licenziato da Montecitorio e parti di altre 4 pdl presentate invece al Senato rispettivamente da Alfredo Biondi (Fi), Mauro Bulgarelli (Verdi), Enrico Pianeta (Dc-Pri-Ind-Mpa) e Nuccio Iovene (Ulivo). Nuovo testo base, dunque, con una lunga sfilza di cambiamenti e appuntamento alla prossima settimana in commissione per la presentazione degli emendamenti (scadono alle 13 di mercoledì 28). La "quasi riscrittura" di Palazzo Madama, tanto per cominciare, prevede che chi commette il reato di tortura viene punito con la reclusione da 4 a 10 anni; pena raddoppiata se procura "lesione grave o gravissima"; non meno di 30 anni se la tortura porta alla morte della vittima. Il ddl uscito da Montecitorio, invece, prevedeva la reclusione fino a 12 anni; il doppio se ne derivava il decesso.

Il nuovo testo base sulla tortura messo a punto dalla commissione Giustizia del Senato, nell’introdurre nel codice penale l’articolo 613-bis stabilisce di punire "il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che infligge a una persona, con qualsiasi atto, lesioni o sofferenze, fisiche o mentali, al fine di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o dichiarazioni, di punirla per un atto che essa stessa o una terza persona ha commesso o è sospettata di avere commesso, di intimorirla o di fare una pressione su di essa o su una terza persona, ovvero per qualsiasi altro motivo fondato di discriminarla".

In questo caso, la pena sarà da 4 a 10 anni. Pena "aumentata se dalla condotta derivi una lesione grave o gravissima". E poi "se ne deriva la morte, la pena non può essere inferiore a 30 anni". Decisamente una novità, rispetto a quanto uscito da Montecitorio, il contenuto dell’articolo 3 del nuovo testo base in Senato. Presso il ministero della Giustizia, infatti, viene istituito un "fondo per le vittime dei reati di tortura, per assicurare un risarcimento finalizzato a una completa riabilitazione". In caso di morte della vittima, "gli eredi hanno diritto a un equo risarcimento".

Sempre presso il ministero di via Arenula, poi, sarà creata una "commissione per la riabilitazione delle vittime della tortura che ha il compito di gestire il fondo", la cui composizione e funzionamento "sono disciplinati con decreto del ministro della Giustizia. Per finanziare la legge, e dunque fondamentalmente il fondo e la relativa commissione, la commissione Giustizia di Palazzo Madama prevede "sei milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009" grazie a uno stanziamento del "fondo speciale" di previsione del ministero dell’Economia.

Per la verità, una parte molto simile era già presente nel testo della commissione Giustizia della Camera. Parte poi cancellata nel passaggio in aula su richiesta della commissione Bilancio, che in caso contrario avrebbe dato parere negativo. La commissione Giustizia del Senato, inoltre, "corregge" la Camera nella parte in cui prevedeva l’introduzione al codice penale dell’articolo 613-ter per punire secondo la legge italiana anche il cittadino o lo straniero che tortura in un paese estero. Questa disposizione, al Senato, scompare. Come nel caso del testo uscito dalla Camera, anche il Senato prevede che "non può essere assicurata l’immunità diplomatica ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in un altro paese o da un tribunale internazionale". Lo straniero in questione, si dice poi, "è estradato verso lo stato nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata la sentenza di condanna".

Giustizia: Sappe; nessuna amnistia per gli "anni di piombo"

 

Asca, 23 marzo 2007

 

"Nessuna amnistia deve essere fatta per chi ha insanguinato, complice la follia ideologica, le città italiane". Lo afferma la segreteria generale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe), riferendosi alla proposta del Capogruppo al Senato di Rifondazione comunista Giovanni Russo Spena di varare un’amnistia mirata a reati connessi all’eversione per chiudere definitivamente gli anni di piombo.

"Sarebbe meglio se la politica si occupasse di politica concreta - è detto in una nota - ad esempio intervenendo nelle mille situazioni di disagio sociale che quotidianamente interessano l’opinione pubblica, piuttosto che proporre soluzioni legislative di revisione storica dei drammatici anni di piombo".

"Dal 1969 al 1989 - ricorda il Sappe - ci sono stati più di 5.000 attentati, con 455 caduti e 4.529 feriti. Pochi, pochissimi i responsabili arrestati e condannati, ancora meno quelli in carcere. Quasi del tutto dimenticati i familiari delle vittime del terrorismo, che non meritano di essere offesi da proposte francamente sconcertanti che vorrebbero invece riscrivere la Storia insanguinata della democrazia italiana".

Nel ribadire che "non può e non deve esservi alcun perdono per assassini sanguinari", il sindacato ricorda i sette caduti del Corpo negli anni di piombo: "Il loro estremo sacrificio umano non merita offese da parte di nessuno, meno che meno da chi vorrebbe riscrivere la Storia nelle aule del Parlamento.".

Giustizia: sciopero avvocati; a Milano adesione quasi totale

 

Ansa, 23 marzo 2007

 

È stata "pressoché totale" negli uffici giudiziari milanesi l’astensione dalle udienze proclamata dall’Unione camere penali italiane. È quanto rileva il componente della Camera Penale di Milano, Avv. Daniele Ripamonti, secondo il quale il dato registrato nel capoluogo lombardo "trova riscontro sull’intero territorio nazionale".

A Milano si sono tenute sole le udienze urgenti: quelle, cioè, che vedono la presenza di imputati detenuti. Tra le altre, davanti al gup è stata rinviata l’udienza che vede imputate cinque persone per tentato riciclaggio in relazione al crack Cirio. Si sta invece tenendo regolarmente il processo, davanti alla Corte d’Assise, per l’omicidio di un pensionato ucciso perché gli assassini intendevano impossessarsi di una somma che credevano la vittima avesse vinto al superenalotto.

