|
Giustizia: un errore parlare solo dell’indulto di Clemente Mastella (Ministro della Giustizia)
La Stampa, 25 luglio 2007
Con riferimento agli articoli apparsi ieri su "La Stampa" ritengo opportuna qualche precisazione. È fin troppo chiaro a tutti che l’indulto che com’è noto non è stato un atto del governo ma un provvedimento voluto dal Parlamento e votato da oltre i due terzi delle Camere è stato una misura eccezionale. Esso è stato concepito in un momento in cui la popolazione detenuta ammontava ad un totale di circa 63 mila unità. Tale cifra, che ha rappresentato un record assoluto nella storia della Repubblica italiana, creava una situazione di oggettiva e grave difficoltà per un sistema penitenziario che poteva contare su di una capienza regolamentare di circa 43 mila persone. Si è trattato dunque, dopo tanti anni, di riportare la gestione penitenziaria a condizioni che garantissero la legalità nella esecuzione della pena. Ma il problema del sovraffollamento non basta a spiegare le ragioni della legge approvata dalla stragrande maggioranza del Parlamento. Il dato su cui occorre maggiormente riflettere era (ed è) costituito dall’impressionante turnover dei detenuti, situazione che ho denunciato non appena mi sono insediato e che costituisce il vero punto debole del nostro sistema penale. Infatti, negli ultimi anni, si è registrata una media di circa 90 mila arrestati ogni 12 mesi a fronte di circa 88 mila che ogni anno lasciano il carcere. Ciò ha determinato una presenza "di flusso" negli istituti penitenziari, con permanenze molto basse, spesso non superiori a 90 giorni. Le cause di tale situazione (il carcere per molti ma per poco tempo) risiedono sia nella crescita esponenziale della tipizzazione dei fatti di reato, sia nella esponenziale crescita dei reati commessi, sia nella presenza di fattispecie di reato che non si rivolgono a soggetti dotati di capacità criminale, come nel caso di alcuni reati compendiati nella legge sull’immigrazione. Mentre dunque da un lato il provvedimento di indulto che ribadisco è frutto della volontà di oltre i due terzi del Parlamento ha principalmente inciso su di una parte della popolazione detenuta che, comunque, sarebbe stata coinvolta nel descritto turn-over; dall’altro io per primo ho inteso precisare che avrei affiancato all’indulto votato da una amplissima maggioranza parlamentare alcune mie importanti proposte di riforma. Sembra infatti ragionevole ritenere che una vera soluzione ai problemi accennati si possa ottenere solo con un complessivo riassetto del sistema penale, senza pensare di poter delegare al solo sistema carcerario la soluzione di fenomeni la cui consistenza dipende dalla cause ricordate. In questo contesto sono nate le mie iniziative per la riforma dei codici, penale e di procedura penale, che necessitano dell’approvazione del Parlamento. Nella medesima direzione vanno le iniziative recentemente intraprese dal ministero della Giustizia, per l’impiego della Polizia Penitenziaria negli uffici per l’esecuzione penale esterna. È mio intendimento lavorare perché torni ad avere senso, effettività e consistenza la pena detentiva e, al contempo, per far sì che tutto ciò che non merita di essere punito con il carcere trovi un’adeguata risposta in serie ed efficaci sanzioni alternative. Per fare ciò occorre consapevolezza della complessità della manovra che abbiamo posto in essere; coscienza di quali siano le iniziative e le responsabilità di ciascuno nella realizzazione di questo progetto; e sincera condivisione della volontà di guarire i mali del sistema, denunciandone i vizi, ma dando il giusto riconoscimento a chi ha inteso procedere alla proposizione dei rimedi. Senza questo senso di responsabilità da parte di tutti, la situazione che ho trovato al mio insediamento non può che aggravarsi, con danno per la giustizia ma soprattutto per i cittadini. Giustizia: il pm ai politici; ma le sentenze non hanno razza...
L’Espresso, 25 luglio 2007
La legge è uguale per tutti, non può essere meno uguale per gli extracomunitari. Un reato va giudicato per la sua gravità, non per la provenienza di chi lo commette. Lo ha detto ieri in aula il pm Giuseppe Salvo, nell’ambito di un processo per violenza sessuale a un marocchino, ricordando i recenti attacchi alla magistratura trevigiana: "Il tribunale non è la piazza, non deve accontentarla". Alla sbarra, ieri mattina, c’era un giovane marocchino accusato di aver violentato una donna e di averne rapinata un’altra a distanza di cinque minuti, in centro a Conegliano, lo scorso dicembre. Lo straniero è stato condannato a 6 anni e mezzo, il pm Giuseppe Salvo ne aveva chiesti 8. E, quasi a mettere le mani avanti contro eventuali polemiche sull’adeguatezza della pena, di quelle che hanno accompagnato altre sentenze trevigiane contro stupratori stranieri, il magistrato ha ricordato nella sua requisitoria il principio fondamentale della giustizia: che la legge è uguale per tutti. Come, appunto, si legge in ogni aula di tribunale. "I reati vanno puniti in relazione alla loro gravità e non più severamente in quanto commessi da extracomunitari, le persone vanno trattate tutte allo stesso modo", ha detto Salvo. Il riferimento è probabilmente alle contestazioni che hanno investito recentemente le sentenze pronunciate a Treviso nei confronti di stupratori stranieri e considerate troppo lievi dall’opinione pubblica. Il caso più clamoroso è quello del marocchino accusato di aver aggredito una ragazza all’uscita dall’Odissea, di averla sequestrata per una notte intera, di aver abusato di lei per sette volte. Il giovane è stato condannato a 6 anni di reclusione: troppo poco secondo le valutazioni espresse da esponenti del mondo politico e delle istituzioni. Il vicegovernatore Luca Zaia, a questo proposito, fu durissimo: "Sentenza vergognosa", affermò. Quasi a voler prevenire reazioni simili, il pubblico ministero Salvo ha detto ieri in aula: "Il tribunale non è la piazza e non deve accontentarne gli umori. Qui facciamo il nostro lavoro, il processo penale non è una clava da impugnare e la pena va commisurata alla gravità del fatto". Chiaro il monito: le pene devono essere commisurate al reato, non alla nazionalità dell’imputato. Il magistrato ha ricordato come certe sentenze siano finite sulla stampa, oggetto di dure polemiche. "Negli ultimi tempi l’operato degli uffici trevigiani, sia inquirenti che giudicanti, è stato oggetto di attacchi non decorosi ha osservato il magistrato Attacchi che arrivano con regolarità e puntualità e ai quali non possiamo continuamente replicare". La riflessione di Salvo è arrivata durante la requisitoria, nell’ambito del processo a carico di un marocchino di 18 anni, accusato di aver aggredito a distanza di pochi minuti due donne: violentandone una (bacio sulla bocca e carezze alle parti intime) e rapinando l’altra. Il ragazzo dove rispondere inoltre di lesioni e di resistenza a pubblico ufficiale: per lui il pm aveva chiesto la condanna a 8 anni. Il giovane era incensurato e inoltre, ha spiegato il magistrato in aula, era stato "abbandonato" dal primo difensore, quello d’ufficio (al punto che un atto gli era stato tradotto da un altro detenuto). Il tribunale, dopo aver ascoltato le richieste dell’accusa e della difesa, lo ha condannato a 6 anni e mezzo di reclusione, con espulsione a pena scontata. Intercettazioni: battute polemiche tra Fassino e Bertinotti
