Rassegna stampa 14 marzo

 

Giustizia: la riforma di Mastella cancella la legge "ex-Cirielli"

 

Italia Oggi, 14 marzo 2007

 

Mastella cancella la legge "ex-Cirielli" su prescrizione e recidiva. E visto che c’era, ha fatto in modo che dalla riforma delle sanzioni processuali il suo ministero guadagni circa 5.800.000 euro all’anno.

In anticipo rispetto alla richiesta del collega-rivale Antonio di Pietro, il ministro della giustizia Clemente Mastella presenta la sua riforma del processo penale che, come da programma dell’Unione, affronta il discusso tema della prescrizione.

Il disegno di legge (36 articoli nella definizione definitiva diramata dalla presidenza del consiglio il 12 marzo scorso, corredati da una dotta relazione illustrativa) approda oggi in pre-consiglio insieme con il ddl che riforma il processo civile. Numerose le norme, tutte tese a "contrastare severamente tutte le manifestazioni di abuso del processo". E tra queste, spiccano quelle dedicate alla modifica della legge 251/2005, la cosiddetta ex-Cirielli, considerata dall’opposizione di allora una delle leggi ad personam del centro-destra per salvare dai processi Cesare Previti e Silvio Berlusconi.

Da un punto di vista tecnico, i termini si semplificano perché l’estinzione del reato per passaggio del tempo avverrà nel tempo previsto dalla pena massima edittale aumentata della metà. In più i tecnici del guardasigilli sono intervenuti in modo da "disincentivare comportamenti delle parti strumentali al prolungamento del processo e comunque diretti a ottenere la prescrizione". Si sono così ridisegnate le cause di sospensione e di interruzione.

Tra le prime, Mastella ha ricompreso "tutte le ipotesi di stasi processuali riconducibili ad attività dell’imputato". Secondo le nuove norme, il termine di prescrizione si sospenderà se l’imputato presenta richiesta di ricusazione del giudice, oppure nel caso di concessione di termine a difesa in caso di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono della difesa per un periodo che corrisponde al termine concesso, oppure in caso di richiesta dell’imputato di rinnovazione delle prove assunte in dibattimento a seguito di cambiamento

della persona fisica del giudice. Il ddl interviene anche sull’altro aspetto delle legge 251, quello dell’inasprimento del trattamento per i recidivi e dell’ingessamento della discrezionalità del giudice. Il provvedimento, oltre a intervenire su alcuni snodi critici del processo (notifiche, nullità o inutilizzabilità degli atti, proroga delle indagini preliminari, contumacia, incidente probatorio), presenta alcune novità assolute.

Per esempio l’istituto della messa alla prova per i reati meno gravi (puniti con pene pecuniaria o detentiva non superiori a tre anni), che se positiva comporta l’estinzione del reato. Il principio di offensività che esclude la punibilità del reato se ricorrono congiuntamente la particolare tenuità dell’offesa e l’occasionalità del comportamento.

La previsione di un’udienza di programma per la progettazione del processo che secondo Mastella non dovrebbe superare i tre anni (due anni per i due gradi di merito e il terzo per il giudizio in Cassazione). E non solo.

Ben consapevole della cronica penuria di risorse finanziarie per mandare avanti la macchina giudiziaria, Mastella ha deciso di giocare la carta delle sanzioni processuali: da una parte le ha aumentate e dall’altra ha stabilito che i relativi importi continuino a confluire presso la Cassa delle Ammende ma nella sola misura del 40%; il residuo 60% dovrà essere versato in conto entrate dello Stato per essere successivamente riassegnato ad apposito capitolo del bilancio di spesa del ministero della giustizia per le esigenze complessive del sistema giudiziario.

Secondo le stime della relazione tecnica, peraltro al ribasso non disponendo di tutti i dati necessari, la previsione del gettito complessivo considerato l’aumento delle sanzioni processuali del 20% sarà di quasi 10 milioni di euro, di cui circa 6 milioni andranno all’amministrazione della giustizia. Scarica il testo del ddl "Mastella" (pdf 270 kb)

Giustizia: Mastella; certezza della pena, ma anche rieducazione

 

Ansa, 14 marzo 2007

 

Una "giustizia mite" che, però, non significa "indulgenza plenaria". È quanto auspica il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Una giustizia, cioè, spiega il Guardasigilli a Napoli, in occasione dell’inaugurazione di due laboratori informatici al carcere minorile di Nisida, che "tocca il rispetto delle persone". "Una giustizia mite, è questa l’idea di giustizia che ho sempre avuto in testa. Il che - aggiunge - non significa indulgere sul piano della certezza della pena. Bisogna determinare il dato della pena ma, allo stesso tempo, aiutare a superare gli inconvenienti". "È determinante - ha concluso Mastella - una rieducazione come prescritto dalla Costituzione".

Giustizia: un Ordinamento che è rimasto fermo agli anni ottanta

 

Il Riformista, 14 marzo 2007

 

L’epilogo della monarchia francese fu decretato dai suoi errori, tra cui il più grande fu il timore reverenziale nei confronti delle corporazioni, degli interessi consolidati, della sedizione annidata nelle istituzioni. Per questo, non appena consacrato, Luigi XVI si affrettò a rimettere in sella i grandi nemici dei suoi avi, i vecchi corpi giudiziari che avevano ostacolato le politiche antifeudali della monarchia. Il giovane sovrano lo fece per paura, "colpito - scrive uno storico - dall’accoglienza glaciale delle sue prime comparse in pubblico". Fu perciò impossibile ogni legislazione innovatrice, rendendo rivoluzionaria la crisi che poi travolse la Francia.

Per carità! Non stiamo giocando con i raffronti storici: l’Italia del 2007 è saldissima, dal punto di vista istituzionale. Abbiamo partiti rispettati che orientano con saggezza l’opinione pubblica, governi saldi ed efficaci, maggioranza e opposizione che risolvono insieme le fasi critiche e la legalità infranta viene restaurata rapidamente dall’azione di efficienti corpi giudiziari. Se tutto questo non fosse verosimile e se per caso anche noi ci trovassimo in una grave crisi, allora dovremmo tenere in gran conto ogni posizione controcorrente, in grado di segnalarci i rischi del presente.

Per esempio, proprio in tema di rapporti tra magistratura e sistema politico, nell’oblio dei vertici della Casa della libertà e nella resa del centrosinistra, i riformatori liberali (il piccolo gruppo che all’interno della Cdl si sforza di resistere di fronte all’ondata di irrazionalità, montante in quello schieramento) hanno promosso un bel seminario per rilanciare i grandi temi della riforma dell’ordinamento giudiziario.

A pensarci bene sono passati tanti anni inutilmente, ma l’ordine del giorno resta quello che era alla fine degli anni Ottanta: separazione delle carriere, limiti dell’obbligatorietà dell’azione penale, rapidità dei procedimenti. Il governo di Romano Prodi (con la solitaria opposizione di Emma Bonino) cerca di varare una legislazione che chiude la partita lasciando tutto immutato, a Berlusconi il tema non sembra più interessare, e gli spiragli che sembravano essersi aperti si rinchiudono.

Eppure nell’atmosfera restauratrice accadono cose singolari, che mostrano come i problemi ci sono ancora. La Consulta boccia la legge Pecorella, che serviva a ridimensionare ruolo e carico di lavoro degli uffici dell’accusa. Importanti capi di procure della Repubblica, quella di Torino in questo caso, emanano circolari con cui indirizzano i sostituti ad accantonare i procedimenti quando non vi sia "utilità a procedere".

Tanto basta per comprendere come il problema politico della riforma dell’ordinamento giudiziario sia ancora da risolvere. Certo è necessario che esso non sia ricacciato nelle discussioni accademiche e che vi siano ancora soggetti che non se ne dimenticano. Oggi sembrano soltanto dei testimoni solitari, ma se la crisi del sistema politico dovesse accentuarsi, aver pensato qualche soluzione sarà molto utile.

Giustizia: ex brigatisti in televisione; Napolitano ha ragione

 

La Repubblica, 14 marzo 2007

 

Governo e opposizione per un giorno si trovano unite. A metterle d’accordo le parole del presidente della Repubblica Napolitano sulle apparizioni televisive degli ex terroristi, sulla richiesta di misura e rispetto per il dolore dei parenti delle vittime.

Nella lettera a Repubblica, ieri Napolitano ha chiesto infatti a giornali e televisioni rispetto per il dolore dei parenti delle vittime del terrorismo. E ha chiesto misura e discrezione negli atteggiamenti pubblici da parte degli ex terroristi, "il cui reinserimento nella società dopo aver regolato i conti con la giustizia è legittimo e dovrebbe tradursi in un riconoscimento pubblico dei loro errori".

Dopo le polemiche sulle candidature e nomine di ex brigatisti e le conferenze annunciate di Curcio e Ronconi, dopo le proteste dei familiari degli agenti uccisi in via Fani per un’intervista su Italia 1 dell’ex terrorista Franceschini girata proprio sul luogo del rapimento Moro, le sue parole hanno dunque messo d’accordo governo e opposizione.

"Napolitano ha dimostrato di interpretare sentimenti diffusi, di essere il presidente di tutti", dice Maurizio Gasparri deputato di An che aggiunge: "Basta con la sovraesposizione, l’esibizionismo di ex terroristi. Bisognerebbe usare maggior cautela quando si tratta di questi argomenti. In alcuni casi, come nelle grandi inchieste di Sergio Zavoli, la loro testimonianza è stata utile, ma l’esibizione continua, ricorrente mi sembra serva solo a minimizzare le colpe a banalizzare il terrorismo. E se si diventa ex terroristi non si diventa ex assassini".

Sulla stessa linea Paolo Romani, di Forza Italia. "Come si fa a non essere d’accordo con Napolitano? Certo, ci vuole rispetto del dolore e misura, la partecipazione di ex terroristi in televisione ha senso in programmi di informazione come testimonianza, non se diventa invece apologia, riferimento culturale". Consenso al richiamo del capo dello stato arriva da Udeur e Italia dei valori.

No a paletti e divieti, contrario a censure è anche Sandro Curzi, ex direttore del Tg3 e ora nel Cda Rai. "Una volta pagato il debito con la giustizia sono cittadini come gli altri e la loro testimonianza, inquadrata storicamente dando allo spettatore tutti gli elementi, può essere utile. Certo ha ragione Napolitano: tutto deve essere fatto tenendo sempre conto del dolore che le loro parole possono arrecare alle famiglie delle vittime e soprattutto il giornalista deve svolgere il suo lavoro con senso di responsabilità, misura, attenzione al linguaggio". Insomma, rispettare le regole che già ci sono, sottolinea Curzi, continuando a far parlare i testimoni per aiutare le giovani generazioni a capire.

E Claudio Martelli, autore della contestata trasmissione, alle parole del capo dello Stato risponde: "Il miglior modo di onorare la memoria delle vittime è non dimenticare, così si evita una sottovalutazione pericolosa. Trent’anni fa la sottovalutazione portò ad esiti tragici. La solidarietà con le vittime del terrorismo è sempre stato il fondamento e la premessa di ogni mio giudizio politico e morale e di ogni ricostruzione sugli anni di piombo: lo dimostra tutta la mia carriera politica compreso il fatto che fui io, da ministro della giustizia, a rifiutare la grazia a Renato Curcio chiesta dal presidente Cossiga. In tutti i miei approfondimenti televisivi sul terrorismo ho sempre dato la parola ai parenti delle vittime".

