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Giustizia: Napolitano a Rebibbia, è la prima visita in un carcere
Ansa, 8 maggio 2007
Prima visita in un carcere di Giorgio Napolitano da quando è stato eletto presidente della Repubblica. Accompagnato dal ministro della Giustizia Clemente Mastella, il capo dello Stato ha visitato il carcere romano di Rebibbia. Il presidente della Repubblica ha definito "indispensabile in Parlamento la ricerca di soluzioni condivise" per l’ammodernamento della giustizia e delle carceri e ha sollecitato anche una "maggiore e più concreta attenzione per le vittime dei reati".
Indulto: passo eccezionale ma necessario
Giorgio Napolitano ha detto di aver salutato con soddisfazione il varo dell’ indulto come "un passo eccezionale ma necessario per rendere più vivibili e degne le carceri italiane". Il presidente della Repubblica ritiene che "la pena detentiva debba essere riservata a chi commette crimini che destano maggior allarme, che ledono gravemente valori e interessi preminenti e intangibili". Su questo punto Napolitano ha espresso la sua "piena convinzione". Un chiaro accento sulle misure alternative che il capo dello Stato auspica "più credibili ed efficaci ai fini del recupero del condannato". "L’esecuzione della pena - ha aggiunto inoltre Napolitano - deve avvenire nel rispetto della dignità dei detenuti e offrendo loro condizioni per favorirne il reinserimento sociale". Sull’applicazione delle misure alternative e dei benefici, il presidente ha accolto l’appello dei detenuti affinché siano applicate in modo più continuativo, ma ha precisato che questo non dipende da lui.
I detenuti a Napolitano: amnistia! amnistia!
Applausi e grida hanno accompagnato la visita di Giorgio Napolitano nel carcere romano di Rebibbia. È la seconda visita di un Capo dello Stato nella storia della Repubblica: l’unico precedente è dell’ottobre 2002, quando Carlo Azeglio Ciampi andò nell’istituto penitenziario di Spoleto. Napolitano ha avuto un’accoglienza calorosa da parte dei detenuti del penitenziario romano. Prima ha incontrato le mamme detenute della casa circondariale femminile dove si è fermato presso il reparto "nido" (17 i bambini al di sotto dei tre anni ospitati in quella sezione), poi è stato accompagnato dal ministro della Giustizia, Clemente Mastella, nella casa circondariale maschile "Nuovo complesso". Qui numerosi detenuti lo hanno applaudito e - come successivamente riferito dallo stesso Guardasigilli - gli hanno regalato uno striscione con sopra scritto "Forza Napoli" e un gagliardetto della squadra di calcio partenopea. Ma da dietro le sbarre in molti hanno gridato "amnistia! amnistia!". Dopo aver visitato i laboratori di falegnameria del carcere, il Capo dello Stato ha ricevuto nel teatro del penitenziario romano i saluti delle autorità di due detenuti e alcuni doni. Un quadro raffigurante il bacio Gustav Klimt, una nave intagliata nel legno, un vassoio, una scatola in legno e alcune piante: questi alcuni doni consegnati al presidente della Repubblica. Tra le autorità presenti ad ascoltare le parole di Napolitano vi erano, tra gli altri, i sottosegretari alla giustizia Luigi Scotti, Alberto Maritati, Luigi Manconi, e il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo. Giustizia: Napolitano; cultura legalità è la migliore prevenzione
Adnkronos, 8 maggio 2007
"La pena detentiva deve essere riservata a chi commette crimini che destano allarme e che ledono gravemente valori e interessi preminenti e intangibili". Lo ha chiesto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al termine della sua visita nel carcere romano di Rebibbia con il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Il capo dello Stato è tornato a ribadire che "l’indulto è stato un passo eccezionale ma necessario, per rendere più vivibili e degne le carceri italiane" ed ha sottolineato la necessità di "ripensare l’intero sistema sanzionatorio e di gestione della pena, la cui esecuzione deve avvenire nel rispetto della dignità del detenuto e offrendo le condizioni per favorire il suo reinserimento sociale". Infatti, riconosce Napolitano, nell’ambito penitenziario "i diritti dei detenuti non sono ancora tutti pienamente attuati". Il presidente della Repubblica ritiene "indispensabile in Parlamento la ricerca di soluzioni condivise" che "garantiscano la sicurezza della collettività e il rispetto rigoroso della legge" ma che "nello stesso tempo prevedano misure alternative più credibili e più efficaci ai fini del recupero del condannato, prestando - sottolinea significativamente il capo dello Stato - al tempo stesso una maggiore e più concreta attenzione verso le vittime dei reati". Napolitano ha poi richiamato le istituzioni e le forze politiche a un impegno chiaro, "diffondere fra gli italiani la cultura della legalità", poiché è questo "il più formidabile strumento di prevenzione su cui possiamo fare leva" ed ha fatto suo l’appello "accorato" delle detenute con figli minori. Problemi di cui, promette, "terrò conto, nell’ambito delle mie responsabilità" invitando a privilegiare "l’importante dialogo delle istituzioni con il mondo del carcere", ai fini di prevenire da parte dei detenuti azioni che potrebbero farli "scivolare nell’emarginazione o ricadere nel circuito delinquenziale". Giustizia: Napolitano; sul carcere si cerchino soluzioni condivise
Dire, 8 maggio 2007
Ripensare all’intero sistema della gestione della pena e a quello sanzionatorio. È questo l’appello lanciato dal capo dello stato, Giorgio Napolitano, alle forze politiche nella visita odierna al carcere romano di Rebibbia. Dopo aver ribadito la sua "convinzione che la pena detentiva deve essere riservata a chi commette delitti che destano allarme e ledono gravemente valori e interessi intangibili", il presidente della Repubblica si è rivolto a maggioranza e opposizione definendo "indispensabile in Parlamento la ricerca di una soluzione condivisa, nella seppur naturale dialettica tra le forze politiche e il legittimo dissenso su soluzioni specifiche". Per arrivare a una riforma dell’intero sistema della gestione della pena, secondo Napolitano, "è indispensabile un impegno comune per seguire con continuità le politiche che sono indispensabili per trasformare l’amministrazione della giustizia e il mondo penitenziario". Questo impegno, continua il capo dello Stato, è necessario anche "per diffondere la cultura della legalità, il più affidabile strumento di prevenzione su cui far leva". Al tempo stesso, però, il presidente della Repubblica chiede "soluzioni condivise che garantiscano la sicurezza della collettività e il rispetto rigoroso della legge e che prevedano misure alternative più credibili ed efficaci ai fini del recupero prestano maggior e più concreta attenzione verso le vittime dei reati". Nel corso della sua visita, la seconda di un capo dello Stato in un carcere, dopo quella di Carlo Azeglio Ciampi nell’ottobre del 2002 alla casa di reclusione di Spoleto, Napolitano, insieme al ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ha visitato prima la sezione femminile dell’istituto penitenziario di Rebibbia e successivamente i detenuti del nuovo complesso: a loro, durante la cerimonia che si è tenuta nel teatro interno al penitenziario, il presidente della Repubblica ha detto "di essere qui per ascoltare, non tanto per dare risposte che spettano ad altri titolari di diverse funzioni istituzionali. Siamo qui - continua Napolitano - per testimoniarvi la vicinanza delle istituzioni repubblicane, per rendermi conto più da vicino dei problemi reali del mondo penitenziario e per stabilire almeno un fuggevole contatto umano con alcuni di voi". Di fronte ai detenuti poi, Napolitano ha reso noto l’impegno delle istituzioni per "vere e proprie riforme dei codici", per "un’adeguata modulazione e valutazione del trattamento penitenziario nel pieno rispetto dei diritti dei detenuti e con particolare attenzione ai disagiati, tossicodipendenti e a quanti soffrono". Un altro impegno è quello di "affrontare in modo più efficace il tema della sicurezza penitenziaria". Infine, Napolitano ha giudicato "ancora non sufficientemente attuati in ambito penitenziario oggi in Italia il diritto alla salute, al lavoro e all’accesso alle attività scolastiche, formative e ricreative". Dal canto loro i detenuti hanno omaggiato il capo dello stato con diversi doni frutto del loro lavoro all’interno del carcere. Giustizia: dalle mamme di Rebibbia un appello a Napolitano
