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Giustizia Farina (Prc); suicidi in carcere, cosa fa il governo?
Liberazione, 27 giugno 2007
"Cosa intende fare il governo per contrastare il fenomeno dei suicidi nelle carceri italiane?". Ieri Daniele Farina, vicepresidente della commissione giustizia alla Camera ha rivolto questa precisa interrogazione al ministro Mastella. Lo spunto è stato preso sulla vicenda di Mauro Bronchi, suicidatosi a Rebibbia il 17 ottobre 2006. "Il caso - spiega il deputato di Rifondazione - è stato oggetto di un intervento di Gianfranco Spadaccia, garante dei diritti delle persone private della libertà per il comune di Roma, che ha rilevato come Bronchi non usufruisse più dell’assistenza psichiatrica precedentemente prestatagli". "L’indulto - continua Farina - che ha ridotto notevolmente il numero dei detenuti nelle carceri italiane, teoricamente dovrebbe consentire un miglioramento dell’assistenza sanitaria e delle condizioni di vita dei detenuti. Tuttavia - conclude il vicepresidente della commissione giustizia - il numero dei suicidi nelle carceri italiane continua ad essere spaventosamente alto". Di fatto è proprio così, e gli ultimi dati redatti lo confermano. I detenuti liberati attraverso l’indulto - rivela il dossier di "Ristretti Orizzonti" - sono stati per la maggior parte condannati a pene brevi, in sostanza: tossicodipendenti, migranti, malati mentali. Un provvedimento - sottolinea ancora l’associazione - che ha ridato oltremodo speranza anche a tutti quei detenuti che sono rimasti in cella: a chi ha una pena lunga abbreviandogliela; a chi è entrato in carcere dopo il provvedimento e non ne ha potuto usufruire perché ha dimostrato che lo Stato è capace non solo di punire ma anche di "incoraggiare" il recupero. Ma non basta. Del resto proprio grazie al fatto che i detenuti nelle carceri italiane sono diminuiti, in molti più casi gli agenti di polizia penitenziaria riescono a intervenire o persino a salvare "in extremis" coloro che tentano il suicidio. Nonostante questo valido provvedimento le condizioni carcerarie e la situazione psicofisica di coloro che restano in cella continuano ad essere disumane. E proprio il suicidio è il dato più allarmante. Se, a provvedimento varato, si è registrata una percentuale decrescente pari a - 60% nei primi mesi del 2007 rispetto allo stesso periodo analizzato nello scorso anno, con i suicidi diminuiti da 16 a 2 resta la percentuale "alta" di suicidi in cella. Nei primi cento giorni del 2006 muoiono nelle carceri italiane 24 detenuti, di cui 16 per suicidio. Nello stesso periodo del 2007 muoiono ancora nelle carceri italiane 11 detenuti, di cui 2 suicidi. Come detto tra i dati del 2006 e quelli del 2007 c’è di mezzo il provvedimento dell’indulto che ha fatto uscire dai sistemi penitenziari italiani più di un terzo dei reclusi. Resta il nodo: un sistema penale da riformare in toto. Un sistema - rivela ancora l’ultima relazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - che in questi ultimi anni è profondamente mutato: sono cresciute le previsioni di reato e si sono moltiplicati i delitti. L’esperienza terribile del carcere si è dunque estesa a più soggetti, mentre il periodo medio di detenzione si è ridotto in un "turn-over" frenetico. Negli ultimi anni nell’arco di 12 mesi continuano gli arresti: ben 90 mila persone a fronte di 88 mila scarcerati, con una crescita costante pari a circa duemila unità all’anno e ciò ha determinato una presenza di flusso negli istituti penitenziari con permanenze variabili. E ancora resta l’emergenza. Proprio il Dap mette in evidenza come nel luglio 2006 i detenuti abbiano raggiunto un picco di 63mila unità che non si era mai toccato in precedenza a fronte di una capienza regolamentare che consente una presenza di meno di 43mila unità. "In un carcere - ammette lo stesso Sebastiano Ardita, direttore generale detenuti e trattamento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - che per due terzi è fatto di detenuti in attesa di giudizio non cessa mai l’emergenza data dal pericolo di perdere la salute, di suicidio e di devianza come conseguenza della detenzione". Tutto ciò che da anni denunciano associazioni come Antigone che operano all’interno del sistema penitenziario chiedendo condizioni più umane, maggiore rispetto per i principi fondamentali della stessa Costituzione che restano disattese. Affinché si possa davvero "incoraggiare" il recupero. Si possa evitare di trascrivere altri terribili dati che in un paese civile non dovrebbero neppure comparire nelle statistiche. Giustizia: Gonnella; approvare presto leggi su tortura e garante
Redattore Sociale, 27 giugno 2007