Giustizia: condanniamo quei delitti, ma parlarne è necessario

di Sergio Segio (Società INFormazione)

 

La Repubblica, 14 marzo 2007

 

Gentile direttore, sono uno di quegli ex terroristi cui è capitato talvolta di andare in televisione. L’ho fatto quando ritenevo (in ragione del particolare momento o della serietà del programma) di poter dare una testimonianza, correndo il rischio di ferire alcune sensibilità ma al contempo sperando di risultare utile ad altri. C’è sempre ambivalenza e a volte conflitto, quando la materia è così intrecciata a eventi il cui ricordo non cessa di fare male e di dividere.

Io accetto in qualche caso di parlare, o di scrivere, di quelle vicende a partire da una assunzione di responsabilità netta: deve essere chiaro chi avuto ragione e chi torto. Io - con i tanti che con me hanno praticato e teorizzato la lotta armata - ho avuto torto. Tragicamente torto. Riconoscerlo e argomentarlo pubblicamente non credo sia voglia di protagonismo né tentazione di salire in cattedra.

Ritengo invece possa servire, specie nei riguardi dei più giovani e allorché la cronaca ricorda che il mito della rivoluzione armata può ancora affascinare qualcuno; e temo che ciò accadrà sempre, sino a che non si vorrà e saprà andare al fondo di quell’errore e delle culture del Novecento da cui è stato partorito, in un confronto corale e franco.

In più numerose occasioni ho invece rifiutato di essere intervistato, resistendo alle insistenti e non sempre garbate pressioni. Ho comunque sempre respinto le richieste di essere intervistato sul luogo di attentati, ritenendola cosa di cattivo gusto, in grado di urtare, oltre che la mia, la sensibilità dei parenti delle vittime e degli stessi telespettatori. Non mi capacito del perché vi siano giornalisti che insistono per realizzare tali sconvenienti servizi, se non per una pervicace volontà di rinfocolare polemiche e lacerazioni. Tanto più che, non di rado, quegli stessi giornalisti, dopo aver effettuato interviste a ex terroristi, ne richiedono il silenzio, con qualche evidente problema di coerenza.

Sono sinceramente consapevole delle ragioni dei parenti delle vittime e profondamente rispettoso delle loro prese di posizione. Così come dell’invito autorevole del Capo dello Stato alla massima discrezione da parte di chi ha prodotto ferite e lutti negli anni Settanta, pur avendo scontato per intero le condanne. Rimango sommessamente convinto che sia necessario, e anzi doveroso, continuare a

parlare di quei drammi, anche da parte di chi ne porta parte della responsabilità. Credo, però, vi sia modo e modo di farlo. Un modo che tende alla verità e uno che ricerca versioni di comodo. Un modo appunto rispettoso e uno incurante e arrogante. Così come penso che responsabilità dei media dovrebbe quella di non forzare in questa seconda direzione al fine di innescare polemiche.

Ma anche penso che vi possa essere lo sforzo di distinguere errore ed errante. Per usare le nobili parole di Sabina Rossa, che ebbe il padre ucciso dalle Br: "Sono assolutamente convinta che gli ex brigatisti che hanno saldato il conto con lo stato non possano essere considerati reati ma persone, di cui si è disposti a guardare il cambiamento". Questo cambiamento va promosso ma anche ascoltato, perché possa essere di monito e di aiuto. Contrapporre all’ergastolo del dolore da noi inflitto ai parenti degli uccisi l’ergastolo della morte civile nei nostri confronti mi pare invece un frutto avvelenato e sterile. Il silenzio non aiuta mai davvero nessuno, mentre può diventare comodo schermo per le male fedi e le cattive memorie.

Giustizia: l'associazione vittime; troppi privilegi a chi uccise

 

La Repubblica, 14 marzo 2007

 

"I terroristi in parlamento, in televisione, a fare conferenze. E noi trattati come cittadini di serie B, costretti a sentirli raccontare come hanno ammazzato i nostri cari. È insopportabile, è come una ferita che si riapre ogni volta. Meno male che almeno il presidente Napolitano ha capito il nostro dolore". Sono passati 30 anni ma Maurizio Puddu, all’epoca quarantenne consigliere provinciale torinese, non dimentica.

A ricordargli la mattina in cui i brigatisti gli spararono 16 colpi - con la pistola che poi uccise Carlo Casalegno - è la lamina metallica fissata con 18 viti che gli tiene assieme i resti del femore. Ma soprattutto il lavoro come presidente dell’Associazione vittime del terrorismo: centinaia di persone che, dice, gli scrivono perché si sentono ferite, umiliate, abbandonate dallo Stato.

 

Cosa vi ferisce?

"Vedere terroristi in tv, sapere che fanno conferenze e ricevono incarichi pubblici come cittadini di serie A mentre noi lottiamo per sopravvivere, spesso dimenticati da uno Stato, quello italiano, che non ha neppure indetto, come l’Europa, una giornata per le vittime del terrorismo".

 

E quelli che si sono pentiti?

"Non cambia, il nostro dolore è uguale. Vorremmo un po’ di silenzio, che se invitati avessero il buongusto di defilarsi, che rifiutassero cariche pubbliche perché non possono rappresentare tutti i cittadini, incuranti del sangue e dolore che hanno seminato. Facciano del bene, se vogliono, ma in silenzio".

 

Parla di D’Elia o della Ronconi?

"Sì, secondo noi candidarli è un’offesa alle vittime, soprattutto a quelle meno famose di cui nessuno si ricorda, chi si è ritrovato senza aiuti da parte dello Stato e ha avuto la vita stravolta tra dolore e difficoltà economiche".

 

Ma non è utile che parlino?

"Fare informazione può essere giusto. Io sono andato nelle scuole ma c’è sempre il pericolo

di essere strumentalizzati".

 

Il dialogo serve per far finire gli anni di piombo?

"Non può finire senza verità e giustizia. E ci sono ancora tanti lati oscuri in quella scia di sangue che ha fatto centinaia di vittime e più di cinquemila feriti".

 

Divisi tra giustizia e perdono?

"La misericordia è di Dio, la giustizia dello Stato. Il perdono è degli uomini, ma è un fatto intimo. Molti dei nostri iscritti non ce la fanno a perdonare chi ha distrutto loro la vita. Io la mano a chi mi ha sparato non gliela stringo proprio".

 

Perché?

"Per lui non ero neppure una persona, solo un bersaglio da colpire. Un servo delle multinazionali. A me, che neppure ho mai bevuto una Coca Cola".

Giustizia: tra Stato ed Enti locali un'alleanza per la sicurezza

 

Avvenire, 14 marzo 2007

 

Due parole: "Modello Napoli". Ovvero "una grande alleanza tra lo Stato e gli enti locali" per rendere più sicure le città: pattuglie miste con poliziotti e vigili urbani; intese con i Comuni per piani anti-crimine "a misura di territorio"; numero telefonico unico di pronto intervento, come il 911 a-mericano; reimpiego di poliziotti e carabinieri di quartiere nelle zone di confine tra centri storici e periferie; una task force di mille uomini da spostare rapidamente ovunque si verifichi una crisi. Tutto nel giro di "qualche mese".

È la ricetta del governo, che il vice-ministro dell’Interno Marco Minniti annuncia in questa intervista. Una ricetta ambiziosa, come dimostrano le critiche incassate in queste ore, per motivi opposti, dal sindaco di centrodestra di Milano e da quelli di centrosinistra di Venezia, Bologna e Torino. Ma quando gli si chiede se conta davvero di riuscire a "ridisegnare la mappa della sicurezza", Minniti mostra la bozza, fresca di stampa, di un accordo con l’Anci, l’associazione dei Comuni.

 

La prima domanda è d’obbligo: esiste in Italia un’emergenza criminalità?

Mi piacerebbe abolire questo termine perché all’emergenza si può rispondere solo con misure straordinarie, limitate nel tempo e nell’efficacia. Invece bisogna pensare organicamente alla sicurezza, che oggi è vissuta dai cittadini come la questione principale.

 

Appunto. Ci sarà un perché...

Si tratta di un tema molto soggetto alla percezione empirica del cittadino, talvolta accompagnata da un uso abbastanza disinvolto di dati. Diciamo che ciclicamente assistiamo a picchi di allarme, tuttavia il quadro generale della criminalità è sostanzialmente stabile.

 

Però la larghissima maggioranza dei reati rimane impunita. E i problemi sono reali: le rapine a Milano, il parco della droga a Torino, i campi nomadi a Roma...

Le assicuro che né il ministro Giuliano Amato né io sottovalutiamo la situazione, anzi la consideriamo un’assoluta priorità. Il punto chiave è sviluppare un migliore controllo del territorio. E si può fare solo con una grande alleanza per la sicurezza tra il governo nazionale e le Regioni, le Province, i Comuni. Serve una conoscenza approfondita del territorio. Non basta la presenza delle forze di polizia e la videosorveglianza, c’è bisogno dell’illuminazione, delle strutture di arredo urbano eccetera. È una partita che si vince solo insieme. Per questo non comprendo il sindaco Moratti che va in piazza. A novembre abbiamo affrontato il caso di Napoli. Ebbene, quel patto tra governo ed enti locali è un modello che intendiamo seguire dappertutto.

 

Mi scusi, ma i soldi ci sono?

Nella Finanziaria abbiamo inserito il comma 439: gli enti locali possono partecipare anche finanziariamente alle politiche di sicurezza nazionale sulla base di progetti concordati con il Viminale. Per intenderci: per Napoli la Regione, la Provincia e il Comune hanno contribuito con oltre 16 milioni di euro. In Calabria, la Regione e le Province di Reggio Calabria e Catanzaro hanno stanziato 6 milioni e nel giro di 2 mesi saranno consegnate 100 nuove auto della polizia. È chiaro che il ministero mette sempre la sua parte, che è sensibilmente maggioritaria. Ma è un modo per lavorare insieme.

 

I prossimi passi?

Far capire ai sindaci che la soluzione non è avere più uomini, ma impiegarli dove ce n’è davvero bisogno. Ci serve perciò la loro collaborazione. Poi, anche se il coordinamento tra polizia e carabinieri è già soddisfacente, occorre arrivare al più presto al numero di telefono u-nico per tutte le emergenze. E penso a un coordinamento continuo tra polizie nazionali e locali. In alcune realtà particolari anche pattuglie miste tra agenti o carabinieri e vigili, per mettere in comune le professionalità pur tenendo distinte le competenze. Abbiamo già avviato i corsi di riqualificazione dei poliziotti di quartiere, che dovranno uscire dai centri storici per riconquistare spazi di legalità nelle zone residenziali. E contiamo di estendere il raggio d’azione della task force, ora impegnata sistematicamente su Napoli, a tutto il territorio nazionale.

Giustizia: Manconi; l’allarme del "dopo-indulto" non è realistico

 

La Gazzetta di Parma, 14 marzo 2007

 

Il sottosegretario Manconi a Parma: "La recidiva è assai più bassa che in passato, l’allarme indulto non è realistico". L’indulto dà i numeri. Cifre che fanno un bilancio dei sei mesi post-provvedimento, dal 1 agosto al 16 febbraio, e che mettono la nostra Regione agli ultimi posti per recidiva. Uguale: in Emilia Romagna, più di 13 "indultati" su cento rientrano in carcere per aver commesso altri reati, contro gli 11 della media italiana.

