|
Giustizia: Mastella; un'indagine sull'esecuzione delle condanne
Redattore Sociale, 6 luglio 2007
Dopo i fatti di Cremona e Roma, il ministro della giustizia attiva l’ispettorato per verificare se vi siano state inadempienze riguardo allo stato di libertà di soggetti già raggiunti da sentenza di condanna. A seguito dei dolorosi fatti di cronaca in cui hanno anche perso la vita quattro ragazzi in provincia di Cremona e un giovane carabiniere a Roma, il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ha dato incarico al capo degli ispettori di verificare se vi siano state inadempienze riguardo allo stato di libertà di soggetti già raggiunti da sentenza di condanna o se vi siano stati ritardi nell’esecuzione delle pene. Il Guardasigilli, peraltro, ha già dato indicazione per la rimodulazione delle misure di prevenzione in modo da garantire maggiormente la sicurezza dei cittadini. "I miei uffici stanno già lavorando sulle misure di prevenzione per renderle più ampie e stringenti, in modo da consentire un controllo effettivo sulla criminalità - ha detto Mastella. Mi auguro che il ddl governativo che inasprisce sensibilmente le pene detentive per l"omicidio colposo commesso da chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti venga presto approvato dal Senato". Giustizia: fermiamo la barbarie dei bambini in carcere di Gennaro Santoro (Coordinatore campagna Antigone-Prc "Il carcere dopo l’indulto")
Liberazione, 6 luglio 2007
Nascere in carcere, tra il freddo delle sbarre e delle divise. Trascorrere i primi giorni di vita lontano dalla propria mamma. Una mamma che non ha il diritto di allattare il proprio bambino: lei a Rebibbia, lui in ospedale. È successo il 24 giugno scorso. La magistratura di sorveglianza non fa in tempo a confermare il trasferimento in ospedale della gestante e la donna, ventitreenne straniera in carcere per furto (sei mesi di condanna), ha partorito nell’infermeria del carcere. Trasportata d’urgenza all’ospedale Pertini per accertamenti immediati, la giovane viene subito rispedita fra le mura di Rebibbia, nonostante il neonato sia venuto alla luce con gravi malformazioni congenite. Appena qualche mese fa, in un’aula del tribunale di Napoli, una bambina di due anni seguiva il processo della madre tra il ghiaccio di toghe, codici e divise. La notizia ha fatto scandalo (per un giorno) perché è girata, contro ogni regola di protezione del minore, la foto di quella bimba che stringeva le sbarre. Una bambina che ha avuto la possibilità di uscire dal carcere di Avellino soltanto per seguire il processo della madre, non per andare in una asilo esterno al carcere o semplicemente per fare una passeggiata senza vedere sole e nuvole a scacchi. Intanto al nido di Rebibbia ci sono attualmente tre donne in gravidanza, un altro bimbo è nato un mese fa (sempre nell’infermeria del carcere). Morale: venti mamme e rispettivi figli in tre stanze sovraffollate. Queste immagini restituiscono un quadro allarmante del rispetto del diritto all’infanzia e del diritto alla maternità in Italia. Si invoca a gran voce la "sacralità della famiglia" per fare crociate contro le coppie di fatto e si lascia un neonato in ospedale senza madre. Ci si inorridisce contro le violenze sui minori e si lasciano bambini dai zero ai tre anni marcire in carcere. E guarda un po’, dei circa 45 bambini detenuti nelle patrie galere almeno la metà sono figli di rom e il 90% è figlio di straniere. Intanto i giornali declamano i patti per la sicurezza e il ministro Mastella si preoccupa di prendere le distanze dalla proposta della Commissione Pisapia per abolire l’ergastolo, dimenticando che cattolici della stazza di Dossetti e Moro ne invocavano la soppressione. Ma erano altri tempi. Oggi, più di ieri, viviamo in un paese che dimentica con troppa facilità le pre-regole del gioco democratico, il rispetto della dignità della persona che dovrebbe essere il "meta valore", come insegna Bobbio, di un sistema democratico. Nessuna maggioranza può decidere di uccidere o torturare un uomo. Nessuno dovrebbe costringere un bambino a trascorrere i primi giorni di vita lontano dalla mamma o a vivere i primi anni di vita dietro le sbarre. Eppure la prima volta che sono entrato in un nido