Le richieste di Patrizio Gonnella (Antigone) durante il convegno internazionale di Roma per la Giornata internazionale contro la tortura. Italia ancora inadempiente, nonostante la ratifica della Convenzione Onu del 1987. Approvare in tempi rapidi le due leggi sul reato di tortura e sulla figura del Garante delle persone private della libertà, che dopo l’approvazione alla Camera sono ferme al Senato. Questi i due passi che Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, ha auspicato vengano compiuti presto dall’Italia nel corso del convegno internazionale organizzato oggi a Roma in occasione della Giornata mondiale contro la tortura. Con l’obiettivo di presentare il progetto Eurosocial, che promuove un accordo tra il ministero della Giustizia del nostro paese e quelli di Brasile, Argentina e Bolivia, per esportare in questi paesi, che stanno compiendo grossi passi avanti nel campo dei diritti umani, la buona pratica italiana. "Siamo obbligati a farlo - ha sottolineato Gonnella - dal punto di vista giuridico, in quanto abbiamo ratificato dei trattati internazionali, ma è anche una questione da cui si desume il tasso di democraticità di un paese e la sua capacità di autoregolamentazione". Nonostante il nostro paese abbia ratificato la Convenzione Onu contro la tortura, approvata nel 1987, senza l’introduzione del reato di tortura risulta in materia ancora inadempiente. Nel frattempo ha inoltre firmato il protocollo aggiuntivo sull’istituzione di un organismo indipendente di controllo e prevenzione della tortura e dei maltrattamenti, ma non l’ha ancora ratificato. "Esiste un problema di ingegneria costituzionale - normativa - ha evidenziato Gonnella riflettendo sul panorama internazionale emerso dal dibattito - , per cui è necessario mettere a posto gli ordinamenti, ma siamo anche in una fase in cui i diritti umani sono a rischio e, a causa della lotta al terrorismo, tornano i rapporti di forza". Anche in Italia, ha continuato, "esiste il rischio tortura", come testimoniano i fatti avvenuti a Napoli (global forum), Genova (G8 del 2001), Sassari (violenza penitenziaria in carcere) e Ferrara. Quest’ultimo caso si riferisce al giovane della media-borghesia morto al ritorno dalla discoteca, di cui ha parlato ieri sera, ha detto Gonnella, una trasmissione di una rete pubblica. Un testimone ha parlato per la prima volta, sostenendo la tesi che il giovane sia stato "pestato a morte dalla polizia", contraddicendo la versione offerta dagli agenti. È un problema di ordine culturale, secondo il presidente di Antigone, che riguarda il rapporto tra la cittadinanza e le forze dell’ordine, in quanto in Italia non esiste ancora la cultura secondo cui "le forze della polizia sono agenti di promozione dei diritti umani e non soggetti che potenzialmente potrebbero metterli a rischio" "A venti anni dalla ratifica, - è intervenuto da parte sua Stefano Pratesi, vicepresidente della sezione italiana di Amnesty - , la Convenzione è stata adottata da 140 stati. Eppure, secondo il nostro ultimo rapporto sui diritti umani, il reato di tortura esiste ancora in 102 paesi. Ciò significa che in molti casi esiste la normativa, ma non la sua applicazione. Sono inoltre 56 gli stati che hanno avviato il protocollo aggiuntivo, ma solo 34 l’hanno ratificato". Per quanto riguarda la situazione complessiva nelle carceri, gravissima, ha rilevato Marisa Bafile, deputata del parlamento italiano in rappresentanza del Sudamerica, è la situazione in quelle dell’America Latina. Da un incontro di pochi giorni fa tra esperti in materia, è emerso che i mali più gravi sono il sovraffollamento e la corruzione delle guardie carcerarie . Drammatica la situazione in Venezuela, secondo le cifre proposte da una Ong alla Commissione interamericana dei Diritti Umani. Nel 2006, ha riferito la Bafile, sono morti 309 prigionieri, mentre 725 sono rimasti feriti, per un totale di 1034 incidenti avvenuti nei 30 centri penitenziari del paese, cifre che "posizionano il Venezuela tra i paesi con maggiore violenza carceraria". Secondo il ministro degli Esteri, ha continuato la deputata, esso è inoltre il paese sudamericano con il maggior numero di detenuti italiani - in totale 48, di cui 33 già condannati, 11 in attesa di giudizio e 4 di estradizione - , la cui causa è attribuita da un sacerdote al fatto che il Venezuela sia diventato un paese di transito della droga. In Brasile, ha dichiarato Luiz Couto, presidente della commissione Diritti Umani della camera del parlamento brasiliano, la tortura viene praticata non solo dalle forze di sicurezza, ma anche dai "gruppi di sterminio" della criminalità organizzata, che la utilizzano per estorcere informazioni dalle loro vittime prima di ucciderle, come si è appreso dal racconto dei sopravvissuti e dei pentiti. In risposta a ciò, il parlamento ha promosso una campagna nazionale permanente contro questo crimine, mentre il presidente Lula è andato oltre, con l’adozione di un piano nazionale di lotta alla tortura e l’istituzione di una commissione in materia. Secondo Couto, in Brasile, per combattere la tortura e diffondere la cultura della pace, bisogna combattere contro tre piaghe: la violenza istituzionalizzata, la corruzione e l’impunità. "Panorama preoccupante nelle carceri argentine", secondo Remoto Parlotto, presidente della commissione Diritti Umani del parlamento argentino, dove nel periodo dittatoriale vigeva "la dottrina della sicurezza nazionale, ossia la persecuzione in nome dell’ideologia". Ora si è passati alla "dottrina della sicurezza individuale per garantire i diritti degli inclusi nel modello sociale, ossia alla persecuzione degli esclusi come sistema di controllo". In particolare la violazione dei diritti umani nelle carceri avviene per tre motivi: sovraffollamento, corruzione degli agenti preposti alla custodia, connivenza tra funzionari e criminalità. Nella provincia di Buenos Aires, in particolare, sono state denunciate 3mila istanze di tortura, ma solo il 10% sono state catalogate come tali, il resto come molestie, per rendere meno grave la posizione del funzionario responsabile del crimine. "L’Argentina - ha evidenziato Parlotto - ha compiuto enormi progressi nel campo dei diritti umani, di cui siamo fieri. Nel 1994 abbiamo ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sul tema, ma ora bisogna attuarla, fare il modo che il testo di legge diventi una realtà e non una semplice declamazione". Giustizia: Manconi; tentazione praticare tortura è molto diffusa
