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Giustizia: Bertinotti; assicurare ai detenuti il diritto alla salute
Apcom, 10 maggio 2007
"Rendere sempre più efficace il delicato ruolo svolto dagli operatori sanitari delle strutture penitenziarie al fine di assicurare alla popolazione carceraria il diritto alla salute e condizioni di vita migliori". Lo sottolinea il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, in un messaggio per il Congresso Nazionale di Medicina penitenziaria, inviato al presidente dell’Amapi, Francesco Ceraudo. Dopo aver salutato tutti i partecipanti, Bertinotti si dice certo che i lavori "arrecheranno un contributo significativo di pensiero e di riflessione" per raggiungere l’obiettivo di assicurare ai detenuti il diritto alla salute e migliori condizioni di vita nelle carceri. Giustizia: Manconi; criminalità e indulto, i dati sono superficiali
Liberazione, 10 maggio 2007
Si sono moltiplicati i crimini dopo ed a causa dell’indulto? Con la stessa sicurezza potrei dire che nello stesso periodo sono diminuiti gli infanticidi ma non per questo penso ad una correlazione tra i due eventi". Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia e sociologo, ha pochi dubbi: "Le analisi di questi giorni relative all’indulto sono superficiali, irresponsabili e del tutto inattendibili". Secondo Manconi non ha nessun senso considerare un periodo di tempo di tre mesi: "Come insegna qualunque criminologo tutte le statistiche vanno lette con prudenza e soprattutto in una serie storica di medio-lungo periodo". Eppure la polemica sull’indulto non sembra placarsi, anzi. Non basta neanche il dato sulla recidiva - un termine da patologo che sta ad indicare il tasso degli ex detenuti che commettono di nuovo reato - che parla di un 12%, di recidiva, appunto, contro il 60% abituale, fisiologico come direbbero gli addetti ai lavori. In tutto questo, ed è forse questo il vero problema da affrontare, la grande questione della depenalizzazione dei reati minori che determinerebbe un minor ingolfamento delle carceri e delle aule di tribunale: in Italia un processo medio dura non meno di 10 anni. Del resto anche il presidente della repubblica Napolitano ha ribadito la necessità di punire con il carcere "solo chi commette reati particolarmente pericolosi". Un’affermazione non facile in tempi come questi, in tempi in cui sbandierare l’insicurezza e la necessità della tolleranza zero è diventato l’hobby preferito di mezzo ceto politico nostrano.
Insomma professor Manconi, questo indulto ha davvero reso l’Italia un Bronx? Se noi consideriamo i dati con superficialità, ignorando una serie storica attendibile, potremmo avere dei singolarissimi risultati: leggendo la tabella del Viminale senza indagare in maniera intelligente e senza leggere il contesto, potremmo pensare ad effetti davvero strani di questo indulto. Per esempio, nel trimestre agosto-ottobre 2006 - il trimestre immediatamente successivo all’approvazione dell’indulto - un delitto terribile e grave come l’infanticidio risulta ridotto del 66%. Se non fossi persona responsabile direi che l’indulto avrebbe un effetto terapeutico e provvidenziale sui genitori che vogliono sopprimere i propri figli, tutto questo se fossi irresponsabile. Lo stesso irresponsabile gioco potrebbe essere fatto che so, assumendo come riferimento la fattispecie della rapina ai rappresentanti di preziosi. Ecco, nel trimestre agosto-ottobre 2004 le rapine sono state 21, nel 2005 1 e nel 2006 2. A questo punto dovrei dire che le rapine sono raddoppiate passando da 1 a 2 a causa dell’indulto. Insomma, voglio dire che, come insegna qualunque criminologo, tutte le statistiche criminali vanno lette con prudenza e soprattutto in una serie storica di medio - lungo periodo. Poi c’è il dato della recidiva: secondo i dati del Viminale solo il 12% degli ex detenuti indultati ha commesso nuovi reati, contro il 60% della media abituale. In effetti la recidiva ordinaria e fisiologica, quella registrata tra coloro che arrivano a fine pena senza sconti e benefici, oscilla tra il 60 ed il 68%. Noi dopo nove mesi di indulto siamo al 12%. E soprattutto vorrei sottolineare che il tasso di crescita mensile è tale che ricorrendo a qualsiasi proiezione possiamo stare certi che non si arriverà mai a quella del tasso fisiologico.
Le ragioni di questo calo della recidiva? La gran parte delle persone che hanno beneficiato dell’indulto sanno bene che in caso di recidiva rischiano di dover scontare la pena condonata più quella relativa al nuovo reato.
Dunque che idea si è fatto dell’indulto? Che giudizio ne dà? Il mio è un giudizio è incondizionatamente positivo. È stato un provvedimento che ha prodotto esiti virtuosi di fondamentale importanza e dunque la mia valutazione coincide perfettamente con quella del capo dello stato: una misura eccezionale, ma indispensabile: un carcere così sovraffollato non si limitava a mortificare la dignità di quanti vi si trovavano custodi o custoditi, ma rappresentava un ostacolo insormontabile per qualunque progetto di riforma dell’intero sistema penitenziario e del complessivo sistema della giustizia. Su tutto la riforma del sistema penale. In Italia abbiamo un record di reati puniti con la galera... Anche qui devo ripetere le parole del capo dello stato del quale, come si vede, sono un piccolo fan. Anche su questo il presidente Napolitano si rivela intellettualmente coraggioso: mentre infuria la polemica sulla sicurezza, ha infatti la coerenza di ribadire che il carcere va considerato una soluzione estrema, destinata a coloro che sono responsabili di reati che suscitano allarme sociale.
