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Giustizia: 310 ergastolani a Napolitano; condannateci a morte
La Repubblica, 31 maggio 2007
"Siamo stanchi. Condannateci a morte". Per il sottosegretario alla Giustizia Manconi l’appello è un "paradosso comprensibile". Tra i 310 firmatari i responsabili dell’omicidio del giudice Livatino e di Giancarlo Siani. Meglio morire che restare a vita in carcere. Trecentodieci ergastolani si sono rivolti al capo dello Stato chiedendogli di essere condannati a morte. A Giorgio Napolitano quei 310 detenuti con sentenza "fine pena mai" hanno spedito altrettante lettere che si concludono con una richiesta che il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, ha definito "tragicamente paradossale, e tuttavia comprensibile". Eccola: "Signor presidente della Repubblica, siamo stanchi di morire un pochino tutti i giorni. Abbiamo deciso di morire una volta sola, le chiediamo che la nostra pena dell’ergastolo sia tramutata in pena di morte". Ecco come i condannati al carcere perpetuo hanno spiegato la loro provocazione. "L’ergastolo è l’invenzione di un non-dio di una malvagità che supera l’immaginazione. È una morte bevuta a sorsi. È una vittoria sulla morte perché è più forte della morte stessa". Oltre alla lettera al presidente, i detenuti a vita hanno pure dedicato una "ballata dell’ergastolano" (sogni che iniziano dove finiscono/prigionieri per sempre/non ci uccidono, peggio: ci lasciano morire per sempre), a tutti i senatori che discuteranno il ddl per l’abolizione dell’ergastolo. Tra quei 310 detenuti rinchiusi per sempre in prigione ci sono persone che hanno ucciso, fatto parte di associazioni terroristiche come Prima Linea e criminali come mafia, camorra, ‘ndrangheta e Sacra Corona. Ci sono i condannati per l’omicidio del giudice Livatino, del giornalista del Mattino Giancarlo Siani, i killer dello studente sedicenne Donato Cefola, boss che legano il loro nome ai clan che si arricchiscono talmente tanto con estorsioni e traffico di droga da comparire al primo posto nella classifica Eurispes sui patrimoni mafiosi. Eppure, una volta che con un "mai" si indica la fine della pena a cui sono stati condannati, per loro inizia "una sofferenza infinita". Quelli che una volta erano boss temutissimi, malavitosi pericolosi, killer e assassini spietati, diventano - per usare le parole scritte nella loro lettera a Napolitano - "esseri non morti, ma neppure vivi". Perché, spiegano, "l’ergastolo trasforma la luce in ombra, ti fa morire dentro a poco a poco". La condanna perpetua "rende inutile la vita, fa sembrare il futuro uguale al passato". "Schiaccia il presente e toglie la speranza". "All’ergastolano - raccontano al presidente della Repubblica - rimane solo la vita. Ma la vita senza futuro è meno di niente. È piatta ed eterna". E poi ancora, "l’ergastolo è una pena stupida perché non c’è persona che rimanga la stessa nel tempo". Per la senatrice Maria Luisa Boccia, Prc, prima firmataria di un disegno di legge per l’abolizione dell’ergastolo, "il "tragico paradosso" è dovuto al contrasto fra la Costituzione, secondo cui la pena è finalizzata al reinserimento sociale, e l’ergastolo, che nega questa possibilità a chi sta in galera tutta la vita". "Ecco perché - ha aggiunto la senatrice - nel disegno di legge chiedo che il "fine pena mai" sia sostituito da una condanna a termine, ad esempio 30 anni". Sulla crudeltà della pena a vita, spiega la senatrice Boccia, "basti ricordare come il codice penale francese del 28 settembre 1791, pur prevedendo la pena di morte, avesse abolito l’ergastolo, ritenuto, molto più della pena capitale, disumano, illegittimo e inaccettabile nella misura in cui rende l’uomo schiavo in nome di una pretesa superiore ed inviolabile ragion di Stato". È stato un ergastolano, Carmelo Musumeci, uno dei primi, forse il primo, ad avere avuto l’idea di invitare i detenuti nelle sue condizioni a "mettersi d’accordo e smettere tutti insieme di bere la morte a sorsi". Il tam-tam carcerario ha fatto il resto: la lettera con la richiesta di trasformare l’ergastolo in