di un carcere (a Bellizzi Irpino) i bambini sono scoppiati a piangere. Da rinchiusi non erano abituati a vedere facce nuove e maschili. A Roma, per fortuna, non si è ripetuto lo stesso dramma probabilmente perché i bambini di Rebibbia frequentano l’asilo pubblico e il sabato escono dal carcere accompagnati da volontari. Intanto a Milano è nata una casa famiglia per le madri detenute, senza sbarre e con personale della polizia penitenziaria senza divisa. L’ha promossa la Provincia con la collaborazione dell’istituzione penitenziaria. Ad Avellino, invece, non esiste nessuna convenzione tra carcere e asili pubblici, e i bimbi sono dentro per 360 giorni all’anno perché gli enti locali e la società civile continuano a dormire, nonostante le denunce e i solleciti dell’associazione Antigone. Così il diritto all’infanzia cambia a seconda che la detenuta madre venga "spedita" a Milano, Roma o Avellino. Il diritto all’infanzia cambia ancora di più se si tratta del figlio di una rom o di una italiana. Nel primo caso si finisce dentro, col proprio piccolo, anche per un tentativo di furto di telefonino (sic!), nel secondo caso, per fortuna, ciò non avviene anche per reati ben più gravi. Ormai da un anno alla Camera giace un disegno di legge per la tutela del rapporto tra detenute madri e propri figli. Una legge che permetterebbe di porre fine all’aberrante detenzione di piccoli innocenti. Speriamo che almeno sul diritto all’infanzia il Palazzo si svegli da quel torpore che sta caratterizzando l’attuale legislatura. "Più sociale e meno penale" è un motto proclamato da una eterna minoranza dagli anni settanta in poi. Oggi, anche a sinistra, la propaganda securitaria distorce l’analisi dei mali della nostra società e le possibili soluzioni. La nuova Sinistra, tutta ed unita, deve quindi essere consapevole di questo dramma e deve saper trovare gli strumenti per far capire che soltanto un potenziamento delle politiche sociali può garantire (anche) più sicurezza urbana. Altrimenti la deriva americana della tolleranza zero spazzerà quelle conquiste del dopo guerra che sembravano irreversibili e la dignità della persona umana non sarà più il fondamento e la ragion d’essere dello Stato. Anche se si invoca la famiglia a ogni piè sospinto. Polizia Penitenziaria negli Uepe: un'interrogazione a Mastella
Blog di Solidarietà, 6 luglio 2007
L’On. Giuseppina Servodio, del Gruppo parlamentare dell’Ulivo presenta un’interrogazione parlamentare alla Camera dei Deputati rivolta al ministro della Giustizia. Per sapere, premesso che: la bozza di decreto ministeriale avente per oggetto "l’intervento della Polizia penitenziaria nell’esecuzione penale esterna" attraverso l’istituzione presso gli Uffici Esecuzione Penale Esterna (Uepe) già Centri di Servizio Sociale Adulti (Cssa) di Nuclei di verifica e controllo, ha suscitato preoccupazione e dissenso fra gli assistenti sociali di quasi tutti gli Uepe d’Italia, il volontariato che opera nella giustizia di ispirazione laica e cristiana (Conferenza nazionale volontariato giustizia), l’Ordine nazionale assistenti sociali, il Coordinamento nazionale assistenti sociali, alcuni sindacati, alcuni magistrati e garanti dei diritti dei detenuti; numerose sono state le iniziative di mobilitazione attivate, per richiedere di non procedere con la sperimentazione prevista dalla bozza di decreto; in particolare si rileva il rischio per la connotazione sociale degli Uepe e per il sistema dei Servizi Sociali della Giustizia operante nel settore adulti, dopo oltre 30 anni di attività e nonostante le statistiche e i risultati di diverse ricerche dimostrino che la stessa sia stata svolta, seppur con pochi investimenti, in termini positivi anche rispetto alla ricaduta sulla recidiva e di conseguenza sulla sicurezza dei cittadini; l’Ordine nazionale degli assistenti sociali, in occasione di un incontro avuto il 16 maggio con i vertici dell’Amministrazione penitenziaria, ha rappresentato e riportato le ragioni e le motivazioni delle preoccupazioni degli assistenti sociali operanti negli UEPE, nonché i rischi insiti nella proposta di decreto ministeriale; la legge 354/75 e successive modificazioni - all’art. 47 indica nel servizio sociale la funzione di aiuto-controllo