A proposito di sicurezza, sembra che in Italia ci sia un gara ad appropriarsi del tema della sicurezza, anche tra molte personalità del nascente Partito Democratico. Le reazioni nascono da dati oggettivi di un’attività criminale evidente. Per come è organizzata la nostra società i costi ricadono sulle fasce deboli della popolazione che convivono con gli stranieri. Di fonte a queste cose ci sono due scelte possibili: elaborare politiche razionali di investimenti sociali di mediazione delle contraddizioni sociali - che non eliminano i problemi ma consentono di controllarli - e contenere l’esplosività; oppure si può scegliere di galvanizzare sentimenti di allarme: in Italia, soprattutto a destra ma anche a sinistra, è pieno di imprenditori-politici della paura. La politica deve stare attenta a disinnescare i conflitti interetnici elaborando politiche della sicurezza che non siano esclusivamente di ordine simbolico. La tolleranza zero in determinate condizioni può perfino essere efficace, ma dal momento che non aggredisce le cause ha un esito effimero. Giustizia: sul tema della sicurezza, la sinistra è troppo indietro
L’Unità, 10 maggio 2007
Finalmente, per davvero, anche la sinistra sta affrontando il tema della sicurezza. Siamo 14 anni in ritardo. È tempo di aprire gli occhi e capire che su questo si gioca la vera partita del consenso. L’abbiamo visto in Francia. Dobbiamo farne perno centrale sia del governo che di una nuova forza popolare come quella del Pd". Marco Minniti nel suo ufficio al Viminale sfoglia i giornali con i titoloni sull’allarme reati dopo l’indulto: "Quel provvedimento è stato una impegnativa e dolorosa necessità... sale il numero delle rapine?". "La recidiva del 12% è quasi fisiologica. I dati sulle rapine che si riferiscono tuttavia a un periodo limitato di tempo preoccupano ma non mi sorprendono. Sarebbe stato ingenuo pensare che non fosse così. Ma dobbiamo vedere come questo dato si stabilizza. È ancora prematuro fare un bilancio. Sta a noi rispondere. D’altronde i dati possono variare, ma la sensazione di insicurezza dei cittadini è il punto reale da cui dobbiamo partire. Spezzando però due equazioni: quella di una sicurezza che sia solo ordine pubblico e quella di immigrazione uguale criminalità".
Viceministro, però sono equazioni molto diffuse, che iniziano a farsi non solo a destra... "Già, perché la destra le ha cavalcate. Ma nei fatti le risposte meramente repressive hanno fallito. Ha fallito la Bossi-Fini che ha creato clandestinità diffusa. E la clandestinità di sua natura è vicina alla criminalità. Ora con le nuove misure di Amato e Ferrero abbiamo cambiato direzione. Ma non possiamo limitarci a correggere le politiche della destra".
Esempi? "Sono stato da poco a Prato, dove c’è la più forte comunità di cinesi in Italia: 30mila persone. Bene, non si tratta solo di un problema di integrazione dell’immigrazione: non sono solo forza lavoro, ma impresa, tessuto economico vero, fatturati importanti. Bisogna rispondere allora non solo con l’ordine pubblico, ma con la garanzia del libero mercato, della trasparenza fiscale, con il rispetto delle condizioni di lavoro e dei diritti umani. Ecco: Prato è oggi quello che altre realtà potrebbero essere domani. E allora dobbiamo rispondere tenendo insieme le politiche più propriamente di sicurezza con politiche sociali diffuse: servizi, assistenza. Per evitare che si creino ghetti e zone franche. Questo è legalità".
Altrimenti succede come con la rivolta di Chinatown a Milano... "Esatto".
Restano però i dati: rapine che salgono, scippi, dispositivi d’allarme che hanno invaso le case... "Sui numeri intanto il 18 giugno presenteremo il primo rapporto sulla criminalità. Sono 7 anni che non si faceva. È un importante dato di trasparenza per evitare la roulette dei numeri. Poi dico che in altri paesi europei - per non dire oltreoceano - ci sono realtà molto più allarmanti. Vede, viviamo un grande paradosso: rapine e scippi fanno gridare allo sfascio sicurezza, mentre le mafie non danno il minimo allarme sociale. Quando invece sappiamo quanto condizionino davvero la vita quotidiana di molti. Ecco, è come se l’Italia vivesse sul filo di un rasoio della percezione della sicurezza. E la situazione della giustizia non aiuta".
Ancora l’indulto? "No, fermiamoci. Il tema è un’altro: quello della certezza della pena. Ecco perché è urgente la riforma del sistema giudiziario, a cui sta lavorando Mastella per ristabilire - sul serio - il principio che "la legge è uguale per tutti". Solo così l’impegno per più forze dell’ordine nelle strade può essere completato. Se vi sono procure dove il 90% delle notizie di reato rimane inevaso... praticamente un indulto e una prescrizione permanenti".
Viceministro, domani ci sarà l’incontro con i sindaci per i patti sulla sicurezza. Cosa c’è sul tavolo? "Una cosa molto semplice: cercare di coinvolgere davvero le realtà locali. Nessuna delega di autorità dello Stato, ma una vera alleanza. L’ordine pubblico non basta se poi sul territorio non si accompagna alle politiche sociali, ai servizi, all’integrazione. E poi solo le autorità locali hanno occhi per vedere i dettagli. E capire il senso di insicurezza. Vede, nel ‘99 arrivai a Bologna, per un’iniziativa per la campagna elettorale comunale. Per prepararmi chiesi al prefetto un rapporto sulla sicurezza. Lessi: incendi dolosi zero, attentati incendiari zero, omicidi uno... pensai, beh, è la città perfetta. Se solo pensiamo che a Reggio Calabria ci sono in media più di 4 danneggiamenti ogni notte... Bene, il dibattito con i nostri militanti fu tutto centrato sulla sicurezza, sul cosa accadeva nelle piazze la sera... Avevano ragione. E quella volta la sinistra perse proprio sulla legalità. È una lezione che dobbiamo ricordarci. Se vogliamo che la risposta dello Stato al crimine sia efficace dobbiamo coinvolgere le realtà locali".