Il provvedimento di clemenza che ha "colpito" in Italia 42mila persone, di cui oltre 25 mila detenuti, si racconta attraverso le parole di Luigi Manconi, sottosegretario al Ministero della Giustizia, che ieri era a Parma nella sede della Provincia insieme al provveditore degli Istituti Penitenziari della Regione, Nello Cesari e all’assessore provinciale alle politiche sociali, Tiziana Mozzoni.

"Ritengo questa tema cruciale perché aiuta a comprendere non solo il funzionamento della giustizia ma anche le grandi contraddizioni che attraversano la nostra società". Luigi Manconi torna a Parma a parlare dell’indulto, anzi di un "buon uso dell’indulto" come recita il titolo dell’incontro svoltosi oggi in Provincia. Con il sottosegretario alla giustizia, a ragionare di un provvedimento che ha fatto molto discutere l’Italia c’era Nello Cesari, Provveditore degli istituti penitenziari della regione Emilia Romagna.

L’obiettivo dell’incontro, a cui erano presenti rappresentanti delle istituzioni, delle Forze dell’ordine e delle associazioni di volontariato, è stato sottolineato in apertura dall’assessore provinciale alle politiche sociali e sanitarie Tiziana Mozzoni, un momento di confronto "per capire gli effetti del provvedimento ma anche per discutere delle possibilità di percorsi alternativi al carcere fondati su progetti che promuovono forme di giustizia riparativa" .

Manconi si è soffermato sui dati della ricerca svolta dal Ministero di Grazia e Giustizia, a sei mesi dall’approvazione dell’indulto e finalizzata a cogliere il dato della reiterazione del reato. L’indagine rivela che i "recidivi" ammontano all’11.11% del totale degli indultati. "Un dato di per sé non positivo" come ha spiegato il sottosegretario, ma che assume un significato particolare se si pensa che la frequenza della reiterazione del reato delle persone che riprendono la loro vita dopo aver scontato la pena è del 68%. Un altro dato utile a comprendere quanto accaduto è che sono italiani (il 12.28%) e non gli stranieri (10.30%) la maggioranza di coloro che sono tornati a compiere un reato.

"Nessuno di quelli che hanno voluto l’indulto, il Parlamento prima di tutto, ha pensato che questo provvedimento fosse la soluzione del problema delle carceri. L’indulto ha consentito di riportare alla legalità il nostro sistema penitenziario, riducendo il sovraffollamento. È stata dunque una misura preliminare e ineludibile senza la quale era inimmaginabile pensare ad una riforma vera del sistema penitenziario nel nostro Paese."

Nel suo intervento Cesari si è in particolare soffermato sul "dopo indulto", sottolineando l’importanza che ha avuto la rete delle cooperative sociali nell’inserimento delle persone che hanno goduto del provvedimento. Il Provveditore degli istituti penitenziari della regione Emilia Romagna ha inoltre fatto un quadro delle iniziative in corso sulle borse lavoro per indultati che ammontano 106 con un finanziamento di 319 mila euro della cassa delle ammende. A Parma le borse lavoro sono 22; 6 i progetti attivati in collaborazione con la Provincia.

Giustizia: "Crescere dentro", ecco i penitenziari per minorenni

 

Famiglia Cristiana, 14 marzo 2007

 

Viaggio nel pianeta dei ragazzi detenuti alla vigilia della visita di Benedetto XVI nel carcere minorile di Casal del Marmo. Parlano Livia Pomodoro e don Gino Rigoldi.

Chissà che festa gli faranno. Chissà che allegria, che orgoglio, nel mostrare il loro recupero nei confronti della società, le attività, i manufatti. Chissà come saranno contenti i ragazzi detenuti di Casal del Marmo. I fortunati che potranno incontrare il Papa, domenica 18 marzo (prima volta del Pontefice in un carcere), sicuramente non saranno quelli del 1980, quando Giovanni Paolo II si recò in visita proprio al carcere minorile di Roma. Ma, allora, i giovani reclusi avranno un messaggio forte e coinvolto, quello del "cominciare da lì", dal carcere minorile, messaggio che non riguarderà solo loro, ma tutta la società.

"Puntare all’educazione dei giovani, dando ai genitori le loro responsabilità. Esiste un problema che è di fondo: si devono richiamare gli adulti alle loro responsabilità e fare in modo che finalmente prendano coscienza che stiamo educando generazioni di mostri, se non cambiamo direzione". Non usa mezzi termini Livia Pomodoro, oggi presidente del Tribunale di Milano, per anni è stata presidente del Tribunale dei minori. "Il disagio dei giovani che sfocia nella cecità della violenza nasce dal tipo di società in cui viviamo. Una società cruda, volgare, tutta proiettata sull’immagine e sull’esistere attraverso l’immagine, senza consistenza, estremamente superficiale. Se questa è la realtà nella quale i ragazzi vivono e crescono mi domando quale può essere il loro destino di uomini in una società libera, buona e utile all’umanità".

I reati che preoccupano di più e che riguardano i ragazzi sono quelli connotati dalla violenza: le rapine, gli scippi, le lesioni più o meno gravi fino all’omicidio e al tentato omicidio. Dice Livia Pomodoro: "Oggi i ragazzi mettono in conto il rischio di fare del male fino all’eliminazione della vita degli altri, senza nessun rispetto per le persone, il che la dice lunga sul tipo di mancata educazione da parte dei genitori, non solo sentimentale, ma anche sociale L’opinione pubblica ha il diritto di essere spaventata", ma la reazione "non può essere quella di buttare via la chiave, di tipo solo punitivo. Più i fatti sono gravi e più ci dobbiamo interrogare, invece, su quanto non è stato fatto in termini di ascolto, osservazione, prevenzione da parte dei genitori, della scuola, delle istituzioni". Rimane contraria, e in proposito ha espresso questo suo punto di vista più volte, all’abbassamento della soglia di punibilità dei minori, oggi a 14 anni.

Don Gino Rigoldi, cappellano del Beccaria, è d’accordo. "È sempre la vecchia illusione che per educare occorra punire". L’idea che dei ragazzini possano essere educati e riabilitati attraverso il carcere a me pare sinceramente del tutto insensata. Certo, per educare seriamente si può anche dire di no, porre limiti e vincoli pure forti: ma l’ipotesi di bambini detenuti mi sembra però destinata a produrre unicamente dei pazzi. Mi pare solo l’esigenza di mostrare i muscoli da parte di chi non vede altra soluzione. Le persone non cambiano realmente, in profondità, perché le si punisce, ma perché scoprono che il cambiamento è utile, è giusto, perché sperimentano una vita migliore, fuori dai circuiti delinquenziali, perché riescono a realizzare il salto che fa riconoscere l’esistenza e l’umanità dell’altro".

Che cos’è il carcere minorile? "Uno spazio di penalità occupato per circa 2/3 dagli stranieri, che scontano anche piccoli reati. Quello che io noto è che, da quando ho cominciato, circa 35 anni fa, i minori erano molto più aggressivi, determinati. La carcerazione era vissuta come un conflitto "personale" e spesso diventava una sorta di scuola di specializzazione. Oggi mi pare di vedere in carcere due realtà: da un lato gli italiani, che il carcere non fa diventare "più delinquenti", ma più confusi, più disorientati e soprattutto più depressi. Dall’altro, gli stranieri: soffrono il carcere, ma non si può dire che ne siano sconvolti; non se ne incrementa la spinta a delinquere, né la depressione. Sopportano la carcerazione come un "incidente", un’esperienza spiacevole, certo, ma che passa. Paradossalmente, per gli stranieri, oggi, il carcere può essere un luogo di formazione e di apprendimento, dove ci sono adulti che "si occupano di loro". Il guaio è quando escono, e sono soli".

Vuol dire che il carcere serve a qualcosa? "A volte è luogo di esperienze di relazioni costruttive, che aiutano a crescere. Certo, non può essere un’alternativa alle pratiche educative disseminate sul territorio, a una rete forte di servizi sociali che è sempre più debole. Esiste una cultura diffusa della pena che non accetterebbe mai la soppressione del carcere. La richiesta di punizione è forte e, se vogliamo, anche "facile". Più difficile vedere segni e indizi di profonde contraddizioni sociali che responsabilità e corresponsabilità che è più semplice non assumersi".

 

Dove a pagare sono i più poveri

 

Martino la chiama "il paradiso" questa galera per ragazzi alla periferia di Roma, dove domenica verrà il Papa a celebrare la Messa e a salutarli. Scrive su Garçon, il giornalino di Casal del Marmo, carcere minorile della capitale, luogo di poveracci che pagano più degli altri perché sono stranieri, senza documenti, senza casa, senza padri né madri. È il destino comune della giustizia minorile all’italiana, che non può applicare le misure alternative.

E neppure Casal del Marmo, "il paradiso", sfugge alla logica. Dice il cappellano padre Gaetano Greco, che da 26 anni insegna sincerità, pazienza, onestà, aiutato dai volontari, soprattutto dagli scout: "Sono tutti d’accordo a chiuderle queste strutture. Qui, nonostante gli sforzi educativi, il volontariato, le attività, la fantasia e l’impegno di tanti, continuano a pagare i più poveri. E chi ci entra una volta torna per due, tre, dieci volte". Spiega il Vangelo a ragazzi ortodossi e musulmani perché ormai gli italiani sono pochissimi. Punta sul racconto dell’amore e della non-violenza.

Ha aperto una casa famiglia "Casa Sant’Agostino", in onore di chi più lo ha aiutato a tenere vicini i ragazzi, il cardinale Agostino Casaroli. Casal del Marmo alla Santa Sede è legato in modo particolare. Casaroli faceva il volontario in carcere quando il volontariato non esisteva ancora. Fino agli anni Settanta il carcere minorile era ospitato nel complesso di San Michele sul Lungotevere, ora sede del ministero dei Beni culturali. Casaroli, giovane prete, ci passava sotto in bicicletta e vedeva i ragazzi appesi ai finestroni che insultavano i passanti. Chiese di entrare un giorno e ci tornò sempre pure da Segretario di Stato, anche quando il carcere, istituito da Clemente XI nel 1704, venne trasferito in periferia. Benedetto XVI il 18 marzo celebrerà la Messa nella cappella e poi incontrerà tutti i giovani.

Napoli: morto Francesco Madonia; da 15 anni al "carcere duro"

 

Repubblica, 14 marzo 2007

 

Era in cella da vent’anni. Il questore vieta i funerali pubblici. Con lui nella "cupola" la zona Nord della città era sotto controllo dei boss Corleonesi Gli ultimi vent’anni della sua vita da boss li ha trascorsi in carcere ordinando delitti e gestendo affari. Insieme a tre dei suoi figli.

Al Grand Hotel Ucciardone, ad aragoste e champagne, c’è rimasto fino alla terribile estate delle stragi. Poi è stato sempre carcere duro. Negli ultimi mesi, la malattia che lo affliggeva da tempo ha vinto la sua forte tempra. Don Ciccio Madonia, patriarca della mafia di Resuttana - San Lorenzo, se n’è andato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Napoli dove era stato ricoverato un paio di settimane fa con l’aggravarsi delle sue condizioni.

A 83 anni, Francesco Madonia era ancora al regime del carcere duro, di quel 41 bis che proprio qualche giorno fa, su richiesta della Procura di Palermo, è stato ripristinato anche nei confronti di suo figlio Nino. E al carcere duro, sparsi nei penitenziari di massima sicurezza di mezza Italia sono gli altri due figli, Salvino e Giuseppe. L’unico libero, assolto dopo l’arresto per il traffico di droga del Big John, è il più piccolo della famiglia, Aldo il farmacista.