e nello specifico recita: "il Servizio Sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita". La stessa terminologia usata dal legislatore per definire la misura alternativa alla detenzione per eccellenza, l’Affidamento in Prova al Servizio Sociale, dimostra chiaramente come il servizio sociale, con i propri strumenti professionali specifici, sia stato ritenuto soggetto ampiamente titolato nell’ambito dell’esecuzione penale. Anche nel più recente regolamento di esecuzione dell’Ordinamento penitenziario (D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230), all’art. 118 viene chiaramente ribadito come il controllo sui soggetti sottoposti alla misura dell’affidamento sia svolto dal servizio sociale con le proprie modalità professionali: il rispetto delle prescrizioni, che di per sé non garantisce circa la commissione di nuovi reati, è solo una parte del percorso proposto alla persona che è un percorso di sostegno e di responsabilizzazione all’interno del quale l’adeguamento alle prescrizioni è uno strumento e non l’unico obbiettivo; gli interventi garantiti dagli Uepe, nel corso del trattamento in ambiente esterno, sono diretti ad aiutare i soggetti che ne beneficiano ad adempiere responsabilmente gli impegni che derivano dalla misura cui sono sottoposti. Tali interventi, articolati in un processo unitario e personalizzato, sono prioritariamente caratterizzati: dall’offerta al soggetto di sperimentare un rapporto con l’autorità basato sulla fiducia nella capacità della persona di recuperare il controllo del proprio comportamento senza interventi di carattere repressivo; da un aiuto che porti il soggetto ad utilizzare meglio le risorse nella realtà familiare e sociale; da un controllo, ove previsto dalla misura in esecuzione , sul comportamento del soggetto che costituisca al tempo stesso un aiuto rivolto ad assicurare il rispetto degli obblighi e delle prescrizioni dettate dalla magistratura di sorveglianza; da una sollecitazione a una valutazione critica adeguata, da parte della persona, degli atteggiamenti che sono stati alla base della condotta penalmente sanzionata, nella prospettiva di un reinserimento sociale compiuto e duraturo. L’enunciato della normativa, pertanto, appare ben chiaro, rispetto al ruolo degli Uepe e del servizio sociale in particolare, soprattutto, va ricordato che è frutto di attenta valutazione sia delle esperienze di altri paesi, sia del nostro stesso paese, esperienza che ha visto, negli oltre trent’anni di vita dell’ordinamento penitenziario, rafforzarsi in termini quantitativi e qualitativi le misure alternative, con i risultati che da più parti ed in numerosissime occasioni sono stati pubblicizzati; la bozza di decreto ministeriale non è coerente con quanto l’attuale normativa prevede e con le esperienze collaudate in altri Paesi europei a forte esperienza di probation (non risultano esperienze europee di compresenza in uno stesso Ufficio della polizia/ servizio sociale in cui vengono garantite prestazioni di aiuto-controllo, attraverso l’attività del Servizio Sociale e di controllo/ vigilanza attraverso un proprio nucleo di polizia); l’introduzione della Polizia penitenziaria negli Uepe con funzioni operative nell’ambito degli Uffici è estranea alle previsioni normative. Infatti, l’art.72 dell’Ordinamento penitenziario descrive sinteticamente l’attività degli uffici e prevede inoltre che l’organizzazione degli stessi è disciplinata dal regolamento di esecuzione alla legge. È l’art.118 del regolamento che descrive analiticamente organizzazione ed attività degli uffici. Sembra superfluo ricordare che il regolamento adottato dal Ministro e previsto dal comma 1 del nuovo testo dell’art.72 è norma di livello inferiore al regolamento di esecuzione citato. Circa l’organizzazione, mentre nel regolamento vi è la previsione esplicita di personale non di servizio sociale per attività amministrativa e contabile e la possibile ed eventuale collaborazione di esperti dell’osservazione all’ attività specifica di servizio sociale, non solo manca qualsiasi previsione di una possibile attività di controllo di polizia, ma l’attività di controllo è prevista tra quelle proprie del servizio sociale e nel quadro delle specifiche