Apcom, 8 maggio 2007
La "lentezza" della macchina della giustizia, le difficoltà e lo strazio di crescere un bambino in carcere. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano visita la Casa circondariale di Rebibbia e più forte di tutti è l’appello delle mamme del carcere: giovani, in larga parte nomadi, si sono rivolte al capo dello Stato con la voce forte e determinata di una detenuta per chiedere attenzione ed efficienza da parte del sistema giustizia per la concessione, laddove possibile, dei benefici di pena previsti. Provvedimenti preziosi soprattutto per quelle donne, 15 sulle circa 250 detenute di questo istituto di pena, che hanno bimbi piccoli. Un appello "accorato" come lo ha definito lo stesso Napolitano che, nella visita al braccio femminile, si è soffermato nel nido della struttura per un saluto alle mamme e per un carezza ai loro piccoli. Poi, nell’affollato auditorium del carcere, davanti al Guardasigilli Clemente Mastella, ai vertici del Dap, agli agenti penitenziari e a una rappresentanza dei detenuti, il capo dello Stato ha raccolto il grido di dolore di queste donne per "rapide e comprensive decisioni in materia di benefici e di pene alternative qualora ve ne siano i requisiti". Napolitano ha voluto anche porre l’accento sulla particolare situazione, oltre che delle detenute mamme, di quelle straniere perché "sappiamo quanto critica sia la loro realtà nella già critica situazione del carcere". La voce delle donne di Rebibbia è una giovane signora bionda alla quale Napolitano stringe affettuosamente la mano al termine di un intervento dove a nome delle detenute si sottolinea che "l’indulto non è stata la soluzione di tutti i problemi perché è necessario abbreviare i tempi della giustizia" anche "per la concessione da parte del Tribunale di sorveglianza del beneficio della pena alternativa". Infatti "anche quando ci sono i requisiti e si tratta di madri con i figli in carcere - ha spiegato la detenuta - non sempre viene concesso". Napolitano ha avuto parole di speranza e di ascolto: "Raccolgo questi appelli per tenerne conto nell’ambito delle mie responsabilità di stimolo e di verifica nei confronti del sistema e dell’amministrazione penitenziaria". Poi, rispondendo invece alle affermazioni di un detenuto il capo dello Stato ha voluto sottolineare "l’importante volontà di dialogo con le istituzioni che avete espresso stamani e questa tensione per un reinserimento nella società e nel mondo del lavoro che impedisca il rischio di una ricaduta nel circuito delinquenziale". L’ascolto e l’attenzione hanno caratterizzato la visita di Napolitano a Rebibbia, secondo capo di Stato dopo Ciampi nel 2002, a visitare un carcere. "Sono qui per testimoniare la vicinanza delle istituzioni repubblicane - ha detto il presidente ai detenuti -, per rendermi conto più da vicino dei problemi reali del mondo penitenziario, per stabilire almeno un fuggevole contatto con alcuni di voi. Sono qui per ascoltare e non tanto per dare risposte che spettano ad altri titolari di diverse funzioni istituzionali". Giustizia: il carcere come extrema ratio di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)
Aprile on-line, 8 maggio 2007
Napolitano ha visitato il penitenziario romano, ribadendo quale debba essere il senso della pena detentiva ed esortando il ricorso a sanzioni alternative per i reati meno gravi. Mentre "Antigone" lancia l’allarme in merito agli ospedali psichiatrici La visita del Presidente Giorgio Napolitano nelle carceri romane è una bella novità che rompe il grigiore asettico nel quale si rintanano a volte le istituzioni. Il Capo dello Stato ha ricordato che la pena detentiva deve essere ridotta ad extrema ratio, che bisogna prevedere sanzioni non carcerarie per i reati meno gravi, che i diritti delle persone private della libertà devono essere rispettati. Lo stesso Presidente della Repubblica all’indomani dell’approvazione del provvedimento di indulto aveva auspicato che si aprisse una stagione riformatrice che non vanificasse i risultati del provvedimento di clemenza. Se volessimo tradurre in proposta legislativa e di governo le parole di Giorgio Napolitano queste sarebbero le priorità politiche: nuovo codice penale che riduca le fattispecie di reato, riduca le pene, diversifichi le sanzioni; abrogazione della legge ex - Cirielli sulla recidiva; abrogazione della legge Fini-Giovanardi sulle droghe e contestuale depenalizzazione di tutte le pratiche di consumo; abrogazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione e depenalizzazione di tutto ciò che riguarda la condizione giuridica dello straniero; approvazione della legge istitutiva del garante delle persone private della libertà; introduzione del crimine di tortura nel codice penale; nuovo ordinamento penitenziario per i minori; esclusione dal circuito carcerario dei bambini figli di madri detenute; applicazione della legge Bindi sulla sanità del 1999 con passaggio della medicina penitenziaria alle Asl; applicazione piena e incondizionata del Regolamento di esecuzione entrato in vigore il 20 settembre del 2000; superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Proprio su questo tema - apparentemente marginale, ma di grande rilievo pratico e simbolico - abbiamo avviato i lavori del nostro Osservatorio sulle condizioni di detenzione. Nei giorni scorsi abbiamo visitato tutti e sei gli ospedali psichiatrici giudiziari italiani. Alla data del 3 maggio gli internati risultavano essere 1.266: 316 ad Aversa, 215 a Barcellona Pozzo di Gotto, 225 a Castiglione dello Siviere, 137 a Montelupo Fiorentino, 105 a Napoli Sant’Eframo, 268 a Reggio nell’Emilia. Aversa e Reggio Emilia risultano drammaticamente sovraffollati. L’indulto non ha inciso granché sugli Opg. È incredibilmente elevato il numero di internati in queste strutture che non avrebbero più ragione di permanervi in quanto non più ritenuti socialmente pericolosi, e che invece restano per decenni in condizioni disumane. Ad esempio, 45 internati a Reggio Emilia e ben 100 ad Aversa si trovano in questa situazione. 400 casi in tutto, secondo i dati forniti dal Ministero della Salute. Inoltre, si registra purtroppo un uso frequente dei letti di contenzione. Almeno 515 episodi di coercizione in un anno, secondo i dati ufficiali. Un numero impressionante, ingiustificabile. In alcuni manicomi giudiziari si può rimanere legati al letto sino a 11 giorni. Un internato su sei, spesso più di una volta, vive la tragica esperienza della contenzione. Nel 2006 solo a Napoli si sono registrati 52 casi di coercizione. Ciò significa che un internato su due è stato contenuto con la forza. Il protocollo prevede la sola registrazione del caso, con verifica periodica da parte del personale, senza che la direzione specifichi ogni quanto tempo questa ha luogo. Gli ospedali sono gestiti principalmente da agenti di polizia penitenziaria, e solo secondariamente da specialisti medici, in numero assai inferiore. Ad esempio ad Aversa lavorano 116 agenti e 7 psichiatri a contratto. A Napoli le condizioni igieniche di alcuni reparti sono inaccettabili, sino a toccare livelli in cui la detenzione diviene degradante. Ad Aversa le condizioni igieniche sono relativamente migliori, ma comunque notevolmente al di sotto di un qualsiasi carcere nonché degli standard richiesti dal Regolamento penitenziario. La situazione è tale da richiedere un progressivo superamento, attraverso soluzioni di carattere normativo, degli ospedali psichiatrici giudiziari, così come sono stati chiusi trent’anni fa i manicomi. Nel frattempo un manicomio giudiziario, come quello di Napoli per esempio, non può rimanere aperto. Giustizia: Mastella; senza fare l'indulto si rischiava una rivolta
Ansa, 8 maggio 2007