Redattore Sociale, 27 giugno 2007
Il sottosegretario alla Giustizia al convegno svoltosi oggi a Roma. Pratesi (Amnesty International): "La tortura vive nel silenzio e si nutre di impunità. Questo è il messaggio più forte da dare all’opinione pubblica". "Questo convegno è un modo per onorare la giornata mondiale contro la tortura, prendere impegni puntuali e sconfiggere il luogo comune che relega la pratica della tortura ad una condizione di sottosviluppo, solo ad alcune aree del mondo, sappiamo che non è così. È la tentazione della tortura ad essere autenticamente diffusa". Lo ha dichiarato Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia, nel corso del convegno internazionale organizzato oggi a Roma in occasione della Giornata mondiale contro la tortura, sottolineando "il rischio che appaia il mezzo più efficace in situazione di emergenza ed urgenza", in quanto il migliore strumento per ottenere alcune informazioni o raggiungere la verità su alcuni fatti, come è accaduto negli Stati Uniti a causa del pericolo terrorismo. Approvazione dunque ed appoggio incondizionati da parte del sottosegretario - e del ministero della Giustizia - all’introduzione del reato di tortura, come vuole una legge già approvata dalla Camera ma ferma da sei mesi al Senato. Appoggio inoltre all’istituzione del Garante dei diritti delle persone private della libertà e contrarietà alla pena dell’ergastolo, per una ragione giuridico-costituzionale, in quanto contraddice la nostra Costituzione, secondo cui il fine della pena è la rieducazione. "Non è solo l’applicazione della tortura - ha evidenziato Manconi - l’unica forma disumana al trattamento delle persone recluse, ne esistono altre. Il discorso sulla tortura deve permettere di ragionare sul sistema di garanzie e tutele delle persone private della libertà". Contrarietà dunque nei confronti della pena dell’ergastolo, tema di cui si discute in Italia in questo periodo. Perché il diritto moderno si basa su "un sistema di norme a base razionale", per cui una pena non può basarsi su ragioni "di valenza ideologica-simbolica di rivalsa sociale e quindi essere una pena vendicativa". Manconi si è detto invece contrario sulla base di motivazioni "giuridico-costituzionali", per cui l’ergastolo contraddice quello che è il fine della pena secondo la nostra Costituzione, ossia la rieducazione, visto che la pena non giunge mai a termine. "Decisiva - ha continuato - l’istituzione del Garante nazionale, come si afferma nel programma dell’Unione, nella parte di cui sono io l’autore. L’approvazione della legge in materia alla Camera dei Deputati è un grosso passo avanti, ma rischia di rivelarsi inutile, perché il Senato tituba". È un errore grandissimo, secondo il sottosegretario, opporsi al provvedimento e per la ragione fondamentale che va creata una figura capace di integrare il deficit di autonomia e la minore capacità di autodifesa ed autotutela che è la condizione propria di ogni recluso. "Oggi è una malattia a livello globale la tentazione della tortura a cui ci stiamo abituando, il fatto che essa esista è il vero problema del 2007", così la palla è rimbalzata a Stefano Pratesi, il vicepresidente della sezione italiana di Amnesty (che da anni combatte con l’associazione Antigone per l’introduzione in Italia del reato di tortura). Problema che anche secondo lui nasce "dall’orizzonte della guerra al terrore", per cui negli ultimi anni si è insistito sulla "fallace contrapposizione" tra diritti umani e sicurezza, mentre parallelamente si è sviluppata l’indifferenza da parte dell’opinione pubblica. "La tortura vive nel silenzio e si nutre di impunità", ha sottolineato, attingendo dalle parole delle madri di Plaza de Mayo. "Questo è il messaggio più forte da dare all’opinione pubblica - ha evidenziato - . Oggi esiste una strana indifferenza, bisogna uscire dalla trappola mentale secondo cui si pensa, come in Argentina, che se una persona viene torturata è perché qualcosa avrà fatto". Dopo una panoramica sulla situazione internazionale in merito al reato di tortura, Pratesi ha evidenziato che anche in Italia "qualche preoccupazione c’è", e che quanto fatto dal governo italiano non è perfettamente in linea con quanto stabilito dai trattati internazionali. Il vicepresidente ha dunque ricordato non solo l’assenza del reato di tortura nel codice di procedura penale e la non ratifica del protocollo aggiuntivo alla Convenzione delle Nazioni Unite sull’organismo di controllo e prevenzione, ma anche il fatto che la Commissione Onu ha rilevato che in Italia "la tortura è spesso associata ai migranti". Sono "due tematiche a contatto - ha continuato- , una frontiera su cui tastare il polso, stabilire qual è la temperatura di uno stato sulla tutela dei diritti umani", visto che spesso le vittime di tortura sono proprio i più deboli. Un altro campanello d’allarme, secondo Pratesi, è il fatto che oggi nel mondo sono proprio a rischio i difensori dei diritti umani, come gli avvocati, i giornalisti, i membri delle Ong. "Lo stato ha l’obbligo di difendere chi difende lo stato perché parlare di diritti umani vuol dire parlare di legalità e, dove non c’è legalità, come è possibile parlare