modalità proprie di tale servizio. Inoltre la stessa legge 15 dicembre 1990, n.395 all’art. 5 "Compiti istituzionali del corpo di polizia penitenziaria" attribuisce la competenza " assicurare l’esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale" al comma tre recita: "gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria non possono comunque essere impiegati in compiti che non siano direttamente connessi ai servizi di istituto"; il controllo dei soggetti sottoposti a misura alternativa è oggi garantito dalle Forze dell’Ordine operanti - presenti - radicate sul territorio, le quali sono (potrebbero sicuramente meglio esserlo, se si favorisse la collaborazione e il coordinamento tra Istituzioni) dei referenti particolarmente significativi, nell’ambito dell’esecuzione penale esterna, proprio perché hanno un punto di vista complessivo sulla situazione delle persone, legato al contesto ambientale che essi presidiano e possono fornire utili elementi di valutazione alla Magistratura di sorveglianza ed agli Uepe, avendo spesso lunga conoscenza dei soggetti e delle loro vicende; l’assicurare la fiducia della popolazione nella propria sicurezza, vuol dire far sentire la presenza dello Stato sul territorio, secondo un’ottica di prevenzione del crimine ma anche di vicinanza (prossimità) e ascolto. Significa anche offrire ai cittadini un’attenta e costante informazione, sui risultati raggiunti in tema di reinserimento dei soggetti che scontano una pena in misura alternativa. Sapere se è in atto un processo di cambiamento nella persona, se le condizioni all’origine della commissione del reato sono mutate, se vi è qualche probabilità che quella stessa persona non incorra in altro reato, contribuisce ad accrescere la fiducia dei cittadini in uno Stato che è anche in grado di prevenire i reati attraverso il reinserimento sociale-: quali iniziative intende adottare per far fronte alle difficoltà in termini di "costi" che deriverebbero dall’attribuzione di nuove competenze alla polizia penitenziaria, sia rispetto agli organici che per i mezzi, strutture organizzative, supporti tecnici; quali iniziative intende adottare per far fronte alla difficile situazione degli organici dell’area sociale per rendere ulteriormente efficace l’attività degli Uepe; se non ritenga di prendere in considerazione le preoccupazioni innanzi descritte e trovare, all’interno di un progetto complessivo di riforma del sistema delle misure alternative, altri strumenti e soluzioni che permettano di attenuare il rischio di creare contrapposizioni tra operatori; se non ritenga impegnarsi per superare la previsione di inserire presso gli Uepe i nuclei di polizia penitenziaria e per escludere, tra l’eventuale competenza della polizia penitenziaria sulle misure alternative al carcere, il controllo della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale (nel rispetto dell’art. 72 dell’ordinamento penitenziario e dell’art. 118 del regolamento di esecuzione).
Roma, 04 luglio 2007 Lettere: Guido, da cinque mesi in cella di isolamento a Belluno
www.radiocarcere.com, 6 luglio 2007
Il mio nome è Guido e sto nell’inferno del carcere di Belluno, chiuso in una cella di isolamento. Sto dentro questo buco di cella dal 10 febbraio e da quella data non ho mai fatto l’ora d’aria. Non ho mai più visto il cielo. In tutto questo tempo e con l’aiuto di una penna, ho misurato questa piccola cella di isolamento. La cella è lunga 27 penne bic ed è larga 14 penne. C’è un cesso alla turca, una lavandino e come tavolo: una lastra di cemento. Ah, dimenticavo… nella mia celletta c’è anche una piccola finestra. Ha una rete fitta e le sbarre, praticamente è come se non ci fosse. In questi mesi di isolamento non ho fatto altro che pensare: ma che ho fatto per essere sbattuto qui? Loro non me lo dicono e io non me ne faccio una ragione. Sono un detenuto comune, in carcere per ricettazione, e non capisco perché mi trattano così. Qui è dura. L’altra settimana un ragazzo nella cella accanto si è impiccato. Io mi sono riconosciuto in quel ragazzo. A "Radio Carcere" lascio la mia piccola storia. Palermo: detenuto tenta il suicidio, viene salvato in extremis
Asca, 6 luglio 2007