pena di morte è passata di prigione in prigione, di cella in cella, di mano in mano. E 310 copie firmate da altrettanti ergastolani sono arrivate al Quirinale e, per conoscenza (come prima firmataria del ddl), anche a Maria Luisa Boccia. Ha chiesto al Presidente se intendesse rispondere a quelle missive, la senatrice di Rifondazione, e Napolitano le ha risposto attraverso il segretario generale Donato Marra. "Il Capo dello Stato - si legge nella lettera del segretario generale della Presidenza della Repubblica - guarda con grande attenzione ai temi della giustizia e, tra questi, a quelli che attengono alla libertà delle persone e alla funzione della pena". "Più volte il Presidente ha auspicato un "ripensamento dell’intero sistema sanzionatorio e della gestione delle pene"". "Le soluzioni di tali problemi allo stato molto controverse - conclude la risposta del Quirinale - allo sono, però, di stretta competenza degli organi parlamentari e di governo che sapranno affrontarli con lo spirito costruttivo e la tensione ideale che richiedono". Giustizia: riforma Pisapia, verso la cancellazione dell’ergastolo
Il Messaggero, 31 maggio 2007
La bozza del progetto di riforma del Codice Penale elaborata dalla Commissione presieduta da Giuliano Pisapia, è stata presentata al ministro della Giustizia Clemente Mastella. La novità principale è la soppressione dell’ergastolo, che viene sostituito da una reclusione di lunga durata. Una detenzione che potrebbe arrivare fino a 34 anni, alla quale si sommerebbe una riduzione delle possibilità di accesso alla liberazione condizionale. La riforma prevede inoltre una verifica della pena in fase esecutiva, dopo un certo numero di anni, per garantire il reinserimento sociale del condannato. La bozza della riforma Pisapia - passibile di modifiche proprio sul punto relativo ai termini di detenzione massima- è ora all’esame degli uffici legislativi del ministero che dovrebbero tradurla in un ddl. In ogni caso, l’intero sistema sanzionatorio viene rivisto dal progetto di riforma della Commissione Pisapia, con un maggiore ricorso a sanzioni interdittive, riparatorie e pecuniarie che vanno nella direzione auspicata anche dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nel corso della sua visita a Rebibbia, all’inizio di maggio: il carcere deve essere considerato come "extrema ratio" ed eventualità da riservare ai casi più gravi. Giustizia: ergastolano scrive sull’indulto, contro Marco Travaglio
www.ildue.it, 31 maggio 2007
Un detenuto che sta scontando l’ergastolo a San Vittore ha scritto una lettera aperta a Michele Santoro dopo la trasmissione "Annozero" del 24 maggio, durante la quale Marco Travaglio ha espresso alcune considerazioni sull’indulto. "Sono molti i punti deboli del discorso di Travaglio, anzi più che deboli privi di verità, privi di approfondimento, classici di chi parla di un problema senza conoscerlo - ha scritto il detenuto, Pino Cantatore - Travaglio è mai entrato in un carcere? Ha mai visto le persone che ancora oggi sono ammassate in dieci - dodici in pochi metri quadrati?". "Ammesso e non concesso che i dati relativi alle persone che hanno fatto rientro in carcere dopo aver beneficiato dell’indulto e dopo aver commesso un nuovo reato siano quelli del Ministero della Giustizia, ammesso anche che la teoria di Travaglio, che indica quelli beneficiati dall’indulto ma "non beccati" come i responsabili dell’aumento dei reati come rapine e furti - continua Cantatore - Come mai in carcere siamo ancora così tanti, più di quelli che c’erano prima della concessione del provvedimento di indulto, se tutti gli altri, l’88% dei beneficiati non sono ancora stati beccati?". Ricordando a Santoro "che c’è già troppa confusione, c’è tanto bisogno di chiarezza e di soluzioni, non di critiche distruttive, il detenuto sottolinea che "non servono i demagoghi, le masse sono già agitate per i fatti loro, l’ovvietà non aiuta". Servirebbero invece proposte concrete e ne elenca, ironicamente, alcune: "per il problema delle carceri, ergastolo e pena di morte sono una alternativa per affrontare le scarcerazioni dei criminali ("altrimenti questi escono alla fine della loro pena") e per tenere lontani dall’Italia immigrati che arrivano per commettere reati, sistemare mitragliatrici sulle nostre coste così ci penseranno due volte, o anche di più, prima di venire a fare i delinquenti". Polizia Penitenziaria negli Uepe: comunicato stampa Fp-Cgil