di sicurezza?", ha concluso sconfessando così la fallace opposizione tra diritti umani e sicurezza da cui era partito. "Vorrei dare qualche elemento in più di speranza, soprattutto sugli elementi di legalità attivati negli ultimi 50-60 anni", è infine intervenuto Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Ad esempio "il protocollo opzionale che sana la mancanza della Convenzione delle Nazioni Unite, ossia l’accesso ai luoghi di detenzione, che è fondamentale, altrimenti la verifica rimane sulla carta. In particolare, in Europa, ha poi ricordato il "patrimonio abbastanza unico" della Corte di Strasburgo, creata nel 1950 per tradurre la dichiarazione sui Diritti Umani, seguita da "14 protocolli di successivo adeguamento ed estesa sul territorio di 47 paesi". Senza dimenticare il Comitato di cui è parte, che ha "accesso a qualsiasi luogo in cui si verifica la privazione della libertà", elemento importante perché i governi sanno che "ciò che mettiamo nei nostri rapporti è stato verificato". Giustizia: il paradosso dei mafiosi che "riabilitano" l’indulto
La Provincia di Sondrio, 27 giugno 2007
L’indulto è tra i provvedimenti del governo che hanno fatto più discutere. Anzi, hanno fatto poco discutere e molto indignare. In tanta indignazione una percentuale non trascurabile va attribuita al calcolo politico (certi partiti ci hanno campato per mesi e, un po’, ancora ci campano), ma bisogna ammettere che tra chi dice peste e corna dell’indulto molti hanno le loro buone ragioni. È un fatto che ci siamo ritrovati per le strade fior di delinquenti e, davanti all’allarme sociale per la sicurezza, l’obiezione che le carceri scoppiano e non è da Paese civile costruirne altre a discapito, che so, di ospedali e scuole, regge soltanto fino a un certo punto. Tutto ci aspettavamo, dunque, tranne che qualcosa intervenisse a riabilitare il vituperato indulto. Invece è successo. Le intercettazioni delle conversazioni dei boss mafiosi individuati grazie alla "traduzione" dei pizzini di Bernardo Provenzano hanno rivelato una cosa sorprendente: ai signori di Cosa Nostra l’indulto non piace. Si lamentano che "tutti questi ladri in giro" rovinano il loro business e propongono, come è loro stile, una soluzione soft: "Ammazziamoli tutti". In certe occasioni è bene attestarsi su posizioni di principio. E dunque se l’indulto non piace ai mafiosi, a noi improvvisamente suona buono e giusto. Senza discussioni. Dovessimo scoprire che i boss adorano il gelato al pistacchio, vi rinunceremmo senza esitare. Lettere: al mio "amico di libri" bosniaco… che si è sparato!
Ristretti Orizzonti, 27 giugno 2007
Oggi, esco, sfidando la calura di questa terra che non mi appartiene, la bassa Romagna, per mangiare il panino al solito bar della piazza principale. Le voci alterate dei clienti mi infastidiscono: "Siii (in Romagna si calca sul sì per esprimere la rabbia) tutti gli esstra-comunitari dovrebbero spararsi alla testa!" Dal momento che ho una nuora che nasce in Costa Rica e poi sposa mio figlio italiano, io mi metto subito sul chi va là quando sento la parola "esstrà" seguita da comunitari. Il fatto è che lavoro anche in carcere, coi libri, e gli utenti, lì dentro, sono come gli utenti che servo "fuori" in Provincia: uguali, esseri umani con i loro bisogni di lettura e informazione, leciti, da soddisfare. Così il fatto cattura la mia attenzione e leggo la bella storia romanzata, scritta da un giornalista mio amico, sul bosniaco mio amico di libri, che, rapinata la banca principale, fugge inseguito da poliziotti armati. Essendo armato pure lui, le pallottole volavano fra le persone definite "innocenti" che si trovavano in strada. Il peccato peggiore che ha commesso il mio utente ex detenuto, ma soprattutto bosniaco, è quello di avere percorso in fuga il giardino pubblico dove bambini e mamme sostavano in pace. Poi, distesosi nell’erba ancora umida della nebbia notturna, si è sparato alla testa, uccidendosi. Foto di persone che narrano i loro spaventi, la riprovazione verso gli stranieri e le lodi verso i poliziotti, riempiono le pagine del quotidiano locale. E io? Io sono qui che penso a lui come al ragazzo che chiedeva sempre libri sulla sua terra, non nominandola mai, ma affermando con orgoglio "io sono bosniaco". Mi mancherai "bosniaco", perché, durante il laboratorio di lettura su "Il razzismo spiegato a mia figlia", il libro di Tahar Ben Jeollun che leggemmo e commentammo insieme in carcere, mi dicesti "io sono bosniaco e un negro non sposerà mai mia figlia, però troverà sempre ospitalità, come amico, nella mia abitazione". Così, grazie a te, io potei iniziare a riflettere meglio sulla parole razzismo, razza, tradizioni, aggiungendovi un significato nuovo. Mi mancheranno i libri che pretendevi ti portassi in carcere e che volevi condividere con me, "Il ponte sulla Drina" di Ivo Andric, che leggemmo insieme, tu ed io, scrivendoci lettere che ci spedivano per posta, contenenti le nostre emozioni. E gli articoli che riuscivo a trovare scritti da Predrag Matvejevic’ che ti portavo stampati su un foglio di carta per eludere eventuali controlli e che tu piegavi con cura, per nasconderli nella tua cella, farfugliandomi un "grazie" che non ti veniva bene. Non eri, per me, il delinquente bosniaco che ho trovato descritto oggi sul giornale, bensì un ragazzo, abitante del mondo, che amava la lettura e i libri e soprattutto la sua terra anche se ha un nome diverso da Romagna. A presto.