Un giovane detenuto ha tentato di uccidersi nella sua cella del carcere Ucciardone di Palermo. L’uomo, A.M., di 29 anni, che deve scontare ancora quasi 2 anni di reclusione, ha provato a togliersi la vita impiccandosi con le lenzuola ma gli agenti della polizia penitenziaria sono riusciti a salvarlo. Subito dopo è stato trasferito all’ospedale Civico, dove è arrivato in coma e le sue condizioni sono ritenute "gravi" dai sanitari. L’uomo, tempo fa, aveva tentato già il suicidio in carcere ed anche in quel caso era stato tratto in salvo. Cagliari: iniziative in ricordo di Aldo Scardella, morto in carcere
Agi, 6 luglio 2007
Domenica prossima nel Parco di Monte Claro, a Cagliari, verranno organizzate mostre, concerti e uno spettacolo teatrale per ricordare Aldo Scardella, il venticinquenne trovato impiccato nella sua cella di isolamento nel carcere cagliaritano di Buoncammino il 2 luglio 1986. Era stato arrestato e detenuto ingiustamente, e dopo 21 anni esatti la procura di Cagliari ha riaperto le indagini per l’ipotesi di omicidio volontario. L’anniversario della sua morte sarà ricordato con una manifestazione organizzata dal comitato Aldo Scardella, in collaborazione con le associazioni "5 Novembre per i Diritti Civili", "Volontariato Ospedaliero Francescano Sociale" e "Avo Cagliari". Dalle 9 del mattino saranno esposti quadri e sculture dedicate al giovane, mentre nel pomeriggio si esibiranno gruppi di musica etnica e un coro di 19 elementi. Alle 19 andrà in scena l’atto unico teatrale "Storia di malagiustizia" di Roberto Pinna, mentre alle 20 sarà la volta di un concerto di musica lirica. Cristiano Scardella, fratello di Aldo, che da vent’anni chiede chiarezza sui punti meno chiari della sua morte, ha commentato con favore la riapertura della inchiesta scaturita da una sentenza della Corte di Cassazione che lunedì ha respinto l’impugnazione della Procura di un provvedimento del gip. "È singolare - ha detto - che dall’autopsia sul corpo di mio fratello siano emerse tracce di metadone mentre il carcere ha negato che seguisse una terapia farmacologica. Credo che la situazione di mio fratello fosse scappata di mano". Aldo Scardella fu arrestato il 28 dicembre 1985 perché accusato della rapina con omicidio ad un supermarket di Cagliari, nella quale fu ucciso il proprietario Giovanni Battista Pinna, risalente al 23 dicembre ‘85. Per quel delitto sono poi state condannate alte tre persone. Verona: Coldiretti; detenuti preparati per fare i giardinieri
L’Arena di Verona, 6 luglio 2007
Coldiretti e Iripa, l’Istituto regionale d’istruzione professionale, hanno unito gestione dell’agricoltura e formazione per la legalità. Grazie al progetto del Fondo sociale europeo "Esperto manutentore e gestore del verde" di 330 ore, sono stati formati all’interno del carcere scaligero di Montorio otto allievi, in prevalenza stranieri. E martedì alle 11 verranno consegnati i diplomi. Il corso è stato organizzato per reinserire i detenuti, una volta che abbiano scontato la pena, nella realtà quotidiana attraverso il lavoro, sottraendoli ai circuiti della microcriminalità, migliorando la loro conoscenza della lingua italiana e formandoli con un’educazione alla responsabilità e al lavoro collettivo. Per l’occasione sarà inaugurato anche il "Giardino dell’incontro", realizzato dai partecipanti al corso per la sezione femminile dove le detenute potranno vedere i figli in un ambiente meno traumatico e più sereno delle strutture interne del carcere. Del progetto sulla legalità per combattere la microcriminalità formando professionisti responsabili parleranno Damiano Berzacola, presidente di Coldiretti Verona, Salvatore Erminio, direttore della casa circondariale di Montorio, Norma Pecoraro, consulente e formatore di Iripa e Augusto Pivanti, direttore regionale di Iripa Veneto. Roma: il 10 luglio si terrà convegno "Il carcere extrema ratio"
Comunicato stampa, 6 luglio 2007