L’indulto ha riportato "in condizioni di legalità" le sovraffollate carceri italiane e senza questa misura di clemenza, approvata lo scorso 31 luglio dal Parlamento, si rischiava una rivolta, "un’esplosione di collera incontenibile". Ad affermarlo è il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, nel suo intervento in occasione della visita del capo dello Stato nel carcere romano di Rebibbia. Il guardasigilli ricorda di aver assunto, a suo tempo, "un formale impegno per cambiare il volto della detenzione in Italia". "Nell’ambito di questo serio impegno, e quale presupposto per gli interventi che ne sono conseguiti, il Parlamento ha approvato a larga maggioranza un provvedimento di indulto, che ha ricondotto le carceri italiane in condizioni di legalità". "Se non ci fosse stato - aggiunge Mastella -, per quanto "la macchina umana (come scrisse Gramsci a Tatiana) sia perfetta e possa adattarsi ad ogni circostanza più innaturale", avremmo avuto un’esplosione di collera incontenibile". Prima che fosse approvato l’indulto nelle 258 carceri italiane c’erano 60 mila detenuti per 42 mila posti. Attualmente - secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - i detenuti sono 42.702. "Sono appena il 12 per cento gli ex detenuti che hanno beneficiato dell’indulto e che sono rientrati in carcere". A fornire il dato è il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, al termine della visita del Capo dello Stato Giorgio Napolitano nel carcere romano di Rebibbia. Il Guardasigilli, dunque, torna a difendere la misura di clemenza varata dal Parlamento lo scorso 31 luglio: "Quell’apocalisse che molti avevano prefigurato, con un aumento del crimine dopo il varo dell’indulto, non si è verificato. Ora - aggiunge - dobbiamo ripensare il sistema penitenziario e penale, puntando alle misure alternative al carcere e dando alla polizia penitenziaria la responsabilità dell’esecuzione penale esterna". Mastella preannuncia, inoltre, che la festa della polizia penitenziaria, il prossimo 21 maggio, si terrà per la prima volta a Napoli, "soprattutto in considerazione del fatto - spiega - che il Capo dello Stato è napoletano". Giustizia: Mastella; Polizia Penitenziaria nell'Area Penale Esterna
Apcom, 8 maggio 2007
"Il corpo di polizia penitenziaria merita di essere considerato oggi un presidio di legalità, al servizio della giustizia penale nel suo complesso e non solo del carcere". Lo ha sottolineato il ministro della Giustizia Clemente Mastella al termine della visita, insieme al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al carcere romano di Rebibbia. "Se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva -ha detto il Guardasigilli - anche la polizia penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo di vera e propria polizia dell’esecuzione penale. Il futuro di questo corpo di polizia deve dunque vedere rivolto il suo impiego verso un quadro diversificato di sanzioni, nella considerazione del carcere come extrema ratio della risposta sociale ai fenomeni di illegalità". Mastella ribadisce l’importanza dell’innovazione volta a "garantire l’impiego della polizia penitenziaria al fianco degli operatori dell’esecuzione penale esterna, per garantire l’effettività delle scelte sanzionatorie alternative al carcere" e anche per "far crescere la considerazione dell’opinione pubblica su queste misure che, spesso, non vengono avvertite come vere e proprie pene". Se la pena per il condannato avrà anche soluzioni diverse dal carcere il corpo della Polizia penitenziaria, da sempre impegnato negli istituti di reclusione, dovrà anch’esso "spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere". Lo afferma il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, intervenendo a Rebibbia in occasione della visita del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al carcere romano. Mastella spiega che oltre agli interventi in programma per una migliore gestione degli istituti di pena italiani ne sono previsti anche in riferimento alla Polizia penitenziaria. È infatti di questi giorni, sottolinea, "l’innovazione mirante a garantire l’impiego della polizia penitenziaria a fianco degli operatori dell’esecuzione penale esterna, per garantire l’effettività delle scelte sanzionatorie alternative al carcere". Il Guardasigilli spiega che si tratta di "una riforma che mira a rendere funzionali e credibili le misure alternative alla detenzione, allo scopo - dice Mastella - di renderne sempre più affidabile e frequente l’utilizzo". Inoltre, continua, "si tratta di offrire un riconoscimento istituzionale a quanti con sacrificio hanno legato la propria dimensione personale e professionale ad un ambiente connotato da sofferenza e - oggi più che mai - espressione di disagio, di povertà, di malattie". Il corpo di Polizia penitenziaria, rileva Mastella, "merita di essere oggi considerato un presidio di legalità al servizio della giustizia penale nel suo complesso e non solo del carcere". Mastella non ha dubbi, "se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la polizia penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere, parallelamente - conclude - all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale. Un compito di grande dignità e di grande rilievo". Giustizia: Caruso; i Tribunali scoppiano, serve subito un'amnistia
Apcom, 8 maggio 2007
"Mastella e Napolitano hanno perso una buona occasione oggi a Rebibbia per affrontare con coraggio la questione dell’amnistia, provvedimento quanto mai necessario per dare una logica ed una efficienza al provvedimento dell’indulto. L’indulto infatti è stato un provvedimento necessario ma non sufficiente". Lo dichiara Francesco Caruso, Rifondazione. "Per la prima volta nella storia della repubblica - prosegue - si è approvato un provvedimento di indulto senza affiancarlo ad un congiunto atto di amnistia. Questo ha creato una situazione assurda di ingolfamento di tribunali già ingolfati: i processi vanno avanti malgrado gran parte delle eventuali condanne verranno indultate. Una macchina della giustizia che gira a vuoto, per colpa di una classe politica che non ha saputo o voluto assumersi fino in fondo la responsabilità di un vero atto di clemenza. Anche alla luce della riforma del codice penale a cui la commissione Pisapia sta lavorando da ormai diversi mesi, bisogna trovare la forza e il coraggio di riaprire in parlamento la battaglia per l’amnistia, svincolandosi dalla facile e superficiale demagogia securitaria". Giustizia: Lussana (Lega); tanta rabbia dei cittadini per l'indulto
Apcom, 8 maggio 2007
"Al ministro Mastella che strenuamente continua a difendere l’indulto, ricordiamo che di incontenibile oggi c’è solo la rabbia dei cittadini onesti, delle vittime dei reati e dei loro famigliari, stufi che in questo Paese di fatto esista la libertà di delinquere, perché chi commette reati solo in rari casi viene assicurato alla giustizia. E anche quando ciò avviene, è rimesso in libertà per sconti di pena e provvedimenti di clemenza". Lo dichiara Carolina Lussana, Lega. "Condividiamo l’appello del Presidente della Repubblica a una maggiore attenzione per la tutela delle vittime dei reati - aggiunge - ma purtroppo evidenziamo che, in questo campo, nonostante le nostre sollecitazioni, il ministro Mastella e il governo Prodi sono assolutamente latitanti. Dov’è la certezza della pena? Sono troppi ormai i cittadini che se lo stanno domandando". Giustizia: alla Camera nasce Comitato per problemi penitenziari
Apcom, 8 maggio 2007
"È stato costituito in seno alla Commissione Giustizia alla Camera il Comitato per i problemi Penitenziari". Ne da notizia, in un comunicato, il vicepresidente della Commissione e presidente del Comitato Silvio Crapolicchio, parlamentare dei Comunisti Italiani, che esprime "ampia soddisfazione". "A tale riguardo - continua Crapolicchio - è mia intenzione espletare diversi sopraluoghi nelle carceri d’Italia per redigere un piano di lavoro che possa seriamente affrontare e tentare di risolvere almeno parte dei problemi che vivono quotidianamente sia i detenuti che il personale di polizia penitenziaria ed in generale tutti coloro i quali svolgono attività connesse al mondo carcerario". "In tal senso - conclude l’esponente dei Comunisti Italiani - dopo la visita presso le carceri di Alessandria effettuata nelle scorse settimane, reputo opportuna la predisposizione di una proposta di legge che preveda il riconoscimento della qualità di lavoro usurante per le attività connesse alla vita carceraria. Tale Pdl nasce dalla convinzione che le condizioni di vita e di lavoro dentro gli istituti penitenziari e nell’area penale esterna, comportano di riflesso smisurati disagi anche psicologici a tutti gli operatori del settore". Sanità: Gaglione; medicina penitenziaria entrerà presto in Ssn