Angela Barlotti, Bibliotecaria "Fuori di Sé", Biblioterapeuta Alghero: irregolarità e turni massacranti, agenti in rivolta
www.alguer.it, 27 giugno 2007
È passato un mese ma nessuna delle condizioni messe a verbale nella missiva è stata attuata dalla dirigenza del carcere algherese. Infatti l’ accordo del 17 maggio 2007 presso gli uffici dell’Istituto Penitenziario, tra la direzione e l’organizzazione sindacale (Osapp) prevedeva di utilizzare al meglio le risorse umane disponibili nella struttura. Migliorare l’organizzazione del lavoro, distribuendolo equamente i ruoli garantendo così quei diritti fondamentali duramente conquistati dagli addetti ai lavori. Il Sinappe (sindacato autonomo della polizia penitenziaria) chiede un intervento urgente alle massime autorità dell’Amministrazione Penitenziaria, per violazioni contrattuali e di diritto sindacale. La Dirigenza del carcere insiste nel mantenimento di un’organizzazione nel lavoro non corrispondente all’Accordo Quadro Nazionale. I poliziotti penitenziari impiegati in quattro diversi turni, sono costretti a carichi irregolari di lavoro che tra l’altro non consentono un recupero psico-fisico della persona. "La decisione della dirigenza algherese, - cita il comunicato - di accorpare solo le unità lavorative denominate n. 3 e n. 4 e relegare i suoi componenti alla sola stretta sorveglianza dei detenuti, all’interno delle sezioni detentive, e al servizio di vigilanza armata sul muro di cinta, può essere classificata come una disparità di trattamento nei confronti di alcuni a svantaggio di altri. Inoltre il personale che vi opera è costretto a subire una programmazione dei turni quasi giornaliera per sopperire anche alle esigenze della restanti unità lavorative che possono beneficiare invece di una programmazione del servizio a lungo termine in base ad esigenze e aspettative. Il personale componente è beneficiato da esenzioni da turni serali, notturni e festivi evitando soprattutto il servizio di vigilanza armata sul muro di cinta. Anche la sottrazione di poliziotti di agenti per destinarli a mansioni e servizi d’ufficio è da ritenersi irregolare e priva di ogni fondamento giuridico". Sicurezza: a Padova "linea dura", tolte le panchine dal parco
La Repubblica, 27 giugno 2007
Panchine di legno e tavolini di marmo "sradicati", nottetempo, dal parco di via Manzoni, a ridosso del centro storico di Padova: erano diventati un ritrovo di extracomunitari e senzatetto, che vi consumavano i pasti per poi, spesso, trascorrervi la notte. Così il sindaco Ds Flavio Zanonato, ha deciso di adottare la linea dallo sceriffo leghista di Treviso, Giancarlo Gentilini, ordinando la rimozione. A protestare, però, con una raffica di mail, sono soprattutto gli studenti di Medicina che frequentano il vicino Policlinico: "Stiamo chiusi in reparto e adesso non possiamo neanche trascorrere un’ora a leggere e ascrivere all’aria aperta. Che razza di metodi sono questi?", lamenta l’associazione degli specializzandi. Ma la "tolleranza zero" suscita perplessità anche tra i residenti: "Avevamo chiesto solo qualche controllo di notte per scoraggiare gli schiamazzi di prostitute e clienti: i giardini pubblici diventano inaccessibili anche alle famiglie, mica tutti sono disposti a sedersi sull’erba". Le panchine "segate" da Gentilini a suo tempo diventarono emblematiche del pugno di ferro del Carroccio contro i vù cumprà e Marco Paolini ne ricavò un fortunato monologo satirico che fece il giro d’Italia... "La sicurezza non è né di destra né di sinistra: è il tema delle città di oggi, è il tema nostro e dei nostri figli", replica Zanonato. E a sostenere la sua linea "ultra-legalitaria" chiama il collega di Bologna Sergio Cofferati, a sua volta impegnato in una crociata contro la microcriminalità urbana. E, infatti, la coppia degli "sceriffi rossi" ha affrontato insieme la platea della festa dell’Unità di Chiesanuova, snocciolando una concezione dell’ordine pubblico che non ammette equivoci: "La legge va rispettata, sempre. Per chi delinque non c’è giustificazione. Non si può dire "poveretto, ha rubato perché non aveva soldi. Va punito". Due ore di comizio a trecento militanti attentissimi e un po’ straniti. Un solo applauso di cortesia, alla fine. Diritti: verso Trattato Internazione sul commercio delle armi
Redattore Sociale, 27 giugno 2007
Lo annuncia con soddisfazione la Campagna internazionale Control arms. L’obiettivo dell’Onu è stabilire standard comuni per l’importazione, l’esportazione e il trasferimento. "Un passo avanti per i diritti umani e lo sviluppo". Oltre 80 governi hanno partecipato al processo di consultazione, avviato dalle Nazioni Unite, per il Trattato sul commercio delle armi. Lo annuncia con soddisfazione la campagna Control Arms, promossa a livello internazionale da Oxfam International, Amnesty International e Iansa (Rete internazionale d’azione sulle armi leggere) e sostenuta in Italia dalla Rete italiana per il disarmo. Lo scorso dicembre, con un voto storico giunto al termine di tre anni di mobilitazione della campagna Control Arms, l’assemblea generale dell’Onu aveva dato il via ai lavori sul Trattato, approvando una risoluzione con 153 voti a favore, uno contrario e 24 astensioni. Il commercio di armi è attualmente privo di regole globali. Il Trattato istituirebbe standard comuni che potrebbero salvare migliaia di vite umane e chiamare a rispondere del proprio operato coloro che commerciano armi in modo irresponsabile. Due settimane fa, nel corso di una conferenza svoltasi al Palazzo di vetro, lo stesso Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ha espresso il proprio sostegno al Trattato sul commercio delle armi, la principale richiesta della campagna Control Arms: "Alla fine dello scorso anno, le Nazioni Unite hanno dato il via a un processo