Dunque niente stati d’emergenza? Niente esercito? "Emergenza è un termine che bisogna cancellare dalle politiche di sicurezza. L’emergenza si accende, ma poi si spegne. E non cambia nulla. Dobbiamo mettere in campo una politica della sicurezza rassicurante ma permanente. Abbiamo istituito una task force di pronto intervento con polizia e carabinieri che agiscono rapidamente in tutta Italia in situazioni critiche: come abbiamo fatto a Scampia contro la camorra. Ma puntiamo a una nuova mission del poliziotto di quartiere. Ma non confinato nei centri cittadini dove il senso di sicurezza è più garantito, vogliamo impiegarli nelle zone di confine, nelle aree difficili e a forte penetrazione criminosa. Dobbiamo spezzare il nodo paura-eccezionalità. Altrimenti si perde. Non sembri un paradosso ma è proprio la sinistra che ha gli strumenti per affrontare credibilmente questa sfida". Giustizia: un reato su tre viene commesso dagli immigrati
La Repubblica, 10 maggio 2007
Fra chi commette un reato, uno su tre è straniero. Pur essendo solo il 4 per cento della popolazione residente (gli sbarchi di clandestini negli ultimi 12 mesi sono diminuiti del 4 %), gli immigrati hanno rappresentato il 33,41 per cento del totale delle persone denunciate nel 2005, il 36,5% nei primi 9 mesi del 2006. Il dato emerge dall’ "indagine conoscitiva sulla sicurezza in Italia" presentata dal ministro dell’Interno alla commissione affari costituzionali della Camera. Sicurezza che - lamentano gli autori del rapporto - deve far fronte ai tagli di fondi della spesa corrente fatti negli ultimi anni, come quello del 36,7% delle spese telefoniche. "In molte aree del Paese - osserva lo studio - il principale elemento di preoccupazione degli italiani sembra essere costituito dalla presenza di extracomunitari che spesso produce una sensazione di "assedio". Ma dal Nord al Sud calano nelle grandi città i reati cosiddetti "predatori" - furti, scippi, borseggi e rapine - grazie al bobby made in Italy, il poliziotto e il carabiniere di quartiere. A Milano (teatro, il 26 marzo, della marcia per la "sicurezza" organizzata dal sindaco Letizia Moratti), nel biennio 2004-2005, c’è stata una riduzione di furti, scippi, borseggi e rapine del 10,3 per cento, a Palermo del 15,8%, a Roma dell’ 8 per cento. Ma è a Rimini che il bobby ha avuto il maggior successo, avendo ottenuto la sua presenza una riduzione di reati di quasi il 40%. Il rapporto, che denuncia l’invecchiamento degli agenti delle forze dell’ordine impegnati in ruoli operativi (l’età media è passata da 28 a 35 anni), distingue fra "delittuosità" (l’andamento complessivo dei reati in Italia, in leggera flessione), e "sensazione di insicurezza generalizzata", la percezione, cioè, che la gente ha di essere vittima di un reato, in aumento in molte parti d’Italia. Oltre all’effetto "straniero" - osserva lo studio del ministro dell’Interno - "sulla sensazione di insicurezza generalizzata incidono reati come i furti in appartamento, gli scippi, le rapine, le aggressioni, le violenze sessuali e lo spaccio di droga". Secondo le statistiche ministeriali, il furto resta "l’attività criminosa maggioritaria" (dal 52,86% degli eventi del 2005 al 53,07% del 2006), seguito da "danneggiamenti e incendi dolosi" (12,66% nel 2005 e 13,78% nel 2006). Ebbene, stando all’ "indice di produttività dell’azione anticrimine" (il rapporto fra reati commessi e reati scoperti), le paure della gente sarebbero in certa misura giustificate. Se, infatti, l’attività delle forze di polizia risulta efficace per quanto riguarda reati come la ricettazione (83% degli autori individuati), gli omicidi (59%), l’usura (68%), le estorsioni (58%) e le violenze sessuali (57%), si può quasi dire che i cittadini siano del tutto privi di tutela per quanto riguarda quei reati predatori che maggiormente li impauriscono. Poco meno del 5 % cento dei furti (il crimine, come s’è visto, più diffuso)vie-ne scoperto, 95 scippi su 100 e più del 60 % delle rapine in abitazione restano impuniti. Solo il 18 % per cento di chi commette truffe e frodi informatiche è smascherato, e appena il 7% dei responsabili di danneggiamenti e incendi è denunciato. A commentare luci e ombre dello stato della sicurezza in Italia è intervenuto il titolare del Viminale, Giuliano Amato, secondo cui "questo tema è cruciale nell’azione di governo". "Ma i risultati che sono stati ottenuti - ha ammesso il ministro dell’Interno - sono ancora "parziali"". Giustizia: per il superamento degli Opg, da subito di Fabrizio Starace (Psichiatra, Direttore Coordinamento Sociosanitario ASL CE2)
www.radiocarcere.com, 10 maggio 2007
Gli Opg rappresentano ancora oggi la sintesi di contraddizioni insuperabili: sono in carico all’Amministrazione della Giustizia, ma sono ospedali; sono ospedali psichiatrici che ricoverano persone con disturbi psichici, ma sono gli unici ad essere rimasti aperti dopo la Legge 180. Strutture edificate con altre finalità (spesso antichi conventi parzialmente ristrutturati), dove la concentrazione degli internati supera da tempo limiti ragionevoli. Dentro: la commistione più varia di condizioni cliniche e di percorsi giuridici, nell’inadeguatezza numerica del personale di area sanitaria, in assenza di formazione specifica in un settore così delicato. Strutture dove la contenzione fisica (il famosi letti di contenzione) è pratica abituale e gli interventi specialistici consistono nella somministrazione di dosi massicce di psicofarmaci. È vero, i 1.200 pazienti "ospitati" negli Opg hanno commesso reati, ma delle due l’una: o si tratta di persone che devono scontare una pena detentiva, e allora non si capisce perché debbano "godere" di un trattamento diverso da chi, autore di reato, è affetto da una patologia neoplastica o cardiocircolatoria, o si tratta di persone che prosciolte per infermità mentale necessitano di appropriati interventi psichiatrici, psicologici, sociali, che certamente non possono essere erogati in una struttura manicomiale. Inutili anche alcune