Rassegna stampa 16 maggio

 

Giustizia: "il carcere dopo l’indulto", di Gennaro Santoro

(Dossier di Rifondazione Comunista e dell'Associazione Antigone)

 

Aprile on-line, 16 maggio 2007

 

Pubblichiamo il dossier della Campagna lanciata da Antigone e Prc. I dati riguardano i primi tre mesi di attività. Il dossier non tiene conto delle visite nei 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari italiani effettuato nelle giornate del 4 e 5 maggio dall’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone, di prossima pubblicazione.

La Campagna è iniziata il 15 febbraio e terminerà il 15 agosto. Le visite sono normalmente effettuate da deputati e consiglieri regionali del PRC-SE e da osservatori di Antigone. Lo scopo della campagna è di verificare le condizioni di detenzione post indulto, con particolare attenzione al funzionamento dell’assistenza sanitaria, oggi allo stremo, e alla mancata attuazione del regolamento penitenziario.

Delle 50 visite in carceri e ospedali psichiatrici giudiziari programmate, al 13 maggio sono state effettuate 24 visite in 23 istituti: Opg Sant’Eframo Napoli, Belluno, Regina Coeli, Vallette Torino, Saluzzo, Imperia, Sanremo, Viterbo, Avellino, Savona, Voghera, Cuneo, Parma, Castelfranco Emilia, Brescia, Palmi, La Spezia, Chiavari, Alessandria, San Vittore Milano, Como, Rebibbia Femminile (2 visite), Camerino.

Per ciò che attiene l’attuazione del regolamento penitenziario sui 23 istituti oggetto di osservazione si è rilevato che nessun istituto ha dato piena attuazione alle prescrizioni ivi previste.

Secondo i dati finora pervenuti, in 4 carceri su 5 non ci sono mediatori culturali e le docce non sono collocate all’interno della cella. In 3 carceri su 5 le finestre sono dotate di schermature. In circa il 40% dei casi i servizi igienici delle celle non sono dotati di acqua calda e non sono collocati in un vano separato rispetto a quello che ospita i letti; ancora nel 50% dei casi non sono consentiti colloqui in spazi all’aria aperta e nelle sezioni femminili i servizi igienici delle celle non sono dotati di bidet.

Per ciò che attiene l’assistenza sanitaria desta preoccupazione l’uso massiccio di psicofarmaci: oltre il 50% dei ristretti fa uso di psicofarmaci. Alto il numero di tossicodipendenti. Le malattie maggiormente diffuse sono le epatiti e le malattie della pelle. Si riscontrano problemi per l’approvvigionamento dei farmaci. In molti istituti non è garantita la presenza di personale medico h24. I farmaci maggiormente utilizzati sono: ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici, antinfiammatori, antidolorifici, farmaci per lo stomaco.

 

I dati post indulto

 

I detenuti prima dell’approvazione dell’indulto erano 61.246 per una capienza regolamentare di circa 43.000 unità. I ristretti nelle carceri italiane sono scesi a 38.847 a settembre 2006, sono risaliti oggi a 42.702 (il 35% è rappresentato da stranieri). Sono 26.201 (di cui 16.158 italiani e 10.043 stranieri) gli ex detenuti usciti dal carcere negli ultimi nove mesi grazie all’indulto. Dall’ultimo screening del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap) emerge che 18.189 (pari al 69,4% del totale) sono gli ex detenuti condannati in via definitiva che hanno beneficiato dell’indulto, mentre 8.012 sono coloro che grazie al provvedimento di clemenza hanno avuto una revoca della misura cautelare su decisione del magistrato di sorveglianza. Ad oggi si sta registrando un preoccupante aumento della popolazione carceraria. Soltanto il 12% degli indultati ha commesso un nuovo reato, contro il 68% fisiologico del tasso di recidiva.

 

Carcere e pena dopo un anno di governo

 

Brevi considerazioni sull’operato del Parlamento, del Governo e Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap). L’approvazione del provvedimento di indulto, come ha ricordato Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della recente visita al carcere femminile di Rebibbia, ha rappresentato un "passo eccezionale ma necessario - viste anche le difficoltà del programma di edilizia penitenziaria - per decongestionare e rendere più vivibili, più umane, più degne le carceri italiane. E anche per alleviare le difficoltà di quanti operano in questi istituti al servizio dello Stato".

Dopo l’approvazione del provvedimento di indulto risulta però opinabile il fatto che, soprattutto nei piccoli istituti, le direzioni di diversi istituti di pena hanno chiuso molti reparti per risparmiare personale, ma non li si è ristrutturati per renderli più vivibili, così la popolazione detenuta in diversi istituti ha continuato a vivere disagiata.

Per altro verso, il primo anno della XV Legislatura si è caratterizzato positivamente per l’approvazione di due importanti disegni di legge alla Camera dei deputati relativi alla istituzione di una Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, e alla introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento giuridico.

Bisogna ricordare infatti che l’Italia è uno dei pochissimi paesi in Europa (e nel mondo) a non aver adottato tali provvedimenti nonostante l’esistenza di obblighi internazionali, vincolanti per l’Italia, che dispongano in tal senso. È stato inoltre licenziato dalla Commissione giustizia della Camera il disegno di legge relativo alla tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori.

Per quanto concerne l’operato del Ministero della Giustizia risultano sicuramente condivisibili le prime misure adottate, dall’istituzione della Commissione di riforma del codice penale, presieduta dall’avv. Giuliano Pisapia, alla realizzazione e diffusione della indagine conoscitiva relativa al tasso di recidiva dei detenuti prima e dopo l’approvazione dell’indulto.

Se da un lato si plaude l’operato e le dichiarazioni programmatiche del Ministro della Giustizia Mastella, del Presidente della Commissione di riforma del codice penale Pisapia e del Sottosegretario Manconi (ad es., completamento del passaggio di competenze al Sistema sanitario nazionale dell’assistenza sanitaria penitenziaria, istituzione di un commissione di indagine sullo stato di attuazione del regolamento penitenziario), dall’altro risulta opinabile l’operato del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, in particolar modo per la emanazione delle circolari relative ai circuiti di alta sicurezza e la richiesta, fatta propria dal Ministro Mastella, di inasprimento del 41 bis.

 

Le riforme da fare: il carcere come extrema ratio

 

In primo luogo deve indurre a riflettere il seguente dato. La percentuale di recidivi tra coloro che beneficiano delle misure alternative al carcere è di gran lunga inferiore rispetto a coloro che sono in carcere e vengono liberati alla scadenza della pena: ricade il 19% degli ammessi alle misure alternative, contro il 68% di chi è uscito dopo aver scontato la pena in stato di detenzione. Tale dato deve indurre il Legislatore italiano a riformare il sistema penale riducendo il ricorso al carcere a extrema ratio in linea con la filosofia di fondo che sta ispirando i lavori della commissione di riforma del codice penale.

Le altre riforme urgenti sono, in via di prima approssimazione: riduzione della fattispecie di reato, riduzione delle pene edittali, diversificazione delle sanzioni all’interno del nuovo codice penale; abrogazione della legge ex - Cirielli sulla recidiva; abrogazione della legge Fini-Giovanardi sulle droghe e contestuale depenalizzazione di tutte le pratiche di consumo; abrogazione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione e depenalizzazione di tutto ciò che riguarda la condizione giuridica dello straniero; approvazione della legge istitutiva del garante delle persone private della libertà; introduzione del crimine di tortura nel codice penale; nuovo ordinamento penitenziario per i minori; esclusione dal circuito carcerario dei bambini figli di madri detenute; applicazione della legge Bindi sulla sanità del 1999 con passaggio della medicina penitenziaria alle Asl; applicazione piena e incondizionata del Regolamento di esecuzione entrato in vigore il 20 settembre del 2000; superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.