multilaterale di negoziazione di questo Trattato. L’obiettivo è quello di stabilire standard internazionali comuni per l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di tutte le armi convenzionali. Un Trattato del genere potrà dare un grande contributo al raggiungimento degli obiettivi mondiali umanitari, di diritti umani e di sviluppo". I responsabili della campagna Control Arms sottolineano come l’azione della società civile internazionale sia stata uno dei principali fattori del successo finora conseguito nel processo di preparazione del Trattato. La campagna ha coordinato oltre 100 "Consultazioni popolari" nel mondo, Italia compresa, in cui persone comuni hanno espresso la propria opinione sui contenuti del Trattato. I governi della maggior parte dei paesi in cui queste "Consultazioni popolari" hanno avuto luogo, hanno presentato i loro pareri sul Trattato alle Nazioni Unite. L’insieme di questi pareri costituisce un massiccio sostegno a un Trattato che protegga i diritti umani e lo sviluppo sostenibile e rafforzi la sicurezza regionale. Terminata la raccolta di questi pareri, il Segretario generale dell’Onu istituirà un Gruppo di esperti governativi che, nel 2008, inizieranno formalmente la stesura del Trattato. La settimana scorsa, due importanti organismi regionali hanno espresso a loro volta sostegno alla proposta di Trattato. La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) e il Consiglio dell’Unione europea hanno dichiarato pubblicamente di sostenere i passi volti a stabilire regole stringenti per un commercio globale di armi più responsabile. La campagna Control Arms, apprezzando queste dichiarazioni, auspica che tutti i governi del mondo assicurino che i diritti umani, il diritto internazionale umanitario e lo sviluppo sostenibile rappresentino il perno del Trattato. Solo in questo modo, spiegano, sarà possibile salvare vite umane. La campagna Control Arms si augura, infine, che dalle riunioni previste nei prossimi mesi per l’Unione africana, la Comunità per lo sviluppo dell’Africa meridionale e il Forum delle isole del Pacifico arrivi un analogo sostegno alla proposta di Trattato. Droghe: presentato il rapporto mondiale 2007 dell’Unodc (Onu)
Redattore Sociale, 27 giugno 2007
Ban Ki-Moon: "La più grande sfida è ridurre la domanda". Le vie del contrasto secondo l’agenzia dell’Onu: prevenire il consumo, cercare coltivazioni alternative, applicare leggi e controlli. Produzione, consumo e traffico di droga risultano in fase di contenimento globale, secondo il rapporto dell’Unodc, l’ufficio dedicato delle Nazioni Unite. Presentato oggi, il documento di 228 pagine illustra il panorama globale della produzione, del traffico e del consumo delle sostanze illecite, così come definite nelle varie convenzioni Onu sulla droga. Se mentre qualche anno fa il problema droga sembrava sfuggito di mano ai governanti, quest’anno i dati mostrano che il fenomeno è quantomeno contenuto nei suoi margini attuali. Ma, come sottolinea Sandeep Chawla, Capo del dipartimento di analisi politica e ricerca dell’Unodc, e coautore del rapporto, "non possiamo dirci soddisfatti di un contenimento del problema, come lo saremmo di una riduzione. Ma è senz’altro un segnale positivo". La situazione infatti può deteriorarsi nuovamente, e in modo rapido, se non si prosegue sulla strada della prevenzione e dei controlli. È soprattutto nella prevenzione del consumo che Unodc vuole che si concentrino gli sforzi. Come si legge nel messaggio diffuso da Ban Ki-Moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite, "la più grande sfida è ridurre la domanda: è uno sforzo collettivo che coinvolge famiglie, insegnanti, operatori sociali". Ma è uno sforzo che "richiede una leadership e risorse sufficienti, in particolare per migliorare le strutture di trattamento". Questo però deve seguire criteri scientifici e non ideologici, afferma Ban Ki-Moon: "la tossicodipendenza è una malattia, e come tale dev’essere trattata. Chiedo alle nazioni dell’Onu di fare uno sforzo maggiore per l’individuazione preventiva dei casi di dipendenza, per limitare la diffusione di malattie legate alla droga, come l’HIV o l’epatite, e per integrare il trattamento della dipendenza nel mainstream dei servizi sanitari". Anche Antonio Maria Costa, direttore esecutivo di Unodc, ricalca col suo intervento le parole del segretario generale Onu, rimarcando ancora una volta la necessità di agire alla fonte del fenomeno droga: i tossicodipendenti stessi. "Anche se sradichiamo l’intera filiera della droga, rimarremmo comunque con milioni di tossicodipendenti in cerca della loro dose", dice Costa. Secondo i dati e le valutazioni di Unodc, la vita di una persona su duecento nel mondo intero è pilotata dall’uso di droga. Le persone con una relazione problematica con queste sostanze sono oltre 25 milioni in tutto il mondo (0,6% della popolazione mondiale tra i 15 e i 65 anni). Sono molti di più invece i consumatori occasionali o non problematici: la stima parla di 200 milioni (4,8%) di persone che utilizzano una o più sostanze tra cannabis, cocaina, anfetamine od oppiacei una volta l’anno. La cifra dei consumatori ‘mensili’ è invece di 110 milioni (2,6%). Per questo, dice l’Unodc, abbiamo ancora molto spazio per migliorare ulteriormente. E nonostante i miglioramenti importanti nell’intercettazione delle sostanze (vedi lancio successivo), e nella diminuzione della produzione (come in Myanmar, ex Birmania, dove questa è ormai ridotta la 10% della quota mondiale, e nel resto del sud-est asiatico) la situazione però non è uniforme dappertutto: vi sono regioni del mondo dove il consumo di oppiacei è in aumento, come la Russia o l’India. E altre, come l’Afghanistan, dove la coltivazione di papaveri e la produzione di resina è sempre più fuori controllo: il 92% della produzione mondiale viene da questo martoriato paese. Droghe: Mastella; serve anche la repressione, stop al ddl Ferrero