Comunicato stampa, 31 maggio 2007
Care/i colleghe/i, lo avevamo detto e sostenuto con forza, in splendida solitudine, unica tra le OO.SS. della Polizia penitenziaria ad avere il coraggio di metterlo nero su bianco, e oggi il Dap - con la nota che rinvia il confronto - riconosce che avevamo ragione! Sapevamo che presto la verità sarebbe venuta a galla, ed evidentemente avevamo ragione da vendere quando - pur manifestando posizioni di assoluta condivisione a progetti di ampliamento delle competenze e delle attività della Pol. Pen. - accusavamo l’Amministrazione di voler mandare allo sbaraglio la Polizia penitenziaria con un progetto normativamente debole, che lasciava prefigurare il rischio di una sua facile impugnazione da parte delle altre Amministrazioni deputate al controllo delle misure alternative, nel quale oltretutto l’attività prevista per gli appartenenti al Corpo rischiava di essere sminuita nel ruolo e nelle funzioni rispetto a quella garantita dall’Arma dei Carabinieri e dalla Polizia di Stato, che assicurano il servizio senza alcuna limitazione territoriale e in piena autonomia, non solo in ambito comunale come invece previsto nel progetto per la Polizia penitenziaria. Nonostante le assicurazioni fornite alle OO.SS. al tavolo negoziale, infatti, nessun accordo e/o decreto interministeriale era stato concluso tra il Ministro della Giustizia e il Ministro dell’interno per disciplinare il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia penitenziaria nell’esecuzione penale esterna, seppure in via sperimentale. Ma soprattutto, stando ai contenuti della nota fatta pervenire dal Dap, avevamo fortissimamente ragione quando sostenevamo che il progetto in questione, con le attuali insufficienti risorse economiche ed umane disponibili, era complessivamente insostenibile, improponibile, perché finiva solo per aggravare pesantemente le condizioni di vita e di lavoro degli operatori della Polizia penitenziaria negli Istituti e Servizi penitenziari, rese già estremamente difficoltose dalla forte carenza di personale patita dalle strutture penitenziarie soprattutto del centro nord del Paese, attualmente - come peraltro assunto anche dalla Direzione Generale del Personale con la recente circolare diffusa - finanche impossibilitate a garantire le ferie e i riposi agli operatori. Oggi, resosi evidentemente conto del grave errore che stava compiendo, il Dipartimento comunica che " in ragione delle attuali risorse umane e strumentali, la sperimentazione potrebbe avvenire nei distretti regionali di Puglia, Lazio, Campania e Sicilia", ammettendo - di fatto - che il problema della carenza di personale di Polizia penitenziaria rilevata dalla Fp Cgil non solo esiste, ma non può e non deve essere assolutamente sottovalutata! Serve altro? A noi no, perché eravamo assolutamente convinti della serietà e della fondatezza delle nostre rivendicazioni; ora vogliamo capire - però - come si giustificheranno di fronte ai propri iscritti quelle OO.SS. che avevano fortemente criticato la Fp Cgil, e che pur di rincorrere il progetto dell’Amministrazione - e i verbali delle riunioni presto lo testimonieranno - non hanno esitato ad offrire convinte il proprio assenso. Per quanto ci riguarda, riteniamo sia giunto il momento della riflessione, dell’analisi serena e meditata dei fatti fin qui accaduti e, a tal proposito, ci sentiamo quanto meno di affermare - senza tema di smentita - che anche di fronte a critiche spietate, esagerate ed ingenerose, mai è venuto meno alla Fp Cgil il coraggio di assumere la responsabilità delle scelte compiute, coerenti alla linea sempre seguita e, soprattutto, alla responsabilità che implica il mandato di rappresentanza sindacale conferito dai propri iscritti.