Corriere della Sera, 25 luglio 2007
"Ho trovato sgradevoli le frasi che ha detto Bertinotti". Piero Fassino non usa mezzi termini per criticare le dichiarazioni pronunciate ieri dal presidente della Camera Fausto Bertinotti sul caso Bnl-Unipol quando ha invitato i parlamentari a non disporre dei propri privilegi ed immunità per questa vicenda. "Il nostro è un partito pulito, di gente perbene che può guardare negli occhi tutti -dice il leader della Quercia parlando più in generale dell’inchiesta- Le cose devono essere molto chiare. Noi non abbiamo timore di assumerci tutte le nostre responsabilità, ma anche chi ha una funzione istituzionale deve essere capace di assumersi coerentemente tutte le responsabilità. E la prima legge che regola la vita di questo Paese è che le persone devono essere rispettate nella loro personalità e dignità. Non c’è nessuno che possa ledere questo principio fondamentale per tenere insieme una comunità". "Sul piano politico si sfoga Fassino non può essere non visto che questa vicenda da più di due anni a questa parte viene utilizzata strumentalmente, in primo luogo da una parte dell’informazione italiana per condurre una campagna di aggressione e di denigrazione al nostro partito e ai nostri dirigenti". Bertinotti: "Ho parlato di Parlamento, non di persone". "Quello che ho detto è stato generalmente interpretato come un atto di sensibilità del Parlamento nei confronti della magistratura e viceversa". Lo afferma Fausto Bertinotti, soffermandosi con i cronisti sul caso delle intercettazioni. "Non coinvolgeva minimante e ovviamente qualcuno", spiega il presidente della Camera. Il presidente della Camera spiega di non voler far polemiche e di non voler replicare alle dichiarazioni di Fassino. Bertinotti, parlando con i cronisti, intende però sottolineare il senso delle sue affermazioni riguardo il caso delle intercettazioni. "Per quanto riguarda le persone osserva c’era stata una dichiarazione precisa che distingueva tra persone e rapporto tra Parlamento e magistratura. Chiunque può averle sentite, non voglio fare polemiche". Catania: progetto-lavoro, al via 13 tirocini per ex detenuti
Vita, 25 luglio 2007
Anche a Catania hanno preso avvio a pieno regime le attività del progetto dei ministeri della Giustizia e del Lavoro. Quattro tirocini hanno avuto inizio nei giorni scorsi, altri 6 sono in partenza e altri 3 partiranno entro fine luglio. Il progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto", con 13 tirocini complessivi per altrettanti beneficiari del provvedimento di indulto è stato varato un anno fa dal Parlamento. Una concessionaria automobilistica, un’impresa di pulizie, un’azienda multi servizi (dalla distribuzione di carburante alle ristrutturazioni edilizie): sono queste le realtà produttive che hanno già messo i primi dieci tirocini a disposizione del progetto, promosso dai ministeri del Lavoro e Previdenza sociale e della Giustizia, con l’assistenza tecnica dell’agenzia governativa Italia Lavoro. Gli altri tre saranno ospitati da un autolavaggio, da un ristorante e da una casa di riposo. I tirocinanti catanesi sono tutti uomini e per il 90% di età inferiore a 40 anni. Sono complessivamente 180 i potenziali beneficiari del progetto, come spiega Manuela Mantineo, coordinatrice del progetto in Sicilia, vale a dire tanti quanti sono gli ex detenuti già presi in carico dal Comune. "Fondamentale sottolinea Mantineo la collaborazione con le centrali cooperative e in particolare con Confcooperative. Proprio come a Messina, dove il progetto è in fase di definizione dopo la firma del protocollo con il Comune: anche nella città dello Stretto il progetto sta lavorando fianco a fianco sia con Confcooperative che con Legacoop". Caserta: al via il progetto "Para-Cadute" per gli indultati
Il Mattino, 25 luglio 2007
È iniziato a Mondragone il progetto pilota denominato "Para-Cadute", relativo al reinserimento di ex detenuti beneficiari dell’indulto. Il progetto, finanziato dal ministero della Giustizia, dà la possibilità a quattro persone di intraprendere un percorso di reinserimento nella società attraverso lo svolgimento di un corso formativo e lavorativo della durata di 6 mesi. Il Comune di Mondragone è il primo ente che dà l’avvio a questo progetto nell’ambito della Regione Campania; ciò è stato reso possibile grazie alla collaborazione tra il Co.Re (Consorzio Cooperative Sociali di Napoli), il settore Servizi Sociali e l’assessorato all’Ambiente del Comune di Mondragone. Milano: 35 detenuti lavoreranno per ripulire parchi cittadini
Redattore Sociale, 25 luglio 2007
Per 35 detenuti si aprono le porte delle carceri di Opera e Bollate: lavoreranno come dipendenti a tempo determinato dell’Amsa per otto ore al giorno con uno stipendio netto di circa 900 euro al mese. Il loro compito sarà quello di raccogliere nei parchi le foglie cadute dagli alberi: per 35 detenuti, da metà settembre, si apriranno le porte delle carceri di Opera e Bollate per lavorare, come dipendenti a tempo determinato dell’Amsa (circa 3 mesi; ndr), per otto ore al giorno con uno stipendio netto di circa 900 euro al mese. "È un progetto che permetterà a questi detenuti di aggiungere nel loro curriculum un’esperienza di lavoro spiega Carlo Petra, direttore generale dell’Amsa Potrà poi tornare loro utile quando usciranno definitivamente dal carcere". Il progetto è promosso, oltre che dall’Amsa, dagli assessorati alle Politiche sociali e all’Arredo e decoro urbano del comune di Milano, dalla Commissione consigliare carceri, dal Tribunale di Sorveglianza, dal Provveditorato regionale delle carceri lombarde e dalle case circondariali di Opera e Bollate. "Inizieremo con un gruppo di 20 detenuti aggiunge Carlo Petra Nel mese di agosto verranno addestrati da personale Amsa all’uso degli attrezzi e sulla prevenzione degli infortuni. Quando poi inizieranno a lavorare, formeremo delle squadre miste detenuti e dipendenti della nostra azienda". Per i detenuti sarà l’occasione per fare un servizio alla città. "Il fine della pena è quella di rieducare chi ha commesso reati e reinserirlo nella società sottolinea Alberto Garocchio, presidente della Commissione consigliare carceri in questo caso i detenuti non solo lavorano e ricevono una formazione, ma possono rendersi utili agli altri cittadini. È un primo passo significativo per il loro reinserimento". Il Comune di Milano ha in cantiere altri progetti per i detenuti delle carceri milanesi. "Letizia Moratti ha chiesto agli assessorati di affidare alle cooperative che coinvolgono adulti in difficoltà commesse e servizi comunali per un importo inferiore ai 200 mila euro all’anno -aggiunge Mariolina Moioli, assessore comunale alle Politiche sociali Per quanto riguarda i detenuti, abbiamo pensato di coinvolgerli nella preparazione del pane attraverso "Milano ristorazione" (società del Comune che gestisce le mense scolastiche; ndr). Il progetto partirà nei prossimi mesi". Lodi: sei detenuti diventano operatori della ristorazione