sentenze della Corte Costituzionale (253/2003 e 367/2004), finalizzate a trovare alternative all’uso degli Opg. Negli ultimi due anni si è registrato un aumento di oltre 200 internati. Insomma, una situazione nella quale il diritto alla cura viene quotidianamente calpestato. Un mondo a sé stante, del quale l’opinione pubblica si occupa solo in occasione di eventi drammatici o casi limite che assurgono agli onori della cronaca. Come quello dei pazienti che avendo terminato il periodo di "misura di sicurezza" all’interno dell’Opg se lo vedono prorogare (in modo ingiustificato e senza alcun fondamento giuridico) solo perché i servizi sanitari e sociali delle Asl di appartenenza dichiarano di non disporre di strutture e personale idonei ad attivare il reinserimento sociale nel territorio di appartenenza! Cosa fare per evitare che eventi del genere si riproducano? Come intervenire per assicurare - da domani, da subito - il diritto alla salute e alla libertà agli oltre 6-700 pazienti in regime di proroga della misura di sicurezza, che l’inerzia del sistema giudiziario e sanitario condanna all’ergastolo bianco? Innanzitutto vanno pienamente applicate le sentenze della Corte Costituzionale secondo cui le misure di sicurezza in Opg devono essere limitate a casi di effettiva pericolosità, e che differenti modalità di cura devono essere adottate quando in grado di assicurare la sicurezza sociale. In tal senso vanno revocate le proroghe della misura di sicurezza in Opg per l’assenza di strutture territoriali alternative nelle Asl di competenza territoriale, promuovendo (o imponendo, se necessario) la presa in carico da parte di strutture idonee e disponibili e adottando il criterio dell’attribuzione della spesa alla Asl di residenza storica del soggetto, intesa come l’ultima residenza prima dell’ingresso in Opg. Non occorrono leggi speciali o riforme: basta applicare la norma già scritta (e puntualmente ignorata), laddove prevede che se un intervento o una prestazione non possono essere erogati dalla Azienda Sanitaria di residenza, il cittadino ha diritto a fruirne presso ogni altra Asl del territorio nazionale. In proposito, Magistratura di Sorveglianza, Giudice Tutelare e Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria (da cui dipendono gli Opg) possono certamente esercitare un ruolo più attivo di quello assunto sinora. Nel medio periodo occorre poi non abrogare, ma realizzare un reale superamento degli Opg. Ciò può avvenire solo attraverso la creazione di Centri diagnostico terapeutici Psichiatrici presso gli Istituti di Pena, nella misura di almeno una sezione per ogni Regione, con non più di 15 posti-letto, gestiti attraverso rapporti convenzionali con le Aziende Sanitarie, attraverso cui stabilire la necessaria continuità con le strutture territoriali. Anche in questo caso, la vera Riforma consiste nel dare piena attuazione ad una norma di legge, il D.Lgs. 230/99 sulla Sanità Penitenziaria, a tutt’oggi quasi completamente disatteso. Va infine rivisto l’intero processo di realizzazione ed attribuzione di incarichi peritali per l’accertamento delle condizioni mentali e della pericolosità sociale, attualmente oggetto di pericolosi quanto inesplorati conflitti di interesse. Lettere: rubai un motorino, sono internato in Opg da 12 anni
www.radiocarcere.com, 10 maggio 2007
Non so da quando sono qui. Non mi ricordo. Ci devo pensare un po’. Ho dimenticato tante cose, sì, lavoravo, sì, sì, lavoretti. Mò fuori non c’ho nessuno e allora sto qui. Mi lasciano qui dentro: nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto. Sì, mi ricordo il processo. Avevo rubato un motorino. Era vero sì, sì. C’avevo 22 anni. Ma non m’hanno condannato. No. Il giudice ha detto che stavo male. Beh sì, stavo male. Pure a casa litigavo con mia madre. Certe urla. Sì. Ma non m’hanno condannato. M’hanno portato qui. All’Opg, lo chiamano così adesso. Ci dovevo stare un po’. Mi dovevano curare. Sì. Sono più di dieci anni che sto qui. Ecco, sono Benedetto e c’ho 34 anni. Sono dodici anni che sto qui. Ecco. Infatti conosco tutti qui dentro. Per stare più lucido, per raccontarti meglio, da due giorni non prendo le pasticche, quelle ti fanno dormire. Mò piano, piano ricordo più cose. E allora, è tanto che sto qui. Tanto. Da un po’ hanno smesso di mettermi sul letto di contenzione, non mi legano più...ma io, io li vedo ancora quei ragazzi che stanno legati a quei letti per giorni e giorni. Letti che sono strani, sono fissati a terra, c’hanno un buco nel materasso per fare la cacca e la pipì. E le fasce per legarti. Ti legano mani, piedi e una fascia ti stringe il collo. Se ti viene da grattarti la testa, uno può morire, ma non se la può grattare. Per mangiare ti imboccano, e ogni giorno sei sempre più sporco. Stai legato lì finché non ti passa. Loro la chiamano cura. Io tutti i giorni vedo gente legata a quei letti, stanno lì 4, 9 e anche 15 giorni, sempre legati, gli fanno un sacco di punture. Tanti puzzano, sono sporchi di merda, nessuno li pulisce. In una stanza ci possono stare 3 o 4 letti di contenzione. E sopra, legati, stì ragazzi. Ecco, lì c’è chi legato dorme, chi chiede una sigaretta: "datemi nà sigaretta, nà sigaretta!". E c’è chi invece legato urla, si agita. Allora le cinghie, le fasce del letto si tendono, la bava alla bocca, gli occhi rigirati. È brutto sai? Io mentre ero legato a quei letti sono stato preso a pedate perché avevo fatto la cacca e non volevano cambiarmi il secchio. Sentivo troppa puzza e mi lamentavo, m’hanno menato. Qui all’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto è meglio che ti comporti bene. Perché se no ti puniscono mettendoti legato al letto. Meglio fare i baravi. Sai tanti, dopo 6 o 8 giorni passati su quel letto, non si rialzano più come erano prima. Io dall’ultima volta che m’hanno legato c’ho messo mesi a riprendermi, e ancora mica sto tanto bene! Dopo il letto di contenzione ti rimettono in cella. Che è sporca e scura. Scuri i muri, i letti sporchi. Stai lì con altri 5 o 