Il Convegno, organizzato dal Garante dei Diritti dei Detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni con il Patrocinio del Consiglio Regionale si terrà martedì 10 luglio al Consiglio Regionale del Lazio (Sala Mechelli - Via della Pisana 1301). Una giornata di studio con, fra gli altri, il Presidente della Commissione ministeriale per la riforma del codice penale Giuliano Pisapia e il presidente dell’Unione delle Camere Penale Oreste Dominioni, per fornire un contributo allo sforzo comune di realizzare un nuovo Diritto Penale più adeguato alle esigenze della società, che non preveda il carcere come pena principale. È questo lo scopo del Convegno "Il Carcere estrema ratio - Nuovo Diritto Penale", che si svolgerà a Roma il 10 luglio nella Sala Mechelli del Consiglio Regionale del Lazio. L’evento è organizzato dal Garante dei Diritti dei Detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni in collaborazione con il Consiglio Regionale. "Si tratterà di una giornata di studi divisa in due sessioni, una la mattina e una al pomeriggio - ha detto il Garante dei Detenuti Angiolo Marroni - che servirà a trarre spunti e idee di lavoro per capire dove può essere migliorato e reso più umano un sistema che al momento prevede la detenzione come pena principale, se non unica". La gran parte della popolazione detenuta è composta da tossicodipendenti, immigrati e portatori di disagio psichico. "Per loro - ha detto Marroni - la detenzione non è la soluzione giusta. Andrebbero immaginate nuove forme di sanzioni, dal lavoro di pubblica utilità alla probation estesa alla fase del giudizio, che consentano di modellare il sistema penale ai principi costituzionali come l’articolo 27, secondo cui le pene debbono essere dirette alla rieducazione del condannato". Il programma prevede, dopo il saluto del Presidente del Consiglio Regionale Massimo Pineschi e la relazione introduttiva di Angiolo Marroni, gli interventi di Antonio Fiorella (Ordinario di Diritto penale a Roma 3 e Componente Commissione ministeriale per la riforma del codice penale), Paola Balbo (Giudice onorario Tribunale di Torino, esperta di diritto penitenziario internazionale), Donatella Caponetti (Dirigente Centro Giustizia Minorile del Lazio), Paolo Canevelli (Magistrato del Tribunale di Sorveglianza di Roma), Alberto Caperna (Sostituto Procuratore della Repubblica di Roma) Oreste Dominioni, Rita Andrenacci (Direttore Uepe Lazio) e Eustachio Vincenzo Petralla (Direttore Uepe Bari). Il pomeriggio è riservato al dibattito con conclusioni riservate all’Onorevole Giuliano Pisapia. Catanzaro: "Parole da dentro", progetto per i ragazzi dell’Ipm
Vita, 6 luglio 2007
All’Istituto per i minorenni "Silvio Paternostro" di Catanzaro è stato presentato il Progetto "Parole di dentro", promosso dalla Fondazione "Roberta Lanzino" di Cosenza. Alla presentazione saranno presenti il Capo del Dipartimento della Giustizia minorile Carmela Cavallo, il direttore Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari Serenella Pesarin, il direttore del Centro Giustizia Minorile della Calabria e Basilicata Angelo Meli, il direttore dell’Ipm Francesco Pellegrino, il Presidente della Fondazione Franco Lanzino. Parteciperanno i Magistrati Minorili e il Sindaco di Catanzaro Rosario Olivo. Come indicato dal titolo del progetto, si intende operare un percorso di conoscenza e approfondimento della realtà detentiva minorile, attraverso l’istituzione di un laboratorio di scrittura di cui saranno produttori e protagonisti, in assoluta libertà di forme e contenuti, gli stessi minori ristretti. La Fondazione Lanzino con questo impegno in favore dei minori in stato di detenzione prosegue e amplia l’opera per la quale è nata in Calabria nel 1989, per volontà dei genitori dopo l’assassinio e lo stupro di Roberta, di 19 anni, di opporsi e contrastare ogni forma di violenza nei confronti delle donne, dei minori e dei soggetti deboli in genere. Varese: era "malato" e giocava a calcio, agente sotto processo
Agi, 6 luglio 2007