Il Cittadino, 25 luglio 2007
Un corso di formazione per favorire il reinserimento sociale dei detenuti del carcere. Nel corso dei mesi di giugno e luglio, il Cesvip ha organizzato presso la casa circondariale di via Cagnola un progetto finanziato dalla regione Lombardia. Una serie di lezioni rivolte a coloro che si trovano nella struttura carceraria di Lodi, per insegnare ai detenuti i segreti della cucina. Alcuni esperti si sono messi a disposizione dell’agenzia formativa e cooperativa sociale Cesvip di Lodi, per insegnare a un gruppo composto da sei detenuti, le regole d’oro dell’arte culinaria: alcune ricette base, utili in caso di assunzione nell’ambito della ristorazione, una volta aperte le celle. "Abbiamo fornito, nel corso di diversi incontri, le nozioni fondamentali a livello professionale, per poter favorire un inserimento nel mercato del lavoro di alcune persone che si trovano all’interno della casa circondariale di Lodi fa sapere la responsabile commerciale del Cesvip, Annalisa Carcano -. Il corso lo abbiamo esteso a sei detenuti, che hanno così potuto beneficiare di competenze specifiche da spendere in futuro". Per alcuni di loro poi, l’agenzia di formazione prevede, mediante lo strumento della borsa lavoro, con il contributo regionale, di favorire un tirocinio pagato in azienda, per sperare in un’assunzione a tempo pieno. Si tratta di una proposta concreta per dare una mano a coloro, che una volta liberi faticano a trovare un impiego. Il metodo dello stage formativo, dopo l’accurato corso di cucina, permette infatti di accedere al mondo delle aziende con maggiore facilità. Nello specifico, infine, il corso finisce tra qualche settimana e ha coinvolto persone di età diversa (dai 20 ai 40 anni) e finite in carcere per aver commesso reati differenti. "Direi che con questo insegnamento, offriamo una possibilità in più a coloro che si trovano nella casa circondariale spiega la Carcano un modo per orientare al lavoro e favorire un inserimento una volta fuori". Olbia: il marchio "Codice a sbarre" sbarca in Costa Smeralda
Agi, 25 luglio 207
Sbarca in Sardegna il progetto "Codice a sbarre", la linea d’alta moda jailwear realizzata da detenute del carcere di Vercelli. L’iniziativa è stata presentata oggi nella sala giunta del Comune di Olbia dall’assessore comunale ai Servizi sociali, Tiziano Pinna. Nata nella città piemontese nel 2002, con i fondi del programma europeo sulle pari opportunità, l’idea si è trasformata in una vera e propria attività imprenditoriale "che oggi viaggia con le proprie gambe e si confronta nelle boutique con le griffe dell’alta moda senza peraltro sfruttare il facile appeal della beneficienza", ha detto Caterina Micolano, coordinatrice del progetto. Da domani, i capi "Codice a sbarre" saranno in vendita a Porto Rotondo, nella boutique Tribal store che domani, alle 19, li presenterà al pubblico nel corso di una manifestazione. Una felpa "Codice a sbarre" costa quanto altri capi griffati. Il marchio e’ di proprietà di una cooperativa e a supporto del progetto ci sono le istituzioni, dal ministero della Giustizia al Comune di Vercelli, passando attraverso il dipartimento delle carceri. Al di là dell’aspetto commerciale c’è evidentemente una rilevanza sociale nel progetto vercellese. Alla conferenza stampa odierna erano presenti, tra gli altri, Suor Maddalena, garante dei diritti dei detenuti del carcere di Sassari e Barbara Mura, del progetto "Avanzi di galera" che riguarda il carcere di Alghero. Pari opportunità e reinserimento lavorativo dei detenuti sono coniugate un’iniziativa che potrebbe fungere da esempio anche per le strutture carcerarie della Sardegna. Bologna: alla Dozza un sovraffollamento ormai insostenibile
Redattore Sociale, 25 luglio 2007
A fine aprile erano 850 i detenuti, quasi il doppio rispetto alla capienza regolamentare, anche dopo l’indulto. Circa 3.000 le persone "passate" per l’istituto penitenziario nel 2006 (60% immigrate, 30% tossicodipendenti). A fine aprile erano 850 i detenuti del carcere bolognese della Dozza, quasi il doppio rispetto alla capienza regolamentare, che è di 483 posti, anche dopo l’effetto indulto. Circa 3.000, invece, le persone "passate" per l’istituto penitenziario di Bologna nel 2006, di cui un 60% immigrate e un 30% tossicodipendenti. Tre detenuti su quattro, inoltre, sono in attesa di definire la propria posizione processuale, ossia sono semplicemente imputati. A segnalarlo è la terza relazione semestrale del garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, relativa al periodo ottobre 2006 aprile 2007. Oltre al sovraffollamento, le altre criticità riguardano le condizioni igienico sanitarie della struttura, "la carenza di opportunità di lavoro, i detenuti con problemi psichiatrici e la situazione degli stranieri irregolari, soprattutto se tossicodipendenti (perché possono aver accesso solo al metadone restando sempre in carcere anche se richiedono di sottoporsi a programmi di recupero) o se beneficianti di misure alternative alla detenzione, perché la loro fine è pur sempre l’espulsione anche se già inseriti in percorsi di reinserimento socio lavorativo", sottolinea la garante. Male anche il centro di permanenza temporanea di via Mattei, che ad aprile ospitava circa 40 persone (la metà) per via dei lavori di ristrutturazione, perché "non è un luogo adatto a farci restare delle persone nonostante il potenziamento dello sportello informativo e sia stato ultimato il campo sportivo", commenta Desi Bruno, mentre la situazione è migliore per l’istituto penale minorile del Pratello, dove dopo l’estate dovrebbe partire il progetto "Lavorare stanca" (un punto espositivo all’interno del quartiere Saragozza) per dar modo di dare visibilità a