Rassegna stampa 19 giugno

 

Giustizia: Mastella; ergastolo, no all'indulgenza a tutti i costi

 

Apcom, 19 giugno 2007

 

"È improvvido sul piano psicologico dar l’idea di essere indulgenti e indulgentisti a tutti i costi". Lo afferma il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, commentando, a un convegno sul sistema penitenziario nella sede Rai a viale Mazzini, la proposta di abolizione dell’ergastolo avanzata dalla commissione ministeriale per la riforma del Codice penale.

Il guardasigilli ha spiegato di volersi impegnare "affinché i reati per i quali è possibile una scelta diversa dal carcere evitino a chi li commette di trascorrere pochi ed inutili giorni di detenzione, magari in custodia cautelare". Per Mastella, infatti, l’impegno "nella sede legislativa" deve concentrarsi "affinché il carcere come risorsa sia dedicata a chi è realmente pericoloso e di atteggi rispetto a costoro come misura certa che li ponga nella impossibilità di reiterare i reati da un lato, e nella condizione di avere il tempo per ricevere ed accettare una credibile e concreta proposta di rieducazione".

Per Mastella "affollare le carceri non di presenze stabili, ma di transiti brevi e frenetici di disagiati, di tossicodipendenti e di stranieri" significa da un lato "rinunciare ad un progetto concreto connesso alla detenzione, che è cosa diversa da una breve e traumatica permanenza nelle strutture penitenziali", dall’altro "accrescere il pericolo che il contatto fugace con l’esperienza penitenziaria sia portatore di contatti criminogeni". D’altronde, fa notare il guardasigilli, "non bisogna dimenticare i limiti strutturali del sistema penitenziario che, se troppo affollato, finisce inevitabilmente per togliere spazio ai soggetti che appaiono realmente pericolosi per la società".

Giustizia: Mastella; indulto ha azzerato "sofferenza" delle carceri

 

Apcom, 19 giugno 2007

 

L’indulto ha avuto "la funzione e il merito di azzerare una condizione di sofferenza e di illegalità che affliggeva le carceri". Lo sostiene il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, sottolineando di aver provveduto, dopo questa misura tampone "a dare corpo a tutte le iniziative che avessero effetti di modifica strutturali".

"Le scelte in materia di giustizia - fa notare il ministro, partecipando nella sede Rai di Viale Mazzini su un convegno sul sistema penitenziario - a volte vengono malintese, perché gli effetti dell’azione di risanamento non si vedono subito, ma necessitano di tempo. Sarebbe stato molto più semplice lasciare la situazione invariata e magari costruire nuove carceri facendo credere all’opinione pubblica che la sicurezza dei cittadini passasse dall’elevato numero dei reclusi: 60mila, 65mila e pure 70mila. E invece - conclude Mastella - bisogna avere il coraggio di dire alla gente che quel numero elevato, se non accompagnato dalla stabilità della detenzione, non solo non giova alla sicurezza, ma rischia di nuocervi".

Giustizia: Ardita (Dap); il turn-over dei detenuti è troppo alto

 

Ansa, 19 giugno 2007

 

Nelle 205 carceri italiane, ogni anno entrano circa 90 mila detenuti e dopo 12 mesi ne escono 88 mila. È un turn-over continuo, che si traduce in periodi di permanenza in carcere assai brevi. Un dato per tutti: chi è stato arrestato per rapina a mano armata resta in cella mediamente 618 giorni (meno di due anni), e questo periodo comprende sia la custodia cautelare sia la condanna definitiva; poi è possibile uscire per benefici penitenziari, arresti domiciliari o altre misure alternative alla detenzione.

Ancor più breve la permanenza in cella degli extracomunitari (13.081 dal primo gennaio 2006 al 22 maggio 2007) che hanno violato l’obbligo di espulsione previsto dalla legge Bossi-Fini: escono dopo appena 13 giorni.

Il responsabile della Direzione generale detenuti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Sebastiano Ardita, lancia l’allarme: "occorre scongiurare che il carcere, nell’afflusso di massa per brevi permanenze, sia paragonabile a una grande caserma di polizia, dove è facile entrare e ancor più facile uscire, senza aver avuto il tempo di imparare nulla, ma solo l’occasione di incontrare persone sbagliate. Occorre impedire sottolinea in apertura della conferenza annuale del Dap alla quale partecipa il Guardasigilli Clemente Mastella che la carcerazione di flusso diventi scuola di criminalità o corso di aggiornamento criminale".

Dai dati del Dap emerge che l’indulto, approvato il 31 luglio del 2006, non ha responsabilità (se non per il 10%) in questo "endemico meccanismo" di flusso di ingresso e uscita dalle carceri. E infatti, su 89.859 persone entrare in carcere nel 2005, ad oggi in cella ne sono rimaste 3.959, mentre 59.495 imputati e 16.467 condannati sono usciti per scarcerazione o per misure alternative al carcere come, ad esempio, gli arresti domiciliari; grazie all’indulto ne sono usciti 9.948 (il 10% su 90 mila ingressi, appunto).