Il nome di Don Ciccio Madonia è risuonato per l’ultima volta proprio ieri mattina nell’aula della terza sezione della corte d’assise d’appello dove si sta celebrando il processo Tempesta. A parlare il pentito Salvatore Cancemi che svela i retroscena del delitto di un tale che "aveva trattato male un medico che si era rivolto a Don Ciccio Madonia che gli dovette fare la "cortesia"". Ma ieri mattina il corpo del vecchio boss di San Lorenzo era nell’obitorio del Policlinico di Napoli in attesa di essere trasferito a Palermo.

Il questore Giuseppe Caruso ha già deciso che non autorizzerà funerali in forma pubblica. Toccherà invece ai giudici decidere se autorizzare o meno eventuali permessi ai tre figli detenuti al carcere duro. Con Francesco Madonia se ne va un pezzo di storia della mafia palermitana, protagonista di tutti i più eclatanti ed efferati delitti, dall’omicidio di Piersanti Mattarella a quello del generale Dalla Chiesa, da quello di Ninni Cassarà a quello di Libero Grassi (ucciso da suo figlio Salvino), dal fallito attentati all’Addaura alle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Una montagna di ergastoli e condanne sulle spalle.

È con Don Ciccio che i corleonesi di Totò Riina sottoscrivono il patto di ferro che consentirà loro la conquista di Palermo. Come contropartita Madonia chiede ed ottiene la "liquidazione" del vecchio padrino Saro Riccobono e di tutti i suoi uomini. Siede a pieno titolo nella commissione di Cosa nostra Don Ciccio e i suoi tre figli Giuseppe, Nino e Salvino entrano a far parte del gruppo di fuoco di Cosa nostra che firmerà quasi tutti i delitti decisi dalla Cupola. Sono introvabili i Madonia ma nell’87 a portare i carabinieri nel covo di via D’Amelio in cui si nascondono don Ciccio e Giuseppe è il più piccolo della famiglia, Alduccio. Nel covo viene trovato il famoso libro mastro del racket delle estorsioni di San Lorenzo gestito dai Madonia. Sono loro che mandano il "signor Anzalone" alla Sigma di Libero Grassi a chiedere il pizzo e sono loro a punire l’industriale per il suo rifiuto plateale, sui giornali e in tv. Dal carcere Francesco Madonia decide, tocca a suo figlio Salvino eseguire la condanna a morte in via Ariosto.

Marche: l'Ass. Antigone; c’è mancanza cronica di personale

 

Redattore Sociale, 14 febbraio 2007

 

Sono 622 detenuti, di cui 10 donne. Da febbraio attivo un gruppo di lavoro a cui partecipano istituzioni e associazioni per la stesura di una proposta di legge regionale sul sistema integrato dei servizi.

"Era dal 1989 che non accadeva che i detenuti fossero meno rispetto alla capienza regolamentare nazionale", ha dichiarato soddisfatto Patrizio Gonnella, presidente nazionale dell’Associazione Antigone durante la conferenza stampa che si è tenuta questa mattina presso la Regione Marche, in occasione della presentazione del rapporto biennale dell’Associazione Antigone "Dentro ogni carcere. Antigone nei 208 istituti di pena italiani".

Per effetto dell’indulto si è passati da una popolazione carceraria nazionale di 61.264 detenuti (registrata nel mese di giugno 2006) a 39.005 (nel mese di dicembre 2006) a fronte di una capienza regolamentare di quasi 43 mila posti letto, superando così l’eccedenza di 18 mila persone. "Adesso dobbiamo fare in modo che non si ripresenti nuovamente una situazione di sovraffollamento - tiene a sottolineare Gonnella - inevitabile se non ci impegniamo tutti a cambiare quelli leggi che provocano più detenzione inutile: mi riferisco alle leggi sull’immigrazione e sulle droghe…".

Nel corso della conferenza stampa sono stati evidenziati i risultati dell’indagine di Antigone nelle 7 carceri marchigiane di Ancona - Barcaglione, Ancona - Montacuto, Ascoli Piceno, Camerino, Fermo, Fossombrone e Pesaro che "non rivelano una situazione particolarmente difficile" come dichiarato da Marco Amagliani, assessore alle Politiche Sociali della Regione Marche. Nelle Marche risultano presenti (al 31 dicembre 2006), 622 detenuti (10 donne e 612 uomini) su una capienza regolamentare di 753 detenuti (20 donne e 733 uomini).

Il lavoro degli osservatori di Antigone ha messo in luce quale principale punto dolente del sistema penitenziario regionale la mancanza cronica di personale, mentre tra gli elementi positivi emergono il rafforzamento dei rapporti con la comunità esterna, grazie alla collaborazione fra le direzioni degli istituti e il territorio; la sperimentazione di un percorso di formazione professionale finanziato dalla Regione con risorse FSE che ha coinvolto in particolare gli istituti di Ancona - Barcaglione, Fossombrone e Pesaro (sezione femminile), con l’effettuazione di tirocini in ditte esterne per una decina di persone detenute; l’apertura in tutte le carceri di sportelli-lavoro, gestiti dalle amministrazioni provinciali con il compito di orientare e sostenere la ricerca di impiego da parte di persone prossime alla dimissione per fine pena o per ammissione a misure alternative.

Tra i progetti finanziati e realizzati di recente dalla Regione Marche, si ricordano, ad Ancona, l’attivazione e il potenziamento di una casa alloggio per familiari in visita ai detenuti, la realizzazione di un laboratorio teatrale e la creazione del Comitato carcere-territorio; ad Ascoli Piceno e a Camerino, l’istituzione di una figura di mediatore linguistico e culturale per detenuti stranieri; a Fermo, l’attivazione di un programma di reinserimento sociale e lavorativo di detenuti ed ex detenuti, anche attraverso un apposito sportello informativo; a Fossombrone, la sperimentazione di un protocollo di lavoro motorio, in collaborazione con l’Università di Urbino; a Pesaro, la sperimentazione di un laboratorio teatrale, l’attivazione di uno sportello informativo per detenuti stranieri e il supporto a uno "storico" centro di accoglienza per detenuti ammessi a misure alternative ed ex detenuti, "Casa Paci", punta di diamante, come la definisce l’assessore Amagliani, del lavoro sociale in ambito penitenziario.

"Quanto alla realtà delle carceri italiane, tutte visitate e presenti nel rapporto - ha continuato Gonnella - è emersa una situazione a macchia di leopardo. Così anche nelle Marche, dove non esiste un cosiddetto "modello di detenzione marchigiano".

A tale proposito l’assessore Amagliani ha annunciato che è stato costituito ed insediato nel febbraio scorso un gruppo di lavoro che comprende Regione Marche, Ministero della Giustizia, Province, Ambiti Territoriali sociali, Ministero dell’Istruzione, Cooperazione sociale e volontariato, finalizzato alla stesura di una proposta di legge regionale, in attuazione della L. 328/00, sul sistema regionale integrato dei servizi per l’esecuzione penale (interna ed esterna), per gli ex detenuti e per la giustizia minorile.

La proposta di legge, che verrà presentata entro il mese di aprile, affronta diversi aspetti: le caratteristiche del sistema integrato, i ruoli istituzionali e del terzo settore, gli organismi di coordinamento, la tutela dei diritti (alla salute, all’istruzione, alla formazione e al lavoro, difensore civico), le attività trattamentali, le politiche d’inclusione sociale, l’esecuzione penale esterna, la giustizia riparativa e la mediazione penale, la giustizia minorile.

Sassari: suor Maddalena Fois nominata Garante dei detenuti

 

Vita, 14 febbraio 2007

 

Suor Maddalena Fois è stata nominata dal consiglio comunale di Sassari la nuova garante dei diritti per i detenuti. Il coordinatore dei Radicali della Sardegna, Giampiero Muroni, esprime in una nota "i più fervidi auguri" a suor Fois, e le assicura "la disponibilità per ogni forma di collaborazione che ritenesse di voler richiedere nello svolgimento del suo compito".

"Riteniamo comunque eloquente - aggiunge Muroni - il fatto che il consiglio comunale non abbia voluto accogliere le indicazioni fornite dai Radicali di Sassari che, unitamente a molti soggetti dell’associazionismo, del volontariato, della cooperazione sociale locali e al Dipartimento Pace e Giustizia della Diocesi, avevano proposto una rosa di nomi di vario orientamento, tutti attivamente impegnati nel settore della tutela dei diritti dei detenuti, che comprendeva Irene Testa (presidente di Detenuto Ignoto), Speranza Canu (dell’Associazione Avasssengouro) e Franco Uda (Presidente Regionale Arci)".

"Teniamo a rimarcare - aggiunge ancora il radicale - il fatto che, contrariamente ad alcune notizie apparse sulla stampa, i Radicali non hanno mai proposto alcun nome di propri esponenti locali per questo ruolo. Siamo contenti del fatto che il consiglio comunale abbia scelto una donna per la figura del Garante, ma dispiace che non si sia trovata una laica cui affidare l’incarico; pur con il massimo rispetto per l’attività encomiabile svolta dalla Chiesa nelle carceri, temiamo che una scelta simile svaluti il ruolo che il volontariato e l’associazionismo laico svolgono da anni".

Firenze: a Sollicciano la città incontra il carcere femminile

 

Associazione Pantagruel, 14 febbraio 2007

 

Giovedì 29 e venerdì 30 marzo la città di Firenze incontrerà la realtà del carcere femminile di Sollicciano. Uno scambio tra persone e una conoscenza maggiore dei bisogni, delle difficoltà, ma anche della ricchezza umana presente e dei progetti esistenti nel carcere di Firenze. Gli incontri si terranno giovedì e venerdì mattina dalle ore 9.00 alle 12.00, giovedì e venerdì pomeriggio dalle ore 14.00 alle ore 17.00.

Sabato 31 marzo gli asinelli arrivano e… rimangono a Sollicciano femminile! All’interno del progetto "A passo d’asino", finanziato dal Cesvot, uno dei punti qualificanti era quello di inserire un’asineria (un gruppo di asini) all’interno del carcere di Sollicciano e più precisamente nell’area verde delle sezioni femminili.

Abbiamo parlato più volte di questo interessante progetto che vede come soggetti attivi, oltre al Ministero di Giustizia, quattro comuni della provincia di Firenze (Bagno a Ripoli, Vaglia, Sesto Fiorentino, Calenzano) e varie associazioni ( Arci Asino Castello, Cooperativa Sociale La Pignatta, Associazione "Obiettivo Francesco", Centro Sieci, Omnia Ambiente, Le Reti di Kilim) tra cui la nostra.

Le persone che vorranno festeggiare questo avvenimento sabato 31 marzo dalle 13.00 alle 16.00 al femminile di Sollicciano, insieme ai soggetti che hanno presentato il progetto e alle ragazze detenute, sono pregate di farci avere i loro dati anagrafici (nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza) entro il 20 marzo.

Verona: studenti incontrano i detenuti grazie a progetto Csi

 

L’Arena di Verona, 14 febbraio 2007

 

Compie diciannove anni l’iniziativa voluta dal Centro sportivo italiano, "Carcere e scuola 2007". Anche quest’anno 1.225 studenti accompagnati da 250 insegnanti entreranno nella casa circondariale di Montorio per "creare una cultura fatta di tolleranza e di accoglienza verso chi sta regolando i propri conti con la giustizia" come ha detto il responsabile di "Progetto carcere 663 acta non verba", Maurizio Ruzzenenti.