quanto realizzato durante i laboratori creativo artigianali dai 15 ragazzi, quasi tutti stranieri, detenuti in media nel carcere minorile. Ma nei sei mesi che vanno da ottobre 2006 ad aprile 2007 qualcosa all’interno del carcere della Dozza è stato fatto. "Sono aumentate le attività sportive e culturali, grazie agli attrezzi forniti dalla Uisp e alla convenzione con la biblioteca Sala Borsa, le iniziative di musica e teatro realizzate in collaborazione con il Gruppo Elettrogeno e "Il parto delle nuvole pesanti", e le attività legate alla salute della donna. Le farmacie municipali, infatti, hanno risolto la carenza di prodotti per l’igiene femminile e per l’infanzia", si legge nella relazione della garante. Nel prossimo futuro? In cantiere ci sono una struttura residenziale per le donne detenute e i loro bambini, un esperimento teatrale su Re Lear sotto la direzione del regista Paolo Billi (che ogni anno, già da tempo, porta in scena uno spettacolo con i ragazzi dell’istituto penale minorile di Bologna), il kit di sopravvivenza 48/72 ore per chi esce dal carcere, l’ultimazione della serra e alcuni progetti di reinserimento lavorativo dei detenuti. Il 30 luglio, intanto, tutti i garanti dei diritti delle persone private della libertà personale saranno a Roma per un incontro con il ministro dell’Interno Giuliano Amato. All’ordine del giorno probabilmente anche il nuovo disegno di legge sull’immigrazione, che modificherà il ruolo dei cpt e forse toccherà anche il "reato di clandestinità". Agrigento: fa troppo caldo, i detenuti rifiutano "ora d’aria"
La Sicilia, 25 luglio 2007
C’è troppo caldo, meglio stare "al fresco" pensano i detenuti nel carcere di contrada Petrusa. È talmente insopportabile la cappa opprimente di questi giorni da consigliare numerosi reclusi della casa circondariale agrigentina a rinunciare perfino all’ora d’aria. Anche perché il momento dedicato dalla direzione alla consueta "uscita" concessa ai carcerati cade in momenti della giornata a dir poco improponibili. Intanto, quella che in gergo si definisce ora d’aria in realtà sono due e scattano dalle 9 alle 11 e dalle 13 alle 15. Roba da appassionati di traversate sahariane, trattandosi, specie la seconda, di fasce orarie in cui l’esposizione al sole e comunque il contatto con la calura esterna viene sconsigliato da tutti i medici. Tra la 9 e le 11 i detenuti all’ora di "respiro" non rinunciano anche perché sempre detenuti sono ed anche il confronto con i 32 gradi può essere sopportato. Ma tra le 13 e le 15, quando la colonnina di mercurio rischia di esplodere, nelle zone preposte alla libertà vigilata dei reclusi non si vede anima viva. Tutti dentro, nelle celle dove non è che si viva "al fresco" alla luce della mancanza dei condizionatori d’aria. Il direttore del penitenziario della città dei Templi, Giovanni Mazzone sottolinea come "sia legittima la scelta dei detenuti di non fruire dell’ora d’aria visto il caldo terribile di questo periodo. Da parte nostra non possiamo fare altro che accettare la scelta senza alcun problema". Come dire che al Petrusa una delle poche libertà concesse è quella di rifiutare l’ora d’aria bollente. Nel carcere agrigentino dunque in tanti aspettano con ansia buone notizie dalle previsioni meteo per i prossimi giorni. E se le previsioni sono azzeccate bisognerà portare pazienza per un paio di giorni ancora. In ogni persona sottoposta a custodia nel carcere di Petrusa c’è tanta voglia di riassaporare il gusto delle due ore di aria, ma che sia fresca. Roma: 70 detenuti per una notte... a guardare le stelle
Ansa, 25 luglio 2007
Due ore con il naso all’insù, sdraiati per terra per fare un viaggio alla scoperta delle stelle. Una serata insolita quella passata ieri sera da 70 detenuti della casa di reclusione di Rebibbia con l’astrofisico Paco Lanciano, lo scienziato conosciuto per le sue collaborazione con la trasmissione di Piero Angela Quark. Metà del campo di calcio dell’istituto era ricoperto da moquette azzurra e sopra decine di tappetini di plastica sui quali gli ospiti di Rebibbia si erano sdraiati per osservare Giove, Venere, l’Orsa Maggiore, la Stella Polare. Un’ora di spiegazione, un’ora di domande: dall’esplosione delle stelle alla teoria della relatività, da Galileo e le sue stelle novae ai telescopi di Palomar e i meteoriti, dalla vita extraterrestre all’origine dell’Universo. Guardando il cielo in realtà osserviamo il passato, ha spiegato Lanciano, stelle che emettono la loro luce migliaia di anni luce fa. Ma nel cielo l’uomo ha proiettato anche i suoi sogni, le sue frustrazioni e le sue paure. "È stata davvero emozionante stare all’aperto in un’ora insolita per apprendere un modo così lontano ma così vicino a noi", ha detto uno dei detenuti che ha partecipato all’evento. Anche lo sguardo era libero di guardare il cielo stellato solitamente inaccessibile anche agli occhi dalle finestre sbarrate delle celle. Una serata davvero speciale, sotto lo sguardo discreto ma vigile degli agenti di custodia, organizzata dall’associazione Vic (Volontari in Carcere) nell’ambito di un progetto di incontro con personalità del mondo della cultura e della scienza. Una serata davvero speciale anche per il direttore Stefano Ricca, sdraiato pure lui a guardare le stelle e ad ascoltare la lezione a cielo aperto di Paco Lanciano. Immigrazione: Cecina; si discute di razzismo e sicurezza
Redattore Sociale, 25 luglio 2007
Aumentano gli arresti di stranieri, soprattutto irregolari, e diminuisce la criminalità. Si discute anche di immigrazione e sicurezza al meeting antirazzista di Cecina. "Occorre distinguere in modo netto tra il dato oggettivo della criminalità e la percezione dell’insicurezza soggettiva e collettiva", introduce Alessandro Margara (ex Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze). Da lì il passo al ricorso al carcere come contenitore dei problemi sociali è breve. "L’insicurezza chiede un contrasto forte di polizia, che faccia pulizia continua Margara. E la polizia preferisce interventi una tantum, retate dissuasive, piuttosto che presenze quotidiane". I problemi dell’insicurezza diffusa andrebbero invece cercati altrove, secondo il professor Petrillo del Politecnico di Milano. "Negli anni sessanta a Milano si sparava per strada, ma erano gli anni del boom economico e nessuno allora parlava di sicurezza. La costruzione di nemici pubblici è ciclica e corrisponde all’incapacità delle amministrazioni di rilanciare l’economia delle città e di dare prospettive ai giovani. Il tutto in anni di grandi paure globali, che vanno dalla guerra al terrorismo". "Oggi in Europa c’è relativa sicurezza dice il professor Pavarini dell’Università di Bologna I dati sono chiarissimi". Pavarini