Giustizia: morte Carlo Giuliani; per Strasburgo ricorso ammissibile

di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone)

 

Italia Oggi, 23 marzo 2007

 

Lo scorso 12 marzo la Corte Europea sui Diritti Umani ha dichiarato ammissibile il ricorso presentato dai familiari di Carlo Giuliani (n. 23458/2002), per violazione degli articoli 2, 3, 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Non sono state accolte le tesi contrarie del governo italiano

Lo scorso 12 marzo la Corte Europea sui Diritti Umani ha dichiarato ammissibile il ricorso presentato dai familiari di Carlo Giuliani (n. 23458/2002), per violazione degli articoli 2, 3, 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Non sono state accolte le tesi contrarie del governo italiano, depositate quando era ancora premier Silvio Berlusconi. Il ricorso, presentato dai genitori e dalla sorella di Carlo Giuliani, riguarda la morte del giovane ventitreenne genovese avvenuta durante la manifestazione anti-globalizzazione tenutasi in concomitanza al summit G8 di Genova nel luglio 2001.

La Corte ha ripercorso i fatti accaduti quel famoso 20 luglio con i violenti scontri tra i dimostranti e le forze dell’ordine. Secondo la ricostruzione effettuata dai giudici di Strasburgo accadeva che alle 5 del pomeriggio un gruppo di circa 50 carabinieri in tenuta da sommossa si trovava vicino Piazza Alimonda. Due jeep restarono isolate. A causa di un errore nella guida, uno dei veicoli, con tre carabinieri all’interno, fu bloccato nella piazza senza poterne uscire. Contro di loro i manifestanti lanciavano oggetti vari e pietre. Uno dei tre carabinieri, colto dal panico, sparò due colpi di pistola. Carlo Giuliani fu colpito. Nel tentativo di andar via, la jeep dei carabinieri lo investì.

Quando i manifestanti furono dispersi arrivò un medico che diagnosticò la avvenuta morte del giovane. Una indagine fu subito aperta dalle autorità italiane, nel corso della quale furono ascoltati i tre carabinieri coinvolti più altri presenti in quel frangente in piazza. Fu aperto un procedimento penale per omicidio doloso nei confronti del carabiniere che sparò i due colpi. Secondo i risultati dell’autopsia la morte sarebbe avvenuta nei cinque minuti successivi al colpo di pistola. Alla richiesta del pubblico ministero ci furono in sequenza tre perizie; gli autori della terza perizia, risalente al giugno 2002, conclusero che il colpo di pistola fosse stato deviato da una delle pietre lanciate da un altro dimostrante con il risultato di colpire mortalmente e accidentalmente il giovane.

A marzo 2003 il Gip decise per l’archiviazione del procedimento a carico del carabiniere che aveva sparato il colpo di pistola così accogliendo la tesi della perizia. Il carabiniere, secondo il giudice per le indagini preliminari, avrebbe fatto un uso legittimo delle armi a propria legittima difesa. In base al ricorso presentato dai familiari di Carlo Giuliani vi sarebbe stata invece la violazione dei seguenti articoli della Convenzione del 1950: articolo 2 (diritto alla vita) in quanto sarebbe stato eccessivo nonché sproporzionato l’uso della forza rispetto all’obiettivo di preservare l’ordine pubblico; articolo 3 (proibizione di trattamenti inumani o degradanti) per la mancata pronta assistenza da parte dei carabinieri dopo lo sparo e l’investimento; articolo 6 (diritto a un giusto processo) e articolo 13 (diritto a un rimedio giurisdizionale effettivo) in quanto non vi sarebbe stata una indagine puntuale e non sarebbero stati ascoltati alcuni importanti testimoni.

Viene citato anche l’episodio, ritenuto grave, del perito che, prima ancora di depositare la propria perizia che assolveva di fatto il carabiniere, aveva scritto un articolo su un giornale sostenendo la tesi della legittima difesa. Le contro-obiezioni del Governo italiano sono state rigettate. In primo luogo è stato ritenuta corretta la tesi dei ricorrenti secondo cui sarebbero già stati perseguiti tutti i rimedi giurisdizionali interni, pre-condizione per accedere al giudizio della Corte europea; in secondo luogo vengono definite legittime le ragioni dei ricorrenti e per questo si è deciso di giungere alla sentenza di merito. Non sono molti i ricorsi di questo tipo che superano la fase della ammissibilità e giungono a giudizio, per cui l’Italia ora rischia grosso di essere condannata a Strasburgo per la morte di Carlo Giuliani.

Giustizia: lunedì Mastella a un convegno sul ddl per la riforma

 

www.giustizia.it, 23 marzo 2007

 

Il ministro della Giustizia Clemente Mastella interverrà lunedì 26 marzo alle 10.30, presso l’aula Calasso della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università "La Sapienza" di Roma, al convegno "La Riforma della Giustizia, tra esigenza di diritto ed etica politica".

Il convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università "La Sapienza" affronterà il tema della riforma dell’ordinamento giudiziario proposta dal Guardasigilli con un disegno di legge di recente approvato dal Governo.

Oltre alle conclusioni affidate al ministro sono previsti gli interventi del Rettore della Sapienza Renato Guarini, del Preside della Facoltà di Giurisprudenza Carlo Angelici, dei professori Carmine Punzi, ordinario di Diritto Processuale Civile, e Giorgio Spangher, ordinario di Diritto Processuale, del penalista e europarlamentare Armando Veneto, dell’onorevole Gino Capotasti membro della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati e del rappresentante degli studenti Filippo Napoli.

Uno Bianca: permesso a Gugliotta, ma la Procura fa ricorso

 

Ansa, 23 marzo 2007

 

Il giudice di sorveglianza ha concesso a Pietro Gugliotta, uno dei poliziotti della "Banda della Uno Bianca", un permesso di cinque giorni per andare alcune ore al giorno a lavorare nella struttura di don Giovanni Nicolini, sacerdote molto noto a Bologna per il suo impegno nell’assistenza ai più bisognosi e già responsabile della Caritas diocesana.