Il Coordinatore Nazionale Fp Cgil Polizia penitenziaria Francesco Quinti Polizia Penitenziaria negli Uepe: comunicato stampa del Sappe
Comunicato stampa, 31 maggio 2007
Questa Segreteria Generale ritiene doveroso intervenire in ordine alla nota della RDB, la quale ha contestato l’iniziativa di emanare un decreto ministeriale per l’impiego della Polizia Penitenziaria nell’ambito degli Uffici per l’esecuzione penale esterna. In primo luogo, occorre mettere in evidenza che l’inserimento della Polizia Penitenziaria nell’attività in questione non deve essere interpretato come "invadenza" nei compiti degli Assistenti Sociali, la cui professionalità non si intende minimamente porre in discussione. Per contro, è la normativa stessa che richiede controlli di polizia in ordine al rispetto delle modalità di esecuzione delle misure alternative alla detenzione, il cui espletamento si colloca in maniera naturale nell’ambito istituzionale del Corpo di Polizia Penitenziaria. Peraltro non sembra che possa sottovalutarsi il contributo che, relativamente all’esame e alla conoscenza della personalità del detenuto, può fornire una attività di verifica specifica. Anzi, proprio l’estensione delle competenze del corpo di Polizia Penitenziaria a tali controlli di sicurezza può realizzare un maggiore coordinamento con le altre categorie professionali coinvolte, rispetto all’attuale situazione che vede l’impiego di altri corpi dipendenti da diverse amministrazioni. Per quanto attiene alle perplessità di natura giuridica sull’idoneità del decreto ministeriale ad intervenire nella materia, occorre rammentare che le misure alternative rappresentano pur sempre misure restrittive della libertà personale, in riferimento alle quali è radicata la competenza istituzionale del corpo di Polizia Penitenziaria (art.5, comma 2 legge 395/1990). Pertanto, pur condividendo la necessità di un intervento legislativo, peraltro indispensabile, per razionalizzare e coordinare le diverse fonti, e auspicando soluzioni condivise fra tutte le categorie professionali interessate, si ritiene che l’iniziativa in atto, comunque di carattere sperimentale, sia da apprezzare e da rendere compatibile con i compiti di tutti gli altri operatori coinvolti.
Il Segretario Generale, Donato Capece Volterra: un vero successo mondiale per le "cene galeotte"
In Toscana, 31 maggio 2007
Grande successo per le "cene galeotte" l’iniziativa promossa da Unicoop Firenze e dal Ministero della Giustizia che per quattro serate ha trasformato il carcere di Volterra nel più insolito dei ristoranti. Quattro cene a tema preparate dai detenuti della casa circondariale con incasso devoluto a sostegno dei progetti di solidarietà internazionale per il sud del mondo. L’iniziativa oltre a registrare un clamoroso successo di pubblico, tutte le serate hanno visto il tutto esaurito, ha attratto l’attenzione dei media e non solo di quelli nazionali. Il primo è stato il Daily Telegraph, illustre quotidiano londinese, poi sono arrivate le telecamere del colosso americano della ABC con il famoso programma "good morning America", infine per l’ultimo appuntamento (quello del 22 giugno) sono attesi tecnici e giornalisti della BBC che alle "cene galeotte" dedicheranno uno servizio TV e uno speciale radiofonico. Droghe: De Lillo (Fi-Lazio); kit antidroga alle famiglie romane
Notiziario Aduc, 31 maggio 2007
"Dobbiamo dirlo chiaramente: la droga fa male, e ogni genitore adulto e responsabile ha l’obbligo morale e legale di difendere i figli da un’insidia dalle conseguenze complesse e mai positive, che un minorenne non può prevedere. Perché non distribuire anche alle famiglie romane il kit antidroga proposto a quelle milanesi dal sindaco Moratti, e sul quale anche il Ministro Turco ha voluto dare un’apertura?". A lanciare l’iniziativa è Stefano De Lillo, vicepresidente della Commissione Sanità della Regione Lazio. "Affiancato alla lotta al narcotraffico, alla prevenzione e ai controlli nelle scuole, l’utilizzo del kit antidroga è forse uno strumento non usuale per le abituali relazioni tra genitori e figli: ma può salvare vite, e questo primo diritto e dovere di ogni genitore, questo obiettivo supremo conta più di ogni altra cosa. Salvare vite, e non solo quella del proprio figlio, ma anche di quelli che da parte sua