 

Schede visite in carcere

 

Milano: è da porre, anche per questa visita, la situazione di degrado che versa nel Conp, il reparto all’interno del presidio sanitario, riservato all’osservazione neuropsichiatria. Le celle e il reparto stesso sono ambienti degradati e degradanti, con i muri scrostati in stato di abbandono. Ciò che colpisce è l’odore di stantio e di sporco.

Brescia: nella sezione non ancora ristrutturata le celle sono fatiscenti, i muri scrostati, il lavandino pieno di ruggine e gocciolante, la turca (di cui non c’è più traccia del candido colore bianco che la contraddistingueva) è sporca e vicina al lavandino dove vengono lavate le stoviglie e dove si cucina. Effetti personali, cibo, biancheria, stracci e detersivi...convivono penosamente insieme in un unico armadietto o su un’unica mensola. C’è un solo educatore per 350 detenuti.

Imperia: mancano i fondi per convenzioni con specialisti; il servizio di guardia medica è stato ridotto da 18 a 10 ore; servizio psichiatrico Ser.T. attivo per 8 ore al mese con problemi di obbligo di 4 entrate mensili (4x2) e relativa impossibilità di monitorare i nuovi entrati, così come per il servizio della psicologa che ha 18 ore al mese. Assente servizio di Psichiatria (non Sert), pare per mancanza personale disponibile ASL (stesso problema di Sanremo: assoluta mancanza di interesse da parte del responsabile ASL).

Viterbo: dopo il provvedimento di indulto due sezioni a rotazione sono state chiuse per consentirne, ci viene detto, la manutenzione ordinaria. Ciò determina una situazione di sovraffollamento nelle restanti sezioni, tale per cui le celle singole sono occupate da due persone. Nella sezione precauzionale (circa 30 detenuti) non viene svolta alcuna attività. Ci sono vari progetti in corso, ma la direzione ci dice di non avere detenuti con un comportamento penitenziario tale da poter andare a lavorare all’esterno. Pochi gli articoli 21. Si intende creare una sezione EIV, alla quale la direzione sarebbe contraria.

Avellino: drammatici i dati sanitari: circa il 70% dei ristretti fa uso di psicofarmaci, il 60% è tossicodipendente, il 40% ha l’epatite; ancora, l’ASL di competenza non fornisce farmaci violando, di tal guisa, la normativa vigente.

Il magistrato di sorveglianza, organo essenziale per il rispetto dei diritti dei detenuti e per il loro graduale reinserimento sociale, entra in istituto una volta ogni sei mesi mentre la legge prescrive almeno una visita al mese. Anche per questa ragione non è positivo il giudizio sulle attività trattamentali: non ci sono detenuti semiliberi, soltanto 5 detenuti lavorano all’esterno dell’istituto; 95 i lavoranti, a turnazione e per sole 3 ore la giorno, all’interno della struttura; al momento non si svolgono corsi di formazione professionale.

Sono 2 i bambini presenti al momento della visita. Persiste il dramma della loro permanenza in istituto per l’intero arco della durata della pena della madre, al contrario di quanto avviene in altri istituti carcerari italiani.

Palmi: i colloqui con il Magistrato di Sorveglianza e le visite mediche alla presenza degli agenti di Polizia Penitenziaria. Alcuni detenuti lamentano di non riuscire ad ottenere permessi pur rientrando nei termini di legge inoltre, per alcuni, è difficile riuscire ad ottenere la declassificazione dall’Eiv anche se la sintesi non presenta elementi ostativi, in particolare un detenuto attende da 7 anni la declassificazione ed ha prodotto diverse istanze, l’ultima un anno e mezzo fa circa, rimaste senza risposta dal Dap.

Opg Sant’Eframo: nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli il tempo si è fermato. I detenuti vivono in condizioni igieniche inesistenti e spesso abbandonati a loro stessi.

Il vecchio monastero di Sant’Eframo, all’angolo della centrale e trafficata via Matteo Renato Imbriani, è un’isola nella quale non giungono i rumori della città. Ma non è un’isola felice. Perché qui, in quello che oggi è l’Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli, non arriva nemmeno l’eco delle riforme penitenziarie e psichiatriche.

Con Sergio Piro, figura storica della psichiatria democratica e Francesco Caruso, deputato indipendente del Prc, varchiamo le porte di una struttura che ad oggi "ospita" circa 100 internati. L’odore di urina è forte e si avverte sin dalla prima rampa di scale che ci porta alla seconda sezione minorati. Un odore che si mischia alla scarsa igiene e alle cicche di sigarette sparse un po’ ovunque. Lungo il corridoio, da una cella, un internato molto giovane, Giovanni M. riconosce un profilo noto, "uà i no-global!" esclama e, euforico, ci invita ad entrare. La scena che ci si presenta è agghiacciante. La cella è in condizioni igieniche indescrivibili, avanzi di pasti, sigarette, bucce di arance, sporcizia. Allo sporco fa da contrappeso l’assenza di ogni tipo di suppellettili. Qui sono ammassate sei persone. I letti, l’uno all’altro adiacenti, sono coperti da lenzuola di un grigio imprecisato, che emanano un odore molto forte.

Un internato più anziano ci invita ad entrare in bagno, mentre Sergio Piro dialoga con alcuni ragazzi. I bagni sembrano uscire da un’altra epoca. Tre cessi, affiancati, divisi da una sorta di paratia di ferro, sono pieni di ruggine e liquami. Il lavabo, di quelli che si usa per lavare i panni, è pieno di acqua limacciosa, così come l’acqua copre completamente il pavimento perché il tubo perde. Non c’è acqua calda, non c’è una doccia.

Non mancano solo nella cella, mancano su tutto il piano, ci dicono. Incredibile ma è così. Non ci sono docce nelle celle né in tutto reparto. Giovanni M., che ha ventiquattro anni, è qui da un anno. Faceva uso di sostanze, è stato denunciato dalla famiglia. Estorsione, per una somma di 12 euro. Le storie si sovrappongono, tutti in attesa di un parere medico o di una perizia. Giovanni sveglia un compagno che, nonostante il nostro arrivo è rimasto immobile sul letto.

Quando Andrea D. si volta, mette in mostra i suoi avambracci, devastati da piaghe. All’altezza del polso due buchi, come quelli da piaghe da decubito con una lesione della pelle che sembra molto profonda sino a raggiungere l’osso. Andrea dice che è colpa della droga, che lui prima si drogava, ma ora non più, se solo tornasse a casa il padre saprebbe come curarlo. Tutti vestono panni vecchi, molto sporchi, l’aspetto è estremamente dimesso, ma riescono a raccontare, seppur confusamente, le loro storie.

Proseguiamo lungo i corridoi, dalle celle richieste di aiuto, di assistenza legale, di alloggio, spesso semplicemente anche di una sola sigaretta. Camillo De Lucia, psichiatra dell’istituto che ci accompagna, di fronte alle nostre perplessità ci dice che sbagliamo a confrontare le loro condizioni con quanto prevede l’ordinamento penitenziario, ma che come riferimento dobbiamo prendere le condizioni dei vecchi manicomi giudiziari. Confrontato con l’orribile del passato, l’indecenza del presente dovrebbe essere meglio tollerata.