sottolinea che gli indici forniti dal Ministero si riferiscono alla criminalità apparente e non a quella reale. "C’è un evidente selettività delle agenzie del controllo sociale. Gli immigrati sono controllati duecento volte più spesso degli italiani". Il contributo al crimine degli immigrati poi continua Pavarini si concentra soprattutto nel mercato delle droghe illegali e nella prostituzione. Un dato non casuale, che suggerisce un meccanismo di "sostituzione" nei mercati illegali, contiguo con le logiche di precarizzazione e sfruttamento della manodopera straniera. "La criminalità non aumenta, ma assistiamo ad una sostituzione dei più deboli nelle posizioni ad alto rischio e poco remunerative". Non solo. "Mantenere gli immigrati vicino a posizioni semi illegali dice Pavarini contribuisce a mantenere bassi livelli salariali ed alti livelli di sfruttamento del lavoro nero". Ma nonostante tutto, sull’agenda della politica locale, la sicurezza continua ad occupare un posto importante, anche nelle piccole comunità. "A Castagneto una volta si teneva la chiave nell’uscio, oggi si ha paura" dice l’assessore Francini del Comune di Castagneto. Francini se la prende quindi con i giornalisti. "Perché dice non fa notizia che il 10% dei residenti del nostro territorio sono extracomunitari, e non delinquono? Perché non fa notizia che molti di loro lavorano sfruttati nei nostri vigneti? E che a dare loro le case in affitto sono i mafiosi? E invece fa notizia soltanto una rapina in banca se a farla è un magrebino?". C’è da fare un "grosso percorso di educazione", conclude l’assessore. "Siamo passati dalla cultura contadina della solidarietà alla cultura della competizione e dell’insicurezza, e la gente non è matura al cambiamento". Ma, attenzione, avverte l’assessore, "dai segnali che vedo sul territorio, il tempo per intervenire è davvero poco". Droghe: la Camera dice "no" al test per i parlamentari
Corriere della Sera, 25 luglio 2007
I distinguo e i commenti sono stati tanti, dopo. Ma la verità è che a favore della proposta di legge che voleva il test anti-droga per i parlamentari, alla fine c’era soltanto l’Udc nell’opposizione. La maggioranza ha fatto quadrato: un voto contrario pressoché bulgaro. E così ieri l’iniziativa di Pier Ferdinando Casini è stata clamorosamente bocciata alla Camera, in commissione Affari costituzionali. Ma Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, non ci sta. Dice: "Proporremo ai nostri parlamentari di farlo ugualmente, il test". E gli fa eco Riccardo Pedrizzi, di An: "Proporremo che tutti i parlamentari nostri si sottopongano al test, volontariamente". La verità, però, è che non c’era un solo rappresentante di An in commissione al momento della votazione della proposta. Una proposta che era nata sull’onda emotiva di un programma televisivo: "Le Iene" avevano "rubato" campioni di sudore tra i parlamentari fuori da Montecitorio scoprendo, così, un alto tasso di consumo di stupefacenti fra di loro. Per questo la proposta di legge di Casini aveva raccolto diversi consensi fra i parlamentari: sull’onda dello scandalo l’avevano firmata in parecchi nell’opposizione, ma anche dentro la maggioranza. Ma ieri al momento del voto, dei parlamentari dell’opposizione in commissione Affari Costituzionali non c’era nessuno, se non l’Udc, appunto. "Avevo da fare un intervento in Aula già programmato taglia corto Gabriele Boscetto di Forza Italia. Ma la verità è che quando era intervenuto in commissione per commentare la proposta di legge ne aveva dato un giudizio così negativo da coincidere con quello del verde Marco Boato, autore degli emendamenti che ieri hanno affossato definitivamente l’iniziativa. Eppure c’erano molte firme di Forza Italia sotto quella proposta di legge. Così come c’erano svariate firme di An e nessuno a sostenere la proposta in commissione. Un test che la Lega non avrebbe problemi a fare, dice Roberto Maroni. Che spiega. "Per noi è superfluo perché tra i prerequisiti dei candidati della Lega c’è il rifiuto della droga. Ma non abbiamo timori Comunque non c’erano nemmeno i rappresentanti del Carroccio in commissione a dar manforte a Gianpiero D’Alia, il relatore dell’Udc. Il voto dell’Unione è stato compatto ieri in commissione Affari Costituzionali. Ma dentro l’Unione ieri c’è stato chi ha voluto far polemica: "Con questa bocciatura il Parlamento non lancia certo un segnale di apertura e trasparenza verso l’esterno: il test non era obbligatorio ma facoltativo", si lamenta infatti Silvana Mura, dell’Italia dei valori, forse senza nemmeno aver indagato sulla modalità di voto di Carlo Costantini, suo compagno di partito e membro della commissione. Che si difende: "Credo di aver votato insieme alla maggioranza, alla fine. Ma non è che l’ho seguita molto questa proposta di legge, non sapevo bene di cosa si trattava... Il verde Marco Boato l’ha seguita fin dall’inizio. E fin dall’inizio osteggiata come ha potuto: "È una proposta di legge demagogica e assolutamente anticostituzionale", dice per spiegare i due emendamenti che hanno affossato la proposta. Ma contro le sue parole si scaglia Alessandra Mussolini, europarlamentare di Alternativa sociale: "Con questa bocciatura del test antidroga ancora una volta la casta si difende", decreta senza ammettere appello. Droghe: appunti e spunti dalla relazione del governo di Giulio Manfredi (Direzione Nazionale Radicali Italiani)
Notiziario Aduc, 25 luglio 2007
Sistema dei servizi pubblici inadeguato qualitativamente e quantitativamente: rapporto operatori/utenti pari a 1:24 (in base al D.M. 444/90 dovrebbe essere 1:13.6); scarsità del personale con professionalità psicosociali, per integrare i trattamenti farmacologici. Di pari passo, regresso delle comunità terapeutiche, la cui utenza si è dimezzata in dieci anni: nel 1996 raggiunsero l’apice, erano 1372, con circa 24.000 utenti; nel 2006 sono 730 comunità residenziali e 204 semiresidenziali, con un’utenza di circa 11.000 persone. Cause: inadeguatezza delle rette, che variano sensibilmente da regione a regione; mancata applicazione nella maggioranza delle Regioni dell’Atto di Intesa Stato Regioni del 1999; ritardo nei pagamenti. Richiesta unitaria da parte degli operatori: ogni ASL dedichi l’1,2% del proprio budget al complesso degli interventi sulle dipendenze (ricordo che, in base all’Accordo del 1999, ogni ASL avrebbe dovuto istituire al suo interno uno specifico "Dipartimento delle Dipendenze", per affrontare gli interventi in modo coordinato e sinergico). A partire dal 2000, Il "Fondo per la Lotta alla Droga" è confluito nel più vasto "Fondo Sociale" (L. 328/00). Risultato: sottrazione di fondi alle dipendenze per investirli in altri settori più gratificanti… anche