potrebbero essere avvicinati". "Il kit è un mezzo che risponde ad una autentica emergenza, il rapido dilagare della droga fra i giovani e purtroppo perfino nelle scuole. Sull’emergenza-droga fra i giovani vorremmo che si abbandonassero parole come allarme, che a differenza di un’emergenza non è necessariamente documentato da dati, e droghe al plurale, per distinguere da quelle pesanti quelle cosiddette leggere. Vorremmo che si prendessero in mano dati e statistiche sulla diffusione della droga, sull’incidenza sulla salute anche di quelle cosiddette leggere e su come queste costituiscano spesso soltanto un passaggio a quelle pesanti. Vorremmo che, finalmente si parlasse chiaro: la droga è una piaga che uccide, e che getta migliaia di famiglie nella tragedia. È ora di prenderci la responsabilità di salvare dalla droga i nostri figli". Droghe: Iss; il tabacco rimane la sostanza che causa più morti
Notiziario Aduc, 31 maggio 2007
Il fumo è la droga che provoca più morti ed è sempre tagliata male: Piergiorgio Zuccaro direttore dell’Osservatorio fumo, alcol e droga dell’Istituto superiore di sanità non ha dubbi in proposito e in occasione della presentazione dell’indagine sui fumatori in Italia ne ribadisce i pericoli. Il fumatore con una sola sigaretta inserisce nel proprio organismo più di 4 mila sostanze, molte di queste tossiche e cancerogene come le ammine aromatiche, benzene, il piombo, il cadmio e molte altre. "In assoluto il fumo di tabacco è la principale cause di malattie e di morti evitabili e la dipendenza che provoca è il vero motivo per cui in Italia il 27,9% degli uomini e il 19,3% delle donne sono fumatori. Si stima che solo in Italia oltre 80 mila morti siano legati al fumo ogni anno, praticamente il 14,2% di tutti i decessi. Negli uomini il fumo è responsabile del 91% di tutte le morti per cancro al polmone e nelle donne nel 55% dei casi". Intanto il ministro della Salute Livia Turco ha dato incarico al presidente dell’Istituto Superiore di sanità di avviare un rapporto scientifico sulla tossicità e la dipendenza dalle sostanze d’abuso, compresi il fumo e l’alcol, al fine di programmare adeguate politiche di contrasto e di prevenzione. La decisione è stata resa nota oggi in occasione della presentazione del rapporto Doxa-Iss che ha evidenziato un aumento del consumo in Italia di sigarette. Ritengo necessario e urgente - spiega il ministro in una lettera inviata al presidente dell’Istituto Enrico Garaci - avviare uno studio che possa, in tempi brevi fornire un quadro esaustivo dell’incidenza delle dipendenze sulla popolazione italiana. Europa: carceri; la Francia "disumana" e il modello finlandese
www.cafebabel.com, 31 maggio 2007
La Francia riserva ai detenuti "un trattamento disumano e degradante": i problemi si chiamano affollamento, edifici fatiscenti e promiscuità. È la constatazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) che ha visitato diversi istituti penitenziari francesi nel 2003. In seguito molte inchieste parlamentari hanno messo in luce le condizioni catastrofiche in cui vivono i detenuti, contribuendo a sensibilizzare l’opinione pubblica. Edifici sovraffollati e malsani, carenza di personale, scarsa igiene: il rischio sanitario è innegabile. C’è poi il problema della scarsa sicurezza: le aggressioni sessuali restano un argomento tabù. Secondo un’inchiesta realizzata nel 2004 dal Consiglio d’Europa, il tasso di suicidi nelle carceri francesi è molto alto: 20,9 su 10mila detenuti. Un dato che colloca la Francia in coda alla classifica (dopo Slovenia, Regno Unito e Norvegia).
In Grecia il trattamento è "inaccettabile"
Un rapporto del Consiglio d’Europa diffuso nel dicembre 2006 ha denunciato il pessimo trattamento dei penitenziari greci. Nonostante qualche miglioramento, la situazione - secondo chi ha condotto l’inchiesta - resta "inaccettabile". I problemi principali sono il sovraffollamento e le condizioni igieniche disastrose. La Grecia ha in media 177,3 detenuti ogni 100 posti. I trenta istituti penitenziari del Paese non riescono più a ospitarli. Dal 1992 a oggi le presenze sono lievitate da 6.252 unità a 9.990. Il Governo greco ha cercato di minimizzare il problema affermando che le condizioni sono "cattive solo in alcuni penitenziari, in particolare ad Atene e dintorni".