In una cella, solitario, tremante, a piedi nudi, un uomo è inginocchiato appoggiato alle sbarre della porta. Gli passano tutti di fronte con estrema indifferenza. Sergio Piro si ferma, si inginocchia gli stringe la mano ("stringete le mani ci dice, è importante il contatto è importante", ripete). Gli domanda il nome. Lorenzo M. ha circa cinquanta anni, tremante biascica qualcosa e ci chiede una sigaretta. La sua cella come tutte quelle che incontriamo, salvo rare eccezioni, è desolatamente vuota e sporca. Nei corridoi l’odore di urina è spesso fortissimo, in diverse celle, piene di rifiuti, manca il televisore. Li rompono, ci dice Salvatore De Feo, il direttore, molti di quelli che ci sono li ha donati il Pio Monte della Misericordia.

Chiediamo di vedere la sala di contenzione, ma dopo un primo giro in un corridoio chiuso, ci viene detto che non c’è, qui non si usa. Ci basterebbe vedere anche quella in disuso, ma forse per difetto di comunicazione o forse perché siamo viandanti distratti non ci viene concesso questo onore. Così come, in quei corridoi, non abbiamo avuto il piacere di incrociare un medico o un infermiere.

In una cella incontriamo Fabio M., che avevamo incontrato durante la nostra visita all’Opg di Aversa. Detto "bambolella", perché gira sempre con una bambola di Barbie in mano. È felice di vederci. Ci aveva raccontato, nell’occasione precedente, di subire molestie. Ne avevamo parlato con il direttore. Il trasferimento l’ha rinfrancato, ci chiede di ringraziare "la dottoressa Roberta" (Roberta Moscatelli del Forum Salute Mentale, ndr) che l’ha fatto trasferire. Non è merito nostro, ma Fabio è convinto del contrario. Un agente che ci accompagna, con poetica chiosa, ci dice: "Non so se è omosessuale, ma di sicuro è ricchione". Parte della struttura è chiusa, una piccola ala, con circa venti internati è stata da poco rifatta ed almeno qui non si sente odore di urina.

Giungiamo all’aperto, al passeggio. Un cortile di cemento, di pochi metri quadri con una grata molto alta attorno. L’effetto di una gabbia, con dentro uomini poco più che animali. I visi e le storie si sovrappongono. Dai buchi delle grate passiamo le sigarette, una fila ordinata, ogni mano una sigaretta, i più pronti passano per un secondo giro. Un internato, che abbiamo incontrato nel giro, è felice, la stretta di mano di Piro l’ha illuminato: "Ciao grande Sergio", grida mentre ci allontaniamo.

C’è ancora tempo per un gesto. Mentre Francesco raccoglie le ultime storie e distribuiamo le ultime sigarette, Giovanni M. si avvicina, estrae dalla tasca il suo pacchetto di sigarette e dice: "Facciamo uno scambio, tu mi dai una tua diana blu e io ti do una mia rossa". Sorride, il baratto, così lo chiama, lo rende felice, mentre pochi metri più in là un internato obeso è preso in giro dai suo compagni di pena. Ce ne andiamo così, con quella sofferenza che nessuno di noi sa spiegare e con quella sigaretta che ancora adesso aspettiamo a fumare.

Al carcere si può anche rinunciare, purché la pena sia credibile

di Vittorio Grevi (Docente di Diritto Penitenziario Università di Pavia)

 

Corriere della Sera, 16 maggio 2007

 

Durante la recente visita al carcere di Rebibbia, il presidente della Repubblica ha avuto occasione di esprimere alcuni concetti fondamentali sulle grandi linee del sistema penale, e soprattutto sulla disciplina della pena detentiva. E, su questi aspetti, le parole del capo dello Stato hanno riecheggiato i risultati della più moderna elaborazione della scienza penalistica, senza dubbio ben presenti anche al ministro Mastella e alla Commissione ministeriale per la riforma del codice penale presieduta da Giuliano Pisapia.

Anzitutto il presidente Napolitano è stato netto nell’affermare l’idea che la pena detentiva debba essere riservata dal legislatore soltanto ai condannati, i quali abbiano commesso "crimini che destano allarme, che ledono gravemente valori e interessi preminenti e intangibili". Si tratta della concezione della pena detentiva come extrema ratio, cioè come sanzione da infliggersi quando ogni altra risulti non adeguata a soddisfare quelle esigenze, in vista delle quali si prevede che un soggetto colpevole sia assoggettato a pena. Con la conseguenza, naturalmente, che intanto la pena detentiva potrà essere sostituita da pene alternative di diversa natura, in quanto queste ultime risultino idonee ad assolvere nel caso concreto le ordinarie funzioni di prevenzione generale e speciale, nonché di risocializzazione del condannato, tipiche della pena.

A questo proposito, appare assai significativo il richiamo fatto da Napolitano, e ripreso anche da Mastella, alla necessità di ripensare attraverso soluzioni condivise l’intero sistema sanzionatone, in particolare mediante la previsione di un ampio ventaglio di pene non detentive, purché "credibili" ed "efficaci" (sia in chiave di deterrenza dal commettere reati, sia in chiave di recupero del condannato), di cui lo stesso giudice del processo possa avvalersi per sanzionare i reati meno gravi.

Al riguardo occorre uno sforzo di fantasia e di equilibrio legislativo, così da conciliare il comprensibile auspicio verso la "decarcerizzazione" non solo con le superiori esigenze di "sicurezza della collettività" (esigenze che difficilmente potranno prescindere dalla sanzione carceraria, nel caso dei reati più gravi, cominciando da quelli oggi puniti con pena detentiva non inferiore a 4 anni), ma anche con l’attenzione dovuta alle "vittime del reato". Quantomeno nel senso di assicurare rispetto per la posizione delle stesse vittime e di assecondarne le legittime aspirazioni morali non già alla vendetta, bensì affinché sia "fatta giustizia": come, del resto, è stato riaffermato da ultimo anche nel corso del "giorno della memoria" dedicato alle vittime del terrorismo.

D’altro canto, muovendo realisticamente dal presupposto che alla pena detentiva - per quanto possa venirne ridotta l’area dell’effettiva applicazione - non si potrà rinunciare, il presidente Napolitano ha posto l’accento sulla necessità che, in ogni caso, l’esecuzione di tale pena debba avvenire nel "rispetto della dignità del detenuto", e quindi attraverso forme, strumenti e interventi diretti ad agevolarne il "reinserimento sociale". Si tratta, come noto, di un postulato fondamentale della filosofia del "trattamento rieducativo", cui da oltre trent’anni è ispirato il nostro ordinamento penitenziario, e che però stenta ancora a trovare completa attuazione nella pratica.

Non a caso, proprio su alcune specifiche questioni relative alla concreta realtà del trattamento dei detenuti (garanzia della salute, avviamento al lavoro, attività scolastiche, tutela delle detenute madri) si sono soffermate le parole di Napolitano. Per contro, appare oggi ridimensionato il grave problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari, grazie agli effetti dell’indulto dello scorso luglio (che, accanto a diversi riflessi controproducenti, almeno questo risultato ha ottenuto, peraltro conseguibile anche per altra via, e con minori costi politici). Più in generale, l’impegno comune - dentro e fuori le mura del carcere deve essere rivolto a diffondere sempre più quella "cultura della legalità", che davvero rappresenta nell’intero contesto sociale "il più formidabile strumento di prevenzione" dei reati.