Ma il provvedimento, almeno per ora, non è esecutivo perché la Procura ha fatto ricorso. La domanda per il permesso era stata avanzata da tempo. Ora è arrivata la risposta positiva del giudice Maria Longo, anche sulla base delle informazioni raccolte dall’equipe che ha valutato l’ex poliziotto sotto il profilo socio-psicologico.

Il Pm Antonello Gustapane, il magistrato della Procura responsabile delle esecuzioni, e il Procuratore Enrico Di Nicola - anche sulla base delle informazioni della polizia - hanno però presentato ricorso. Sarà il Tribunale di sorveglianza, nei prossimi giorni, a dover decidere sul permesso in modo definitivo.

Gugliotta era stato condannato a 15 anni per i fatti bolognesi della banda e a 13 per quelli riminesi: la Corte d’Assise d’appello però, su istanza dell’avvocato difensore Stefania Mannino, nel 2000 gli ha riconosciuto la continuazione, così i 28 anni sono diventati 20. In carcere Gugliotta ne ha passati 12.

Anche grazie all’effetto dello "sconto" di pena di tre anni che gli è garantito dall’indulto, vedrà abbassato il suo residuo pena al punto da poter avanzare richiesta di misura alternativa al carcere. Gugliotta era un agente in servizio alla centrale operativa della Questura, ed è stato condannato per rapine, tra cui la partecipazione al sanguinoso assalto alle poste di via Mazzini a Bologna con decine di feriti, ma non per i più efferati fatti di sangue di una banda composta da poliziotti che tra la metà del 1987 e l’autunno del 1994 si lasciò dietro 24 morti e oltre cento feriti tra Bologna, la Romagna e le Marche, rapinando banche, uffici postali e supermercati, sparando a testimoni o a chi, come unica "colpa", era nomade o extracomunitario. Dopo l’arresto nel 1994 cadde in uno stato di prostrazione psicofisica, che lo ha portato per lungo tempo in ospedale. Nel carcere bolognese della Dozza ha intrapreso un programma di recupero e ha lavorato come addetto alle pulizie.

Cosenza: detenuti denunciano ritardi nella consegna di posta

 

Adnkronos, 23 marzo 2007

 

I detenuti del carcere di Cosenza hanno scritto una lettera al leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, chiedendo un suo intervento per la risoluzione di un problema da loro assai sentito, quello della corrispondenza, delle "lettere-fantasma", che o arrivano dopo 15 giorni o addirittura non vengono mai recapitate agli stessi reclusi della casa circondariale di via Popilia. Corbelli chiede l’immediato intervento del direttore delle Poste di Cosenza, la soluzione del problema e rende nota la missiva che gli hanno spedito i detenuti.

"Purtroppo - scrivono i detenuti - gli unici mezzi di comunicazione che abbiamo per stare vicino ai nostri cari sono il colloquio, la telefonata settimanale e la corrispondenza. Riguardo ai colloqui, alle telefonate dobbiamo ringraziare la direzione del carcere per il corretto funzionamento di questi servizi; purtroppo ci sono molte persone che non effettuano colloqui, né telefonate e di conseguenza l’unico mezzo di comunicazione è la corrispondenza. Per ricevere una lettera dobbiamo aspettare più di 15 giorni, quando va bene, perché a volte si smarriscono e quindi vi lasciamo immaginare lo stato d’animo di una persona che attende notizie dai propri cari".

Bologna: già finito "l’effetto indulto", la Dozza ri-scoppia

 

Dire, 23 marzo 2007

 

La capienza del carcere bolognese della Dozza è di nuovo sopra la soglia di tolleranza. La media è di dieci ingressi al giorno e il 38% dei detenuti è tossicodipendente. Dopo lo "svuotamento" dovuto all’indulto, che nell’agosto scorso aveva fatto scendere il numero dei detenuti della Dozza da più di mille a circa 720 detenuti, nel penitenziario del capoluogo regionale gli ospiti ricominciano a crescere. L’ultimo dato, reso noto questa mattina in commissione comunale dalla direttrice della Casa circondariale, Manuela Ceresani, conta 789 persone, di cui 34 donne.

Prima dell’indulto erano arrivati a circa 1.100, spiega, una cifra che però è troppo alta visto che il tetto tollerabile è di circa 780 detenuti. Già nei giorni scorsi ci sono stati i cosiddetti sfollamenti, trasferimenti chiesti per diminuire il numero di "ospiti" quando le celle iniziano a diventare troppo piccole: "Eravamo a circa 850 persone". Dall’inizio del 2007, va avanti la direttrice del carcere, sono arrivati 357 nuovi maschi e 32 donne, poi 74 detenuti sono stati trasferiti. Il numero dei tossicodipendenti è di 254 maschi e sei donne, il 38% degli attuali carcerati. I sieropositivi sono dieci uomini e due donne, quelli sotto metadone sono 67. Dall’inizio dell’anno i medici convenzionati Sias hanno effettuato 1.129 visite, gli operatori del Sert, il servizio contro la tossicodipendenza, 457, sono state invece 354 le visite psichiatriche.

Firenze: tirocini formativi in azienda per i detenuti indultati

 

Asca, 23 marzo 2007

 

Entro il 31 marzo 2008, in provincia di Firenze, saranno attivati tirocini formativi in aziende per 70 ex detenuti liberati con l’indulto. Se questi settanta troveranno lavoro dopo il tirocinio, sarà possibile cercare di avviare al lavoro altri 70 indultati. Al centro di questo percorso sono la Provincia di Firenze e "Italia Lavoro", che ha predisposto il progetto nazionale "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto" con fondi del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale.

Per portare avanti il progetto, collocato in quattordici aree territoriali (tra cui quella fiorentina), è stato firmato un accordo che prevede la creazione di un tavolo di indirizzo composto dalla Provincia di Firenze dal Comune, da un rappresentante di Italia Lavoro, da un referente territoriale del Ministero della Giustizia. Il tavolo di indirizzo sovrintenderà al progetto complessivo, monitorandone l’andamento ed integrandolo con le competenze dei singoli Enti e con eventuali altri progetti nazionali o territoriali presenti a vario titolo sul territorio, che possano essere utilizzati a favore dei soggetti indultati.