In Russia la densità carceraria diminuisce lentamente
Secondo il Centro internazionale di studi penitenziari del King’s College di Londra, la Russia ha il tasso più alto di detenuti per numero di abitanti del Vecchio Continente, pari a 623 ogni 10mila abitanti. Non solo. I primi dieci Paesi in classifica sono ex-repubbliche sovietiche, come la Bielorussia (426 detenuti ogni 10mila abitanti), l’Ucraina (345), l’Estonia (333), la Lettonia (292), la Georgia (276), la Moldavia (247), la Lituania (235), l’Azerbaidjan (202), o per lo meno Paesi appartenuti al blocco sovietico come la Polonia (239). Dalla fine degli anni Novanta, tuttavia, nella maggioranza di questi stati il livello della densità carceraria sta a poco a poco diminuendo.
L’alternativa finlandese
A partire dagli anni Ottanta la popolazione carceraria del Paese è rimasta pressoché invariata. Le autorità finlandesi si interrogano inoltre sul ruolo degli istituti penitenziari e sul significato della pena. Il dibattito diventa rovente sulla possibilità di ricorrere in misura minore alle pene carcerarie, inserendo pene sostitutive, come i lavori socialmente utili, il braccialetto elettronico, la libertà vigilata. Secondo l’associazione di detenuti francese Ban Public, più del 35% dei detenuti finlandesi sconta una pena inferiore a un anno e meno dell’8% delle pene supera i dieci anni di reclusione. Europa: le donne detenute sono in aumento, più degli uomini
www.cafebabel.com, 31 maggio 2007
Molte entrano in carcere dopo anni di maltrattamenti e sofferenze. Ma una volta dentro, si ritrovano ad affrontare situazioni ancora più difficili. "Nella maggior parte dei casi le donne arrivano in prigione distrutte da anni, se non da una vita intera, di abusi psichici e sessuali da parte degli uomini". Parola di Jane Evelyn Atwood, una fotografa che ha incontrato e immortalato per nove anni le detenute delle carceri europee e americane.
Il 20% è analfabeta
All’ombra dello stereotipo del gangster duro e macho si nasconde infatti un’altra realtà preoccupante. Secondo un rapporto europeo sulle condizioni detentive realizzato nel 2001, le donne rappresentano una minima percentuale della popolazione carceraria (4% in Francia e in Italia, 4,5% in Grecia, 5% nel Regno Unito e 8% in Spagna). Ma queste cifre sono in aumento. Certo, non come in America, dove il numero delle detenute è aumentato dal 1980 di circa il 400%: il doppio rispetto agli uomini. La prevalenza è stata condannata per reati non violenti: l’89% delle detenute è in prigione a seguito di contenziosi familiari e/o economici (furto, assegni in bianco, uso di carte di credito false, spaccio di stupefacenti). In situazioni precarie, senza legami affettivi e con un basso livello d’istruzione, queste donne commettono sempre più delitti per sopravvivere. La loro vita è caratterizzata da un progressivo isolamento, che colpisce prima il lavoro e poi la famiglia. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio internazionale delle prigioni il 20% delle detenute è analfabeta e il 50% ha un livello di istruzione primaria. I tre quarti delle donne in carcere ha almeno un bambino.
Nel Regno Unito le carceri sono miste
Le nuovi leggi in vigore contro lo spaccio e il consumo di stupefacenti hanno fatto aumentare e ringiovanire la popolazione femminile negli istituti detentivi. Nel Regno Unito il tasso di incarcerazione delle donne è due volte superiore a quello degli uomini. Ma nonostante questo esistono pochissime carceri femminili: il codice di procedura penale non prevede nessun trattamento particolare per le donne. Le celle di quest’ultime sono di solito poste in aree riservate all’interno delle carceri maschili. Mancano quindi le infrastrutture. L’allungamento delle pene aggrava poi la situazione della detenuta, che prima di entrare in carcere era già precaria. Chi vive dietro le sbarre spesso deve fare i conti con scarsa igiene, malnutrizione, problemi di salute, aumento costante delle automutilazioni e del tasso di suicidi.