La Repubblica, 27 giugno 2007
Se Ferrero accelera, Mastella frena. In meno di 24 ore, il ddl delega sulle droghe annunciato lunedì dal ministro della Solidarietà incassa lo stop "in casa" del titolare della Giustizia e la sonora bocciatura dell’opposizione. Il tutto nel corso della Giornata mondiale contro la droga, che ieri ha rilanciato l’allarme cocaina: un milione e mezzo di consumatori solo in Italia. In verità, Clemente Mastella ammette di "non aver ancora valutato la proposta" di Ferrero, ma mette le mani avanti: "La mia opinione al riguardo è però un po’ diversa. La droga rimane un fenomeno che bisogna evitare per quello che è possibile con un’azione pedagogica e in qualche caso con la repressione". Per Silvio Berlusconi, l’occasione è ghiotta per stigmatizzare una politica del governo "schizofrenica e paradossale". Il ddl delega, scritto "in solitudine" da Ferrero e ora al vaglio dei ministri della Giustizia, Istruzione, Interno e Salute, rivoluziona la disciplina sugli stupefacenti e cancella la Fini Giovanardi. Come? Scompaiono le sanzioni amministrative per chi consuma droga, arrivano gli inviti a presentarsi ai Ser.T. (per i maggiorenni) o la segnalazione ai genitori (per i minori). Tornano le tabelle differenti per cannabis, cocaina, eroina, al posto dell’unica prevista dalla legge attuale. Ci si affida poi al giudice per distinguere tra consumo e spaccio (via dunque le attuali quantità minime). L’iter del ddl di riforma si annuncia lungo. Lo conferma lo stesso titolare della Solidarietà Sociale, quando ammette che "prima di arrivare in consiglio dei ministri ci sarà un lavoro di messa a punto". Il ddl prevedere inoltre 20 milioni di euro all’anno per la prevenzione. La "fuga in avanti" di Ferrero lascia fredda la maggioranza - con rare eccezioni, come quella dei Radicali, per i quali la riforma è "doverosa" ma arriva con un anno di ritardo - infuoca l’opposizione, che accusa "un ritorno a politica pro-spaccio" e promette che "il ddl non diventerà mai legge". Intanto, il vice presidente della Camera, Carlo Leoni (Sd) fa sapere che le commissioni Giustizia e Affari Sociali "dopo la pausa estiva inizieranno l’esame della proposta di legge a prima firma Boato, che prevede il superamento proprio della legge Fini - Giovanardi". E in serata gli autori della trasmissione "Le Iene" (che fecero test antidroga ai deputati), prendono le distanze dalla proposta di legge, con primo firmatario Pier Ferdinando Casini, che prevede controlli antistupefacenti peri parlamentari. Droghe: qualcuno vuole affossare la riforma della legge? di Donatella Poretti (Segretario della Commissione Affari Sociali)
Notiziario Aduc, 27 giugno 2007
La buona notizia è che la riforma della legge Fini-Giovanardi è stata calendarizzata. Quella cattiva è che stata fissata come primo provvedimento delle commissioni Affari Sociali e Giustizia solo alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva, a settembre. Per allora saranno nominati i relatori e quindi partirà un ciclo di audizioni. Questa è la decisione emersa dopo la riunione di presidenza delle due commissioni che ha visto uno strano andamento. La convocazione era dovuta ad un appello di Rnp, Verdi, Pdci, Rc, Sd, Idv, Nuovo Psi che chiedevano la calendarizzazione delle proposte parlamentari senza attendere un disegno di legge del Governo. Da An e Fi sono invece arrivati appelli ad attendere il testo del Governo preannunciato - purtroppo - proprio nelle pagine dei giornali di oggi. L’annuncio del ministro degli Affari Sociali, Paolo Ferrero, è stato così facilmente utilizzato e strumentalizzato dall’opposizione per evitare che già a luglio potesse essere messa all’ordine del giorno la riforma della legge attuale. Sollecitazione colta al volto dal presidente della commissione Affari sociali, Mimmo Lucà, che ha voluto sottolineare la necessità di rimandare il tutto a settembre per evitare di fare una scortesia al Governo calendarizzando alcuni testi parlamentari mentre il Governo medesimo ne preannuncia uno in materia. Purtroppo dobbiamo registrare come l’annuncio di Ferrero non sia stato opportuno alla vigilia della riunione delle due commissioni, e sia stato solo usato, da chi si oppone alla riforma delle leggi sulla droga, per prendere altri mesi di tempo. Ora vedremo su chi cadrà la scelta dei due presidenti come relatori. Non mi aspetto niente di buono e mi auguro in particolare che il presidente Lucà non decida di contrastare la richiesta della commissione nominando due presidenti che, con una sorta di mandato speciale, abbiano l’obbiettivo di affossare il tema. Per questo motivo, per la commissione Affari Sociali, mi propongo come relatrice. Droghe: Ferrero; "uso personale" sarà deciso dal magistrato
Redattore Sociale, 27 giugno 2007
Non saranno le tabelle a definire il limite tra spaccio e uso personale, ma il magistrato. Per i minori la possibilità di una presa in carico da parte dei servizi. Ieri aveva annunciato l’invio ai ministeri competenti del disegno di legge delega sulla riforma del testo unico sulle droghe, da discutere sin dal prossimo preconsiglio dei ministri. Oggi Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà sociale, ha risposto alle domande del Tavolo di alta integrazione delle comunità e dei Sert - a cui partecipano Cnca, Fict e Federserd - riunito a Roma per discutere lo stato di crisi del sistema dei servizi per le dipendenze. Al ministro i presidenti delle associazioni hanno posto la necessità di integrare i servizi, aumentare gli organici, equiparare i costi delle rette delle comunità nelle varie regioni e stabilizzare le risorse, alla luce dei rapidi cambiamenti dell’universo droghe. Ma alla politica