Le scuole superiori che partecipano a questa edizione sono 56 tra Verona e Provincia. Gli studenti daranno vita a 46 incontri di calcio nella sezione maschile e a 53 incontri di pallavolo nella sezione femminile. Le attività prenderanno il via il 19 di marzo e si concluderanno nei primi giorni di giugno.

Ma non è solo gioco quello che propone "Progetto carcere 663" è anche educazione alla legalità. Infatti per arrivare a portare gli studenti a stretto contatto con i detenuti si parte da un percorso fatto di tre interventi per un tempo complessivo di 10 ore. I giovani vengono formati, istruiti e ciò che più li incoraggia sulla via della legalità non è solo la perdita della libertà ma il fatto che in carcere si dipende dagli altri in tutto e per tutto.

Rita Zoccatelli, amministratrice del Csi di Verona, spiega: "In un’età dove la voglia di indipendenza è forte questo aspetto della vita carceraria li induce a pensare". In una realtà nazionale che vede le carceri italiane con la più alta percentuale di suicidi rispetto alla media europea, a causa dell’assenza di attività e di programmi educativi rivolti all’integrazione sociale, quella veronese risulta quasi un’oasi felice.

Al momento i detenuti sono 524 maschi e 45 donne. "Da Agosto ad oggi sono entrate in carcere 160 persone", dice il direttore Erminio Salvatore. Un dato questo che lascia intuire che nonostante l’indulto non passerà molto tempo che la Casa Circondariale si ritroverà di nuovo sovraffollata. Il problema per Ruzzenenti è da ricondursi al fatto che il carcere viene adottato sempre e comunque per qualsiasi forma di reato.

Cosa si può fare? "Occorre come già facciamo indurre i giovani a pensare", spiega, "la cultura della legalità è necessaria perché nella vita spesso accade di dovere scegliere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Spesso si arriva a scegliere la strada sbagliata per mancanza di supporti validi. Noi vogliamo offrire ai giovani questo supporto".

Carcere e Scuola come è ormai tradizione offrirà alle scolaresche anche l’opportunità di trascorrere una giornata all’interno del carcere. A differenza di altre realtà quella veronese offre delle opportunità ai detenuti fatte di studio come nel caso dell’Istituto Alberghiero Berti che ha attivato dei corsi triennali di cucina. Ma l’educazione al rispetto della legge non si ferma qui per gli operatori del Csi. Da tempo infatti intervengono nelle assemblee scolastiche. Infine quest’anno ritorna il concorso letterario rivolto ai carcerati e agli studenti.

Roma: obiettivo reinserimento e "partita della solidarietà"

 

Roma One, 14 febbraio 2007

 

La Caramella Buona, associazione Onlus contro la pedofilia e per la difesa dell’infanzia organizza lunedì 26 marzo una giornata al penitenziario di Regina Coeli dedicata al problema del reinserimento dei detenuti nella società. Si inizierà alle 10,30 con una tavola rotonda e proseguirà nel pomeriggio con l’attesa partita di calcio tra la Nazionale Italiana Religiosi e la Rappresentativa dei detenuti di Regina Coeli. Chiuderà il concerto di Luca Anceschi e la sua band. "Al di là del muro" è infatti il nome dell’iniziativa nata dalla fattiva collaborazione con l’amministrazone penitenziaria dell’Istituto di Regina Coeli, il direttore, il personale e il comandante della Polizia Penitenziaria sempre interessata alle problematiche poste dall’inserimento in carcere dei detenuti pedofili. Da sottolineare anche il contributo del Gruppo Cinco, la testata Famiglia Cristiana, Paese Italia e Rach Finazzi Arredamenti.

La giornata è stata preceduta da un’altra importante iniziativa: la Seconda Conferenza Internazionale sui crimini ai minori che si terrà sabato 24 marzo a Roma-Vaticano presso l’Auditorium. In questa seconda edizione, la Conferenza allarga la visuale sulle attuali problematiche dei crimini sui minori : dallo sfruttamento del lavoro minorile ai problemi dell’immigrazione e integrazione dei minori stranieri, dal fenomeno del bullismo (che spesso anticipa attività criminali) al traffico internazionale di organi. In generale verrà fatto fare il punto sulle attuali azioni di contrasto dell’ insieme dei fenomeni in Italia.

Obiettivo dell’iniziativa è presentare una panoramica delle principali esperienze nazionali ed internazionali sulle diagnosi e l’investigazione dell’abuso sessuale sui minori, delineando gli aspetti clinici e criminologici dell’abusante e le problematiche traumatiche e riabilitative delle vittime. Nella sessione scientifica verranno trattati: le tecniche diagnostiche sugli abusi;il criminal profiling dei pedofili; le strategie terapeutiche nella pedofilia; le problematiche giuridiche sulla segnalazione di sospetto abuso; l’abuso dei minori su internet; le nuove strategie diagnostiche computerizzate negli abusi sui minori.

Televisione: ritorna "Liberanti", una docu-fiction sul carcere

 

Asca, 14 febbraio 2007

 

La vita in un carcere raccontata da una docu-fiction. Il punto di vista dei detenuti, la loro quotidianità all’interno di una cella, i racconti e le paure. Torna da domani ‘Liberanti, un anno dopò ambientato nel carcere romano di Rebibbia, alle 22.30 su Cult (canale 142 di Sky).

Ogni mercoledì verranno ritrasmessi i dieci episodi di "Liberanti", insieme a due puntate inedite, la prima e l’ultima che seguono le vicissitudini dei protagonisti dopo la fine della pena. Il programma riparte con il racconto di quanto accaduto dopo il provvedimento dell’indulto concesso l’estate scorsa con cui migliaia di detenuti erano stati scarcerati.

Verranno mostrate le immagini inedite all’interno del carcere e interviste ad agenti e detenuti che sono rimasti dentro, o che sono stati arrestati di nuovo una volta usciti. E poi le storie di quelli che "ce l’hanno fatta" e sono tornati alle loro case, dalla famiglia e dagli amici. Il ritorno ad una vita normale e il difficile reinserimento nella società. Scritta da Matilde D’Errico e Maurizio Iannelli con la collaborazione di Paolo Santolin, "Liberanti" è prodotta da La Bastoggi e da Ruvido Produzioni Tv per Fox Channels Italia ed è stata girata nel carcere di Rebibbia nuovo Complesso.

Sappe: auguri di Franco Marini e denuncie di Donato Capece

 

Comunicato stampa Sappe, 14 febbraio 2007

 

Proseguono a Montesilvano (PE) i lavori del XVIII Consiglio Nazionale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione più rappresentativa della Categoria con oltre 12mila iscritti.

Questa mattina è giunto ai partecipanti il messaggio del Presidente del Senato della Repubblica Franco Marini, che ha espresso "adesione all’iniziativa, che considero un’importante occasione di confronto e riflessione non solo sulle tematiche sindacali e lavorative che interessano il Corpo di Polizia Penitenziaria ma anche sull’intero sistema penitenziario nazionale, soprattutto dopo l’approvazione della Legge sull’indulto".

Gli auguri del presidente del Senato Marini fanno seguito ai messaggi fatti pervenire al Sappe nella giornata di ieri dal Capo dello Stato Napolitano e dal Presidente della Camera dei Deputati Bertinotti. Ha invece portato personalmente il suo saluto ai Consiglieri Nazionali il dirigente generale Gianni Veschi, provveditore regionale penitenziario di Pescara.

Dalla relazione politico-programmatica del Segretario Generale Donato Capece, approvata all’unanimità in tarda mattinata congiuntamente ai bilanci consuntivo 2006 e preventivo 2007, sono emerse numerose critiche al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ed al Ministero della Giustizia: "Occorre fare presente che per tutto l’anno 2006, il Dipartimento è risultato del tutto indifferente alle problematiche del Corpo: nei primi mesi perché, decaduto il Governo, si era in attesa dei risultati delle elezioni politiche; quindi, insediatosi il nuovo Ministro, l’unico provvedimento ritenuto utile, immediato ed esaustivo della emergenza carceraria è stato l’indulto!

Circa i risultati del provvedimento, dal Sappe sostenuto esclusivamente ai fini di uno sfollamento dei detenuti propedeutico a migliori condizioni operative del personale del Corpo, è stato realizzato uno studio specifico da parte della Segreteria Generale: i dati statistici rilevano che almeno il 15% dei detenuti beneficiari è rientrato in carcere. Quello che più addolora, però, è il convincimento ministeriale di avere risolto i problemi penitenziari, tant’è che nel corso dell’anno 2006 non sono stati neppure presi in considerazione tanti altri, molteplici aspetti, che noi tutti ben conosciamo".

Capece ha anche puntato il dito sul disagio di tutti gli appartenenti alle Forze di Polizia per l’esiguità degli stipendi e degli stanziamenti previsti nell’ultima Legge finanziaria: "… tra i "poveri" del nostro Paese è bene che siano iscritti di diritto anche i Poliziotti Penitenziari che, con 1.200 - 1.400 euro, hanno davvero difficoltà ad arrivare a fine mese, stante l’alto costo della vita delle nostre città, specie quelle del Nord Italia.

Non sono bastati 70mila poliziotti in piazza il 5 dicembre 2006 con il Sappe e la Consulta Sicurezza contro una Finanziaria mortificante per le Forze dell’Ordine: il Governo, nonostante una piazza così numerosa, non ha fornito una risposta adeguata, tant’è che nella Legge finanziaria 2007 ben scarse sono state le previsioni destinate alle Forze di Polizia e alla Polizia Penitenziaria in particolare.

Il nostro contratto di lavoro, scaduto già dal 31 dicembre 2005, deve essere rinnovato: certamente ci batteremo perché non ci venga riconosciuta ed elargita una elemosina, pari ai circa 10,00 euro mensili preannunciati. Abbiamo pubblicamente affermato che avremmo restituito questi spiccioli, poiché non si può quotidianamente manifestare solidarietà alle Forze di Polizia per gli alti meriti istituzionali e poi mortificarne il personale, che muore in mezzo alla strada, corrispondendo, in modo offensivo e mortificante, una gratifica da mendicanti".

Palermo: telefonini e droga in carcere, arrestato un agente

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 14 marzo 2007

 

Messaggi, droga, soldi. Sarebbe stata amplissima l’attività svolta da Giuseppe Trapani, l’agente di polizia penitenziaria del carcere Pagliarelli di Palermo arrestato questa notte, ma la Procura sceglie per adesso di contestargli comportamenti specifici per singoli episodi, quelli ritenuti riscontrati al cento per cento.

Ma i compiti da lui svolti con risultati apparentemente incredibili riguardano i contatti telefonici assicurati dalle schede e dai cellulari introdotti a Pagliarelli: secondo gli investigatori, un detenuto avrebbe "quotidiani contatti con la moglie", grazie al telefonino già usato da altri ospiti della "casa circondariale", fra i quali Antonino De Luca.

Due catanesi, padre e figlio detenuto, tra il 14 e il 20 novembre, ebbero 17 contatti. E la fidanzata del carcerato doveva fargli avere un nuovo cellulare con videocamera, perché quello che aveva già si era rotto. Le schede dei familiari, dopo un certo periodo, venivano eliminate: "La devi bruciare, non buttare; bruciare direttamente... L’hanno avuta cani e gatti, è normale che si deve rompere", raccomandava uno dei detenuti, un uomo coinvolto in una sanguinosa rapina in una gioielleria, terminata col ferimento di quattro persone, tra cui un bambino di sette anni. La stessa persona (indicata come "una vera potenza" da un compagno di cella, proprio perché capace di avere il telefonino in prigione) riferiva alla moglie il modo per fare entrare le schede: "Fai una cosa, le avvolgi in carta cellophane e te le metti in bocca".