Disuguaglianze sul lavoro
Le regole penitenziarie europee sulla formazione e l’impiego sono molto chiare: "Le donne devono avere accesso a diversi tipi di impiego e la loro scelta non deve limitarsi ai lavori tradizionalmente considerati femminili". Non ci dovrebbero essere quindi distinzioni di sesso tra i detenuti. Ma la realtà è molto diversa. Spesso gli impieghi proposti alle detenute riguardano il cucito e l’imballaggio. In Italia, poi, esistono degli scarti di salario tra donne e uomini per lo stesso impiego. Di conseguenza le detenute, rinchiuse in stereotipi femminili e destinate a mansioni ripetitive, non riacquistano stima e fiducia in loro stesse. Oltre alla privazione della libertà, alla perdita di intimità e di dignità, sono rare quelle che riescono ad avere accesso a un vero programma di formazione che sta alla base di un effettivo processo di reinserimento sociale. Francia: Gabriel Mouesca; il carcere è "socialmente inutile"
www.cafebabel.com, 31 maggio 2007
L’ex detenuto Gabriel Mouesca, presidente della sezione francese dell’Osservatorio internazionale sulle prigioni, parla chiaro: nessun paese europeo può essere considerato un esempio in materia penitenziaria. L’ex detenuto Gabriel Mouesca sa quanto è dura la vita dietro le sbarre e la convivenza forzata. Perché lui in carcere ha trascorso quasi la metà della sua esistenza. Gabriel Mouesca, 40 anni, nel giugno 2004 è stato eletto all’unanimità presidente della sezione francese dell’Osservatorio internazionale sulle prigioni (Oip). Un’organizzazione creata a Lione nel 1990 per promuovere la tutela dei detenuti. "I diritti più elementari - spiega Mouesca - non sono sempre rispettati nelle carceri. Nutriti di violenza e odio, coloro che ne usciranno saranno delle vere bombe umane."
Le iniziative prese a livello europeo hanno migliorato la situazione? Nella concezione penitenziaria europea il ricorso alla detenzione deve essere l’ultima delle soluzioni. Le autorità europee premono affinché la prigione non sia più un luogo dove ammassare le persone che hanno commesso reati, ma un posto in grado di aiutarle a reinserirsi nella società.
In che modo l’Ue può influenzare le politiche carcerarie dei singoli stati? L’Unione Europea si batte affinché le condizioni di vita carceraria si avvicinino il più possibile alla realtà del mondo esterno. Ciò significa, per esempio, favorire il legame familiare, permettendo ai detenuti di contattare i loro cari. Oggi il 70 % dei penitenziari francesi non consente loro di telefonare. Se queste regole europee fossero applicate, gli effetti antisociali della prigione diminuirebbero, permettendo così un reinserimento meno difficoltoso.
Quali Paesi sono stati più innovativi in materia? Se si considera il tema della sessualità, per esempio, la Spagna ha capito da tempo che rispettare l’intimità nelle carceri contribuisce all’equilibrio psicofisico dei detenuti, siano essi uomini o donne. In Francia, al contrario, meno di una decina di strutture sono dotate di stanze nei quali i detenuti possono, sporadicamente, avere un po’ di intimità.
Secondo un rapporto dell’allora commissario ai Diritti umani, Alvaro Gil-Robles, la Francia ha uno dei peggiori sistemi carcerari di tutta Europa. Purtroppo devo precisare che nessun Paese può essere preso a modello. Ci sono degli stati che stanno facendo degli sforzi per migliorare la situazione, ma non si può dire che la Francia non abbia compagnia. La causa di tutti i mali è il sovraffollamento: nelle carceri francesi c’è un esubero di quasi 10mila detenuti. È la conseguenza della politica penale francese: la gente viene tenuta dentro per troppo tempo, non si fanno sconti di pena. Da qui i problemi d’igiene, d’intimità, la mancanza di attività, la presenza di detenuti fragili, la difficoltà delle carceri a gestire le visite dei familiari. Certo, le norme penitenziarie europee rappresentano un modello ideale, un tentativo di far rispettare nelle carceri i nostri valori. Ma al momento nessun Paese le ha pienamente attuate.
Come si può combattere il sovraffollamento? L’idea non è quella di aumentare gli istituti di detenzione, bensì di togliere dalle prigioni i detenuti che non hanno motivo di starci e favorire delle alternative. Non si tratta solo di una scelta politica, ma di un passo in avanti per la nostra civiltà. È necessario riformare il sistema arcaico della prigione e passare a delle forme di "sanzione utile", il cui scopo è educare e supportare. La prigione si è dimostrata da tempo socialmente inutile. Anzi, continua a rimanere uno strumento pericoloso.