Agi, 8 maggio 2007
Sul tema delle condizioni di vita nelle carceri, valorizzato nel corso della visita del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del Ministro della giustizia Clemente Mastella al carcere di Rebibbia, il sottosegretario Antonio Gaglione ha "rimarcato l’avvio di un fattivo lavoro finalizzato al trasferimento delle competenze della medicina penitenziaria al Servizio Sanitario nazionale". "Il Decreto legislativo 230 del 1999 è lo strumento che il Governo utilizzerà per dare corso al riordino della medicina penitenziaria e garantire il passaggio delle competenze dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale - si legge nella nota. - Oggi, le tappe cruciali per affrontare il passaggio dell’assistenza sanitaria dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale si possono riassumere in tre punti fondamentali: 1. La redazione, in tempi ragionevolmente brevi, di un progetto obiettivo, da sottoporre all’esame della Conferenza Stato Regioni; 2. La stima delle risorse necessarie al passaggio e la conseguente istituzione di un fondo apposito. L’impatto economico di un simile provvedimento deve essere affrontato nella Finanziaria 2008; 3. Il confronto con le organizzazioni sindacali per la nuova collocazione del personale. Il riordino dell’assistenza sanitaria in carcere appare oggi come una priorità inderogabile; è importante garantire ai cittadini detenuti gli stessi livelli di assistenza di qualsiasi cittadino comune, con la medesima qualità di prestazioni e con la possibilità di accedere a percorsi diagnostico-terapeutici in tempi e modi totalmente sovrapponibili a quelli dei cittadini non reclusi, non trascurando, nel contempo, le evidenti misure di sicurezza che la particolare condizione richiede. La qualità del carcere è un problema di civiltà e noi tutti dobbiamo impegnarci perché i percorsi di detenzione non comportino situazioni e condizioni che, di fatto, aggravano la pena e accentuano i livelli di conflittualità con il sistema penitenziario e con le istituzioni". Sanità: chiusura Opg, ma non possiamo diventare secondini
Il Gazzettino, 8 maggio 2007
Nel corso della sua carriera di direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Usl 22 di Bussolengo in provincia di Verona, di storie ne ha viste molte. Menti rubate dalla malattia e riconsegnate con fatica e dolore alla quotidianità. "Le nostre comunità sono isole speciali, dove la parvenza di normalità si fonde con la malattia e i confini fra i due territori diventano labili - spiega il dottor Silvio Frazzingaro -. Ci sono i malati ordinari con i quali condividiamo lunghi percorsi di recupero, e spesso mi sono arrivati anche quelli provenienti dagli ospedali psichiatrici giudiziari. Ultimamente ne ho avuti tre. Erano tre casi di schizofrenia, con tre percorsi completamente diversi: uno aveva commesso reati di pedofilia, l’altro aveva accoltellato i genitori e il terzo soffriva di un grave delirio di persecuzione e aveva accoltellato un signore al Bancomat. Erano arrivati da noi perché la loro pena era scaduta". Gli spazi nei servizi sono pochi, e tutti condivisi. Queste presenze così delicate e particolari rischiano davvero di alterare gli equilibri. "Non ci vengono mai mandati a caso, quasi sempre scontano la pena, ma vengono ancora considerati pericolosi socialmente e quindi bisognosi di una struttura protetta, oppure accade spesso che viene loro concesso il rientro in casa, ma non hanno una casa dove andare - spiega lo psichiatra -. L’impegno a cui viene sottoposta la struttura è snervante. Il giudice definisce i confini e noi siamo costretti ad esercitare il controllo. Proviamo a pensare cosa significa tutto ciò. I pazienti, spesso senza comprenderne il percorso, passano dal controllo totale a cui sono sottoposti in uno ospedale psichiatrico giudiziario dove vivono i regimi di segregazione totale, alla elasticità di una struttura protetta, ma non chiusa. Non voglio essere frainteso: non diciamo no alla presenza di questi pazienti particolari, ma vogliamo che i nostri servizi vengano messi in condizione di assisterli al meglio. Oggi, già una persona altamente problematica ci mette in difficoltà, cosa sarà quando ne arriveranno tre-quattro insieme?". E i veri penalizzati a questo punto diventano gli altri pazienti. "Ricordo soprattutto che per il paziente pedofilo eravamo costretti a mantenere all’interno della struttura la massima sorveglianza per evitare che potesse uscire e delinquere di nuovo - sottolinea il direttore - Certo gli era concesso di fare qualche passeggiata o di andare in città. Ma mai da solo. E questo ci imponeva di trovare quotidianamente un operatore disposto a seguirlo. È inevitabile, la malattia mentale già obbliga a percorsi difficili e tortuosi, quando la malattia mentale si aggiungono anche problemi di ordine giudiziario, aumenta". Gli uomini di legge applicano le norme, ma la mente umana, soprattutto se è malata, non segue i percorsi della logica. "Le perizie sulle persone che hanno commesso un delitto spesso sono scostate dalla realtà, non tengono conto di molte esigenze e di diversi aspetti - aggiunge lo psichiatra - L’ingresso all’ospedale psichiatrico giudiziario o, a volte, nel servizio territoriale viene suggerito sulla base delle disponibilità. Ma non è detto sia quello corretto. Andrebbe migliorata la collaborazione tra i giudici e i responsabili dei Dipartimenti di salute mentale, è un distacco che va colmato. Ricordo ancora con dolore la sensazione di impotenza che provavo di fronte a tre pazienti che avevano alle spalle un percorso di violenza non voluto, ma che proprio in virtù di questo percorso potevano essere pericolose per gli altri e quindi andavano trattati con molta prudenza. Abbandonati e soli nelle carceri, a rischio di emarginazione nelle strutture che avrebbero invece dovuto raccoglierli. Tutti facevamo il nostro meglio, tutti abbiamo messo in atto - limitatamente alle risorse che non sono mai abbastanza - gli strumenti di integrazione. Ma ci siamo riusciti realmente? Quando penso a quel paziente che ha ammazzato i nipotini e una volta uscito dal manicomio criminale è stato affidato a un servizio di cura si è tolto la vita, provo una profonda impotenza". E il medico conclude: "Nessuno di noi vuole essere un secondino, ma alla fine se ci arriva un numero elevato di pazienti e se non ci danno gli strumenti per accoglierli, finiremo con l’esserlo. E in questo caso non faremo del bene a nessuno". Indulto: 9 mesi dopo; 26.201 scarcerati, solo il 12% rientrati
Ansa, 8 maggio 2007
Sono 26.201 (di cui 16.158 italiani e 10.043 stranieri) gli ex detenuti usciti dal carcere negli ultimi nove mesi grazie all’indulto, varato il 31 luglio scorso dal Parlamento. Di questi - sottolinea il ministro della Giustizia Clemente Mastella - "soltanto" il 12% sono tornati a delinquere e, quindi, hanno fatto rientro in cella. Dall’ultimo screening del Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria (Dap) emerge che 18.189 (pari al 69,4% del totale) sono gli ex detenuti condannati in via definitiva che hanno beneficiato dell’indulto, mentre 8.012 sono coloro che grazie al provvedimento di clemenza hanno avuto una revoca della misura cautelare su decisione del magistrato di sorveglianza. La Regione con il primato del maggior numero di scarcerati grazie all’indulto è la Lombardia (3.787), seguita da Campania (2.988), Sicilia (2.724) e Lazio (2.530). In coda alla lista ci sono invece Valle D’Aosta (164 scarcerati), Molise (198) e Basilicata (241). Ad oggi, nelle 258 carceri italiane ci sono 42.702 detenuti (la capienza regolamentare è di circa 43.500 posti) Rispetto a 9 mesi fa, quando subito dopo l’indulto i detenuti negli istituti penitenziari scesero da circa 60mila a 38-39mila, si sta registrando un aumento della popolazione carceraria. E questo perché - spiega Sebastiano Ardita, responsabile della direzione generale detenuti del Dap - il numero degli ingressi resta superiore a quello delle uscite dal carcere. Ecco perché il Guardasigilli Mastella insiste sulla necessità di puntare sulle pene alternative al carcere in caso di reati non gravi. Indulto: Csm si divide su circolare del Procuratore Maddalena
La Repubblica, 8 maggio 2007