 

Favori a detenuti, arrestato agente custodia

 

Un agente di polizia penitenziaria a disposizione di alcuni detenuti, il carcere di Pagliarelli trasformato in una sorta di centralino, traffici di droga organizzati e gestiti dal penitenziario. C’è tutto questo, nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che stanotte ha portato agli arresti di Giuseppe Trapani, 43 anni, originario di Sciacca ma in servizio nel carcere palermitano di Pagliarelli, di Carmela Rita Irene Lucchese, 35 anni, e di Giacomo Fidone, 38 anni, di Scicli (Ragusa).

Altre tre misure cautelari sono state notificate ad altrettanti detenuti di Pagliarelli: Antonio De Luca, 37 anni, Francesco Bonanno, di 34, e Massimiliano Magnasco, di 26. Trapani è stato incastrato da intercettazioni telefoniche e dall’incrocio dei dati del suo apparecchio cellulare e delle schede che venivano inserite all’interno di esso: si è scoperto così che la guardia penitenziaria si sarebbe prestata a fornire schede sim ai detenuti, in cambio di 700 euro e di alcuni giocattoli per i figli. I pm Maurizio De Lucia, Roberta Buzzolani e Michele Prestipino, che, sotto il coordinamento dell’aggiunto Giuseppe Pignatone, hanno diretto il lavoro dei carabinieri del Nucleo operativo, lo accusano di corruzione aggravata dall’agevolazione di Cosa Nostra e di detenzione di sostanze stupefacenti che avrebbe introdotto all’interno del carcere.

Trapani era stato individuato nel corso delle indagini dirette alla cattura del latitante del clan mafioso di Pagliarelli, Giovanni Motisi: i carabinieri avevano messo sotto controllo i telefoni di Vincenzo Cascino, mafioso detenuto ma ritenuto in contatto indiretto col capo del suo mandamento. Il 16 settembre scorso avevano così scoperto che la moglie di Cascino aveva ricevuto una strana chiamata da un telefonino che montava una scheda intestata a un cittadino romeno. La voce era però inconfondibilmente quella di un palermitano ed era stata poi identificata proprio per quella di Cascino, che aveva telefonato alla donna dalla propria cella. Da lì si erano messi in moto gli accertamenti tecnici e si era scoperto che la scheda sim era stata utilizzata su un apparecchio cellulare appartenuto a Giuseppe Trapani. Ulteriori verifiche hanno poi dimostrato che non era stata la sola scheda sim ad essere passata da un cellulare dell’agente penitenziario.

Sappe: comunicato sui telefoni ai detenuti in carcere a Palermo

 

Comunicato stampa Sappe, 14 febbraio 2007

 

Appresa la notizia dell’arresto, questa mattina a Palermo, anche di un appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria che in cambio di denaro faceva utilizzare il suo telefono cellulare ai boss mafiosi detenuti nel carcere di Pagliarelli, il Segretario Generale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece, che si trova a Montesilvano (PE) per il XVIII Consiglio Nazionale dell’Organizzazione più rappresentativa della Polizia Penitenziaria, ha dichiarato: "Non può essere una mela marcia ad infangare il duro, difficile e pericoloso lavoro che quotidianamente svolgono nelle oltre 200 carceri del Paese, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, le donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria. Decine di migliaia di persone che con cristallina onestà, altissimo senso del sacrificio e del dovere, svolgono la fondamentale funzione di rappresentare lo Stato e le sue leggi nel sistema penitenziario nazionale".

Il Sappe, proprio per scongiurare un uso illegittimo di telefoni cellulari in carcere, invita Ministero della Giustizia e Governo a porre come prioritario intervento una richiesta già avanzata da tempo, da ultimo nel numero di gennaio 2007 della Rivista associativa "Polizia Penitenziaria - Società, Giustizia & Sicurezza": la schermatura dei penitenziari italiani all’uso dei telefoni cellulari, un intervento che si sta per adottare in Germania.

"Un controverso aggiornamento alle leggi sulle telecomunicazioni viene portato avanti in questi giorni dal Governo tedesco, con un provvedimento che per la prima volta renderebbe legali in Germania i mobile phone jammer, apparecchi studiati per impedire in ambienti circoscritti l’uso del telefonino. Stando a quanto riportato dal servizio di informazione di Heise Online, l’idea è prima di tutto quella di schermare le carceri.

Fonti governative germaniche affermano infatti che sono molti i detenuti che, grazie a cellulari spacciati sottobanco all’interno delle carceri, riescono a mantenere attive le connessioni criminose con l’esterno. Un fenomeno, peraltro, di cui si è parlato in molte occasioni anche in Italia, prima ancora del grave episodio emerso questa mattina a Palermo. Visto che si sono rivelati fino ad oggi infruttuosi i tentativi di individuare i cellulari attivi nelle carceri, già condotti in passato dalla polizia penitenziaria, il Sappe ritiene che quando si tratta di sicurezza sociale, prevenzione e repressione del crimine uno Stato debba avere il coraggio di fare scelte anche radicali per contrastare la criminalità."

Bollate: da Vivaldi a John Lennon, la musica entra in carcere

 

ansa, 14 febbraio 2007

 

Vivaldi e John Lennon entrano in carcere, grazie alla Fondazione orchestra sinfonica e al coro sinfonico Giuseppe Verdi di Milano che, insieme a Telecom progetto Italia, hanno organizzato cinque appuntamenti musicali per i detenuti della casa circondariale di Bollate. Il concerto inaugurale, previsto per lunedì 19 marzo, ed eccezionalmente aperto al pubblico, vedrà protagonista l’ottetto di fiati dell’orchestra, impegnato in pagine di Mozart e Rossini.

Nel secondo appuntamento, il 23 aprile, il duo d’archi spazierà tra Vivaldi, Beethoven e Mozart, mentre il 5 maggio clarinetto e arpa affronteranno vari autori.

Il 16 maggio il quartetto d’archi eseguirà trascrizioni di brani di Mozart e Bach, ma anche di John Lennon e Scott Joplin. Per l’ultimo concerto, il 22 giugno, un trio composto da violino, flauto e cembalo suonerà pagine di Vivaldi, Haendel e Zelenka. Ogni appuntamento del ciclo "Musica in carcere", progetto già avviato nel carcere di San Vittore di Milano e alla Vallette di Torino, sarà preceduto e accompagnato da momenti di approfondimento, guidati dai musicisti, sul periodo storico e gli autori in programma.

Immigrazione: con la riforma restano in funzione 6 Cpt su 14

 

Corriere della Sera, 14 febbraio 2007

 

Anche se il ddl delega Amato-Ferrero dovrà affrontare molti mesi di battaglia parlamentare (è probabile che, per motivi di affollamento al Senato, il testo venga incardinato alla Camera), qualcosa già si muove sul fronte amministrativo. Così, grazie anche al lavoro svolto dalla commissione De Mistura voluta dal ministro Giuliano Amato, il Viminale ha stilato la lista dei Cpt che verranno chiusi per primi: a regime, da 14 centri si passerebbe a meno della metà (5 o 6). E si partirebbe con le chiusure dei Cpt di Ragusa e di Crotone: il primo, aperto nel ‘98 dopo il varo della legge Turco-Napolitano, ospita solo donne con una capienza massima di 60 posti mentre il secondo viene definito un luogo di "dolore e non di accoglienza" dallo stesso governatore della Calabria, Agazio Loiero, che si è rallegrato per la decisione del governo.

Espulsioni - La filosofia del provvedimento Amato-Ferrero è quella di tenere in vita pochi centri per "l’esecuzione delle espulsioni" nei quali finiranno i clandestini che non collaborano e quelli già identificati destinati all’espulsione. La riforma dell’Unione, infatti, scardina il sistema creato dalla Bossi-Fini, istituendo tre circuiti separati: quello dei detenuti che verranno identificati in carcere (e non più nei Cpt), quello degli irriducibili che non vogliono farsi identificare e quello degli immigrati che collaborano e che verranno indirizzati in strutture di identificazione aperte.

Un altro cardine del ddl delega riguarda l’interruzione della continuità tra carcere e Cpt che oggi coinvolge molti immigrati clandestini. Per questo il Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria, già si è attrezzato inviando ai direttori delle 205 carceri italiane una circolare in cui si chiede di predisporre le strutture necessarie per l’identificazione dei clandestini.

Ma il vero banco di prova del ddl è in Parlamento dove, oltre al prevedibile ostruzionismo della Cdl, ci saranno mille distinguo sollevati dalla sinistra radicale proprio sulla mancata chiusura immediata di tutti i Cpt. E bastato fare una carrellata di pareri per capire che i mal di pancia sono soprattutto tra i banchi dei Verdi e quelli di Rifondazione.

Verdi e Prc - Paolo Cento, sottosegretario dei Verdi all’Economia, dà un giudizio positivo sul testo ma sul punto dice che "la soluzione adottata non è sufficiente perché i Cpt non possono esser giusti a metà". Più radicale il giudizio del senatore verde Mauro Bulgarelli: "Sui Cpt in molti avremo qualcosa da dire perché sono strutture incostituzionali che consentono la detenzione amministrativa".

Invece Angelo Bonelli, capogruppo alla Camera, è più possibilista: "Questo che è stato individuato mi sembra un percorso che consente di raggiungere gradualmente l’obiettivo finale della chiusura di tutti i Cpt".

Tra i banchi di Rifondazione, spicca la posizione del capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena, che loda lo sforzo di mediazione del ministro Paolo Ferrerò. E stavolta il ribelle Franco Turigliatto non forza la mano: "Il mio giudizio è molto prudente, Ferrerò ha fatto un grande sforzo di mediazione". Invece Fosco Giannini, un altro senatore della minoranza del Prc, dice chiaro e tondo che la bozza Amato-Ferrero non affronta il nodo dei "Cpt lager che ogni persona di buon cuore dovrebbe voler chiudere". Alla Camera, intanto, Francesco Caruso annuncia che questo testo va cambiato: "La detenzione amministrativa non è degna di un paese democratico e rappresenta un buco nero del nostro diritto". Sulle stesse posizioni c’è anche Luca Casarini e i disobbedienti: "Dovremo continuare le nostre lotte".

Eppure, nel fronte degli irriducibili di Rifondazione, qualcosa si muove dopo le drammatiche votazioni sull’Afghanistan. Oltre a Turigliatto, ora anche il senatore Claudio Grassi parla di "significativi passi in avanti ottenuti grazie al grande lavoro di mediazione svolto dal ministro Ferrero".

Immigrazione: Caritas; accolte le proposte delle associazioni

 

Redattore Sociale, 14 febbraio 2007

 

"Le idee sull’immigrazione che sono contenute nella bozza di legge che sarà sottoposta al Consiglio dei Ministri della prossima settimana sono positive. Il governo ha recepito molte delle proposte che le associazioni, i sindacati e le organizzazioni degli immigrati hanno avanzato durante gli incontri in vista della modifica della cosiddetta Bossi-Fini".

È questo il primo giudizio "a caldo" di Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas Italiana (è uno dei curatori del Dossier annuale sull’immigrazione realizzato con Migrantes) sulla bozza anticipata stamane da Corriere della Sera e Repubblica. Si tratta della proposta Amato-Ferrero, ovvero della proposta di modifica della Bossi-Fini da parte dell’attuale ministro dell’Interno e del ministro per la Solidarietà Sociale.