6 detenuti. Tutti mischiati, tra chi sta male e chi sta peggio. C’è chi dorme senza materasso perché l’hanno bagnato, si fanno i bisogni addosso, nessuno gli cambia il materasso e loro dormono senza oppure dormono per terra. Ma c’è anche chi dorme sulla merda e da lì non si rialza. Io c’ho dormito così, si, si. Qualche compagno di cella si aiuta, ma tanti non hanno la forza e stanno lì per terra o su quei materassi neri. Notte e giorno su quei materassi, per mesi e mesi. Gli fanno le punture e basta. Si, si, perché qui la cura sono le gocce, gli psicofarmaci e il letto di contenzione e basta. Se non ti rialzi tu, stai imbottito di psicofarmaci sulla branda. Di gente così ce né tanta a Barcellona. I medici ci sono e non ci sono. Sono bravi, ma loro sono pochi e noi tanti. Solo le gocce ci sono sempre. Quelli che stanno peggio li spostano da un reparto all’altro e da un carcere all’altro. Io ho provato pure a ammazzarmi, e non ci so riuscito, invece qualche mese fa due ragazzi ci so riusciti. Si, si. Uno era di Palermo l’altro non mi ricordo. Avevano già provato, perché tanti ci provano ad ammazzarsi. Poi una mattina ci so riusciti. Se il lenzuolo non lo bagni prima, non ti impicca. Ecco. Devi ragionare. Devi stare attento. E infatti s’ammazzano quelli che stano meno peggio, che so un po’ più lucidi, che si ricordano.. Quelli si che capiscono. Si, si. Quando nell’Opg è notte capita un po’ di tutto, sai com’è la pazzia non dorme mai. Senti chi urla, chi piange, spesso vola qualche schiaffo e anche di più…perché la colpa è sempre del matto. Ma qui non è sempre stato così. No. Per un po’ di mesi hanno fatto un bel reparto, il settimo. Ma ora l’hanno chiuso. Dicono che non c’avevano i soldi. Eppure era bello. I medici ci seguivano, noi speravamo non tanto di guarire, ma di trovare una stabilità con la testa. In quel reparto eravamo 12, ci facevano lavorare, ci portavano l’estate al mare, facevamo le gite. Tra noi anche quelli più pigri, quelli che stavano sempre nel letto, in quei mesi si sentivano stimolati e si alzavano dal letto, si risvegliavano. Poi l’hanno chiuso e siamo tornati come prima, anzi peggio. Io ogni tanto mi ricordo, e lo so che sbaglio ma mi sale la rabbia. Io non ho capito perché sto qui dentro. 12 anni per un motorino? Mi dovevano curare, m’hanno portato qui. Io mi ricordo. Mi ricordo e m’arrabbio e loro mi fanno la puntura. Mi risveglio in quel letto sporco. La testa mi pesa. Ho sonno, tanto sonno e non voglio ricordare. Ma dormire, dormire.
Benedetto, Opg Barcellona Pozzo di Gotto Lettere: sono uno di quei c.d. "matti" del manicomio criminale
www.radiocarcere.com, 10 maggio 2007
"Cara Radio Carcere, ciao, sono uno di quei c.d. matti che stanno chiusi dentro un ex manicomio criminale. Io sono fortunato rispetto ad altri perché sono chiuso in quello di Reggio Emilia. Dico che sono fortunato perché almeno qui il mangiare è abbastanza buono. Ed è un’eccezione perché io sono stato nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto e lì di mangiare ce ne era veramente poco. Qui i medici ce la mettono tutta, anche sei noi matti detenuti siamo sempre chiusi in cella… sempre chiusi… Dalla mia cella dell’Opg di Reggio Emilia è veramente difficile immaginare un domani. Se non sono stordito dai farmaci, sono stordito dalla disperazione. Oggi ho potuto scrivere a radio carcere perché ho sputato la solita pasticca… altrimenti ora starei rincoglionito sulla branda… Grazie per quello che fate. Voi che date attenzione anche a uno come me."
Giorgio dall’Ospedale Psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia Lettere: sono in Opg da tanto tempo, fuori ho perso tutto
www.radiocarcere.com, 10 maggio 2007
"Ciao Riccà, ho 56 anni e sono qui da tanto, tanto tempo. Fuori ho perso tutto, casa, lavoro e la famiglia. Io ho dimenticato quello che ero.. la normalità di una vita. Fuori non ho nessuno e non saprei dove andare. Nessuno mi vuole. Qui nell’Opg di Barcellona pozzo di gotto e tutto vecchio e stantio. Tutto è abbandono, muri che cadono a pezzi, uomini che cadono a pezzi. La notte le urla di chi non ha parole per la disperazione, i farmaci, il sonno…unico rimedio. E dobbiamo dire grazie a un prete coraggioso Don Peppe. È lui che ci fa mangiare. È lui che ci porta il cibo, perché l’Opg non ha soldi per darci da mangiare a sufficienza… pensa il ministero gli da 2 euro al girono per far mangiare a noi matti. 2 euro al giorno per colazione pranzo e cena… poi siamo noi i matti vero? Quando finisci dentro un Opg, hai finito la vita… ogni tanto qualcuno di noi si ricorda di quello che è…allora sbatte la testa contro il muro, o si taglia le braccia… altri cercano di impiccarsi. Non lasciateci vivere così"
Mario dall’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto Lettere: nell'Opg siamo in una doppia gabbia, fisica e mentale
www.radiocarcere.com, 10 maggio 2007
"Caro amico di Radio Carcere, sono nell’Opg di Sant’Eframo da 10 anni. Questi non sono manicomi criminali ma sono dei Mattatoi Criminali. Noi qui dentro siamo tutti figli di un Dio diverso. Noi viviamo come in una doppia gabbia. C’è quella fisica e quella mentale. Due prigioni in una. Non tutti gli internati qui dentro sono incurabili, ma si fa veramente tutto il possibile per farli uscire prima e, soprattutto, guariti? Io non domando questo per me, perché ormai la mia vita è andata, ma lo dico per quei ragazzi che vedo entrare. Tanti di loro saranno un po’ matti, ma non meritano di stare in un posto come questo. Io ho visto gente legata ai letti di contenzione essere presa a calci…ho visto gente lasciata in cella per mesi e mesi. L’essere matti non può bastare per essere trattai così… Sono settimane che volevo scrivere questa lettera, ma non ci riuscivo per colpa delle medicine che mi danno… far dormire il matto è l’unica cura che ricevo da 10 anni..fallo dormire così non rompe, non chiede… non è… Ora io devo prendere la pasticca, altrimenti mi puniscono…allora vi saluto prima..prima di addormentarmi per un altro giorno.."