Giustizia: Antigone; dopo-indulto, in 9 mesi 4.500 detenuti in più

 

Redattore Sociale, 16 maggio 2007

 

Dopo l’indulto, "aumento preoccupante" di detenuti: sono 42.700 ad oggi, il 35% è straniero. Antigone presenta i dati dei primi tre mesi di attività degli osservatori. Preoccupa "l’uso massiccio di psicofarmaci": sono somministrati ad oltre il 50% dei ristretti.

Partita il 15 febbraio scorso, la Campagna lanciata da Antigone per monitorare la condizione del carcere dopo l’indulto registra, tra l’altro "un preoccupante aumento della popolazione carceraria": erano 39.157 i detenuti a gennaio 2007 secondo il Dap, sono ad oggi 42.702 di cui il 35% rappresentato da stranieri. L’associazione ha diffuso oggi i dati dei primi tre mesi di attività degli osservatori, che mira a verificare, con particolare attenzione, il funzionamento dell’assistenza sanitaria e l’attuazione del regolamento penitenziario. Al 13 maggio sono state effettuate 24 visite in 23 istituti compreso l’Opg Sant’Eframo Napoli. "Dopo l’approvazione del provvedimento di indulto, soprattutto nei piccoli istituti, le direzioni a hanno chiuso molti reparti per risparmiare personale, ma non li si è ristrutturati per renderli più vivibili, così la popolazione detenuta in diversi istituti ha continuato a vivere disagiata", sottolineano.

Regolamento penitenziario - Nessuno degli istituti visita ha dato piena attuazione alle prescrizioni ivi previste: in 4 carceri su 5 non ci sono mediatori culturali e le docce non sono collocate all’interno della cella. In 3 carceri su 5 le finestre sono dotate di schermature. In circa il 40% dei casi i servizi igienici delle celle non sono dotati di acqua calda e non sono collocati in un vano separato rispetto a quello che ospita i letti; ancora nel 50% dei casi non sono consentiti colloqui in spazi all’aria aperta e nelle sezioni femminili i servizi igienici delle celle non sono dotati di bidet.

Assistenza sanitaria - "Desta preoccupazione l’uso massiccio di psicofarmaci: oltre il 50% dei ristretti fa uso di psicofarmaci", sottolineano gli osservatori. Si usano soprattutto ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici, antinfiammatori, antidolorifici, farmaci per lo stomaco. Alto anche il numero di tossicodipendenti. Le malattie maggiormente diffuse sono le epatiti e le malattie della pelle; inoltre si riscontrano problemi per l’approvvigionamento dei farmaci e in molti istituti non è garantita la presenza di personale medico 24 ore su 24. In particolare gli osservatori hanno denunciato la situazione di degrado in cui versa il reparto all’interno del presidio sanitario, riservato all’osservazione neuropsichiatria della Casa Circondariale Milano S. Vittore: "Le celle e il reparto stesso sono ambienti degradati e degradanti, con i muri scrostati in stato di abbandono. Ciò che colpisce è l’odore di stantio e di sporco", scrivono. Al carcere di Imperia "mancano i fondi per convenzioni con specialisti; il servizio di guardia medica è stato ridotto da 18 a 10 ore; servizio psichiatrico Sert attivo per 8 ore al mese con problemi di obbligo di 4 entrate mensili (4x2) e relativa impossibilità di monitorare i nuovi entrati, così come per il servizio della psicologa che ha 18 ore al mese". È inoltre assente il servizio di psichiatria, "pare per mancanza personale disponibile Asl".

Giustizia: sì del Csm ai processi accantonati per l’indulto

 

Ansa, 16 maggio 2007

 

I processi destinati a concludersi con pene già condonate dall’indulto possono marciare su un binario lento per lasciare spazio a tutti gli altri dibattimenti e, quindi, bene ha fatto il procuratore di Torino, Marcello Maddalena, ad operare un "filtro" che non viola il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Al termine di un lungo dibattito, il plenum del Consiglio della magistratura si è spaccato e ha approvato la risoluzione di Ezia Maccora (Magistratura democratica) in base alla quale le determinazioni della circolare Maddalena "risultano del tutto conformi al sistema ordinamentale in tema di organizzazione degli uffici di procura".

Il "doppio binario" attivato a Torino con l’accordo di tutti i pm, per smaltire i processi che possono dar luogo a pene eseguibili, è per il Csm un buon sistema per affrontare l’emergenza. Però, in questo modo, il Consiglio respinge la linea degli avvocati che si erano rivolti a Palazzo dei Marescialli con un esposto dell’Unione delle camere penali.

A favore della proposta Maccora hanno votato i togati di Magistratura democratica, quelli di Magistratura indipendente e quelli del Movimento per la giustizia mentre, tra i "laici", hanno detto sì il vice presidente Nicola Mancino e i consiglieri Vacca (area Pdci) e Volpi (indicato dal Prc). Tredici voti, dunque: e sarebbero stati 14 se il "laico" Siniscalchi (Ds) non avesse avuto un impegno che lo ha costretto ad allontanarsi. Dieci voti, invece, ha ottenuto la risoluzione di Luisa Napolitano (Unicost) che si concludeva invitando "il Procuratore Maddalena a riconsiderare la circolare in oggetto". Su questo secondo fronte si sono schierati i togati di Unicost, i laici della Cdl Anedda e Saponara, la Tinelli (Ds) e il procuratore generale della Cassazione Delli Prìscoli.

Visto che la Costituzione prevede l’obbligatorietà dell’azione penale, il dibattito si è svolto intorno all’"accantonamento" dei processi sgonfiati dall’indulto, da concludersi in "attesa di tempi migliori", e al suggerimento di archiviare anche con una certa "generosità" quando il passaggio al dibattimento appare infruttuoso fin dal principio. E questo, ha detto Ezia Maccora "non è un invito all’abdicazione dell’esercizio dell’azione penale ma un’esortazione a un suo oculato esercizio...". Una necessità se l’indulto vanifica l’80 per cento dei processi.

Papillon: non basta l’indulto, che il carcere sia l'extrema ratio

 

Liberazione, 16 maggio 2007

 

"Bene l’indulto, ma ora bisogna modificare le leggi: oggi le carceri sono piene di detenuti in attesa di giudizio e di innocenti. E la magistratura boccia la maggior parte delle richieste di pene alternative". Vittorio Antonini è il coordinatore di Papillon Rebibbia, un’associazione che dal 2001 si batte per i diritti dei detenuti.

 

In un anno di governo qualcosa si è mosso. Nel bottino non c’è solo l’indulto. Sta per vedere la luce anche il Garante dei detenuti. Bilancio positivo?

L’indulto è stato un provvedimento sacrosanto che ha reso la situazione carceraria decisamente più tollerabile. Sul progetto di legge che riguarda il Garante, invece, come associazione di detenuti abbiamo molte perplessità.

 

Cosa non la convince?

È indubbia la buona intenzione di rendere più trasparente il regime carcerario, ma sul piano teorico generale non ci convince l’idea di un tutore. Ogni cittadino, e dunque anche un detenuto, deve poter agire direttamente sul piano del diritto e far valere le proprie istanze. In concreto il Garante ci sembra un carrozzone costoso e inutile. I suoi poteri si fermano sulla porta degli uffici dell’Amministrazione penitenziaria e della Magistratura di Sorveglianza.