elettoralmente! Necessità ed urgenza di occuparsi in maniera sistematica della fascia di utenza più "dura" (8% del totale, 12.000 < 14.000 persone), senza fissa dimora, che vive in strada. La buona volontà del volontariato non basta; occorre creare una struttura in grado di sapere prospettare anche a chi può farcela dal fuoriuscita dal circolo vizioso strada/assistenza/strada (vedi aggancio con proposta "narcosala"). Ferrero propone la costruzione di un "Piano nazionale di lotta alla droga", a valenza quadriennale, previsto dall’Unione Europea (e messo nel dimenticatoio dal governo Berlusconi); il Piano dovrà essere pronto entro fine anno e servire da modello per i singoli piani regionali. I quattro pilastri del Piano saranno: lotta al traffico, prevenzione, cura e riabilitazione, riduzione del danno. È importante sottolineare il fatto che la "riduzione del danno" acquista (almeno nelle intenzioni del Ministro) una dimensione quantitativa e qualitativa pari a quella degli altri pilastri. Attualmente la r.d.d. è la Cenerentola degli interventi sulle dipendenze: "… i servizi strutturati volti alla Riduzione del danno ed alla Limitazione dei rischi sono nella quasi totalità dei casi pubblici. Il dato presenta aspetti di incompletezza per la mancata risposta di alcune Regioni. In particolare le Unità di strada per la riduzione del danno da droghe sono 23 (2 private); le Unità di strada destinate alla limitazione dei rischi della notte 26 (5 private), quelle rivolte alla prostituzione 11 (1 privata), i Drop-in sono 10 (1 privato), i Dormitori specializzati per dipendenze patologiche sono 2 (1 privato) …" (pag. 112). (Domenico Massano il radicale di Torino che lavora nei servizi del privato sociale e che ha incardinato la petizione per una narcosala a Torino insiste da tempo sulla necessità di dare alla "riduzione del danno" una struttura ad hoc, a cascata, dal Ministero agli Uffici Tossicodipendenze degli Assessorati Regionali ai Dipartimenti Dipendenze delle ASL). Ferrero ricapitola infine i punti qualificanti della sua proposta di legge delega di riforma del Testo Unico sugli stupefacenti (DPR 309/90), tra i quali la possibilità di "sperimentare, sulla base di evidenze scientifiche e previa autorizzazione dell’Istituto Superiore di Sanità, interventi innovativi nel campo della cura e dell’aiuto alle persone dipendenti." (apertura in primis alle "narcosala" ma anche, in seconda battuta, a progetti di somministrazione controllata di eroina terapeutica; ricordo che mentre per le narcosale si può sostenere la loro istituzione a legislazione vigente, per la somministrazione dell’eroina bisogna, almeno, abolire la "Fini-Giovanardi" (L. 49/06). Ferrero prevede di tenere la IV Conferenza Nazionale sulle dipendenze nel primo trimestre del 2008. Nel 2006 i soggetti in trattamento presso i Sert sono stati circa 176.000. L’utenza dei Sert (14% nuovi utenti, 86% utenti già in carico dall’anno precedente o rientrati) è composta prevalentemente da soggetti di genere maschile (87%), di nazionalità italiana (94%) e con età media di quasi 35 anni (30 anni per i nuovi utenti). Mi pare interessante rilevare il fatto che i Sert riescono ad intercettare utenti già "vecchi", già "provati", molti dei quali hanno già compiuto reati e sono stati in galera. Necessità ed urgenza di trovare nuovi strumenti per l’aggancio precoce dei consumatori. Le sostanze per le quali si richiede il trattamento sono nella maggior parte dei casi oppiacei (72%), seguite dalla cocaina (16%) e dalla cannabis (10%), queste ultime molto più diffuse tra i nuovi utenti (teniamo sempre presente che, soprattutto per la cannabis, si tratta di persone inviate dalle Prefetture dopo la segnalazione di cui all’art. 75 del DPR 309/90, per cui non era nelle loro intenzioni "richiedere di essere trattate dal Sert" …). L’uso iniettivo si riscontra nel 74% degli utilizzatori di oppiacei e nell’8% degli utilizzatori di cocaina. La maggior parte degli utenti in carico (61%) dichiara di avere un livello di istruzione medio e di lavorare. Il 62% dell’utenza ha usufruito di trattamenti farmacologici, la metà dei quali integrati con terapie di tipo psico-sociale (vedi considerazioni precedenti del ministro Ferrero). La maggior parte (93%) è destinatario di trattamenti con oppioagonisti (68% con metadone, 20% con buprenorfina). L’8% degli utenti dei Sert risulta trattato in strutture terapeutiche residenziali, Di questi, il 54% riceve, ad integrazione della terapia di comunità, trattamenti farmacologicamente assistiti (metadone per il 51% e buprenorfina per il 12%). (È positivo riscontrare che l’utilizzo di trattamenti farmacologici si è diffuso anche nelle comunità terapeutiche; come è successo nei Sert, il metadone non è più visto come il "nemico" ma un "alleato" nell’agganciare il td.te per il tempo sufficiente ad avviarlo a percorsi di recupero … È negativo riscontrare che, anche in questa relazione ricca di dati nuovi, vi sono informazioni inadeguate per qualità e quantità sull’assistenza sanitaria dei cittadini tossicodipendenti in carcere (a pag. 177, si analizza un campione di 2.000 soggetti mentre erano 16.145 i td.ti in carcere alla data del 30 giugno 2006; rispetto al campione, solo il 39% riceve trattamenti farmacologici: per il 19% si tratta di farmaci non specifici i famigerati sedativi per "far star buoni e calmi" i detenuti -, il 18% con metadone, il 2% con buprenorfina). Ricordo che ai sensi della riforma della medicina penitenziaria (D. Lgs. 230/99), l’ASL di riferimento è direttamente responsabile dell’assistenza sanitaria in carcere e, quindi, non c’è più differenza fra Sert fuori le sbarre e Sert dentro le sbarre. Su questo punto preparerò un’interrogazione parlamentare per i nostri deputati. Nel 2006 vi sono stati 517 decessi per overdose; in dieci anni le morti si sono ridotte a un terzo; nel 1996 si era toccata la punta massima, con 1.556 decessi. Lo studio Vedette (il più grande studio osservazionale condotto in Italia, cui hanno aderito 115 Sert in 13 Regioni italiane, svoltosi tra il 1998 ed il 2001) ha evidenziato come chi è in trattamento presenta un rischio di mortalità acuta circa 11 volte inferiore a chi è fuori trattamento. Risultano quindi fondamentali i fattori "ritenzione in trattamento" e "durata degli interventi". Se rapportati ai trattamenti disponibili, i trattamenti di mantenimento con metadone (in particolare se con dosi superiori a 60 mg al giorno e integrati da un supporto psicosociale o da una psicoterapia), rivelano la massima capacità di ritenzione dell’utente; la comunità terapeutica è risultata poco inferiore al mantenimento con metadone nella ritenzione, almeno per quanto riguarda i nuovi utenti (tenendo presente che i trattamenti metadonici sono ormai diffusi anche nelle comunità!), mentre tutti gli altri trattamenti hanno mostrato una minore capacità di ritenzione. La "Relazione sulle tossicodipendenze" fornisce anche i dati della mortalità relativa al consumo di sostanze psicoattive legali: "… Alcol. Secondo le ultime stime dell’Istituto Superiore di Sanità, ogni anno in Italia circa 24.000 decessi sono associati all’alcol e riguardano più di 17.000 uomini e circa 7.000 donne … Tabacco. In Italia l’Istituto Superiore di Sanità stima circa 80.000 decessi attribuibili al fumo ogni anno, pari a circa il 14% di tutte le morti …" (pag. 134). Impressionanti sono anche le cifre riguardanti gli incidenti stradali: "… Secondo le ultime stime dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia muoiono attualmente ogni anno in seguito ad incidente stradale circa 6.000 persone. Per ogni morto in incidente stradale ci sono poi 2-3 invalidi molto gravi, 20 ricoverati, più di 250 accessi al Pronto Soccorso… più di un decesso su tre riguarda soggetti con meno di 30 anni; più della metà dei ragazzi deceduti a 18 anni muore a seguito di incidente stradale, (che) è la prima causa di invalidità grave dei giovani. Per avere un’idea precisa di cosa significhi sul lungo periodo, basta pensare che dal 1970 ad oggi sono morti per incidente stradale circa 125.000 giovani (100.000 maschi e 25.000 femmine) che avevano meno di trenta anni. Accanto a questi, circa 315.000 giovani della stessa fascia di età hanno riportato invalidità di grande rilievo (in particolare per trauma cranico grave e trauma spinale). Tra le molteplici cause di questo fenomeno, alla guida in stato di ebbrezza viene attribuito circa il 30% degli incidenti stradali gravi o mortali …" (pag. 139). Rispetto all’analisi del "mercato della droga e criminalità droga-correlata", nel corso del 2006 il mercato italiano è stato alimentato prevalentemente dalla cocaina prodotta in Colombia, dall’eroina afgana, dall’hashish prodotto in Marocco, dalla marijuana albanese e dalle droghe sintetiche provenienti per lo più dall’Olanda. Tra le varie narcomafie esistenti, mantiene la posizione di supremazia la "ndrangheta" calabrese. (Nell’attuale fase, caratterizzata da una distribuzione del mercato delle droghe proibite capillare e redditizia, non ci sono guerre eclatanti fra le varie narcomafie perché ci sono comodi profitti per tutti). L’analisi del costo delle sostanze evidenzia come dal 2001 al 2006 la media dei prezzi sia diminuita per la cocaina (da 99 a 83 euro per grammo) e l’eroina (da circa 68 a 52 euro per quella nera e da 84 a 78 euro per quella bianca), sia aumentata quella di una singola pasticca di ecstasy e/o dose di LSD, mentre rimane invariata quella dei cannabinoidi. Rispetto alla purezza delle sostanze, rispetto all’ecstasy è scesa dal 28% del 2001 al 18% del 2006; anche la percentuale media di principio attivo di cocaina ed eroina si è ridotta, passando nel quinquennio rispettivamente dal 65% al 55% e dal 29% all’11%; stabile, su valori inferiori al 10%, la percentuale media di principio attivo (thc) presente nei cannabinoidi sequestrati con valori che non superano in nessun campione sequestrato il 20% (questo fa giustizia degli innumerevoli comunicati terroristici di Giovanardi e compagni, che denunciavano percentuali di thc altissime negli spinelli!). Rispetto alle segnalazioni per possesso di sostanze stupefacenti, nel 2006 sono stati 35.645 i soggetti segnalati alle Prefetture ex art. 75 DPR 309/90. Tre su quattro detenevano cannabis. Il numero complessivo dei neo-inseriti nell’anno nel circuito amministrativo ammonta a oltre 27.000 persone, delle quali oltre 20.000 per consumo di cannabinoidi (si conferma il carattere palesemente persecutorio nei confronti dei cannabismi della disposizione suddetta); il 15% cocaina, l’8% oppiacei. Dal 2002, a fronte di una diminuzione della percentuale di soggetti segnalati per possesso di cannabinoidi, si è registrato un incremento di quella dei segnalati per cocaina (dal 9% nel 2002 al 15% nel 2006) e una stabilità per l’eroina (8%). Il numero totale dei colloqui svolti davanti al Prefetto è pari a 26.841, le sanzioni amministrative sono state complessivamente 7.146 (il 75% successivamente al colloquio, il 25% per mancata presentazione al colloquio stesso), 5.816 soggetti sono stati inviati ai Sert e per 5.709 è stato archiviato il procedimento amministrativo per conclusione del programma terapeutico. Le denunce effettuate per crimini commessi in violazione della normativa sugli stupefacenti sono state 32.807 (10% per reati di associazione finalizzata alla produzione, traffico e vendita di stupefacenti ex art. 74 DPR 309/90; 90% per reati di produzione, traffico e vendita di sostanze psicotrope ex art. 73 DPR 309/90). I soggetti denunciati sono stati 31.823; gli immigrati rappresentano circa il 29% dei denunciati. I cittadini italiani sono coinvolti nel reato più grave previsto dall’art. 74 in proporzione maggiore rispetto agli stranieri (circa l’11% contro l’8%). L’età media dei denunciati è di circa 30 anni; risulta più elevata, circa 35 anni, nel caso delle denunce per art. 74 (è incontestabile che almeno nelle narcomafie vi sia un continuo ricambio generazionale, sia ai vertici che alla base!). I soggetti entrati, nel 2006, negli istituti penitenziari italiani per reati in violazione della normativa sugli stupefacenti sono 25.399 adulti e 219 minori, corrispondenti a oltre un quanrto dei circa 91.000 ingressi annui totali. Di questi ingressi per violazione del Dpr 309/90, circa il 60% ha riguardato soggetti censiti come tossicodipendenti. (è utile tenere presente che non rientrano in questi dati i reati relativi non alla violazione diretta della legge sugli stupefacenti ma comunque conseguenza indiretta della legge proibizionista: es. di scuola, il td.te che scippa la vecchietta per procurarsi i soldi della dose). Infatti, quando si va a verificare quanti detenuti sono consumatori di droghe, la percentuale sale al 27%; quasi i 2/3 (61%) degli incarcerati nel 2006 per violazione della legge sulla droga sono alla loro prima esperienza detentiva (grande capacità delle narcomafie di arruolare nuovi "soldati"). I soggetti che hanno usufruito di "misure alternative" (art. 94 DPR 309/90) sono rimasti sostanzialmente stabili come numero assoluto tra il 2001 e il 2006, attorno alle 3.000 unità circa all’anno. Circa il 29% dei td.ti affidati ha commesso reati in violazione della normativa sugli stupefacenti (quindi il 71%, quasi 3 su 4, ha commesso altri reati!). Mancano nella "Relazione del governo" le "relazioni delle Regioni". Considerata la "regionalizzazione" della Sanità e