è arrivata anche una critica di metodo, condivisa da Luciano Babolin (Cnca) e Mimmo Battaglia (Fict): basta con le polemiche fini a se stesse. Su questo punto Ferrero non vede possibilità di dialogo con l’opposizione. "L’insicurezza sociale su certi temi quali la droga - ha detto - è sempre più utilizzata dalla politica come una clava per costruire capri espiatori a fini elettorali". Meglio allora, secondo Ferrero, deideologizzare il dibattito e restituire alla scienza e ai tecnici i nodi delle scelte. "Nel nuovo disegno di legge - ha detto il ministro - non saranno le tabelle a definire il limite tra spaccio e uso personale, ma si darà mandato al magistrato sulla base delle prove raccolte. Allo stesso modo sarà l’Istituto superiore della sanità a decidere sulla validità dei progetti di riduzione del danno". Il nuovo disegno di legge si baserà sulla logica del "superamento della relazione di punizione nei rapporti Stato-cittadino consumatore, per il semplice motivo che quella logica non ha funzionato". Al contrario e soprattutto per i minori, sarà prevista la possibilità di una presa in carico da parte dei servizi. Sull’integrazione orizzontale e verticale dei servizi per le tossicodipendenze, Ferrero ha rimandato le decisioni al Piano nazionale d’azione più che alla nuova legge. Il piano è oggi all’analisi delle Regioni e dovrà ritornare in Consulta per poi essere approvato entro l’autunno. Per febbraio-marzo 2008 è invece prevista la conferenza nazionale sulle droghe, in un periodo strategico per spingere la discussione del ddl e, secondo il vicepresidente della Consulta, Leopoldo Grosso, "per stralciare dal testo punti particolarmente importanti e urgenti, laddove fosse necessario". Tutto questo però - ha sottolineato Ferrero - dovrà accompagnarsi ad un aumento delle risorse. "È necessario aumentare la spesa sociale di questo Paese, perché la società ha tendenza a disgregarsi. Io sto facendo il mio, chiedo alla società civile di fare pressione su questo", ha detto il ministro, che ha anche auspicato una distribuzione su tempi più lunghi del bilancio di spesa, per poter permettere una più stabile programmazione. Nel 2007 il fondo sociale nazionale è stato complessivamente di 945 milioni di euro, contro i 500 ereditati nel 2006 dal precedente governo. A questi si aggiungono i proventi del 5 per mille per il privato sociale, a cui è stato posto un tetto di 250 milioni. Usa: sposa un condannato a morte conosciuto per lettera
La Stampa, 27 giugno 2007
Lei scrive poesie. Lui le legge e si innamora di lei. Si scambiano lettere e messaggi. Lui le chiede di convolare a nozze. Sarebbe una storia d’amore come altre. Come tutte le altre storie d’amore del mondo. Invece no. Perché lei è una tranquilla signora inglese del Nottinghamshire di nome Tracy Cope. Mentre lui si chiama James Morgan, americano di cinquantadue anni, ed è un detenuto nel braccio della morte del penitenziario di Raleigh, in Nord Carolina. È quello che, con la più cruda ma efficace delle espressioni, si definisce "dead man walking". Li separavano l’Oceano Atlantico e una durissima condanna a morte di troppo. Ma l’intraprendente e innamorata signora non si è lasciata abbattere. Ha preso un aereo ed è volata nel cuore degli Stati Uniti per incontrare il suo uomo, imprigionato nel miglio verde per l’omicidio di un’altra donna, Patrina Lynette King. Qualche mese dopo il loro rapporto si è rafforzato e nel 2003 è diventato un fidanzamento ufficiale. Con un anello al dito della signorina Cope, e un abito tutto bianco da acquistare. Qualche giorno fa, nel carcere di Raleigh, la cerimonia. Per il matrimonio l’amministrazione del penitenziario ha concesso a marito e moglie di darsi il fatidico bacio sulla bocca e di tenersi per mano. Poi la porta della cella si è richiusa. Lui, nonostante la fede al dito, è dovuto rientrare. Lei si è sistemata in una casetta poco distante dal carcere. E continua a scrivergli lettere e poesie. D’ora in avanti potranno incontrarsi solo una volta alla settimana, per al massimo un’ora e mezza. Parleranno con un telefono, guardandosi negli occhi attraverso una lastra di vetro. Usa: il condannato fa un appello, invece della barzelletta
Tg Com, 27 giugno 2007
Aveva detto che avrebbe raccontato una barzelletta prima di essere giustiziato. Patrick Knight, 39 anni, condannato per l’omicidio dei suoi vicini, è morto in un carcere texano senza mantenere la promessa. L’uomo aveva chiesto che gli si inviassero barzellette per posta e per e-mail. In totale ne ha ricevute 1.300. Nel momento fatidico però ha ringraziato Dio, chiedendo aiuto per gli innocenti nel braccio della morte. Ha nominato diversi detenuti, secondo lui innocenti. Con voce tremante e con le lacrime agli occhi ha detto: "Non siamo tutti innocenti, ma loro lo sono". Dopo aver espresso il suo affetto verso qualche amico, ha dichiarato: "Ho detto che avrei raccontato una barzelletta. La morte mi ha liberato. È la migliore barzelletta che ci sia. Io la merito". Poi ha aggiunto: "E l’altra barzelletta è che io non sono Patrick Bryan Knight e nessuno può impedire questa esecuzione. Avanti, io ho finito". Dopo pochi minuti è stato pronunciato il decesso. La portavoce del carcere, Michelle Lyons, ha contestato le accuse di identità erronea del condannato. "Noi prendiamo le loro impronte digitali quando arrivano" è la giustificazione. Patrick Knight è stato condannato a morte nel 1993 per l’omicidio di Walter Werner, 58 anni, e di sua moglie Mary Ann, 56 anni. Viveva in una roulotte su un terreno vicino alla loro proprietà. Interrogato qualche giorno dopo nell’ambito dell’inchiesta sulla sparizione della coppia, Knight confessò il duplice omicidio e condusse la polizia nel luogo dove aveva nascosto i cadaveri.
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