Palermo: ingiusta detenzione, risarcito con 270 mila euro

 

Ansa, 23 marzo 2007

 

Era stato prima condannato all’ergastolo, poi a 24 anni. Dopo l’annullamento con rinvio della Cassazione era stato assolto. Ma intanto Francesco Nangano, accusato di essere un boss di Brancaccio, ha trascorso quattro anni e dieci mesi in carcere. Per questa "ingiusta detenzione" adesso è stato risarcito con 270 mila euro. La vicenda viene ricostruita stamani dal Giornale di Sicilia.

Nangano era stato accusato di aver avuto un ruolo nell’omicidio di Filippo Ciotta, un ladro che avrebbe compiuto una serie di furti senza l’autorizzazione della mafia. I giudici di primo grado lo avevano condannato all’ergastolo; in secondo grado la pena era stata ridotta a 24 anni. Ma dopo l’annullamento della Cassazione, i giudici della corte d’assise d’appello stabilirono nel 2005 che Nangano era innocente.

L’imputato fu così pienamente scagionato, dato che un’altra accusa di mafia era già caduta in un processo parallelo, con sentenza ormai definitiva. Nangano era salito alla ribalta della cronaca nel 2001 anche per via di una relazione sentimentale intrattenuta durante la latitanza con una assistente sociale, giudice popolare in alcuni processi di mafia, che per questo motivo fu allontanata. Il risarcimento è stato deciso dalla sezione promiscua della corte d’appello che ha accolto la richiesta di "riparazione" per la detenzione di Nangano dal 1999 al 2005. I suo legali hanno fatto ricorso perché chiedono il massimo previsto in questi casi: 517 mila euro di risarcimento.

Potenza: Fabrizio Corona; il carcere è un bagno d’umiltà

 

Ansa, 23 marzo 2007

 

Il paparazzo protagonista dello scandalo Vallettopoli racconta la calorosa accoglienza ricevuta da parte dei detenuti. Fabrizio Corona è stato accolto a braccia aperte dai detenuti del carcere di Potenza, dove si trova rinchiuso dal 12 marzo. "No, grazie, lo champagne non mi manca per niente - si legge sulle pagine del Corriere - Anzi so che quest’esperienza, seppure dolorosa, alla fine mi farà bene. Il carcere in qualche modo t’insegna a vivere.

È un bagno d’umiltà. Una prova che quasi quasi dovrebbero fare tutti... Fuori prima mi cercavano tutti. Adesso invece sembra che di me non importi proprio più a nessuno... Qua dentro, però, ho conosciuto un altro mondo. Incredibili, i detenuti. Mi hanno perfino mandato biglietti in cella, mi hanno scritto che vorrebbero venire a qualche festa, quando usciremo.

Ma io ora penso soprattutto al lavoro, alla vita che m’aspetta, ai tanti impegni e a quelli che lavoravano con me. Ci penso sempre… Con tutti i problemi che abbiamo in Italia sembra che esista soltanto io. Boh, comunque, ognuno fa il suo lavoro…", commenta amareggiato. Intanto in questi giorni ha ricevuto la visita della moglie Nina Moric, la moglie, con la quale sembra aver un ritrovato armonia dopo i litigi degli ultimi tempi: "L’incontro ci ha unito ancor di più", ha confessato Fabrizio al suo legale, "Mi manca molto Carlos".

Latina: decine di libri in dono per biblioteca sezione femminile

 

Garante dei detenuti del Lazio, 23 marzo 2007

 

I libri consegnati stamattina dal Garante dei detenuti Angiolo Marroni. "Uno dei diritti più trascurati in carcere è quello di poter curare la propria formazione culturale - ha detto Marroni - È importante che la società conosca anche questo aspetto della vita dei detenuti".

Grazia ad un accordo fra il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni e i giornalisti del Venerdì di Repubblica (settimanale del quotidiano romano), rinasce la biblioteca della sezione femminile dell’alta sicurezza del carcere di Latina.

Garante dei detenuti e Venerdì di Repubblica hanno, infatti, dato vita ad un accordo unico del suo genere in Italia: le biblioteche delle 14 carceri del Lazio saranno rifornite e completate con decine di libri (fra cui le ultime novità letterarie italiane) donati periodicamente dal settimanale. "Quello di curare la propria formazione culturale utilizzando il tempo in carcere per leggere un libro è fra i diritti più trascurati - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - È importante che la società conosca questo aspetto della vita dei detenuti. C’è chi, come i giornalisti del Venerdì, hanno dimostrato di averlo compreso. E di questo non posso che ringraziarli".

Nella sezione femminile dell’alta sicurezza del carcere di Latina i primi volumi sono stati consegnati questa mattina dal Garante dei Detenuti Angiolo Marroni e dal coadiutore Candido D’Urso. La prima donazione frutto dell’accordo era stata effettuata, ai primi di marzo, alla biblioteca dell’istituto penale minorile di Casal del Marmo (Roma). Della prossima donazione beneficerà, invece, il carcere di Frosinone.

In base agli accordi con il settimanale, il Garante si occuperà di consegnare i libri nelle carceri, a seconda delle richieste che arrivano. I collaboratori del Garante hanno creato una mappa delle biblioteche esistenti (e dello stato in cui si trovano) e di quelle che è possibile creare. Da questo lavoro è nata una lista di priorità da soddisfare con le donazioni del Venerdì di Repubblica.