quindi anche degli interventi sanitari in materia di tossicodipendenze, sarebbe stato opportuno che all’interno del documento del Governo fossero riportati i dati delle varie Regioni, Regione per Regione, come fu fatto in passato. Tali dati evidenziavano, per esempio, l’arretratezza degli interventi nel Sud Italia. Per la prima volta in una Relazione del governo sulle tossicodipendenze, si "danno i numeri" relativi ai "costi sociali legati all’uso di droghe" (pag. 166<169), così suddivisi: - Costi socio-sanitari: totale Euro 1.743.000.000 - Costi legati alla perdita di produttività: totale Euro 1.932.000.000 - Costi per l’applicazione della Legge: totale Euro 2.798.000.000 In tale importo sono raggruppati: i costi delle Forze dell’Ordine; i costi relativi alle attività dei Tribunali e delle Prefetture in merito alle denunce e alle segnalazioni; i costi dell’Amministrazione Penitenziaria riferibili ai carcerati per reati in violazione alla legge sulle droghe e ai detenuti tossicodipendenti; i costi legali sostenuti dalle persone sottoposte a giudizio. - Altre aree che generano "costi sociali": totale Euro 3.980.000.000 In questa parte sono stati collocati solo i costi sostenuti dalle persone per l’acquisto delle sostanze. Totale dei costi sociali stimati per il 2006: euro 10.453.000.000 I costi per l’acquisto delle sostanze e per l’applicazione della legge (noi antiproibizionisti diremmo "i costi diretti del proibizionismo sulle droghe") rappresentano il 65% del totale (Euro 6.778.000.000). I costi sociali dell’intervento socio-sanitario rappresentano il 17% del totale e i costi legati alla perdita di produttività il 18%. I "costi sociali" suddetti rappresentano lo 0,7% del totale del PIL e l’1,2% della "spesa delle famiglie". Se si raffrontano le cifre italiane a quelle di altri paesi europei, si riscontra una sostanziale uniformità: "… Il dato italiano del 2006 di 166 euro pro-capite appare sostanzialmente simile a quello dell’Olanda del 2003, che individua una cifra pro-capite di 143 euro o a quello della Svezia del 2002 di 167 euro. Appare inferiore rispetto a quello dell’Inghilterra del 2000 pari a 210 euro. Risulta evidente che questi confronti, pur basandosi sulla stessa metodologia usata per la stima del "costo sociale", facendo riferimento ad anni diversi possono servire solo a rendere visibili eventuali macroscopiche diversità che, come si può rilevare, non sussistono …" (pag. 169) Cambiano le leggi da Paese a Paese, dalla "tollerante" Olanda alla rigorosamente proibizionista Svezia, ma il controllo del mercato da parte delle narcomafie transnazionali è sostanzialmente uniforme e provoca i medesimi costi. In questo campo, l’Unione Europea è realmente unita. Stati Uniti: gli omicidi insoluti si risolvono... con il poker!
Corriere della Sera, 25 luglio 2007
Quelle distribuite ai militari dell’esercito americano impegnato sul teatro iracheno sono passate alla storia: l’asso di picche era Saddam Hussein, quelli di fiori e di cuori i suoi figli Usay e Qusay, quello di quadri il suo braccio destro Abid Hamid Mahmud Al Tikriti. L’idea dei vertici militari era molto semplice: incentivare i soldati, anche con un espediente grafico di particolare effetto, ad arivare all’obiettivo finale, vale a dire il "poker" che avrebbe consentito agli Usa di chiudere vittoriosi la partita di Bagdad. Sulla stessa falsariga sono ora le autorità federali della Florida che si affidano ad un mazzo di carte. E lo fanno per cercare di trovare soluzione a decine di casi di omicidi ancora irrisolti. Gli speciali mazzi, con le carte che questa volta riportano i volti non di pericolosi ricercati bensì di vittime che ancora non hanno avuto giustizia, saranno distribuiti in 100 mila copie ai detenuti di 129 penitenziari di Stato. L’obiettivo è molto semplice: "stuzzicare" attraverso il gioco la memoria e, eventualmente, la voglia di collaborare da parte dei galeotti. "I criminali sono in stretta relazione con altri criminali spiega al Miami Herald il capo dell’amministrazione penitenziaria, Jim Mc Donough Si conoscono tra loro, sono al corrente delle rispettive abitudini e condividono gli stessi contatti. Spesso sono molto più che preparati a fornire informazioni che potrebbero consentirci di assicurare altri criminali alla giustizia". Una sorta di moral suasion affidata al poker e al tresette, insomma, che i vertici delle forze dell’ordine sperano possa dare grandi risultati. I mazzi di carte sono costati allo Stato della Florida circa 80 mila dollari. I primi sono stati distribuiti nella prigione della contea di Polk e i risultati sono subito arrivati: grazie a nuove segnalazioni, è stato possibile arrestare due persone coinvolte nell’omicidio, avvenuto nel maggio del 2004, di Thomas Wayne Grammar, che era stato indicato con il 3 di picche, una carta ora destinata al caso di Jean Mondestin, ucciso nel febbraio del 2006 a Fort Pierce. Il detective Tommy Ray, che fa parte di uno dei team che si occupa degli omicidi irrisolti, a proposito del risultato di Polk County, portato a termine dopo la distribuzione di 2.500 mazzi da gioco, ha commentato: "È stato come intervistare 2.500 detenuti a proposito di 52 diversi omicidi e tutto in un colpo solo". Le carte non riportano soltanto i volti delle vittime di omicidi conclamati. In molti casi si tratta di persone di cui non si ha più traccia da tempo e la cui scomparsa potrebbe essere appunto legata ad un fatto di sangue. Anche in questo caso la speranza è che il passaparola tra i detenuti possa far giungere alle orecchie degli inquirenti la dritta giusta per poter procedere con nuove indagini e nuovi arresti. Su ogni carta è stampato il numero di telefono delle forze di polizia che stanno indagando su quel particolare caso. L’iniziativa è stata accolta con generale favore anche dai parenti delle vittime che, salvo alcune eccezioni, non hanno protestato per il rilancio su vasta scala e su uno strumento insolito come le carte da gioco dei casi relativi ai loro congiunti. È però capitato anche che i famigliari di una persona uccisa si siano prima lamentati con la ditta produttrice, la Effective Playing Cards di Plant City, per la pubblicazione delle notizie relative all’omicidio e poi, a distanza di pochi mesi, per la sostituzione del loro con un altro caso in occasione di una successiva ristampa. Come già era avvenuto per le carte con i "most wanted" del regime di Saddam, anche i mazzi con i casi di omicidi irrisolti due per un totale di 104 carte con altrettanti x-files di cronaca nera sono a disposizione pure del grande pubblico, al di fuori del circuito carcerario: possono essere acquistati online sul sito dell’azienda produttrice al costo di 3 dollari e mezzo.
|