Si diede malato ma poi giocò ai quarti di finale del torneo di calcio del dopolavoro a cui teneva tantissimo. Ora rimpiange quella decisione visto che deve affrontare un processo con l’accusa di falso e truffa allo Stato. Sul banco degli imputati un agenti di Polizia penitenziaria in servizio al carcere di Varese che per assentarsi dal lavoro senza perdere la giornata di stipendio presentò un certificato medico. Purtroppo per lui uno dei due ispettori del carcere lo ha scoperto e denunciato costituendosi pure parte civile. La vicenda risale al maggio 2003. L’agente, difeso dall’avvocato Gigliola Guglielmi viene convocato per i quarti di finale del torneo ma quel pomeriggio sarebbe stato di turno. La notte precedente, a suo dire fu colto da malessere. Il mattino successivo non si presentò in carcere facendo pervenire il certificato medico. Al pomeriggio va a vedere la partita al campo sportivo di Albizzate presentandosi negli spogliatoi per salutare i compagni di squadra. La sua presenza è stata confermata anche dall’allenatore davanti al Giudice Chiara Valori, che però, ha spiegato di essere stato lui ad insistere affinché giocasse. A fine partita la squadra festeggia la vittoria. L’ispettore del carcere, però, lo ha visto con la divisa della squadra in campo e per questo ritiene che il suo malessere notturno sia stata una farsa. L’inchiesta è stata seguita dal Sostituto Tiziano Masini che aveva indagato anche il medico che aveva redatto il certificato ma che è poi uscito prosciolto. Dal canto suo l’ispettore carcerario nel costituirsi parte civile ha nominato l’avvocato Pierpaolo Fusco in rappresentanza del legale di fiducia dello studio Bossi. La costituzione si riferisce al fatto che l’agente lo aveva querelato per calunnia. Prossima udienza il 18 luglio quando verrà sentito l’imputato. Immigrazione: al "question time" ministro Amato in difficoltà
Melting Pot, 6 luglio 2007
Su minori, richiedenti asilo, procedura postale e immigrazione irregolare, il Ministro tentenna. La situazione dei minori non accompagnati, quella dei richiedenti asilo, il collasso del sistema dei rinnovi dei permessi dettato dall’inefficienza della nuova procedura postale, ma anche sicurezza, immigrazione irregolare, ed il caso della aggressione neo-nazista durante il concerto di Villa Ada, a Roma, questi i temi trattati nel "question time" parlamentare, con i quali il Ministro Amato ha dovuto confrontarsi. Il fenomeno "a volte ci aggredisce all’improvviso e non siamo mai preparati come dovremmo ad evitare che possa generare disfunzioni", queste le parole pronunciate dal Ministro sulla questione dei minori e richiedenti asilo, detenuti alla frontiera marittima italiana. La situazione dei minori non accompagnati in Italia, denunciata in molti rapporti di "Save the Children", desta particolare preoccupazione. Spesso, lo status di minore non viene riconosciuto, e quando questo avviene, ci si trova davanti alle complicazioni, ed alle incomprensibili mancanze dettate dall’attuale normativa. La possibilità di lavorare, considerato il "superiore interesse del minore", così come enunciato dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, non è garantita nel caso di permessi per minore età, così come molti sono ancora i nodi da sciogliere per quel che riguarda il compimento dei diciotto anni, la possibilità di convertire il permesso, le modalità con la quale questa viene accordata. Stesse risposte anche per quanto riguarda i richiedenti asilo, vittime, in primis, della mancanza di una normativa in materia. Il nodo centrale del dibattito si è poi spostato sulla questione dei rinnovi, e della procedura postale, contestata in ogni forma e da ogni parte. In primo luogo da migliaia di migranti che alla ingiusta legge sull’immigrazione devono aggiungere gli effetti del "colabrodo" prodotto dal nuovo sistema. "Il sistema, ha detto il Ministro Amato, "così com’è, è parecchio zoppicante". Di fronte ai numeri forniti dal Ministero, il termine "zoppicante" suona come un eufemismo, la situazione è ancor più preoccupante se pensiamo che i dati forniti riguardano le richieste totali e quelle bloccate per anomalia, quasi il 40%, mentre si parla delle pratiche esaurite durante l’ultimo mese. Ma qual è il totale delle pratiche che stanno percorrendo l’iter? I dati di maggio parlano chiaro: 34.381 pratiche in lavorazione, solo 13.000 inviate alla questura. Davanti a queste cifre è impensabile un decreto flussi per l’anno 2007. Una volta sollecitato a rispondere sul tema del "pericolo clandestini", il Ministro Amato sembra però dimenticare la questione della procedura postale, imputando alla Bossi Fini gli effetti degli ingressi irregolari. Questo è assolutamente vero, ma quella legge è ancora lì. I canali di entrata previsti da quella crudele normativa sono