Erano tre linee guida contro la paralisi della giustizia: selezionare accuratamente i fascicoli, privilegiare la richiesta di archiviazione "anche generosa" e istituire corsie preferenziali per i reati più gravi. L’obbiettivo dichiarato era contrastare gli effetti collaterali dell’indulto, come aveva spiegato il procuratore capo di Torino, Marcello Maddalena: "Per evitare di celebrare nel 2012 i processi relativi ai fatti commessi nell’anno corrente. Per evitare quei procedimenti penali nei quali, anche se riuscissimo sul filo di lana ad arrivare a una condanna, essa sarebbe resa vana da provvedimento di clemenza". Ora però la circolare emanata lo scorso gennaio - ormai nota come "circolare Maddalena" - ha spaccato il Csm. Ieri il primo pronunciamento. Secondo la maggioranza della settima commissione interpellata sulla questione, un procuratore non può decidere di accantonare autonomamente i processi: "Mai si è ritenuto possibile - si legge nel documento - che tale criterio fosse autonomamente fissato dal singolo procuratore". Diversa la posizione delle altre due proposte. Scrive Ezia Maccara di Magistratura Democratica: "La circolare del Procuratore di Torino offre soluzioni realistiche, razionali, controllabili e complessivamente compatibili con il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale". D’accordo con lui Cosimo Maria Ferri di Magistratura Indipendente: "La circolare è legittima, indica criteri di precedenza di massima nella trattazione degli affari legati all’applicabilità o meno dell’indulto, perché è impossibile smaltire in tempo utile tutto il carico di lavoro. Occorre individuare quello che c’è da fare prima e ciò che c’è da fare dopo... L’accantonamento dunque non è una rinuncia all’esercizio dell’azione penale". Proprio questo è il punto cruciale. A sollevare il caso era stato il presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, Oreste Dominioni: "È una circolare inaccettabile. Mette a nudo la gravità della situazione. Sinora si è vissuto un lungo periodo di discrezionalità dell’esercizio dell’azione penale. C’è un’idea distorta: non si procede per l’accertamento del fatto, ma solo per conseguire una condanna". Il Procuratore capo di Torino Marcello Maddalena, da tutti evocato, prende atto dei dubbi e delle critiche. Per il momento senza replicare: "Non sono ovviamente d’accordo. Ma aspetto di vedere le motivazioni e le proposte alternative". L’ultima parola spetta al Csm riunito in seduta plenaria. Minori: a Milano un Convegno sull'inquietudine e la devianza
Vita, 8 maggio 2007
Un convegno sull’adolescenza inquieta e i comportamenti delinquenziali nella minore età. È quello organizzato per domani . L’incontro è organizzato dalla Regione Lombardia, dalla Asl città di Milano e dal dipartimento per la giustizia minorile del ministero della Giustizia. In apertura, il saluto del sottosegretario alla Giustizia Daniela Melchiorre e l’introduzione ai lavori del capo del dipartimento per la giustizia minorile Carmela Cavallo. Il convegno è articolato in 3 diverse sessioni, la prima delle quali riguarda istituzionale e il mandato dei servizi; mentre la seconda parte dell’incontro riguarderà gli interventi psico-educativi e sanitari rivolti a minori detenuti con problematiche di abuso di sostanze. In particolare si parlerà dell’esperienza dell’istituto penale per i minorenni milanese "Beccaria". Infine la terza sezione riguarderà studi, ricerche e modelli interpretativi. Al termine delle tre sezioni si aprirà un dibattito e poi le conclusioni. Il convegno ha ottenuto l’accreditamento ai fini dell’Educazione Continua in Medicina (Ecm) per le seguenti figure professionali: medici, psicologi, educatori professionali e infermieri. Pedofilia: don di Noto; l’inchiesta di Rignano è stata disastrosa
Il Giornale, 8 maggio 2007
"L’inchiesta di Rignano Flaminio mi lascia senza parole per quanto è fatta male. Mette a serio rischio tutte le altre inchieste sulle pedofilia nonché il lavoro delle associazioni che si battono contro le violenze sui minori. Mi creda, lavorando da anni con una ventina di procure non ho mai visto procedere in modo tanto disordinato, stravolgendo ogni minima regola a tutela dei bimbi e dei presunti colpevoli sui quali, mi par di capire, al di là del racconto dei minori non c’è il minimo riscontro. Sono amareggiato, letteralmente senza parole. Ripeto: non so se gli arrestati sono colpevoli ma una cosa è certa: nulla è stato fatto seguendo i ferrei dettami della carta di Noto". Si era ripromesso di non intervenire. Voleva capire, prima. Si era informato, aveva letto tutto quel usciva su Rignano perché, lentamente, s’era insinuato in lui il dubbio atroce dell’inchiesta nata male e finita peggio. E quando ieri il sacerdote più noto al mondo per la lotta contro gli abusi sui bambini ha sfogliato il Giornale, ha detto basta, decidendo di rompere il silenzio. Don Fortunato di Noto, presidente dell’associazione Meter nonché docente di bioetica e sessuologia a Messina, reduce da un’audizione all’Onu interviene in takle scivolato nella partita fra colpevolisti e innocentisti.
Don Di Noto, cosa non la convince dell’inchiesta di Rignano? "Tutto. Quando manca la chiarezza, quando le modalità d’accertamento degli inquirenti e dei periti non sono quelle previste, quando ci si affida ai soli racconti dei bambini, quando si permette ai genitori di filmare i propri figli e di assumere questi video come fonte di prova, quando i pediatri escludono abusi, quando mancano i riscontri, quando non c’è una prova seria beh... io dico che non si può arrestare la gente così".
È la prima volta che la sentiamo arrabbiato... "In vent’anni abbiamo fatto tantissime segnalazioni all’autorità giudiziaria, abbiamo scoperto numerosi siti pedopornografici, abbiamo "costretto" la magistratura ad aprire un’infinità di inchieste, siamo riusciti anche a far condannare i pedofili. Però ci siamo mossi solo quando, dopo riscontri incrociati e un lavoro scientifico sui bambini, abbiamo avuto la certezza che il caso meritasse un approfondimento giudiziario. Qui leggo di cose allucinanti".
Cosa non la convince? "Non saprei da dove cominciare. Mi sconvolge che più genitori siano stati interrogati insieme, che la psicologa abbia fatto "indagini" coi carabinieri, che non sia stata trovata una foto, un filmino, una frase favorevole all’accusa quando il pedofilo, di regola, ostenta le sue prede. Dobbiamo essere onesti, e partire da un assunto imprescindibile. Quello che raccontano i bambini non va mai, dico mai, preso per oro colato. Ecco perché trovo incredibile che alcuni genitori possano aver girato video con i figli invitandoli a mimare atti sessuali o molestie. La parte offesa che fa il video, e questo che diventa "prova", è pazzesco e insensato. Il bimbo va spesso là dove il papà o la mamma lo portano con le domande".
Il video lo avrebbe dovuto fare il perito della procura, e non l’ha fatto. "Gravissimo. Io sono uno degli esperti che nel 2002 ha partecipato alla stesura della carta di Noto sugli abusi sessuali nell’infanzia, con la quale si dettano le linee guida di psicologia giuridica a cui devono attenersi i periti. Viene spiegato dove, come, quando raccogliere le testimonianze attraverso colloqui videoregistrati - che mancano per Rignano - che sono fondamentali per l’inchiesta. Altrimenti, lo dico per esperienza, si inficia tutto e non sì può procedere oltre. Dopo Rignano occorre una verifica sui periti delle procure perché la delicata attività dell’accertamento della verità attraverso la parola di un minore non si può delegare all’improvvisazione. Non possiamo permettere a nessuno di sbagliare, non possiamo permettere ai veri pedofili di stare fuori e a quelli "presunti", innocenti fino a prova contraria, di finire in galera. Va fatta una valutazione scientifica del racconto dei bambini, non è che uno prende le parole e le butta nell’inchiesta: c’è un lavoro di interpretazione, di studio, di approfondimento. Domande precise".
A proposito di domande. L’opinione pubblica si chiede: ok, le indagini sono state fatte male, ma è possibile che i bambini di Rignano si siano inventati tutto? "In genere il primo racconto che fa il bambino è quello potenzialmente valido. A seguire - vedi la ripetizione forzata davanti a una telecamera - subentra la cosiddetta "suggestione fantastica", dove i bambini, incalzati dai genitori, immettono altri elementi, estranei".