Consegnando i libri a Latina il Garante ha sottolineato che l’operazione non ha solo una valenza culturale, ma potrebbe creare delle opportunità occupazionali per i detenuti. "Per gestire una biblioteca servono persone con una specifica preparazione - ha detto Marroni - Per questo stiamo pensando a corsi di formazione per bibliotecari nelle carceri. Si tratta di una professionalità che potrebbe garantire ottime possibilità di impiego per quanti, scontata la propria pena, si apprestano a tornare a pieno titolo alla vita di tutti i giorni".

Libri: "Il regime detentivo speciale 41-bis"

di Sebastiano Ardita (Direttore generale dell’Ufficio detenuti e trattamento del Dap)

 

www.giustizia.it, 23 marzo 2007

 

L’applicazione dell’art. 41bis dell’ordinamento penitenziario costituisce uno degli strumenti più importanti nella lotta alla criminalità mafiosa. Le problematiche giuridiche relative alle attività di istruttoria, formazione ed emanazione dei provvedimenti ministeriali e le implicazioni della loro gestione nel circuito penitenziario sono raccolte per la prima volta in un volume monografico.

Il regime detentivo speciale 41bis (Giuffrè Editore) è scritto da Sebastiano Ardita, magistrato e direttore generale dell’ufficio detenuti e trattamento del Dap. Ne pubblichiamo l’introduzione curata dall’autore. Descrivere l’evoluzione normativa dei regime speciale di detenzione, dall’esperienza dell’art. 90 sino al 41bis dei nostri giorni, significa inevitabilmente immergersi in quella stagione che suole definirsi dell’emergenza, di cui non si riesce a datare con precisione l’inizio e la fine.

Articolata è l’analisi differenziale dei fenomeni che hanno condotto a tale stagione. Se può considerarsi sopita la fase del terrorismo interno - le cui attività per conseguire effetti devono anche possedere un contenuto di spiccata visibilità - altrettanto non può dirsi dei fenomeni di destabilizzazione internazionale e di quelli riconducibili all’operatività delle associazioni di tipo mafioso. Per queste ultime, in particolare, a seguito di un repentino cambio di strategia criminale, si è posto un problema di percezione della loro stessa presenza.

La risposta decisa dello Stato agli eventi tragici dei primi anni Novanta, ed un calo del consenso popolare di cui la mafia aveva pur goduto nei territori ove è più radicata la sua presenza, hanno indotto le organizzazioni a privilegiare la strada dell’inabissamento, facilitate in ciò anche dalla possibilità di reinvestire in attività lecite gli ingenti proventi dei traffici criminali.

In questo contesto è stato concepito il passaggio "a regime" del sistema della detenzione speciale, come risposta strutturale ad un fenomeno presente in modo permanente nella società anche se non sempre visibile. Nondimeno la mancanza di eventi tragici ai quali legare la giustificazione della misura agli occhi della pubblica opinione e una serie di incongruenze sistematiche hanno messo a rischio la tenuta del regime speciale.

L’iniziativa istituzionale della direzione nazionale antimafia, forte del prestigio conseguito sul campo nell’esercizio della funzione di coordinamento degli strumenti di prevenzione, ha impedito che venisse meno uno degli strumenti più efficaci nel contrasto alla criminalità organizzata. Si è trattato - sul piano organizzativo - di rendere circolare il lavoro di iniziativa, di raccolta degli elementi fondativi, di scelta delle strategie, di attivazione dei mezzi di gravame, che la legge aveva frammentato distribuendo competenze a soggetti distanti tra loro per sede e per funzioni.

Di fare in modo - sul piano giudiziario - che i provvedimenti ministeriali di applicazione resistessero al vaglio rigoroso dei tribunali di sorveglianza. Di affermare - sul piano strategico - la funzione di prevenzione del regime speciale che delinea il confine comune della sua compatibilità costituzionale e della rilevanza nel contrasto dinamico alle organizzazioni criminali. Di coniugare - sul piano sistematico - il regime 41bis con gli strumenti di ablazione patrimoniale e la gestione dei collaboratori di giustizia, per l’emersione di un diritto della prevenzione penale fondato su istituti normativi strutturati, da considerarsi non più figli dell’emergenza.

Questo volume ha ad oggetto le problematiche giuridiche relative alla quotidiana attività di istruttoria, formazione, emanazione dei provvedimenti 41bis, alla loro impugnazione ed alla gestione del relativo circuito penitenziario. Si è voluto pertanto affrontare tutte le questioni giurisprudenziali, tanto in chiave pratica quanto in prospettiva sistematica, partendo dai problemi di costituzionalità dell’istituto sino alla verifica della legalità delle singole disposizioni di dettaglio, nella convinzione che gli strumenti della prevenzione penale rappresentino la vera novità, meritevole di una attenzione speciale da parte della dottrina per una materia giuridica che evolve con ritmo e contenuti che non hanno precedenti.

Il regime speciale di detenzione, sorto all’indomani delle stragi degli anni novanta, rappresenta tuttora uno dei principali strumenti di prevenzione nella lotta alla mafia ed alla criminalità organizzata in genere. Le problematiche giuridiche relative alla quotidiana attività di istruttoria, formazione, emanazione dei provvedimenti 41bis, alla loro impugnazione ed alla gestione del relativo circuito penitenziario, sono state pertanto raccolte per la prima volta in un volume monografico realizzato in una prospettiva di diretto impegno istituzionale. Ampio spazio è dedicato all’analisi della giurisprudenza di merito e di legittimità sui reclami. L’opera è dedicata a quanti vogliono conoscere la materia, coniugando l’aspetto pratico, le questioni di compatibilità costituzionale e la dimensione strategica dei mezzi normativi di contrasto alla criminalità organizzata.

 

Sebastiano Ardita

Direttore generale detenuti e trattamento del DAP

Droghe: piaga sociale, un concetto né di destra né di sinistra

 

La Repubblica, 23 marzo 2007

 

Sgomberiamo innanzitutto il campo dall’equivoco che quelli di destra sono contro la droga e quelli di sinistra a favore. O viceversa, che per essere di destra bisogna essere repressivi e invece per essere di sinistra bisogna essere permissivi. La droga è una piaga sociale che, purtroppo, riguarda tutti, senza differenza di fede o colore politico.