 

Per decongestionare le carceri l’indulto non basta. La vostra battaglia riguarda soprattutto i benefici di legge previsti dalla Gozzini: permessi premio, affidamento ai servizi sociali. Qual è l’orientamento prevalente della magistratura di sorveglianza?

Oggi oltre due terzi delle domande dei detenuti per accedere alle misure alternative al carcere vengono respinte quasi esclusivamente sulla base di una presunta pericolosità derivante dai precedenti penali, anche quando non vi è nessuna prova effettiva della attualità dei collegamenti con il mondo del crimine. In questo modo fruire dei benefici della Gozzini è un terno al lotto. La legge dovrebbe intervenire per porre dei paletti fermi alla cosiddetta discrezionalità del Magistrato di Sorveglianza.

 

In che modo?

Chiediamo di rovesciare i termini del problema: laddove la formula prevede che il magistrato "può" concedere misure alternative, bisognerebbe dire "deve", tranne nei casi in cui è comprovata l’attualità dei collegamenti con il mondo del crimine. Non è un’istanza solo dei detenuti, ma un problema di funzionalità del sistema. L’occasione per riflettere su tutto ciò potrebbe essere una conferenza nazionale dei presidenti dei tribunali di sorveglianza. Da un bilancio serio e sereno emergerebbe una volontà generale di migliorare la legge.

 

La commissione Pisapia sta lavorando per circoscrivere il regime carcerario a determinate fattispecie di reato. Mi sembra un passo in avanti notevole.

Il lavoro di Pisapia è encomiabile. Noi crediamo che il carcere sia l’extrema ratio e che le misure alternative debbano essere previste come pena già in sede di sentenza. È necessario ampliare l’area penale esterna al carcere e in questo senso sottoscriviamo la proposta del Sappe, il maggiore sindacato degli operatori penitenziari: svolgere lavori socialmente utili anche con retribuzione minima o senza retribuzione.

 

Altro problema. In carcere non ci sono solo i "delinquenti"...

Più della metà dei detenuti sono in attesa di giudizio. Le statistiche dicono che la metà di loro vengono assolti per non aver commesso il fatto. Questo significa che tuttora ci sono circa 11 mila innocenti in carcere. E la stragrande maggioranza sono persone che vivono ai margini della società: migranti, tossicodipendenti. La magistratura di sorveglianza opera in termini di classe.

 

Siete per abolire la custodia cautelare in carcere?

Noi diciamo che va modificata la legge. Con la custodia cautelare in carcere una persona si vede tagliate tutte le fondamentali relazioni di vita anche prima della sentenza definitiva. Questa cosa è inaccettabile. Laddove non esistono forme di reato particolarmente gravi, la reclusione deve essere vietata.

Medicina penitenziaria: l'urgenza di una riforma mai attuata

 

Fp-Cgil Piemonte, 16 maggio 2007

 

"Il d.lgs. n. 230/1999. Un progetto di salute per il carcere". L’urgenza di una riforma mai attuata.

L’attuazione della riforma della medicina penitenziaria, impostata dalla legge n. 419 del 1998 e definita dal decreto legislativo 230 del 1999, che prevede il trasferimento delle competenze al servizio sanitario nazionale, è ad oggi limitata alla sola parte relativa alla cura delle tossicodipendenze.

La Corte dei Conti ha indagato sul ritardo nell’applicazione della riforma e ha verificato tra l’altro la scarsa attenzione dedicata, dal Ministero della Giustizia e dal Ministero della Salute, all’esecuzione della "fase sperimentale partita dal 2000 e ritenuta invece essenziale per una gradualità ed efficacia del trasferimento dei compiti sanitari. L’indagine ha anche appurato che nel medesimo periodo in cui presso il Ministero della Salute erano in corso i lavori del "Comitato misto Salute-Giustizia" (insediato nell’aprile 2002 per monitorare i risultati della sperimentazione), è stata costituita ed ha iniziato l’attività (presso il Ministero della Giustizia) una "Commissione mista Giustizia-Salute", con il compito di elaborare uno schema di disegno di legge diretto a ricondurre l’assistenza presso l’Amministrazione penitenziaria. Tale schema, completato dalla Commissione a fine 2003, abroga il decreto legislativo 230 del 1999, salvo che per la parte già operativa in materia di cura delle tossicodipendenze.

Le conseguenze sono il persistere di un servizio sanitario anacronistico, autoreferenziale, basato su prassi operative improntate all’emergenza, dotato di strumentazioni obsolete, subordinato all’esigenza di ordine e sicurezza, in contrasto con il dettato costituzionale che garantisce ai cittadini, anche se privati della libertà, il diritto alla salute ed alla cura.

In realtà miglia di detenuti sieropositivi, tossico ed alcool dipendenti, malati di Aids, di tubercolosi, di epatiti, affetti da disturbi mentali, portatori di handicap fisici, uomini e donne, madri e figli da 0 a 3 anni, vale a dire tutte quelle persone provenienti da fasce di esclusione sociale maggiormente colpite dallo smantellamento del welfare, non vedono garantite né azioni di prevenzione, né cure tempestive ed appropriate della malattia. L’alto numero di decessi, suicidi e di cronicizzazioni di varie tipologie sono riferibili oltre che all’effetto patogeno intrinseco dello stesso stato detentivo e a cause strutturali quali il sovraffollamento e le condizioni igieniche, anche all’organizzazione di un sistema sanitario penitenziario fondato su una miriade di rapporti convenzionali, frantumati, incerti. Sulla tutela dei diritti hanno prevalso non solo le manifestate resistenze alla riforma dei due Dicasteri interessati, ma anche le reticenze e il silenzio di istituzioni, forze politiche, organizzazioni professionali che hanno scelto di privilegiare vecchie logiche corporative.

In coerenza col suo modello di politica sociale solidale fondata sulla centralità dei diritti, la Cgil Funzione Pubblica ha già promosso nello scorso anno la costituzione di un Forum Nazionale per la salute in carcere insieme a una fitta rete di organizzazioni sociali e di esponenti della magistratura e della cultura, attenti alla difesa della qualità della vita in carcere e della dignità della pena quali condizioni indispensabili per un reale recupero sociale.

La Cgil-Fp Piemontese, proseguendo l’impegno nei confronti del mondo penitenziario già avviato nel giugno 2004 con il convegno "La tutela dei diritti nella privazione della libertà", intende aprire un confronto con le forze politiche e gli operatori impegnati nel settore per una proposta articolata che, nell’ottica di una piena attuazione della riforma, preveda la costruzione di un sistema di servizi che corrisponda alla domanda di assistenza, alla peculiarità del contesto carcerario, alla necessità di chiarezza nell’utilizzo del denaro pubblico.

In un momento di rigorosa, necessaria, attenzione alla verifica dei conti pubblici e di contrasto agli sprechi, non appare più sostenibile che la spesa sanitaria in carcere equivalga a quella erogata dal Ssn e in più assorba, tramite convenzioni, patti regionali e accordi estemporanei, risorse economiche dei territori. Il risultato è una preoccupante tendenza alla strutturazione di sistemi incerti e duali, che denunciano ambiguità di gestione e non innalzano significativamente il livello dell’assistenza sanitaria in carcere.