Giulio dall’Opg San’Eframo di Napoli Lettere: se non sei matto qui nell’Opg lo diventi per forza...
www.radiocarcere.com, 10 maggio 2007
"Arena, senti..oltre agli ultimi suicidi e morti strane avvenute nell’Opg di Aversa, l’altra novità è che qui si è diffusa la scabbia e la tubercolosi. E non è un caso vista la sporcizia che c’è in tante sezioni, come la 6, la 5 e la 8. Inoltre, anche se qui ci sono molti internati con malattie virali, non viene mai un medico infettivologo. Gli educatori non si vedono mai e anche gli psichiatri tendono a domare il paziente con punture di psicofarmaci che servono solo per far dormire il malcapitato. In questo contesto non mancano maltrattamenti. Siamo in 330 dentro l’Opg di Aversa.. 330 internati tutti ammucchiati. Ammucchiati perché qui dentro potremo stare in 170 e invece… In questi mesi tre persone si sono ammazzate qui dentro e due sono morte perché malate di aids… siamo noi i pazzi? Qui la cura per noi matti è sempre la stessa, oltre agli psicofarmaci, se stai male ti legano mani e gambe al letto per giorni e giorni. Noi ci rendiamo conto che siamo detenuti particolari, ma qui siamo ridotti al nulla… Non più persone. Per noi l’indulto non vale, per noi la condanna non vale, per noi non vale fare richieste al magistrato di sorveglianza… per noi non vale nulla perché noi non valiamo nulla. Noi siamo solo dei matti e basta. Trascinati in un tempo sospeso… è questa la nostra vita. Se non sei matto, una volta che entri in un Opg lo diventi! Tempo fa è arrivato qui un ragazzo, scosso da quello che gli era capitato in una cella di un carcere… chi sa poveretto cosa aveva subito.. beh dopo un po’ che stava qui dentro si faceva i bisogni addosso e non se ne rendeva conto.. era solo un ragazzo… l’hanno fatto uscire pazzo"
Un gruppo di detenuti internati nell’Opg di Aversa Lettere: ho 74 anni, ormai di me fuori non sanno che farsene
www.radiocarcere.com, 10 maggio 2007
"Riccardo io mi ricordo di te perché sei venuto a farci visita qui nell’Opg di Montelupo Fiorentino. Ti ricordi? Ero al secondo piano dove tutte le celle sono chiuse, perché è il piano dei matti pericolosi… a te non sembravamo pericolosi.. hai stretto la mano e hai parlato con tutti e alla fine sei arrivato anche da me. Mi hai teso la mano e mi hai chiesto: " Ma che ci fa un vecchietto arzillo in un posto come questo?" …e già me li porto bene i miei 74 anni… come vedi sono ancora qui e chi sa quanto ci rimarrò. Te lo dissi, fuori non ho nessuno e di me non sanno cosa farci. Ora sono sceso da quel piano dei pericolosi e sono in un reparto dove possiamo girare liberamente… è un’altra vita. Sai quando tocchi il fondo del fondo… ci vuole poco per essere felici. Questo manicomio criminale è una vecchia struttura, che in parte hanno ristrutturato… ma serve a poco. La gente qui resta parcheggiata, senza una vera e propria alternativa..qualcuno non ce la fa e si ammazza… altri cedono definitivamente alla pazzia. Il nostro direttore è una brav’uomo, ma che può fare con i pochi mezzi che ha? Io sono solo un vecchio matto, chiuso in un manicomio criminale, ma stì politici non si vergognano di abbandonarci così?"
Luigi, dall’Opg di Montelupo Fiorentino Intercettazioni: occorre cambiare le teste, non le leggi
www.radiocarcere.com, 10 maggio 2007
La Camera approva. Il ddl n. 1638 ha superato il primo ostacolo. Ora l’aspetta il secondo ramo del Parlamento. Un disegno di legge importante. Ambizioso. "Disposizioni i materia di intercettazioni telefoniche e ambientali e di pubblicità degli atti". Così il titolo. Due gli obiettivi. Il primo è "di tutelare il diritto al rispetto della vita privata e familiare e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee costituiscono infatti valori tutelati, oltre che dalla Carta Costituzionale repubblicana (artt. 13 e 15), anche dagli articoli 8 e 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950". Così l’incipit della Relazione. Parole pesanti. Parole che rimarranno tali. Il secondo. Limitare l’abuso dello strumento captativo, limitandolo ai soli casi in cui è indispensabile ai fini dell’indagine. Da stolti pensare che questo articolato possa porre rimedio allo scempio che il connubio media-giustizia fanno della riservatezza, nascondendosi dietro al diritto di comunicare. Da stolti pensare che l’abuso dell’intercettazioni si arresti. Tante norme, tanto fumo, nessuna sostanza. L’articolo 1 stupisce. È lui che si assume il compito di evitare che gli atti d’indagini finiscano sui giornali o vengano letti dagli anchorman. Al suo interno norme dedicate al vietare la pubblicazione degli atti del processo. Divieti facilmente eludibili. A tale scopo un legislatore schizofrenico ha coniato i commi 3 e 7. Questi autorizzano la pubblicazione di ciò che negli altri commi è vietato. Il comma 3 autorizza la pubblicazione di quanto contenuto nell’ordinanza di custodia cautelare. Provvedimento che, per una ormai consolidata prassi espositiva, non è un altro che un collage degli atti d’indagine. Inutile di conseguenza il comma 1 che ne vieta la pubblicazione. Divieti che, quando non sono eludili, sono sottoposti a sanzioni che non scoraggiano la pubblicazione, ma la incentivano. Un ammenda punisce la pubblicazione. Il giornalista se la cava oblando. Termine tecnico che sta ad indicare che con un esborso di denaro si cancella tutto. La somma necessaria per il miracolo: circa trentamila euro. Irrisoria per quotidiani e periodici. Ridicola per le televisioni. Le altre norme inutili. Sarebbe ipocrita perdere tempo nell’analisi. Un articolato che ha ceduto alle pressioni delle corporazioni. Gli atti d’indagine costituiscono una linfa a cui i mass media non possono rinunciare. Il pezzo si compila pubblicando quello che gli inquirenti hanno scoperto. Le indagini ultimamente sembrano orientate al clamore mediatico, piuttosto che al risultato processuale. La scelta del soggetto da intercettare non sembra sia dettata dalla connessione con una ipotesi di reato, ma dall’altisonanza del nome. Legge complessa, inutile che non produrrà nessun risultato. L’abuso dello strumento captativi rimarrà tale. Così come la trasformazione delle cancellerie delle procure in agenzia di stampa. Ma d’altronde non sono le norme che devono essere cambiate, ma la testa, la cultura giuridica, di chi le gestisce. Sappe: un comunicato sulla paventata chiusura degli Opg