Si dà risalto ai disegni. "Li ho visti, e allora? Non dicono nulla. Tempo fa ci è arrivato un malloppo di disegni di una mamma che denunciava sospetti abusi sui suoi figli. Emergeva sicuramente un trauma, ma ciò non significa automaticamente che sia collegato a un abuso sessuale. Il trauma può essere figlio di un conflitto genitoriale, il papà che picchia la mamma, discussioni in famiglia. Può essere effetto di qualcosa vista in tv o per strada. E poi non vanno sottovalutati l’emulazione, la suggestione, il passaparola, la psicosi, vedere cose normali (il bimbo che si tocca il pisellino perché inizia a scoprire la sessualità) e scambiarle per segnali di oscure molestie".
Morale? "La pedofilia è un dramma maledettamente serio. Va affrontato seriamente". Brescia: il Consiglio comunale si è riunito "dietro le sbarre"
Il Meridiano, 8 maggio 2007
Storica seduta straordinaria del Consiglio Comunale di Brescia, ieri pomeriggio, che in occasione della relazione annuale del "garante dei detenuti" ha abbandonato i banchi del municipio per trasferirsi a Canton Mombello, il principale istituto di pena cittadino. L’iniziativa, non priva di polemiche suscitate soprattutto dal rifiuto dei consiglieri comunali della Lega Nord di partecipare alla "trasferta", è il frutto della proficua collaborazione che da tempo intercorre tra l’Amministrazione comunale e la Direzione della Casa circondariale, sfociata in diversi momenti di scambio e di confronto. Dopo un breve saluto da parte della direttrice della casa circondariale, Maria Grazia Bregoli a intervenire è stato il garante dei diritti delle persone private della libertà personale, figura istituzionale nuova e, per certi versi rivoluzionaria, che in Italia è presente solo all’interno di pochissime istituzioni territoriali (Comuni di Bologna, Roma, Firenze, Torino, Nuoro, Brescia, San Severo (Fg), Reggio Calabria, Provincia di Milano e Regione Lazio). Da un anno e mezzo è il dottor Mario Fappani, già insegnante e consigliere comunale, a svolgere questo innovativo incarico nel capoluogo bresciano. Un ruolo, quello del "garante dei detenuti", che si occupa in particolare delle condizioni dei carcerati e di chi subisce altre restrizioni di pena, segnalando eventuali mancanze o inadeguatezze da parte delle case circondariali del territorio. Il garante ha illustrato le condizioni, a volte infelici, in cui versano i due carceri cittadini. L’attenzione di Fappani si è soffermata in particolare su Canton Mombello, carcere che "concentra in sé tutte le problematiche annose delle carceri italiane: è una struttura obsoleta, inadeguata, insufficiente e sovraffollata". Non potrebbe essere altrimenti se si considera che la struttura ha ormai quasi un secolo di vita, che ospita ben 320 persone nonostante la capienza sia di 206 e risente di una concezione dell’espiazione della pena in stridente contrasto con quella attuale. "La coscienza civile della nostra città - ha spiegato il garante - non può non ribellarsi di fronte all’intollerabile persistenza di un’istituzione carceraria che impedisce nei fatti, nonostante l’impegno di tutti coloro che operano al suo interno, la concreta realizzazione del dettato costituzionale sulla necessità della rieducazione di coloro che sono ristretti. Questo Ufficio auspica un intervento autorevole affinché gli organi dello Stato preposti intervengano al più presto realizzando la nuova struttura". Fappani ha anche proposto di poter disporre di una parte della caserma antistante Canton Mombello ove potrebbero trovare collocazione alcuni servizi del carcere per i detenuti e per il personale oggi collocati in spazi inadeguati. La situazione è notevolmente migliore nel carcere di Verziano, situato nella prima periferia della città. Si tratta di un carcere relativamente nuovo, provvisto di ampi spazi verdi e limitrofo ad una vasta area edificabile che potrebbe potenzialmente essere ampliato per divenire un unico carcere bresciano. "Anche a Verziano però si potrebbe fare meglio - continua il garante -, soprattutto per le donne con bambini al seguito. La mancanza di ambienti idonei alla cura di bambini in tenerissima età e al loro svago, l’alimentazione inadeguata per gli stessi piccoli, l’assenza di un pediatra, la promiscuità con altre detenute adulte sono tutti aspetti di un’inaccettabile emergenza cui andrebbe posto urgentemente rimedio". L’attenzione del garante si è poi giustamente spostata sulle problematiche della polizia penitenziaria, notoriamente sotto organico. Si tratta per la maggior parte di cittadini provenienti dalle regioni meridionali, di cui una parte vive in comunità presso Villa Paradiso (ex caserma in tempi antecedenti la smilitarizzazione del corpo), desiderosi di tornare al paese d’origine. "La vita lavorativa dell’agente, per certi versi accomuna tale personale alla condizione di "restrizione" dei detenuti - ha spiegato Fappani -. Un miglioramento della vita carceraria, come si può comprendere, può venire dunque dall’aiuto a tale personale nell’affrontare alcuni problemi, da quelli più grandi della casa e di asili nido per i figli, a quelli più piccoli, ma importanti, come il parcheggio riservato". Le parole del garante hanno immediatamente stimolato i consiglieri comunali, i quali hanno espresso quasi all’unanimità il loro impegno per migliorare le condizioni di carcerati e agenti penitenziari. "Teniamo soprattutto a consolidare questo rapporto e a creare un collegamento stabile e proficuo con i diversi soggetti che sono coinvolti - ha spiegato Laura Castelletti - presidente del Consiglio Comunale di Brescia -. L’obiettivo è quello di provare, insieme, a risolvere questi problemi. Mi riferisco, soprattutto, a quelli pratici, legati prevalentemente alla salute, alla qualità di vita e al lavoro. Un carcere che funziona, che riabilita e che inserisce nuovamente il detenuto nella società è un bene per tutti. Un carcere che abbruttisce, non recupera e tiene ai margini, è un danno, e genera ulteriori problemi per l’intera comunità". In mattinata, il capogruppo della Lega Nord in Consiglio Comunale Cesare Galli, aveva annunciato l’intenzione dell’intera delegazione padana di non partecipare alla seduta straordinaria perché "demagogica e con l’unico obiettivo di catalizzare le preferenze degli immigrati a favore dell’attuale maggioranza, in un’ottica di mercanteggiamento dei voti". Una presa di posizione che non ha convinto il presidente del Consiglio Laura Castelletti, la quale ha parlato di "occasione mancata da parte della Lega nel capire esattamente le difficoltà vissute quotidianamente dai detenuti e da chi si occupa di loro". "Abbiamo sentito l’odore del carcere, udito il rumore dei portoni che si chiudono, constatato quanto sia fatiscente la struttura - ha concluso il presidente -, la Lega invece, per ragioni esclusivamente elettorali, non l’ha fatto". Roma: detenuti e archeologi, a Rebibbia nasce un museo
Roma One, 8 maggio 2007
A Roma nel carcere di Rebibbia, dopo la scoperta di due necropoli di schiavi del I-II secolo d.C. e di una cisterna d’acqua a due navate lunga 25 metri - tra l’aula bunker e il penitenziario femminile - si è tenuto un corso di formazione destinato a persone in stato di detenzione. Il corso per "Operai specializzati in scavi archeologici, in manutenzione di beni culturali e aree verdi e giardini storici " è terminato con il restauro dei reperti archeologici ritrovati. Nasce così l’Antiquarium all’interno del penitenziario, un "museo" in un corridoio di accesso alle zone comuni (teatro, chiesa, area verde), le cui pareti sono state affrescate con motivi decorativi liberamente ispirati alla decorazione parietale di epoca romana. I reperti, suddivisi per classi ceramiche (ceramica da fuoco, ceramica da mensa, sigillata, anfore), sono esposti in cinque teche appositamente progettate e corredate da pannelli che forniscono dati e informazioni sui singoli pezzi. I destinatari di questa esposizione sono in primo luogo i detenuti stessi, cui si aggiungono i loro familiari, le guardie carcerarie e tutti coloro che entrano in carcere per vari motivi (avvocati, magistrati, insegnanti, operatori sociali, etc.). Restiamo in attesa quindi di aperture speciali per il pubblico. Ascoli: i detenuti diventano cantanti e attori per un giorno