L’obiettivo è di costruire un nuovo modello organizzativo che non si limiti a rivisitare l’esistente né riproduca acriticamente il modello sanitario esterno negli Istituti, disconoscendo la specificità del contesto carcerario e rischiando di reiterare il processo di rimozione culturale che affligge da sempre l’universo penitenziario.

La sfida è di costruire un progetto che, ispirandosi all’universalità del diritto alla salute, valorizzi quelle competenze ed esperienze, umane e professionali, degli operatori che finora hanno garantito l’assistenza sanitaria in assenza di strategie organizzative rispondenti alla peculiarità del contesto e in condizioni di difficoltà ed isolamento.

L’invito è rivolto alle istituzioni, alle forze politiche e ai soggetti democratici motivati a sostenere il carcere nel superamento della sua cronica condizione di separatezza dal mondo civile e in un percorso di incardinamento nel territorio realmente funzionale alla tutela dei detenuti.

Pedofilia: la psicologa Marina Valcarenghi; i mostri non esistono

 

Panorama, 16 maggio 2007

 

"I mostri non esistono. Un pedofilo non va identificato col suo reato. Per me è prima di tutto una persona. E un paziente con un disagio psichico che va curato e guarito. Anche con i miei pazienti pedofili instauro spesso un vero rapporto d’amore". Il rigore scientifico e la naturalezza con cui Marina Valcarenghi, psicoterapeuta milanese con trent’anni d’esperienza, pronuncia queste frasi fanno quasi dimenticare il loro contenuto di rottura. Nel 1994 il carcere di Opera le affidò un progetto pilota di psicoterapia sui detenuti.

Per nove anni Valcarenghi ha lavorato con un gruppo di sex offender (pedofili e stupratori) della sezione di isolamento maschile. Da allora molti uomini (e qualche donna) con comportamenti sessuali violenti si sono rivolti a lei per essere curati e continuano a farlo. La pedofilia infatti è uno dei reati a più alto tasso di recidiva e le misure preventive sono urgenti, sia per tutelare le piccole vittime di una violenza terribile, sia per mettere gli autori di questo crimine nella condizione di difendersi da un desiderio tanto riprovevole quanto irrefrenabile. Marina Valcarenghi indica la via in un libro dal titolo Ho paura di me. Il comportamento sessuale violento, recentemente pubblicato da Bruno Mondadori.

 

Dottoressa Valcarenghi, partiamo dal titolo del libro.

"Ho paura di me" è una delle frasi che ho sentito più spesso ripetere dai miei pazienti. Molti di loro hanno paura della propria pulsione. Se si guardano allo specchio vedono un mostro, di cui hanno orrore.

 

Lei cerca di trovare le cause della pedofilia, ma spiega come non esista un’origine comune a questi comportamenti disturbati. A volte però i pedofili hanno subito a loro volta un abuso durante l’infanzia.

Capita in alcuni casi che chi abusa di bambini sia stato vittima di violenze, ma la cosiddetta "catena dell’abuso" è solo una delle possibili cause della pedofilia. Non esiste un legame necessario tra le due situazioni. Le persone reagiscono a un trauma subìto nei modi più diversi e non è detto che tutti diventino molestatori di minori.

 

Ha mai avuto paura davanti a uno dei suoi pazienti?

No. Cerco sempre di distinguere tra la persona e il reato che ha commesso. Verso quest’ultimo nutro ripugnanza. Ma un pedofilo non è mai solo l’azione violenta che ha compiuto: è anche un padre, un figlio, un marito, con una storia, dei rimorsi, dei disagi. Quello che è davvero barbaro è identificare un essere umano col suo reato.

All’inizio, lo ammetto, è stato molto difficile. Loro, uomini violenti, non si fidavano di una donna medico. Lentamente però è nata una relazione affettiva, la stessa che si crea nel migliore dei casi tra uno psicoanalista e il suo paziente, direi un vero rapporto d’amore. Questo non significa certo collusione o giustificazione per il reato di pedofilia. Sono rimasta in contatto con molti di loro: la maggior parte conduce una vita normale e ha una famiglia. Senza più pulsioni patologiche.

 

Qual è secondo lei l’approccio migliore in casi come questi?

Il reato deve essere assolutamente punito, ma il pedofilo è anche un deviante, un uomo che soffre e in quanto tale va aiutato. Il carcere non basta. Questo problema psichico va curato come tutti gli altri disturbi. Anche se tengo a precisare che la terapia è efficace solo nel caso in cui il paziente vi si sottopone in modo volontario. Ora sto per esempio seguendo un pedofilo esibizionista (cioè una persona che impone la visione del proprio corpo nudo a dei bambini, ndr), che è in attesa del giudizio definitivo. Lui sa che dovrà scontare almeno tre anni di carcere, ma nel frattempo si è fatto curare da me ed è clinicamente guarito. Non ha più quella pulsione. Ha voluto sottoporsi alla terapia finché era a piede libero, rendendosi conto che in prigione non è possibile.

 

La sua esperienza a Opera è rimasta senza seguito. Perché?

Perché non ci sono i fondi per questo tipo di attività. E perché non c’è la volontà politica di spenderli in questo modo. Molti considerano mal spesi i soldi impiegati per aiutare i cosiddetti "delinquenti". Invece la mia esperienza ha dimostrato che se si spezza l’isolamento in cui sono rinchiusi i detenuti, con la psicoterapia ma anche con iniziative che fanno entrare la società civile dentro al carcere come corsi di formazione, attività sportive e culturali, il loro livello di aggressività si attenua notevolmente.

 

Che cosa le ha insegnato Opera?

Ho capito che tutti hanno qualcosa da salvare, che non ci sono persone irrecuperabili per definizione. I mostri non esistono, chiunque ha un nucleo di umanità da difendere. Dopo Opera ho deciso di curare coloro che nessuno vuole curare.

 

Di pedofilia si può guarire quindi?

Certo. Qualunque disagio psichico può essere curato con buone possibilità di riuscita, compresa la pedofilia. Molti pazienti oggi vengono da me dopo aver scontato la pena o in attesa del giudizio. Alcuni si fanno curare senza essere mai stati denunciati né perseguiti. Il diritto alla cura, anche psicologica, è sancito dalla Costituzione e va affiancato all’eventuale condanna penale. Solo così si riabilita e si guarisce un detenuto con comportamenti sessuali violenti. Con evidente vantaggio per tutti.

Volontariato: un "testimone vigile" nel mondo del carcere

 

Redattore Sociale, 16 maggio 2007

 

Si apre il 17 maggio la IV Assemblea nazionale del volontariato giustizia; al centro del confronto tra istituzioni e associazioni la riforma del sistema penale e penitenziario e l’allargamento delle misure alternative.

Si apre a Roma il 17 maggio la IV Assemblea nazionale del volontariato giustizia, promossa dalla Conferenza nazionale volontariato giustizia (Cnvg) che riunisce, con oltre 8.000 volontari, organismi e gruppi attivi nel campo della giustizia, della tutela dei diritti e delle carceri. Nell’intenzione dei promotori l"assemblea vuole essere un momento di "riflessione tra i volontari, gli operatori e le istituzioni sull’esigenza di una organica riforma del sistema penale e penitenziario - come l"indulto ha evidenziato - sull’allargamento delle misure alternative e la costruzione di una rete sociale che le renda possibili, sul ruolo del volontariato, testimone vigile di quanto avviene tra le istituzioni e il mondo del carcere". "Percorsi di giustizia, codice penale e inclusione sociale" il tema scelto, filo rosso che lega tutti gli interventi.