Quale ruolo può giocare l’Ue nel progresso della "civilizzazione"? Non bisogna considerare l’Unione Europea come una scatola vuota. Noi ne facciamo parte, abbiamo dei rappresentanti nelle sue istituzioni. L’Europa sta diventando una realtà sempre più importante nella nostra vita quotidiana, anche a livello inconscio: la viviamo nel nostro modo di consumare, lavorare, distrarci. Dobbiamo sperare che le nuove generazioni si avvicinino sempre più all’ideale dell’integrazione. Per creare uno spazio europeo capace di essere, anche dal punto di vista carcerario, uno spazio di progresso. Francia: studenti entrano in carcere per insegnare ai detenuti
www.cafebabel.com, 31 maggio 2007
Intervista alla leader della Génépi, l’associazione studentesca per l’insegnamento ai detenuti. Un aiuto per rifarsi una vita. Clémence Patureau è una studentessa come le altre. O quasi: dal 2004 è infatti alla testa della Génépi, l’associazione studentesca nazionale per l’insegnamento ai detenuti. Creata nel 1976, in seguito alle sommosse avvenute due anni prima nelle carceri francesi, Génépi intende favorire il reinserimento sociale dei detenuti sviluppando, grazie all’aiuto degli studenti, il sostegno scolastico e le attività culturali negli istituti detentivi.
Quali sono le peculiarità dell’associazione? È una delle più grandi associazioni studentesche di Francia ed è la più grossa a sostegno dei detenuti. È presente sull’intero territorio nazionale e raggruppa 1200 volontari fra cui 13 a tempo pieno. Interveniamo in circa 80 istituti penitenziari e il nostro obiettivo è di fungere da collegamento fra le associazioni del settore, come l’Associazione nazionale dei visitatori di carcere, e quelle più militanti, come l’Osservatorio internazionale delle prigioni. Altra peculiarità: la Génépi è interamente diretta da studenti.
Esistono associazioni simili in altri paesi europei? Sì, ci sono. Fra queste la Fondazione Uventa in Russia, composta da studenti che si occupano di dare lezioni di filosofia o psicologia ai detenuti. Anche nel nord Italia c’è un associazione che organizza caffè letterari nelle carceri: detenuti e studenti possono confrontarsi regolamenti nei dibattiti. In Europa vi sono numerose iniziative locali, ma nessuna di portata nazionale come la Génépi. Nel gennaio 2006 le regole penitenziarie europee sono state votate all’unanimità dai 46 Stati membri del Consiglio d’Europa. Finora avete mai constatato delle violazioni nel vostro lavoro quotidiano? In effetti queste disposizioni sono molto più esigenti rispetto a quelle della regolamentazione europea in vigore dal 1987. Il loro obiettivo è aggiornare il sistema. Ma nei fatti le regole non sono rispettate. Un esempio: la mancanza di fondi non dovrebbe giustificare quelle condizioni di detenzione che violano i diritti umani. Il Consiglio d’Europa intende ribaltare la concezione secondo cui le persone private della libertà sono egualmente private di tutti i diritti. Il Consiglio sostiene che i detenuti conservano tutti i diritti a eccezione di quelli limitati dalla reclusione come, ovviamente, la libertà d’uscire.
La Francia può essere considerata un’eccezione europea riguardo al trattamento di questa problematica? No. La Francia può essere considerata, piuttosto, un cattivo allievo rispetto agli altri Paesi del Consiglio d’Europa. Ma la condizione francese si inscrive in una politica globale comune a tutti quei Paesi europei che fanno un ricorso massivo alla prigione e che presentano quindi una sovrappopolazione carceraria e un debole ricorso alle pene alternative. La sola differenza è che in Francia si cerca di nascondere le prigioni. Le persone non si sentono interessate e non vogliono vedere ciò che vi succede. L’amministrazione penitenziaria prova vergogna e nasconde la situazione delle carceri. In Svezia invece l’amministrazione penitenziaria applica il principio di trasparenza sulla vita carceraria. Non ha paura di mostrarla ai media.
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