Corriere Adriatico, 8 maggio 2007
Presso il carcere di massima sicurezza di Marino del Tronto si è svolto il concerto di primavera del "Coro Brigantorum", nome scelto dai detenuti che hanno frequentato il corso di musica durante l’anno. Per la prima volta all’esibizione hanno assistito i familiari dei detenuti e questa novità ha emozionato i corsisti che hanno cantato per le loro persone più care. Il concerto ha così rappresentato un prezioso momento per rinsaldare gli affetti e i legami familiari in particolare con i bambini. Il repertorio ha spaziato alla polifonia classica (Joasquin De Press e Giardini) a Schubert e Berg per concludersi con i classici della canzone napoletana ("O sole mio", "Carcere è mare"). C’è stata anche una sorpresa finale: la messa in scena in forma teatrale di "La livella" di Totò che ha strappato risate, applausi a scena aperta e la richiesta del bis. le insegnanti, il soprano Rossella Sterlichi, la pianista Lucilla Di Carlo e il fisarmonicista Alberto Centrami hanno espresso soddisfazione per gli ottimi risultati ottenuti, per il livello di coinvolgimento e partecipazione, ma soprattutto perché la musica si è rivelata ancora una volta potente strumento di riflessione critica e diffusione dei valori più alti. Il concerto e il corso di musica rientrano tra le iniziative del progetto realizzato con il piano di ambito sociale (interventi in materia penitenziaria) che vedono il comune di Ascoli Piceno come capofila. Informazione: "Radio Carcere" domani su "Il Riformista"
Comunicato stampa, 8 maggio 2007
Domani, mercoledì 9 maggio, con "Il Riformista" troverete la pagina di "Radio Carcere". In questo numero: La realtà degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, attraverso la testimonianza di Benedetto entreremo dentro l’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto. Scopriremo quello che non vogliamo sapere. Fabrizio Starace, medico della Asl competente per l’Opg di Aversa, indicherà le soluzioni già ora percorribili in attesa che il Parlamento riformi strutture che, se funzionanti, sarebbero utili. L’avv. Corso Bovio, nel suo editoriale, affronterà invece il caso della ragazza rumena accusata dell’omicidio della povera Vanessa Russo. Sulla scia dell’emozione e del risalto mediatico, si parla già di ergastolo per l’indagata. Il processo sembra già celebrato e concluso. Ma forse il caso merita un approccio più obiettivo. Sempre domani sulla pagina di "Radio Carcere" del Riformista troverete i candidati al premio la Pantegana d’oro. I candidati della settimana sono: Clemente Mastella, Ministro della Giustizia, che ha chiamato Giampaolo Nuvoli a Via Arenula per occuparsi di diritti umani e di responsabilità dei Magistrati. Di Nuvoli si ricorda il fax inviato agli Organi di stampa dove era scritto: "Debbo affermare che, qualora il procuratore Borrelli fosse condotto alla forca, io sarei in prima fila per assistere all’esecuzione". Inimitabile esempio di tutela dei diritti umani e di responsabilità dei magistrati. Anna Maria Franzoni che, dopo anni di processi, ha capito che andare a "Porta a Porta" e da Maurizio Costanzo non è stata una scelta geniale. Oggi dopo aver invaso gli organi di stampa, pretende privacy. Ai consulenti psichiatri dei pubblici ministeri che con tanta sicumera riescono a trasformare anche il gioco più innocente del bambino più innocente in una prova di orribili reati. A buon intenditore poche parole!
Riccardo Arena Informazione: "Il Panneggio", giornale dal carcere di Firenze
Comunicato stampa, 8 maggio 2007
È uscito il primo numero de "Il Panneggio", giornale delle sezioni femminili del carcere di Sollicciano e della città di Firenze, un tentativo fatto da alcune detenute di Sollicciano e da alcuni volontari dell’Associazione Pantagruel Onlus di mettere in relazione, anche con questo strumento, il luogo più grande di detenzione e di separazione con la città di Firenze e con il suo tessuto sociale. L’idea del giornale nasce dalla richiesta delle/dei detenute/i di comunicare con l’esterno, uno dei loro bisogni è quello di avere un proprio periodico, una richiesta che viene spesso espressa ai volontari per poter far conoscere le proprie necessità, le proprie idee e le proprie storie di vita, per facilitare, anche attraverso questo strumento, percorsi di reinserimento sociale. Ma il giornale vuole coinvolgere anche la città di Firenze ed i comuni limitrofi (in particolare Scandicci) partendo dalle associazioni di donne che operano nei settori culturali e sociali, ma non rinchiudendosi in questa specificità di genere. L’associazione Pantagruel è più che consapevole che deve essere fatta molta strada e molti miglioramenti e per questo chiede a chi sia interessato di dare un aiuto: partecipando alla redazione esterna al carcere; dando una mano nella diffusione (andando in Via Tavanti a prendere 5/10 copie); nell’organizzare incontri in cui parlare del carcere di Sollicciano e de "Il Panneggio". Questo primo numero è stato possibile per i contributi ricevuti dagli assessorati alla Cultura ed al Terzo Settore, Accoglienza ed Integrazione del Comune di Firenze ma dal prossimo numero il giornale si sosterrà soprattutto con le vendite. Il numero è ad offerta libera. Per prendere una o più copie de Il Panneggio: Associazione Pantagruel Onlus, Via Tavanti, 20 - 22/a rosso - Firenze. Tel. 055.473070. Mail: asspantagruel@virgilio.it Libri: pubblicato "Il terzo strike", ecco la prigione in America
Ansa, 8 maggio 2007
Il terzo strike. La prigione in America di Elisabetta Grande Edito da Sellerio, 15 euro.
È un saggio sulle rapporto tra politiche criminali (sia sostanziali che - soprattutto - processuali), "demolizione" teorica e pratica della funzione rieducativa della pena e "boom" dei tassi di carcerizzazione negli Stati Uniti. In alcuni passaggi molto "tranchant",ma molto ben documentato in tema di cifre e "casi esemplari" - con una piccola e tragica galleria di episodi per una pessima storia forense -. Colpisce la lettura del rapporto carcere - mercato, sia per quanto attiene direttamente il business degli istituti penitenziari privati, realtà in espansione da una ventina d’anni negli States, sia per la ricostruzione della effettività di un lavoro intra-murario svuotato da ogni orizzonte di emenda. Il saggio contiene una Nota - Prefazione di Adriano Sofri ed una appendice sui Supermax (SHU - Special Housing Units) di Clara Mattei. Droghe: Chiamparino; è ora di punire anche i consumatori
Corriere della Sera, 8 maggio 2007
"Non è più possibile restare a guardare mentre un quarto, o forse addirittura un terzo della popolazione fa uso di droghe. Sono sempre stato antiproibizionista, ma oggi dico che è ora di cambiare: bisogna affermare il principio che drogarsi non è lecito, che la nostra società non lo accetta". Sergio Chiamparino, sindaco Ds di Torino, chiede al Parlamento nuove norme per punire non solo chi spaccia ma anche chi consuma stupefacenti. Lo fa all’indomani della rapina mortale ai danni di un tabaccaio, avvenuta sabato sera, forse proprio ad opera di criminali che cercavano denaro per la droga. La sua riflessione, però, arriva da più lontano.
Sindaco, come vorrebbe punire chi si droga? "Obbligandolo a riparare il danno fatto. Perché chi consuma droga alimenta un mercato criminale che è all’origine di reati di ogni tipo, dai più banali ai più efferati, e un clima di insicurezza che la gente comune non sopporta più. Quindi, chi viene sorpreso a consumare dovrebbe dedicare alcuni giorni a rendersi utile, pulendo la città o lavorando nelle case di riposo, e sono solo due esempi. Una sanzione non penale, ma che può creare un deterrente perché si perde tempo e ci si espone a una pessima figura, in casa e sul lavoro".