La tre giorni che si svolge nell’Aula Magna di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre, si apre giovedì 17 maggio alle ore 15 si apre con una discussione introduttiva coordinata dal giornalista Giovanni Anversa su prevenzione dei reati, modifica del sistema sanzionatorio penale,

emarginazione e politiche di welfare, alla quale parteciperanno tra gli altri Luciano Eusebi, Ordinario di Diritto Penale - Commissione parlamentare per la riforma codice penale, Enrico Pugliese, Ordinario di Sociologia del lavoro all’Università di Napoli, il sottosegretario all’Interno Marcella Lucidi ed Ettore Ferrara, capo dipartimento Amministrazione penitenziaria. Nella seconda giornata, venerdì 18 maggio, gruppi di lavoro a cui aderiranno esperti e volontari discuteranno su "Minori e giovani adulti", "Legislazione e pena", "Volontariato e sfide future" , "Prevenzione e politiche sociali", "Misure alternative alla detenzione e rete di sostegno". Infine nella mattinata di sabato 19 maggio, le conclusioni e le proposte dei gruppi di lavoro verranno esposte all’ Assemblea,

interverranno il ministro della Giustizia Clemente Mastella, il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero, e il Sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, concluderà i lavori il presidente della Cnvg Claudio Messina. Guarda il programma completo.

Ascoli: troppi infarti in carcere, incontro con i cardiologi

 

Corriere Adriatico, 16 maggio 2007

 

Il cuore dei detenuti è in pena, i circa 650 reclusi nelle carceri marchigiane necessitano di prevenzione cardiovascolare. Proprio pensando a loro l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Anmco) e la sua Fondazione la Heart Care Foundation promuovono la prima Campagna Nazionale di Prevenzione ed Educazione Cardiovascolare negli Istituti Penitenziari del nostro Paese. Nelle Marche la fase pilota del progetto partirà il 18 maggio, con una giornata di incontri e corsi tenuti dai cardiologi ospedalieri presso la Casa Circondariale di Marino del Tronto. Ogni anno numerosi detenuti muoiono in carcere e alcuni di questi decessi sono dovuti a cause cardiovascolari, ad esempio un arresto cardiaco. "La giornata sarà scandita da due momenti distinti", spiega Mauro Persico, Coordinatore Regionale dell’iniziativa per le Marche e Direttore dei corsi di Rianimazione Cardiopolmonare Anmco.

"Al mattino, dalle 9.30 alle 11, i cardiologi tratteranno i temi relativi ai fattori di rischio cardiocircolatorio e illustreranno le manovre di primo soccorso spiegando come attivare il sistema di emergenza in modo corretto. All’incontro parteciperanno i detenuti, il personale di polizia penitenziaria ed il personale amministrativo; seguirà una tavola rotonda cui prenderanno parte anche personalità del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, esperti della sanità cittadina e rappresentanti della Provincia e dei Comuni di Ascoli e San Benedetto del Tronto. Nel pomeriggio - prosegue Persico - istruttori Anmco terranno corsi teorico-pratici di gestione dell’emergenza e uso dei defibrillatori per il personale di polizia penitenziaria che, dopo una valutazione finale, otterrà un certificato di qualificazione e contestualmente verrà rilasciata l’autorizzazione all’uso dei defibrillatori da parte del Responsabile del 118".

Firenze: "Quasi Pinocchio", spettacolo per i ragazzi dell’Ipm

 

Redattore Sociale, 16 maggio 2007

 

Cinque scene ripercorrono le tappe principali della storia, a simboleggiare le difficoltà di un adolescente e il percorso di rinascita. I proventi della serata andranno all’istituto minorile Meucci.

La storia di Pinocchio come quella di un adolescente, che passa e si perde attraverso le difficoltà e alla fine si ritrova. Va in scena questa sera al teatro Verdi di Firenze (ore 20.30, Via Ghibellina 99), "Quasi Pinocchio" rivisitazione in chiave musicale del celebre romanzo di Collodi. I proventi dello spettacolo andranno all’Istituto penale fiorentino per minorenni Meucci - che ospita ragazzi che sicuramente attraversano momenti difficili delle loro vite - per mettere a disposizione della struttura risorse per avviare nuovi progetti di crescita, in cui impegnarsi e trovare opportunità. Lo spettacolo è stato pensato e scritto da Beppe Dati, e "la storia di Pinocchio è un pretesto per raccontare la storia di un adolescente - ha sottolineato l’autore - mi auguro che i temi che porteremo sul palco siano un contributo per questi ragazzi in difficoltà, affinché trovino punti di riferimento, a cominciare dai genitori". Il cantautore Marco Masini sarà presente questa sera come testimonial, e introdurrà lo spettacolo con l’obiettivo di mandare un segnale di riflessione.

"Quasi Pinocchio" è strutturato attraverso cinque scene che ripercorrono le tappe principali della storia. "il paese dei balocchi" apre lo spettacolo come metafora del villaggio globale che piace alle multinazionali. Si continua con "si tocca il fondo", dove i pesci mangeranno il somaro per restituire l’aspetto umano al burattino di legno. Ecco poi "il ritrovamento" che ricorda la parabola del figliol prodigo dove padre e figlio si ritrovano e si abbracciano. La quarta scena si chiama "la fuga", dove le forze soccorritrici arrivano in aiuto di Pinocchio, per poi arrivare alla "trasformazione", quando il burattino si trasforma in bambino e finalmente scopre l’amore per la vita. L’iniziativa è promossa dal Comune di Firenze insieme a cinque Lyons Club (Bagno a Ripoli, Le Signe, Impruneta, San Casciano e Firenze Michelangelo), con il patrocinio del Comune, la Provincia di Firenze e la Regione Toscana, e grazie ai contribuiti di vari sponsor. Nel cast dello spettacolo sono presenti i giovani danzatori e allievi della scuola Nijinsky di Settignano, insieme a ballerini e interpreti esperti.

Pesaro: uno spettacolo teatrale dei detenuti… in tribunale

 

Redattore Sociale, 16 maggio 2007

 

La compagnia de "Lo Spacco", formata da detenuti ed ex-detenuti si esibirà nel palazzo di giustizia di Pesaro nell’ambito di un’iniziativa organizzata dall’Associazione nazionale magistrati e dall’Ordine degli avvocati.

La compagnia de "Lo Spacco", originatasi all’interno della casa circondariale di Villa Fastiggi a Pesaro, grazie al progetto di laboratorio "La comunicazione teatrale", attivato nel 2002 dall’amministrazione penitenziaria in collaborazione con il Teatro Aenigma, presenterà venerdì prossimo alle 17.30, presso la sede del Tribunale di Pesaro lo spettacolo "Commedia in Commedia".

"Da detenuti a protagonisti" è il titolo dell’iniziativa, organizzata dall’Associazione nazionale magistrati (sezione di Pesaro) e dall’Ordine degli avvocati di Pesaro che, per la prima volta in Italia, vede coinvolta una compagnia di attori-detenuti ed ex detenuti nella rappresentazione di un’opera teatrale all’interno di un Palazzo di giustizia.