E allora proviamo a ragionare più liberamente sulla "querelle" che contrappone il far del Lazio al ministro della Salute, Livia Turco, promotrice di un decreto - di concerto con il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, controfirmato dal ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero - con cui viene raddoppiata la cosiddetta dose minima giornaliera, al di sotto della quale si tratta di uso personale (e come tale punibile con sanzioni amministrative) e al di sopra della quale si tratta invece di spaccio (punibile con sanzioni penali fino alla reclusione da 6 a 20 anni). Un provvedimento prima sospeso e poi annullato, contro il quale ora il ministro Turco alza il tiro e chiede l’annullamento non solo del precedente decreto Berlusconi - Castelli, ma addirittura della legge Fini - Giovanardi in base alla quale entrambi sono stati emessi.

La questione, ridotta all’osso, non è se mezzo grammo di hashish o di marijuana in più o in meno fa male o no. Le droghe, anche quelle leggere, fanno sempre male: come fanno male il fumo e l’alcol, al punto da provocare una dipendenza. Né si tratta di decidere se mezzo grammo in più o in meno è lecito o illecito: l’uso di droga è sempre illecito, oltre che dannoso.

Il problema, piuttosto, è di stabilire se mezzo grammo in più di hashish o di marijuana, cioè l’equivalente di 5 o 6 spinelli, configura o meno il reato di spaccio. E di conseguenza, se chi detiene un tale quantitativo dev’essere criminalizzato, avviato a un percorso giudiziario penale ed eventualmente finire anche in carcere.

Poi, ultimo punto, resta da verificare se la criminalizzazione o la reclusione sono il rimedio migliore per curare i drogati. Tanto più in un Paese dove il Parlamento, con un voto bipartisan, ha dovuto approvare un indulto per decongestionare le carceri affollate soprattutto di tossicodipendenti o comunque di detenuti per reati connessi alla droga, mettendo in libertà ladri, rapinatori e in qualche caso perfino assassini. Un Paese dove chi finisce in galera, anche se non è ancora drogato, generalmente ne esce drogato.

"Educare, prevenire, curare, non incarcerare", recita il programma dell’Unione a proposito della lotta alla droga. Proprio a questi principi s’ispira il provvedimento del ministro della Salute, di concerto non a caso con quello della Giustizia e della Solidarietà sociale, perché di

questo appunto si tratta: di salute, giustizia e solidarietà sociale. Non certo di alimentare e favorire l’uso della droga, bensì di ridurre la possibilità di mandare in carcere qualcuno per qualche spinello in più, con il rischio o la pena supplementare di passare magari alla cocaina o all’eroina.

Ha perfettamente ragione quel sant’uomo del professor Veronesi, uno che la vita del prossimo la difende davvero ogni giorno che il buon dio manda in terra, a dire - come ha scritto qui nei giorni scorsi - che "le prigioni sono piene di piccoli spacciatori che sono anche tossicodipendenti e ogni giro di vite ne aumenta il numero senza avere un effetto sul mercato complessivo delle droghe". Con l’autorevolezza scientifica e morale che gli deriva dalla sua missione professionale, lui stesso avverte che "proibire e punire non sempre serve". E forse bisognerebbe dire mai o quasi mai.

Non parliamo - per carità - di anti-proibizionismo, per non correre il rischio di essere linciati dai benpensanti in buona o cattiva fede. Ma da che mondo è mondo, dalla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, sappiamo tutti qual è il fascino subdolo del "frutto proibito", la sua perversa capacità di attrazione. E allora, evitiamo almeno l’ipocrisia di spacciare la "tolleranza zero" come l’unica risposta della ragione e della responsabilità, strumentalizzando la questione a fini politici sulla pelle della gente.

Fa bene perciò il ministro Turco a chiedere ora l’annullamento d’ufficio del precedente decreto Berlusconi - Castelli e della legge Fini - Giovanardi. Quel meccanismo della "dose giornaliera", imperniato su una valutazione che neppure la Commissione tecnica istituita dall’ex ministro Storace è riuscita a quantificare con certezza, non funziona né per un grammo né per mezzo. Tant’è vero che già nel periodo tra gennaio 2005 e ottobre 2006, secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno, il numero delle persone arrestate per possesso di hashish è aumentato del 10% e di quelle in possesso di marijuana addirittura del 63,9%. Occorre, dunque, una nuova legge contro la droga. Una legge a tutela della salute, concepita in nome della giustizia e della solidarietà sociale, fondata sulla prevenzione e sulla dissuasione. Nel frattempo, toccherà ai magistrati stabilire caso per caso chi merita di essere curato o punito, salvato o condannato all’inferno dietro le sbarre.

Droghe: Ferrero; farò un ddl per vietare pubblicità alcolici

 

Liberazione, 23 marzo 2007

 

Presenterò un provvedimento per vietare la pubblicità degli alcolici". Il ministro del Welfare Paolo Ferrerò all’indomani della bocciatura della sentenza emessa dal Tar del Lazio del decreto sulla cannabis non manca di tornare a spiegare quali sono davvero le priorità.

"La priorità resta innanzitutto la prevenzione. E il punto è lavorare per rompere la costruzione ideologica che vede abbinate il consumo delle sostanze stupefacenti e il successo nella vita". Sono questi i nodi che deve risolvere la politica. Naturalmente seguendo questa direzione il Governo sta lavorando per approntare un testo definitivo per superare la Fini-Giovanardi. Ma seguendo "quella" rotta e contro ogni "propaganda sciocca e ideologica del centrodestra".

 

Caro ministro, dopo la bocciatura del decreto da parte del Tar, a questo punto cosa accadrà?

Che presto verrà presentato un provvedimento per il definitivo superamento della legge Fini-Giovanardi. Del resto sono state già presentate le linee guida sia alla Camera sia al Senato sia al tavolo interministeriale sia alle commissioni. Una discussione approfondita, ed è sulla base di questa che verrà approntato il testo.