Oliviero Forti ci spiega che l’impianto della proposta di legge (dovrebbe essere un unico articolo) è anche il frutto dei quattro incontri che il governo ha organizzato nei mesi scorsi con tutte le associazioni di immigrati o che si occupano a vario titolo di immigrazione. "Ora bisogna aspettare il testo definito, l’articolato vero e proprio - spiega ancora Forti - ma è chiaro che si sta andando nella direzione giusta".

A proposito delle novità più positive, Oliviero Forti cita le più importanti: il superamento dello schema legato al contratto di lavoro per poter avere la regolarizzazione, la maggior attenzione che il legislatore finalmente pone nei confronti di particolari categorie di immigrati come le colf e le badanti che finora erano state trascurate e penalizzate dalle norme in vigore.

Con la legge Bossi-Fini queste donne erano spesso spinte verso l’irregolarità. Ora con la proposta di riforma, e soprattutto con l’abbattimento delle "quote" si dovrebbe favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Il superamento del vecchio schema delle quote dovrebbe quindi favorire la regolarizzazione e l’impiego e il soggiorno regolare.

Un’altra grande novità positiva riguarda il diritto di voto alle amministrative. "Durante gli incontri tra le associazioni e il governo il tema era emerso più volte ed è stato affrontato da vari punti di vista. Ma io non credevo che poi il legislatore avesse il coraggio di recepirlo in pieno. Ora dobbiamo aspettare appunto il testo definitivo, ma se rimane così come è stato anticipato, credo che avremmo fatto un notevole passo avanti.

Finora scontavamo un gap molto pesante con tutti gli altri paesi di immigrazione". La promessa del voto agli immigrati circola infatti da anni anche in Italia, ma nessuno, finora, era riuscito a tradurla in una proposta di legge. Si tratta quindi di recuperare tanto tempo perduto.

Per quanto riguarda la questione molto controversa dei Cpt, i Centri di permanenza temporanea che sono stati contestati in questi anni, la bozza del governo ne propone un superamento graduale e comunque una riforma radicale. I Cpt non si chiameranno più così, ma saranno chiamati Centri di espulsione, perché dedicati in particolare a quelle categorie di immigrati clandestini che sono considerati "irriducibili".

"Per noi - commenta ancora Forti - sarebbe stato impossibile proporre un superamento immediato e totale degli attuali Cpt. Dobbiamo tendere a quella soluzione, ma è ovvio che ci sono casi di persone che comunque vanno gestite e quindi non era possibile applicare la soluzione apparentemente più facile della chiusura totale e immediata di tutti i Cpt".

È una posizione, quella del supermento graduale, che la Caritas ha espresso anche all’interno del gruppo di lavoro con il commissario De Mistura che ha prodotto il primo studio ufficiale e completo su tutto il sistema dei Cpt in Italia. Sempre secondo Forti, se vogliamo fare una previsione rispetto ai tempi della nuova legge, è probabile che essa possa essere varata prima dell’estate.

Immigrazione: Arci; bene il disegno di legge Amato-Ferrero

 

Redattore Sociale, 14 febbraio 2007

 

Miraglia: "La migliore garanzia contro l’irregolarità è prevedere procedure semplici e rapide, con un rapporto diretto e trasparente con il cittadino straniero". Frattini in attesa di "un’informazione completa".

"Positivo" il giudizio dell’Arci sul disegno di Legge Amato-Ferrero che va a modificare nella sostanza l’attuale legge. "Finalmente un governo si è assunto la responsabilità di affrontare in modo non demagogico il tema dell’immigrazione. - commenta Filippo Miraglia, responsabile per l’immigrazione - Il metodo del confronto con le associazioni si è rivelato produttivo ed ha contribuito alla definizione di un testo che segna una netta discontinuità con la cultura e i contenuti della Bossi-Fini, e che accoglie gran parte delle richieste avanzate. Naturalmente, trattandosi di una Legge Delega, e dunque di indirizzo, bisognerà ora valutare i singoli decreti attuativi". L’associazione insiste sulla necessità "di sburocratizzare al massimo il meccanismo per l’ingresso in Italia": "La migliore garanzia contro l’irregolarità è prevedere procedure semplici e rapide, con un rapporto diretto e trasparente tra lo Stato e il cittadino straniero. Per questo ci pare assolutamente da rivedere l’idea di costituire una specie di ufficio di collocamento presso le nostre rappresentanze diplomatiche all’estero, dove andrebbero depositate le liste degli aspiranti migranti. È un meccanismo che rischia di creare un vero e proprio corto circuito, per la macchinosità e l’insufficienza del personale che se ne dovrebbe occupare". Secondo l’associazione è anche necessario prevedere un meccanismo di regolarizzazione per chi è già in Italia senza permesso di soggiorno.

Sui Cpt, l’Arci si dice convinta "dell’opportunità della chiusura". "Il loro mantenimento, per quanto molto ridimensionato e con ben altre garanzie rispetto a quanto previsto dalla legge precedente, non è giustificato nemmeno dallo scopo che formalmente si prefiggono, e cioè l’esecuzione dell’espulsione. Restiamo convinti che la detenzione amministrativa rappresenti una lesione del nostro ordinamento e ci batteremo affinché la soluzione delineata rappresenti un passaggio in questa direzione", prosegue Miraglia. Soddisfazione invece per il riconoscimento del diritto all’elettorato attivo e passivo nelle consultazioni amministrative. "Questo modifica in modo sostanziale il rapporto tra lo Stato e il cittadino straniero e ripristina nella sua pienezza il suffragio universale previsto dalla nostra Costituzione", spiega Miraglia. "Adesso - conclude - ci auguriamo che il Parlamento metta al più presto all’ordine del giorno l’esame del Disegno di Legge e che quei punti che abbiamo segnalato come più problematici vengano modificati e migliorati nel corso del dibattito parlamentare. Ci sono le condizioni perché finalmente si chiuda un’epoca buia, in cui, insieme ai migranti, è stata mortificata la nostra democrazia".

Attenderà invece il testo definitivo prima di formulare un giudizio pieno sulla riforma il vice presidente della Commissione Europea Franco Frattini che ha incontrato ieri a Strasburgo il ministro della Solidarietà Sociale. Frattini ha espresso "l’auspicio di disporre quanto prima di un’informazione completa sul disegno di legge delega in materia di immigrazione - disegno che non risulta ancora adottato dal Consiglio dei ministri - per poter quindi esprimere un giudizio di merito". "Le nuova normativa della Commissione - fa sapere - richiede infatti che il governo italiano notifichi alla Commissione stessa il contenuto della legge, per accertare quali disposizioni siano conformi o eventualmente non conformi alla legislazione europea".

Droghe: Fict; dal Governo troppe indicazioni contraddittorie

 

Redattore Sociale, 14 febbraio 2007

 

"Manca una strategia politica adeguata per combatterne l’uso": Lettera aperta di Don Mimmo Battaglia dopo le recenti dichiarazioni di Amato. "Educare per poter realmente prevenire".

"In questi giorni ci ritroviamo ad essere spettatori di nuovi interventi e posizioni politiche che appaiono rispondere più a livelli ideologici che ai bisogni reali dell’uomo. In questi anni, si è visto un susseguirsi in modo alternato di leggi repressive e di proposte di liberalizzazione, entrambi rispondenti a logiche di sicurezza collettiva."

Così comincia il testo di una lettera a tutti i parlamentari sulla questione delle droghe firmata da don Mimmo Battaglia, presidente nazionale della Fict, in risposta alle recenti dichiarazioni del ministro dell’Interno, Giuliano Amato. "Le risposte per affrontare la droga sono state finora incomplete - spiega don Mimmo Battaglia - a volte contraddittorie, senza una strategia politica adeguata per combatterne l’uso, ma solo provvedimenti che andavano ad eliminare gli effetti esterni, visibili fermandosi ad una percezione approssimativa del problema, per isolarlo, criminalizzarlo, circoscriverlo in un recinto". Non è questo dunque il modo migliore per affrontare un problema che si trascina da anni. La politica repressiva o punitiva è sempre sbagliata, prima di tutto perché crea superficiali illusioni di superamento di fenomeni che sono ben più complessi.

Il presidente della Fict, più in generale, ricorda che "la politica non è solo fare leggi per ridurre i danni, ma, soprattutto, ricercare e affermare una strategia condivisa ad ampio raggio". "Noi della Fict che operiamo sul tutto il territorio con un lavoro di trattamento, coesione sociale e di prossimità delle persone a stretto contatto con i giovani, le famiglie, le scuole riteniamo che nessuno è prettamente colpevole per le azioni che compie, ma agisce in rapporto ai valori e ai principi che gli sono stati impartiti".

Per questo è fondamentale l’atteggiamento di rimettersi sempre in discussione e soprattutto l’atteggiamento che si basa sull’educazione, "educa per poter realmente prevenire". Non si può continuare a non ammettere l’evidenza e cioè che il fenomeno della droga è "l’espressione di un disagio diffuso, di una sofferenza morale. Oggi più che mai è viva la crisi interiore dell’uomo, abbandonato ad un sistema che si finge ordinato e che promuove messaggi provocatori e contraddittori, fini a se stessi".

"Se è vero - continua don Mimmo Battaglia - come dice il Ministro Amato che in Italia occorre una campagna enorme contro la droga, non possiamo condividere la scelta metodologica mirante al controllo di una generazione che si sentirebbe penalizzata in modo aprioristico. Noi diciamo, invece, che la questione delle dipendenze è questione anzitutto educativa che dovrebbe vedere impegnati tutti i soggetti pubblici, privati e istituzioni".

Il messaggio della Fict è dunque molto chiaro: "la droga fa male, drogarsi non è un diritto, il tossicodipendente va aiutato e non punito. Non ci riconosciamo nell’approccio rigido e punitivo né in quello che considera un dato di fatto l’abuso di droghe. Pertanto, scegliamo la prospettiva della centralità della prevenzione per un paese complessivamente meno drogato". Ed è anche chiaro, per il presidente della Fict, che la vera origine del disagio giovanile va ricercata nella società degli adulti.

Droghe: test antidoping nelle scuole? le ricerche dicono di no

di Grazia Zuffa (Forum Droghe)

 

Fuoriluogo, 14 febbraio 2007

 

L’idea lanciata da Amato, di eseguire test antidroga nelle scuole, oltre ad essere "idiota", per ammissione dello stesso ministro, è vecchia e fallimentare. Sino dagli anni ‘90, l’amministrazione americana ha promosso gli esami antidroga nelle scuole e l’ufficio della Casa Bianca per la politica delle droghe è tuttora impegnato in una campagna capillare per convincere i dirigenti scolastici in tutto il paese ad adottare i test a tappeto.

Ma il primo studio a larga scala sui test antidroga ne ha dimostrato la inefficacia. La ricerca, condotta dal 1998 al 2001 dall’università del Michigan su 76.000 studenti delle medie superiori in tutto il paese (pubblicata sul Journal of School Health dell’aprile 2003), rivela che i tassi di consumo negli istituti in cui si applicano i test sono assolutamente gli stessi che nelle scuole dove non si effettuano (21% nelle prime contro il 19% delle seconde; lo stesso per la sola marijuana: il 37% degli studenti delle scuole che hanno adottato i test ha dichiarato di aver usato la canapa, contro il 36% nelle scuole senza test).