Comunicato stampa, 10 maggio 2007
Aprire un tavolo di confronto sul futuro degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. A chiederlo, con una nota inviata ai Ministri della Giustizia Mastella e della Salute Turco, è la Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Organizzazione più rappresentativa dei Baschi Azzurri con 12mila iscritti, dopo che alcune indiscrezioni giornalistiche ne hanno paventato l’imminente chiusura. "Ciò che ci ha allarmato" scrive il Sappe "è la notizia secondo la quale per il Governo gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sono strutture inutili e inadeguate. Riteniamo quindi sia indispensabile aprire un tavolo di confronto sull’argomento, tenuto conto che presso gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari lavorano attualmente 523 appartenenti alla Polizia Penitenziaria (499 uomini e 24 donne) i quali, proprio in virtù del tenore delle indiscrezioni giornalistiche, sono estremamente preoccupati per il loro futuro professionale". Milano: la cooperativa "Alice" diventa marchio di moda
www.modaonline.it, 10 maggio 2007
Si è tenuta oggi, presso la Sala Stampa del Comune di Milano in Galleria Vittorio Emanuele, la conferenza stampa presenziata dall’On. Tiziana Maiolo per la presentazione del nuovo Progetto Alice, della cooperativa omonima, ideato dall’Assessorato alle Attività Produttive del Comune di Milano e relativo al reinserimento lavorativo nella società di donne detenute ed ex detenute dei carceri milanesi San Vittore ed Opera. Il laboratorio sartoriale artigianale, sorto nel 1992 per la produzione di capi d’abbigliamento d’Alta Moda e costumi teatrali, della casa circondariale di San Vittore ha deciso di festeggiare i 15 anni dalla sua fondazione diventando un vero e proprio brand avvalendosi dei suggerimenti stilistici dei grandi direttori creativi del Made in Italy. "Si festeggiano i 15 anni d’esistenza di questa importante cooperativa - ha dichiarato l’On. Tiziana Maiolo, Assessore alle Attività Produttive -, e proprio per questo abbiamo deciso di depositare il brand ed abbiamo anche chiesto l’appoggio di diversi stilisti italiani, servendoci inoltre dei loro consigli". La prima stilista a ricoprire il ruolo di tutor sarà Anna Molinari e poi gli altri a seguire. In occasione di questo importante traguardo, giovedì 10 maggio presso la casa circondariale di San Vittore, sarà presentato il Progetto Alice all’interno del cortile della sezione femminile del carcere. La consueta sfilata di moda, arrivata alla sua quarta edizione, sarà condotta da Claudio Lippi e vedrà il defilé di almeno tre abiti della collezione p/e 07 di ogni stilista che ha aderito al progetto, avrà lo scopo di regalare un momento di colori e di moda alle detenute. Le griffe che parteciperanno alla sfilata saranno Blumarine con la linea Blugirl, Prada, Alberta Ferretti con la linea Philosofhy, Byblos, Cesare Paciotti, Lorenzo Riva, Mariella Burani, Pollini by Rifat Ozbek, Renato Balestra, Luciano Soprani, Martino Midali, Roberta Scarpa, Debora Sinibaldi, Giorgio Grati, Carlo Pignatelli, Giuliana Teso, Luca Moretti, Marchese Coccapani, Pietro Brunelli, Thes & Thes by Thes Tziveli, Elesila, In Touch e Borsalino il quale farà uno speciale defilé presentando i suoi modelli più prestigiosi e tra questi i pezzi cult che hanno fatto la storia del cinema e non solo. "La storia di Alice è una storia di tipo sociale - ha aggiunto l’On. Maiolo -. Penso che un detenuto recuperato alla società, equivalga ad un cittadino migliore nella vita quotidiana e con un futuro roseo al di fuori del carcere", lo scopo della Cooperativa Alice è infatti quello di puntare sull’impegno quotidiano di donne desiderose di guadagnarsi un futuro migliore e una seconda opportunità. "È importantissimo recuperare queste donne, ma anche molte ragazze che hanno commesso magari solo degli atti minori - ha dichiarato Luca Moretti, uno degli stilisti che parteciperanno alla sfilata di giovedì -. La commercializzazione di questo brand non dovrà rappresentare assolutamente per noi stilisti una forma di concorrenza, ma anzi dovremmo cercare noi di comprendere la sua importanza a livello sociale". Il laboratorio-sartoria della Cooperativa Alice impiega circa 12 ragazze assunte e con un proprio stipendio, sino ad arrivare ad un totale di 25 a seconda dei periodi e delle situazioni singole di ogni detenuta. Un gruppo di donne formato da detenute, ex detenute ed alcune collaboratrici esterne sempre sotto la supervisione dei rappresentanti della cooperativa. L’attività da loro svolta, ha dato importanti risultati nel corso degli anni: dai primi costumi teatrali per conto del Teatro alla Scala, a quelli per la Rai, sino a quelli realizzati per le reti Mediaset. "Voglio puntualizzare l’importanza, per una detenuta, di lavorare durante la reclusione in carcere - ha dichiarato Alessandro Brevi, rappresentante e collaboratore della Cooperativa Alice -, ma soprattutto il risultato positivo che può avere l’esperienza al di fuori, dopo lo sconto della pena che risulta essere il momento maggiormente problematico". Sirmione: il Congresso dei medici penitenziari premia Pannella