La sua proposta dovrebbe valere per qualsiasi sostanza? "Posso ammettere, anche se vorrei discuterne ancora con veri esperti, che si depenalizzino gli spinelli. E posso accettare anche che chi è dipendente dall’eroina, categoria per fortuna in calo, possa essere trattato sotto controllo medico. Ma per gli altri deve esserci una sanzione: troppa droga per le strade".
Cosa le ha fatto cambiare idea? "L’esperienza da sindaco. Qualche tempo fa ho voluto andare a vedere la situazione dell’area chiamata "Tossic Park" (zona di spaccio alla periferia est di Torino, ndr) e sono rimasto colpito dalla varietà dei clienti "normali". Una ragazza che lavora lì vicino mi ha fatto notare, tra le altre, una vecchia Panda con i seggiolini per i bambini: "Vede sindaco, quello è un muratore che ogni giorno viene a comprarsi la droga". La sera stessa, in centro, ho rivisto le auto di lusso dei professionisti che il venerdì vengono a procurarsi la dose per il weekend".
Gli antiproibizionisti però sostengono che se il mercato della droga venisse liberalizzato la criminalità diminuirebbe... "Lo so bene, e negli anni 80, all’epoca delle grandi polemiche, ero più d’accordo con Don Ciotti che con Muccioli. Ma qualcosa non funziona. Se drogarsi è consentito, perché non dovrebbe esserlo vendere la droga? La legge attuale è contraddittoria, il concetto di "modica quantità" è ipocrita. Poi parli con i cittadini e ti accorgi che hanno paura, quella che si chiama "insicurezza percepita". E se non hanno paura quanto meno sono a disagio quando vedono lo spaccio e il consumo, che ormai sono ovunque".
Si dice anche che la droga non è peggio dell’alcol. "E allora cosa vogliamo fare? Aspettare che la cocaina si radichi nella nostra cultura come il vino o la grappa, per poi dire che non la si può più eliminare? È un problema che ha due facce: la criminalità, che anche il singolo consumatore, involontariamente, contribuisce a far crescere, e i valori della nostra società, dove sempre più persone sembrano aver bisogno di una sostanza per vivere".
Lei è un "liberal". Ora vuole uno Stato che educa e punisce? "No, la libertà delle persone deve restare, non propongo la galera per i consumatori. Ma non sono disposto a fare finta di niente, bisogna mettere un argine al mercato incontrollato e al messaggio che drogarsi non è un problema. È una riflessione che dobbiamo aprire subito, non lontana da quella che Giuliano Amato propone sulla prostituzione".
Idee che non piaceranno a molti, soprattutto nel centrosinistra... "La droga e i modi per combatterla non sono né di destra, né di sinistra. Ma la politica nel suo insieme e la sinistra in modo particolare hanno sottovalutato il problema. E una parte continua a non voler vedere". Droghe: a Chiamparino chiediamo di proibire alcool e tabacco di Pietro Yates Moretti (Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori)
Notiziario Aduc, 8 maggio 2007
In una intervista al Corriere della Sera, il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, ha affermato che è giunta l’ora di punire il consumo. Pur ritenendo che il consumo di cannabis debba essere depenalizzato, e vi debbano essere misure di riduzione del danno, Chiamparino sostiene che chi acquista droghe illegali finanzia la criminalità, e per questo deve essere punito. Siamo certi, e ne abbiamo avuto prova in passato, dell’intelligenza di Chiamparino in materia di droga. Questa volta però ci sfugge il ragionamento logico della sua "svolta" repressiva. È proprio il proibizionismo che ha creato realtà come il Tossik park di Torino, una sorta di zona-franca in cui i tossici vanno a comprare droga e ad iniettarsela, che ha tanto influenzato Chiamparino per fargli cambiare idea. È proprio il proibizionismo che sta regalando miliardi di euro ogni anno alle organizzazioni criminali. Comprendiamo la frustrazione di chi ogni giorno combatte la droga, senza risultato alcuno. Ma ciò non è dovuto certo all’antiproibizionismo, visto che vige in Italia una delle leggi più repressive del mondo occidentale e che il consumo, anche di piccole quantità (basta poco per superare le tabelle della Fini-Giovanardi), è punito con pesanti sanzioni amministrative e spesso anche con il carcere. Su una cosa comunque siamo d’accordo con Chiamparino: la legge attuale è ipocrita e contraddittoria. Infatti, se le droghe sono da proibire perché creano danni alla salute e alla società, dobbiamo essere coerenti e proibire subito anche alcool e tabacco. Sono queste le droghe più letali, con 140mila morti ogni anno solo in Italia e 4 milioni nel mondo. Rivolgiamo quindi un invito al sindaco neo-proibizionista affinché sostenga la nostra campagna "tutte legali o tutte proibite", che include una proposta di legge per inserire nelle tabelle del Testo Unico sugli stupefacenti anche alcool e tabacco. Droghe: Milano; un "test" distribuito gratis a migliaia di famiglie
Notiziario Aduc, 8 maggio 2007
"No alla droga. Parliamone in famiglia" è il titolo della campagna finalizzata a ostacolare il consumo di droghe in età adolescenziale presentata oggi dall’assessore alla Salute del Comune di Milano, Carla De Albertis, e dal Presidente del Consiglio di Zona 6, Massimo Girtanner. Grazie a questa campagna, i genitori della Zona 6 potranno ritirare in farmacia un test gratuito per accertare l’eventuale uso di stupefacenti in famiglia. L’assessore Carla De Albertis e Massimo Girtanner hanno mostrato la copia del test antidroga, negativo alle sostanze stupefacenti e all’uso di alcol, al quale entrambi si sono sottoposti nei giorni scorsi presso il Centro Prelievi Ospedaliero del Dipartimento Medicina di Laboratorio dell’Ospedale di Niguarda Cà Granda. "Abbiamo pensato che fosse importante testimoniare il nostro impegno contro la droga attraverso il buon esempio. Per questo - ha spiegato De Albertis - ci siamo sottoposti al test". Il progetto parte in Zona 6 ma, ha annunciato l’assessore, "è già prevista l’estensione in tutta la città". Test antidroga gratis per gli adolescenti? Questo kit (un test delle urine casalingo, realizzato in collaborazione con Federfarma Milano e sostenuto dall’assessorato alla Salute del capoluogo lombardo) "è uno strumento che, anche se può sembrare utile, in effetti può essere controproducente". È il commento di Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutiva e responsabile dell’Istituto di Ortofonologia, nel giorno della presentazione della singolare iniziativa, a Milano, che coinvolge circa 4.000 famiglie cittadine, con ragazzi fra i 13 ed i 16 anni d’età. Per lo psicoterapeuta, infatti, "l’unico effetto positivo di questo test può essere quello di calmare le ansie dei genitori, ma sicuramente provocherà difficoltà in famiglia. Il grande problema - avverte Castelbianco - è che l’esame non può essere ripetuto, pertanto ciò può spingere, ad esempio, il ragazzo a provare droghe per dimostrare di essere più furbo del kit stesso". "Non dobbiamo scordarci - sottolinea lo psicoterapeuta - che parliamo di piena adolescenza", dunque, lo strumento lanciato oggi a Milano "è importante che sia disponibile per le famiglie, ma quando realmente sospettano che il loro ragazzo possa fare abitualmente uso di sostanze stupefacenti, poiché in questo caso può essere utile per affermare una verità e, da questa, iniziare un percorso di cura, se l’adolescente risulta dipendente". Qualora, invece, dal test delle urine il ragazzo non risultasse positivo, questo, secondo Castelbianco "porterà ad una riflessione nel rapporto familiare, in quanto se i genitori hanno dubitato che il figlio fosse un abituale consumatore di droga, allora si tratta di un rapporto familiare che sicuramente va rivisto". Vi è poi "il rischio di un uso indiscriminato, saltuario, di uno strumento che dovrebbe svelare delle problematiche enormi". Eppure, così come avverrà a Milano, il test antidroga per teenager, chiude Castelbianco, "sarebbe bene che lo facessero anche i nostri amministratori per primi, in modo da dare l’esempio ai ragazzi, mostrando una capacità di apertura al dialogo".
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