Il lavoro, con la regia di Vito Minoia - docente di Teatro all’università di Urbino - si ispira a un canovaccio inedito di commedia dell’arte del Seicento (donato agli inizi del Novecento da Benedetto Croce alla biblioteca nazionale di Napoli) e si avvale di una recitazione a soggetto da parte degli interpreti, di varia provenienza regionale e internazionale.

La rappresentazione sarà preceduta da un video di Maria Celeste Taliani e da un intervento di Rosanna Marchionni, dirigente scolastico della scuola "G. Galilei" di Pesaro, a sottolineare l’apertura al territorio della città di Pesaro del laboratorio teatrale promosso in carcere, attraverso il coinvolgimento dei ragazzi della scuola media in progetti scenici paralleli che si sono felicemente intrecciati a quelli sviluppati all’interno della struttura penitenziaria.

In questo modo all’interno del nuovo Palazzo di Giustizia verrà concretizzata l’idea che aveva ispirato il procuratore Gaetano Savoldelli Pedrocchi e l’architetto Giancarlo De Carlo nel progettare uno spazio di riferimento per la vita culturale della città, un foro dove organizzare iniziative partecipate. Nel corso della manifestazione, con inizio alle 16, si svolgerà la cerimonia di consegna della "Toga d’oro" dell’Ordine degli avvocati di Pesaro e verranno esposti i dati relativi all’attività del tribunale. Interverranno, dopo un saluto iniziale del sindaco di Pesaro Luca Ceriscioli, Arturo Pardi, presidente dell’Ordine degli avvocati, Giovanni Angelo Cuccaro, procuratore della Repubblica, Francesco Paolo Miscione, presidente del Tribunale, Daniele Paci, presidente dell’Associazione nazionale magistrati sezione di Pesaro.

Droghe: ministro Chiti; test obbligatori per gli autisti pubblici

 

Notiziario Aduc, 16 maggio 2007

 

"Il Governo si impegna nell’accertamento preventivo e negli accertamenti periodici per escludere uno stato di tossicodipendenza ai quali devono essere sottoposti i lavoratori destinati a mansioni che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi". Così il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, rispondendo al question time alla Camera sulle iniziative del Governo tese a garantire maggiori controlli sui conducenti di mezzi di trasporto pubblici.

"Stiamo dando vita a un confronto con le Regioni per giungere rapidamente a un’intesa che introduca test periodici obbligatori per verificare l’eventuale assunzione di sostanze stupefacenti, tra cui anche l’alcol e i farmaci, che possono compromettere la capacità di guida per i conducenti di servizi pubblici e privati. Questa intesa è necessaria per superare alcuni problemi applicativi emersi nel rapporto Stato-Regioni anche sulla base delle competenze attribuite dalla Costituzione. Comunque il Governo garantirà, nel pieno rispetto delle autonomie regionali, la piena incisività delle misure di lotta agli incidenti stradali causati dall’assunzione di qualsivoglia tipo di droga".

Droghe: Corleone; le "pene dure" non risolvono il problema

 

Il Messaggero Veneto, 16 maggio 2007

 

Il dibattito tenutosi ieri mattina a palazzo Frisacco ha visto una modesta partecipato nonostante il tema fosse quello delle droghe. Proprio a Tolmezzo, pochi giorni fa, un’operazione dei carabinieri ha portato alla scoperta di un giro di stupefacenti che ha coinvolto diversi studenti locali.

Il dibattito è stato aperto da Massimo Brianese, coordinatore de "La Colomba". Marco Lepre ha parlato sul disagio giovanile: "strutture, casa per i giovani, casa dello studente, dovrebbero essere poste a servizio del giovani non solo d Tolmezzo, ma di tutto il territorio, e non devono essere utilizzati per altri scopi". Lepre ha ricordato le varie missive inviate, con sottoscrizione di firme, all’amministrazione comunale tolmezzina per ricercare spazi, quali l’ex canonica, per produrre cultura e dibattiti fra i giovani.

"Per queste iniziative, gli studenti del passato - ha detto Lepre - sono scesi in sciopero per sensibilizzare le istituzioni alle politiche giovanili". "Fatti che accadevano una ventina di anni fa - ha ribadito Lepre -: sarebbe ora che questi ex studenti, ora ultra quarantenni, riprendessero a cuore questo tema, con nuove proposte.

"Affrontare la questione-droga significa prendere in considerazione aspetti diversi della società - ha quindi spiegato Brianese - bisogna parlare però anche delle sostanze e delle pene che la droga comporta." Franco Corleone, segretario di Forum Droghe, già sottosegretario alla Giustizia, ha affermato che le vicende dei giorni scorsi "non possono essere abbandonate, dopo il grande clamore. Quando si è davanti alla criminalizzazione dei giovani, si rischia di non dimenticare, di far portare questo peso perennemente, come stigma pesantissimo, da portare per tutta la vita, specie quando vi è ignoranza sulle sostanze, dove la droga viene identificata come il male assoluto da combattere senza politiche che riconoscano i fatti, quasi a salvare l’anima, passando però sopra il corpo, utilizzando a tale scopo pene e carcere."

Corleone fa la differenza fra le droghe "considerate da qualcuno legali", quali farmaci e quelle illegali, dove ci si schiera contro le ultime, considerando "chissà perché l’hashish fra i peggiori", anche se studi recenti lo pongano dietro a droghe accettate quali tabacco e alcol. "Il proibizionismo non ammette deroghe, farebbe cadere il sistema. Esiste solidarismo paternalista verso il cocainomane, mentre contro la canapa c’è la lotta forte, è un vizio da punire maggiormente." La ricerca scientifica, ha proseguito Corleone, "non attesta grandi problemi di assuefazione della canapa, che non è necessariamente non più pericolosa dell’alcool".

Droghe: Mercedes Bresso (Piemonte); sì a distribuzione eroina

 

Notiziario Aduc, 16 maggio 2007

 

 

"Potrà non piacere, o sembrare permissivo, ma la somministrazione controllata di eroina ha dato risultati positivi a Zurigo". Dopo il sequestro dell’autobus avvenuto ieri in Piemonte, la governatrice Mercedes Bresso parla, in un’intervista al Corriere della sera, di sicurezza, ma anche di droga. "Tutti devono capire che, se la criminalità cambia anche i modi di difendersi devono cambiare". E, tra le "soluzioni nuove da considerare", annovera anche "un modo diverso di affrontare il problema della droga". Secondo la presidente della regione Piemonte, "dobbiamo reagire in modo laico e concreto, badando all’efficacia più che all’ideologia.

Se dare eroina controllata ai tossicodipendenti fa diminuire i reati, pensiamoci seriamente".

"La presidente diessina del Piemonte non soltanto confonde l’eroina con la cocaina, ma smentisce anche clamorosamente il suo collega di partito Chiamparino, sindaco di Torino, che soltanto dieci giorni fa ha chiesto di punire anche i semplici consumatori di droga".

Lo dice Carlo Giovanardi, deputato dell’Udc, a proposito delle aperture dichiarate dal presidente del Piemonte, Mercedes Bresso, in un’intervista al "Corriere della Sera", sulla somministrazione controllata di eroina. "Gli esponenti della Sinistra - spiega Giovanardi - si comportano come dilettanti allo sbaraglio nei confronti dei terribili problemi collegati alla criminalità e alla immigrazione". Per quanto ci riguarda, conclude Giovanardi, "contrasteremo fortemente ogni tentativo di introdurre in Italia sperimentazioni già fallite miserevolmente all’estero".

 

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