Comunicato stampa, 10 maggio 2007
Si apre questa mattina al Grand Hotel Terme di Sirmione il 30esimo Congresso nazionale di Medicina Penitenziaria, organizzato dall’Associazione Medici dell’Amministrazione Penitenziaria e dalla Società Italiana di Medicina Penitenziaria con l’alto patrocinio della Presidenza della Repubblica e della Regione Lombardia. In occasione dei lavori congressuali, verrà consegnato al leader dei Radicali, Marco Pannella, il premio speciale Amapi 2007 a "testimonianza della sua opera di contrasto della pena di morte". È annunciata inoltre la presenza del ministro della Giustizia Mastella, e del presidente della Regione, Formigoni. È prevista anche la partecipazione di una delegazione spagnola di medici penitenziari che porterà il suo contributo di idee e programmi, soprattutto per sviluppare un interscambio di progetti. Tra i temi in discussione gli obiettivi di aggiornamento professionale e di qualificazione per i medici e gli infermieri che operano nelle carceri per assicurare il diritto alla salute. In particolare si parlerà di malattie infettive, emergenze cardiovascolari, valutazioni medico-legali e patologie collegate ai detenuti tossicodipendenti ed extracomunitari. Verranno inoltre dibattuti nuovi progetti di gestione del paziente-detenuto. I lavori proseguiranno anche domani e sabato. Verona: l’arte della comunicazione insegnata ai detenuti
Comunicato stampa, 10 maggio 2007
Esperti di comunicazione, tra cui Candido Cannavò, entreranno nel carcere di Montorio per incontrare i detenuti e avvicinarli all’arte del "far sapere". Si tratta di un nuovo progetto dell’associazione La Fraternità, che prende il via a metà maggio per concludersi nella prima settimana di giugno. L’intento è di fornire ai detenuti di Montorio qualche utile strumento su come esprimersi correttamente e affrontare l’atto del comunicare in una forma il più possibile strutturata ed efficace. Protagonisti dell’iniziativa il giornalista dell’Arena Giampaolo Chavan, l’ex direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò, autore di Libertà dietro le sbarre e Ornella Favero, redattrice di Ristretti Orizzonti, periodico di informazione del carcere di Padova. Il compito di inaugurare il ciclo di incontri è affidato a Raccontamela Giusta, il cofanetto multimediale realizzato lo scorso anno dalla Fraternità in collaborazione con altre associazioni, con il patrocinio di Comune e Provincia di Verona e il contributo del Centro Servizio per il Volontariato. Il cofanetto contiene filmati ideati per far riflettere sulla realtà della pena e i cui protagonisti sono gli stessi detenuti di Montorio, questa volta nel ruolo di spettatori alle proiezioni. L’importanza di una corretta comunicazione è fondamentale nel rapporto con gli altri. Sapersi rivolgere adeguatamente al proprio interlocutore significa aumentare la possibilità di essere ascoltati e compresi. Per chi è detenuto significa anche qualcosa in più: un passo determinante per il reinserimento nella società. Chieti: al via un piano per il reinserimento dei detenuti
Rai Utile, 10 maggio 2007
Inizierà dai giardini di piazza S.Pio X a Chieti Scalo, per poi estendersi ad altri complessi edilizi, l’attività lavorativa esterna di cinque detenuti del carcere di Madonna del Freddo, che si occuperanno di opere di giardinaggio. L’iniziativa fa parte di un Progetto integrato di assistenza per il reinserimento dei detenuti, avviato grazie a una convenzione fra la casa circondariale di Chieti e l’Ater, Azienda territoriale per l’edilizia residenziale, in collaborazione con la Caritas. I cinque soggetti coinvolti saranno impegnati in attività di potatura, pulizia delle aree scoperte, piccoli interventi di riparazione e manutenzione ordinaria di impianti nelle aree condominiali degli edifici popolari, ripristino e rimessa in quota di pozzetti prefabbricati, ripristino e sostituzione di armature dei pali dell’illuminazione. I detenuti, selezionati fra coloro che hanno già usufruito di permessi premio, inizialmente lavoreranno per quattro ore al giorno tre giorni a settimana, che gradualmente diventeranno cinque. I volontari della Caritas accompagneranno i detenuti dalla Casa circondariale alla sede Ater, dove riceveranno strumenti e abiti da lavoro, quindi, al termine del lavoro, di nuovo nella Casa circondariale. Immigrazione: Rutelli; ddl Amato-Ferrero ridurrà la delinquenza
Asca, 10 maggio 2007
Il ddl Amato-Ferrero sull’immigrazione, insieme alla certezza del diritto italiano, "può permettere di ridurre anche la delinquenza". È questa l’opinione del vicepremier Francesco Rutelli, sulle polemiche che hanno seguito la pubblicazione di un sondaggio in base secondo il quale la delinquenza in Italia sarebbe aumentata dopo il provvedimento di indulto. Per Rutelli, che oggi ha visitato a Milano Palazzo Litta, "il vero problema è colpire la delinquenza e garantire la certezza del diritto. Se ci sono più reati da parte di persone immigrati, la certezza del diritto, una corretta accoglienza, e una legge che funziona meglio come quella che abbiamo varato e che combatte la clandestinità, può ridurre anche la delinquenza". Insomma, la parola d’ordine di Rutelli è "no all’assunzione di provvedimenti teneri e blandi o di nessun provvedimento nei confronti del crimine". Anche se, ha avvertito Rutelli, "dobbiamo saper separare la responsabilità di criminali che sono stranieri o nostri connazionali da quelli immigrati che collaborano correttamente".
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