 

La ministra Turco ha annunciato che si procederà ad annullare quella parte del precedente decreto che riguarda le tabelle che stabiliscono la quantità di cannabis oltre la quale scattano le sanzioni penali...

Sì, questa del resto è una proposta che ho avanzato prima delle linee guida e consentirebbe perlomeno di tornare in una situazione di liceità, in cui la magistratura sulla base delle indagini potrà verificare se si tratta di spaccio e non che venga stabilito a priori in base alla quantità se un consumatore sia uno spacciatore e finire in galera per questo.

 

L’Unione sembra compatta su questo punto. Persino le senatrici "teodem" Baio e Binetti hanno annunciato la necessità di rivedere l’intera materia "droghe" e che si proceda speditamente verso la revisione della vecchia normativa...

Questo è il frutto di un lavoro davvero pesante, e fatto in questi mesi fuori dai riflettori che, comunque, ha premesso di dipanare molti dei nodi esistenti anche all’interno del centrosinistra. Ora, credo che ci siano ancora dei punti da limare ma, indubbiamente, questo lavoro fecondo per tentare di trovare un accordo mi sembra che sia ormai fatto al 90%.

 

La Cdl tuona contro Turco e ne chiede in blocco le dimissioni. Una replica a questo?

Sono solo sciocchezze propagandistiche. Come del resto avviene su altri temi, come sull’immigrazione, invece di confrontarsi sul merito si sentono in campagna elettorale permanente.

 

Quali restano le priorità?

Le priorità sono e restano affrontare il nodo della prevenzione e il superamento delle sanzioni per i consumatori. In definitiva è necessario attuare politiche di cura e di riduzione del danno come avviene nel resto d’Europa. Il punto è lavorare per rompere la costruzione ideologica che vede abbinate il consumo di sostanze e il "successo nella vita". È per questo che presto presenterò un disegno di legge che preveda di vietare gli spot degli alcolici.

Droghe: Fini e Giovanardi; la sinistra vuole la liberalizzazione

 

La Repubblica, 23 marzo 2007

 

"Ormai l’obiettivo del centrosinistra è chiaro. Liberalizzare l’uso di tutte le droghe: aspettiamo al varco la maggioranza in Parlamento ed anche fuori, cioè nelle strade. Gran parte del Paese è contrario alla liberalizzazione di qualsiasi tipo di sostanza stupefacente, e ne sono convinti anche molti elettori del centrosinistra.

La sentenza del Tar non ha fatto riflettere il ministro Turco, che ora annuncia di voler cancellare il decreto Berlusconi - Castelli che rendeva operative le tabelle sulla quantità oltre le quali può scattare l’azione penale. E non si sogni di abrogarle con un decreto, perché deve modificare la legge Fini - Giovanardi e quindi venire in Parlamento". Il presidente di Alleanza nazionale Gianfranco Fini replica così all’intervista rilasciata ieri a Repubblica dal ministro Livia Turco, e parla di una "campagna quotidiana di falsità, portata avanti dalla maggioranza per demonizzare la nostra legge".

Non lesina parole pesanti nei confronti della maggioranza: "Hanno usato menzogne, ora il centrosinistra ha gettato la maschera - prosegue Fini - e come per i Dico ha firmato una cambiale in bianco alla sinistra radicale. Liberalizzare l’uso delle droghe vuol dire contravvenire a due principi: il primo è quello che il legislatore è tenuto a tutelare la salute dei cittadini. Il secondo è il dettato costituzionale che sancisce il diritto del cittadino alla salute. Ci provino a fare quello hanno annunciato. Ho dei forti dubbi che ci riusciranno".

Difende a spada tratta la legge che porta anche la sua firma il senatore Carlo Giovanardi: "Non è vero che le norme oggi ancora in vigore siano repressive, lo dimostra il fatto che sono diminuiti gli arresti legati alla droga - afferma il senatore dell’Udc -.

Anche la quantità, quella prevista dalla nostra tabella, è solo un’indicazione che può essere utile al giudice e alla polizia giudiziaria. Faccio un esempio: se mi trovano con un pacchetto di sigarette in tasca si presume che io sia un fumatore, ma se sotto al cappotto ho cinque stecche si presume che io le voglia vendere. Il magistrato poi, oltre alla quantità, ha altri parametri per giudicare. Se la Turco abolisse la nostra tabella, ma per farlo deve venire in aula, ogni giudice potrebbe emettere una sentenza in base alle sue convinzioni personali. Si tornerebbe al Far West e non è tollerabile".

All’incontro con la stampa, ieri pomeriggio alla Camera dei Deputati, hanno partecipato anche Giuseppe Amato, pm alla Procura di Roma, e Carmelo Furnari, tossicologo dell’università di Tor Vergata. Il magistrato ha illustrato la sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio che ha annullato il decreto Turco, emesso il 4 agosto del 2006, nel quale veniva raddoppiata da 500 milligrammi ad un grammo la quantità massima di cannabis oltre la quale scattano le sanzioni penali. "La sentenza del Tar ha censurato l’eccesso di potere per difetto d’istruttoria, in quanto ha modificato le quantità senza motivazioni scientifiche, cosa che invece era stata fatta col precedente decreto Berlusconi -Castelli. I fatti dimostrano che la legge, pur perfettibile, funziona".

Per il tossicologo Carmelo Furnari "la scienza ha ormai sgomberato il campo da un pesante equivoco, e cioè che esistono droghe leggere e droghe pesanti. La scienza è arrivata solo negli anni ‘90 a scoprire quali sono i recettori del cervello che vengono colpiti dalla cannabis, e che l’uso possa avere effetti devastanti è ormai dimostrato".