pressoché inaccessibili, allora perché non modificarne subito l’impianto? Perché non porre subito rimedio agli ulteriori problemi messi in campo dalla procedura postale? Il richiamo alla nuova proposta di Legge Delega, firmata da Amato e Ferrero, non basta ad alleggerire la situazione, tanto più se pensiamo alle timide migliorie previste. Il sistema Bossi - Fini, che prevede il nesso inscindibile tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro non verrà scalfito, il sistema delle quote neppure. Le liste di collocamento nelle ambasciate dei paesi di partenza sembrano una vignetta satirica: immaginate come potrebbero funzionare in Darfur o a Baghdad? La questione sicurezza sembra rimanere l’unica vera preoccupazione dell’attuale governo riguardo al tema dell’immigrazione. I Cpt sono ancora qui a ricordarci come la pratica dell’internamento sia uno dei capisaldi bi-partisan che governano la gestione dei flussi migratori. Accoglienza, diritti di cittadinanza, superamento dei confini, dignità e libertà di circolazione sono ancora lontani. Al di là del "question time", è la realtà a raccontarcelo. Droghe: Unione Camere Penali; il Parlamento è immobilista
Ansa, 6 luglio 2007
A più di un anno dall’approvazione della legge 49/06, più nota come legge Fini-Giovanardi, e a dieci mesi dall’insediamento del Governo l’Unione delle Camere Penali non può non "stigmatizzarne l’immobilismo in tema di tossicodipendenza: da un lato la logica ideologica e punitiva della legge Fini-Giovanardi continua inspiegabilmente a dispiegare i suoi effetti criminogeni, dall’altro il timido tentativo di modifica delle tabelle sulle quantità delle sostanze ha subito un brusco arresto". È quanto afferma in un documento l’Osservatorio carceri dell’Ucpi. "Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria fotografa la percentuale di detenuti tossicodipendenti rispetto alla popolazione detenuta globale intorno al 30%. I dati forniti dal Ministero degli Interni a seguito dell’emanazione della legge indicano un rilevante aumento delle segnalazioni all’Autorità giudiziaria e degli arresti per detenzione di cannabis nel periodo maggio-ottobre 2006 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente". In particolare, si evidenzia che i dati forniti dal ministro della Salute Livia Turco nella sua informativa sul decreto che ha aumentato le dosi detenibili per uso personale al di sopra della quale scatta la sanzione penale, ‘dimostrano che sono aumentati del 10,1% gli arresti per possesso di hashish, mentre gli arresti per possesso di marijuana è aumentato addirittura del 63,9%, e per quelli in possesso di intere piantine di cannabis c’è stato un incremento del 17, 85%. Da molti mesi, scrive ancora l’Osservatorio carceri Ucpi, giacciono poi in Parlamento varie proposte di legge per l’abrogazione della legge 49/06. In questi mesi di vigenza della legge "si è assistito ad un aumento massiccio di ingressi in carcere di consumatori di droghe leggere con effetti devastanti non solo per coloro che, anche se incensurati, sono stati arrestati e ristretti in carcere, ma anche per l’intero sistema". "Nella Commissione Affari Sociali è stata più volte rinviata la calendarizzazione della proposta di modifica della legge Fini-Giovanardi a firma Marco Boato. Il primo firmatario ha più volte citato le parole del programma della maggioranza dove si sosteneva la necessità di superare l’impostazione repressiva che la legge Fini-Giovanardi aveva dato alle politiche sulle tossicodipendenze ricordando le parole utilizzate nel programma dell’Unione che a proposito di droghe diceva "Educare, prevenire, curare, non incarcerare". Filippine: tentano di evadere dal carcere, 3 detenuti uccisi
Ansa, 6 luglio 2007
Tre detenuti, appartenenti a un gruppo religioso militante considerato responsabile di diversi rapimenti, sono stati uccisi mentre cercavano di evadere da un carcere di Cagayan de Oro City, sull’isola di Mindanao, nel sud delle Filippine. Lo ha riferito un ufficiale penitenziario. Il tentativo di fuga è stato compiuto con altri sei detenuti, quattro dei quali sono stati subito catturati. Secondo la polizia, anche i due fuggiaschi hanno riportato delle ferite nello scontro a fuoco con le guardie.
|