I test non funzionano e in più sono costosi. Negli Stati Uniti, i test costano una media di 42 dollari per ogni studente: ciò significa che una scuola con 500 studenti spenderà 21.000 dollari, senza contare le spese aggiuntive per gli esami che andranno ripetuti in presenza di esiti positivi. La Drug Policy Alliance ha pubblicato un opuscolo per sostenere l’iniziativa contro il drug testing in America. L’opuscolo, intitolato "Cerchiamo di capire i test antidroga nelle scuole: perché gli educatori dicono no" (Making sense of Student Drug Testing. Why educators are saying no", analizza tutti gli inconvenienti di questa politica. Fra i principali:

il drug testing non ha alcun effetto deterrente sui giovani, è costoso e porta via le poche risorse che le scuole hanno a disposizione per altre, più efficaci, iniziative; mina il rapporto di fiducia fra insegnanti e studenti, perché non si può essere maestri e poliziotti allo stesso tempo; può dare dei falsi positivi; non permette di identificare i ragazzi che hanno problemi seri con la droga; i test possono portare a conseguenze indesiderate, come quelle di favorire droghe più pericolose ma più difficili da scoprire. Così, è possibile che gli studenti passino dalla marijuana, che è la droga più facilmente rintracciabile, alle metanfetamine e all’ecstasy, che vengono eliminate più velocemente; o alle sbornie, visto che l’alcol non viene testato.

Droghe: Casini presenta pdl su test volontario a parlamentari

 

Il Messaggero, 14 febbraio 2007

 

"La proposta di legge nasce dalla necessità di combattere un fenomeno ormai fuori controllo in Italia. La droga ha una diffusione che vede troppi silenzi, troppe subalternità e complicità. Un fenomeno diffuso nei quartieri alti, nel mondo dello spettacolo, dei professionisti, e probabilmente anche nel mondo della politica".

Con queste parole Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, ha presentato la proposta di legge alla Camera, firmata da un centinaio di rappresentanti di vari partiti, che introduce il test antidroga (non obbligatorio) per i parlamentari.

"Non basta fare la guerra ai trafficanti - sostiene Casini - se si accetta l’esistenza di complicità nei Palazzi". Il test, in base alle norme della privacy, non è obbligatorio e i parlamentari potrebbero comunque decidere di non sottoporvisi. Ma questo, per trasparenza, verrebbe annotato nel loro fascicolo personale. "Se è vero - continua il leader dell’Udc - che questa guerra deve essere condotta senza fermarsi davanti a nessun santuario allora deve partire dall’alto e dobbiamo dare l’esempio".

Alcuni fatti di cronaca di inizio legislatura sul possibile uso di sostanze proibite da parte dei parlamentari hanno sollevato "questioni di natura etica". "Che non possono restare senza una risposta", sottolinea ancora Casini.

"Le confuse e sommarie indiscrezioni sul risultato di test effettuati all’insaputa degli interessati - osservano i firmatari della proposta -, e destinati ad una trasmissione televisiva, ha gettato un ingiustificato discredito sulle istituzioni con un messaggio che rischia di alimentare la crisi del rapporto tra cittadini e politica".

Ad ottobre scorso il gruppo delle Iene fece un blitz davanti al Parlamento. Con uno stratagemma a una cinquantina di parlamentari, nel corso di una finta intervista, fu fatto un test con l’uso del tampone. Venne fuori che un deputato su tre, a dire del gruppo, aveva fatto uso di sostanze stupefacenti, per la maggior parte cannabis.

Immediate le reazioni. Ovviamente si contestò anche la validità del test. Fu unanime lo sdegno per il metodo usato e il garante della privacy impedì la messa in onda del servizio, che avrebbe mostrato i risultati del test. "La sostanziale "censura" della trasmissione - osservano ancora i firmatari della pdl - e l’ordine di bloccare la diffusione dei dati personali, in quanto acquisiti illecitamente e senza correttezza, ha purtroppo alimentato il sospetto dei cittadini sui parlamentari e sulla politica". "Si ritiene grave - ha osservato ancora Casini - anche il solo sospetto che un parlamentare, nell’esercitare l’alto mandato di cui è investito, possa versare in uno stato di alterazione fisica o psichica correlata con l’uso di

sostanze stupefacenti. Perciò si ritiene doveroso garantire un’adeguata informazione ai cittadini". Ma la presentazione della proposta è stata anche l’occasione per esprimere consenso con l’esortazione di Giuliano Amato.

"Mi auguro - ha sottolineato Casini - che il ministro Amato tenga duro sulla sua proposta" di introdurre l’anti-doping nelle scuole e "per quanto mi riguarda intendo dare il buon esempio chiedendo l’introduzione del test per i parlamentari: un segno tangibile al Paese a dimostrazione che contro la droga si intende condurre una guerra senza esclusione di colpi, a tolleranza zero". Casini poi spiega che il provvedimento non entra nei dettagli tecnici demandando le procedure per l’effettuazione degli accertamenti agli uffici di presidenza di Camera e Senato. Intanto, da Strasburgo il ministro Paolo Ferrero fa sapere che il governo preparerà uno stralcio al piano triennale di lotta alla droga, per coprire il 2007-2008.

Droghe: don Franco Tassone; colpa del "disagio da normalità"

 

Redattore Sociale, 14 febbraio 2007

 

Alla Casa del Giovane di Pavia che dirige arrivano ormai ragazzi di tredici anni. "Sono giovani normali ma sono infelici, e la droga e l’alcol diventano il rifugio per dimenticare".

"È il disagio della normalità": così don Franco Tassone, presidente da 15 anni della Casa del Giovane di Pavia, commenta i dati resi noti dalle Asl di Milano e provincia sui giovani fermati dalla polizia e segnalati alla Prefettura perché trovati in possesso di droghe per uso personale. "Sono giovani normali, con una famiglia alle spalle, buoni studi, un lavoro, senza particolari problemi economici - spiega don Franco Tassone -.

Ma sono infelici, e la droga e l’alcol diventano il rifugio per dimenticare". Alla Casa del Giovane bussano ormai ragazzi di tredici anni. "L’età di chi ha bisogno di un aiuto si sta abbassando sempre di più -racconta don Franco-. È il segno evidente di un malessere diffuso, di fronte al quale l’unica risposta che si può dare è di tipo educativo". È per questo che l’idea adottata a Milano appare come una buona soluzione. "Non serve dare multe o togliere la patente - aggiunge il presidente della Casa del Giovane -. Servono educatori preparati, che sappiano ascoltare, consigliare e aprire la mente di questi ragazzi a stili di vita non distruttivi".

La lotta alla droga non ha bisogno di slogan, pro o contro la repressione, ma di un approccio che metta al centro il giovane e i suoi bisogni. "Spesso il dibattito politico sembra dimenticare il problema di fondo: cioè che esistono ragazzi che si autodistruggono con le droghe -continua don Franco-. Attraverso la collaborazione tra la Prefettura e le Asl Milano si è riusciti ad intercettare giovani che altrimenti gli operatori non avrebbero mai incontrato e questo grazie ad un’interpretazione della legge che ha a cuore più la loro vita che non la repressione fine a se stessa".

Alla Casa del Giovane di Pavia trovano accoglienza senza dimora, tossicodipendenti, minori allontanati o abbandonati dalla famiglia e ragazze madri: 250 persone, suddivise in 12 comunità. Da due mesi, inoltre, la Casa del Giovane ha avviato il centro "In/Out". Nel progetto iniziale doveva essere un luogo in cui i giovani senza dimora potessero andare per fare una doccia, mangiare e trovare qualcuno capace di ascoltarli. "Vengono però anche ragazzi che una casa ce l’hanno - conclude don Franco Tassone -. Bevono un caffè, usano i computer e si fermano a parlare per ore con i nostri educatori".

Droghe: Veneto; sempre più sostanze, a prezzi sempre più bassi

 

Notiziario Aduc, 14 febbraio 2007

 

Prodotti sempre più vari, per soddisfare tutte le esigenze e indurre nuovi bisogni, venduti seguendo una politica di riduzione dei prezzi, con "sconti comitiva" ed agevolazioni per i neofiti. Questa la fotografia del nuovo mercato della droga, secondo uno studio dell’Osservatorio Regionale del Veneto sulle Dipendenze, diretto dal dott. Giovanni Serpelloni.

"In questi anni si è assistito alla diminuzione del prezzo di alcune importanti droghe, come la cocaina, ma anche la diminuzione della pezzatura con fabbricazione e spaccio di dosi più ridotte, sia nel contenuto di principio attivo che nel prezzo, al fine di renderle più fruibili soprattutto dai giovanissimi".

"Questa politica consente un maggior accesso alla droga di fasce con basso potenziale di acquisto (individui dai 12-14 anni d’età) che potrebbero avere, inoltre, una diffidenza iniziale derivante anche dai forti effetti psicoattivi che una normale dose potrebbe esercitare su di loro. Infatti le dosi a basso contenuto di principio attivo sono meno disturbanti e più accettate dai neofiti".

La ricerca evidenzia, inoltre, che spesso gli spacciatori tendono a dare dei piccoli gadget ai clienti per creare una fidelizzazione maggiore attraverso la fornitura di altre droghe oltre quelle richieste, come nel caso dei consumatori di ecstasy, anfetamine e cocaina, che a volte vengono forniti di sigarette a base di eroina per contrastare gli effetti di sovra eccitazione che tali sostanze danno se assunte continuativamente per qualche giorno: l’eroina, infatti, viene usata come sedativo la domenica notte per poter fruire di un riposo notturno che permetta, il lunedì, di tornare a scuola o sul posto di lavoro.

Da un’indagine condotta dall’Osservatorio in Veneto su un campione di 4.917 giovani, di età compresa tra i 14 e i 24 anni, appare che alcol e marijuana sono le sostanze che attraggono maggiormente.

Il 74% dei giovani, secondo l’indagine, accetterebbe alcol in caso di offerta, il 23% marijuana. La percezione del rischio dei giovani è alta per sostanze come l’eroina (92%), le anfetamine (91%), la cocaina (90%), l’alcol (80%), meno alta per altre sostanze come la cannabis (76%), gli steroidi (68%) e il tabacco (41%).

Vi è inoltre una relazione statisticamente significativa tra i soggetti che hanno un’elevata percezione del rischio e la valutazione sull’inefficacia della liberalizzazione delle sostanze come iniziativa di prevenzione delle dipendenze.

Per quanto riguarda l’informazione sulle sostanze stupefacenti, i giovani rappresentano il campione meno informato: in particolare, si osserva che il 46% dei soggetti ha scarse conoscenze sugli effetti della cocaina, il 79% sulla marijuana e l’80% sugli steroidi.

L’indagine, effettuata tra luglio 2005 e marzo 2006 con la distribuzione di questionari, evidenzia anche che nell’atteggiamento verso il libero uso delle droghe c’è un netto disaccordo verso sostanze come l’eroina (92%), le anfetamine (90%), la cocaina (89%), mentre sono favorevoli al libero uso dell’hashish circa il 30% dei giovani; per quanto riguarda le sostanze alcoliche, si registra un atteggiamento sostanzialmente liberale (81% per gli alcolici e 58% per i superalcolici).

Un fattore che svolge una funzione protettiva rispetto al consumo di sostanze, come emerge dallo studio, è la posizione religiosa: i credenti praticanti, infatti, tendono ad utilizzare di meno sostanze come superalcolici e cannabis, sia rispetto ai non credenti sia rispetto ai credenti non praticanti. Anche l’appartenenza politica dei soggetti influenza il consumo relativo alla cannabis: il 43% dei giovani che si dichiara di sinistra dice di aver fumato marijuana almeno una volta nella vita rispetto al 30% di chi si dichiara di destra.

 

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