In mattinata, i deputati di An nella Commissione Affari Sociali della Camera, avevano chiesto le dimissioni del ministro Livia Turco. In serata, la Turco ha diffuso una nota per replicare a tutti: "Vedo affanno a difficoltà nelle parole di Fini e Giovanardi. La stessa sentenza da loro improvvidamente accolta come una vittoria schiacciante contro l’attuale governo si è dimostrata in realtà le letale per la loro stessa legge". Solidale con lei anche il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrerò: "Fini e Giovanardi attribuiscono al Governo di centrosinistra la volontà di liberalizzare la droga. Mentono sapendo di mentire. Nessuno nel governo infatti ha mai fatto una tale affermazione".

Droghe: parte da Venezia progetto sul "contatto precoce"

 

Redattore Sociale, 23 marzo 2007

 

L’obiettivo è quello di entrare in contatto con i giovani che fanno uso di sostanze stupefacenti e informarli sui rischi che corrono. Iniziativa per prevenire e modificare i comportamenti a rischio.

Parte dal Comune di Venezia la fase sperimentale del progetto di contatto precoce e prevenzione dei comportamenti a rischio, rivolto ai consumatori delle cosiddette "droghe ricreazionali". L’obiettivo è quello di entrare in contatto con i giovani che fanno uso di sostanze stupefacenti e informarli sui rischi che corrono. Un’iniziativa, questa, che nasce dall’urgenza di prevenire e modificare i comportamenti a rischio correlati all’uso, all’abuso e alla dipendenza da sostanze stupefacenti - in particolare cocaina e droghe sintetiche - tra i giovani policonsumatori (14 - 35 anni).

I dati a livello sia locale sia nazionale, infatti, testimoniano che il consumo delle droghe è molto cambiato: non c’è una vera e propria dipendenza, o meglio, non è avvertita come tale dai consumatori, che ne fanno uso come fosse un passatempo innocuo. Dalle stime dell’Unità di strada, che da anni opera sul territorio nell’opera di prevenire le tossicodipendenze, emerge un netto aumento di ragazzi, con un’età compresa tra i 15 e i 24 anni, che fanno uso di droga.

Nel 2006 sono state avvicinate 114 persone, in larga parte maschi e adolescenti. Le sostanze sono oggi facilmente reperibili e questo alimenta negli teenager la percezione di normalità, ovvero non si ritengono tossicodipendenti, ma credono di poter smettere in qualsiasi momento. Inoltre è stata introdotta nel mercato una grande varietà di sostanze - in particolare cocaina e droghe sintetiche, e l’utilizzo combinato di eroina e cocaina - consumate soprattutto nel tempo libero, nei luoghi di ritrovo e divertimento.

"Il progetto è iniziato a gennaio con una prima fase di formazione, che ha coinvolto circa 40 tra educatori e operatori del settore delle politiche giovanili - spiega Alberto Favaretto, coordinatore dell’attività riduzione del danno -. Adesso sta per partire la fase più operativa di mappatura del territorio per individuare le zone più a rischio su cui intervenire. Una volta individuati i punti sensibili - all’incirca per l’inizio dell’estate - sulle strade della terraferma veneziana si vedrà un camper tutto colorato, che sarà l’unità mobile del progetto. Saranno impegnati a tempo pieno tre operatori".

E Favaretto aggiunge che "questo camper sarà ben riconoscibile perché verrà tutto dipinto dai writer locali su un progetto grafico che stiamo definendo. Anche questo è un modo per favorire l’avvicinamento tra noi e i giovani". Si prevede anche l’apertura di un sito internet e un forum dedicati, per poter dare e ricevere informazioni.

"Non vogliamo creare allarmismo - ha spiegato durante la presentazione del progetto l’assessore del Comune di Venezia, Delia Murer - ma vogliamo dare ai ragazzi gli strumenti per conoscere le conseguenze del consumo di queste droghe e il tipo di dipendenze che creano".

L’intervento si colloca nell’ambito della Progettazione locale predisposta dall’azienda Ulss 12, in collaborazione con i Comuni di Venezia, Marcon, Cavallino - Treporti, Quarto d’Altino, i Ser.T. del veneziano, le forze dell’ordine, ma anche associazioni e gruppi informali di giovani che faranno da mediatori con i loro coetanei. L’intervento si inserisce nell’ambito del "Progetto Giovani" dell’Attività riduzione del danno della Direzione Politiche sociali, educative e dell’accoglienza, del Comune, con il contributo della Regione del Veneto.

Usa: segretario alla difesa chiede la chiusura di Guantanamo

 

Reuters, 23 marzo 2007

 

Poco dopo essere diventato segretario della Difesa Usa, Robert Gates ha sostenuto che la prigione americana di Guantanamo vada chiusa perché la comunità internazionale considera irregolare ogni processo celebrato nel carcere a Cuba. Lo ha riferito il New York Times. Invece, Gates - diventato capo del Pentagono a dicembre - ha suggerito che i sospetti terroristi dovrebbero essere processati negli Stati Uniti per rendere i procedimenti legali più credibili.

Mentre secondo quanto detto da fonti dell’Amministrazione al quotidiano, il vice presidente Dick Cheney, il procuratore generale Alberto Gonzales e altri si sono schierati contro il trasferimento dei detenuti negli Usa, con il presidente George W. Bush che messo la parola fine alla discussione dando ragione a quest’ultimi. Il segretario di Stato Condoleezza Rice ha sostenuto Gates nella richiesta di chiudere Guantanamo.

Carcerazioni poco chiare e accuse di maltrattamenti ai detenuti che sarebbero avvenute nel carcere di Guantanamo, che gli americani negano, hanno offuscato l’immagine degli Usa all’estero. Molti Paesi infatti, tra cui alleati degli Stati Uniti, hanno chiesto con urgenza che il carcere venga chiuso. Gli Usa hanno fornito le accuse soltanto contro uno dei 385 prigionieri stranieri detenuti nel carcere di Guantanamo. L’australiano David Hicks, 31 anni, è stato accusato di aver fornito materiale di supporto al terrorismo combattendo per al Qaeda in Afghanistan.

 

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