"Al di là di qualunque valutazione politica - afferma Ardita - l’indulto ha consentito di fatto un ritorno alla legalità e un adeguamento degli spazi e delle risorse da dedicare alla popolazione detenuta, nell’ambito del progetto complessivo del ministero della giustizia". Al 31 luglio 2006, infatti, i detenuti avevano raggiunto il picco di 63 mila unità, contro una capienza di 43 mila posti. Oggi sono 43.494, di cui la maggior parte (25.407) imputati in attesa di giudizio. Ma le statistiche più rilevanti riguardano i periodi brevi di permanenza: in cella, nella maggior parte dei casi, non si resta più di 90-120 giorni (il 62% degli imputati fino a un mese, mentre circa il 31% dei condannati da 6 a 12 mesi).

L’auspicio di Ardita è che il Parlamento approvi al più presto il ddl di modifica del codice di procedura penale voluto da Mastella nei mesi scorsi e che si arrivi anche a un’organica riforma del codice penale: "In questo modo afferma la pena detentiva, certa e stabile, è assicurata per i soggetti pericolosi; per gli altri, invece, bisogna puntare sulle misure alternative al carcere. Si tratta di far sì che torni ad avere senso, effettività e consistenza la pena detentiva. Le carcerazioni brevi in quanto tali non sono foriere di sicurezza per la collettività, né idonee a determinare processi rieducativi o quanto meno riabilitativi".

Giustizia: nella polizia ci sono da sempre le "squadre di tortura"

 

La Repubblica, 19 giugno 2007

 

I concetti di Stato di diritto, di Stato democratico, postulano che anche la lotta contro il terrorismo sia fatta con le armi della legalità: proprio con l’uso di tali armi lo Stato si pone in antitesi con il suo nemico. Fu questo il paradigma alla radice del processo ai liberatori del generale James Lee Dozier, accusati di avere seviziato i brigatisti catturati nel covo-prigione di via Pindemonte la mattina del 28 gennaio 1982.

Alcuni uomini del Nocs, il neonato nucleo operativo centrale di sicurezza, se da un lato inflissero alle Brigate Rosse la più importante sconfitta militare sul campo, dall’altro si macchiarono di un delitto intollerabile per la democrazia, sottoponendo gli arrestati a violenze morali e fisiche mentre erano temporaneamente custoditi nella caserma "Ilardi" di via Acquapendente, sede del Reparto Celere.

Oggi, a distanza di un quarto di secolo, rompe il silenzio Salvatore Genova, ora dirigente della Polfer ma all’epoca commissario agli ordini del quale agì la "squadretta punitiva". Genova era in servizio anche nei giorni del G8 nel capoluogo ligure, "dove i superiori ci hanno lasciato in cinquanta davanti a ventimila". In un’intervista rilasciata ad un quotidiano genovese ha dichiarato che "fin dai tempi delle Br sono esistiti nella polizia corpi speciali che hanno esercitato torture e sevizie sugli arrestati". Erano soprannominati "i vendicatori della notte" piuttosto che "i cinque dell’Ave Maria". E, guarda la coincidenza, ha detto di avere più volte denunciato ai suoi superiori questi "mali profondi della polizia".

Un tuffo nel passato. Alla sbarra per le torture ai brigatisti finirono, oltre a Salvatore Genova, il maresciallo Danilo Amore, gli agenti Carmelo Di Janni e Fabio Laurenzi, nonché il tenente Giancarlo Aralla, in servizio al reparto, cui era stato demandato il compito di vigilare sulle guardie preposte alla custodia dei detenuti. Parte civile nel processo, dentro la gabbia, l’"irriducibile" Cesare Di Lenardo, codroipese, che sta scontando l’ergastolo. Di Lenardo fu tenuto bendato, ammanettato, a piedi nudi. Fu sottoposto all’"algerina". "Mi portarono nelle docce. Sono stato disteso su un tavolo di legno, legato mani e braccia, la testa penzoloni.

Mi riempirono la bocca di sale grosso e mentre uno mi teneva il naso tappato facendo pressione sulle guance, cominciarono a versarmi acqua in bocca con getti violenti, colpendomi con pugni allo stomaco in modo da costringermi ad inspirare". Il brigatista tossiva per non soffocare. Un colpo di tosse più forte degli altri gli provocò una lesione permanente al timpano. Non solo. Lo infilarono nel bagagliaio di una Giulia e lo portarono fuori dalla caserma. Fu il commissario Genova a dare l’ordine. A guidarli per le vie della città c’era il tenente Aralla. Lo portarono in mezzo ad un campo.

Lo tirarono fuori dal bagagliaio. "Adesso ti spariamo", gli dissero. E spararono per davvero. Una pistolettata in aria. Alle medesime sevizie, appena più blande, furono sottoposti anche gli altri brigatisti della colonna veneta comandata da Antonio Savasta. "Adesso t’ammazzo, mi dicevano, e mi infilavano la canna della pistola in bocca.

Perdevo continuamente conoscenza. Ho ceduto quasi subito. Mi pareva di sentire piangere Savasta...", fu la deposizione di Giovanni Ciucci. "Mi hanno spogliata, tirato giù le mutande, strappato i peli del pube, torto i capezzoli. Mi hanno spinta contro un tavolo minacciando di violentarmi con un bastone. Ho risposto ad una domanda. E hanno smesso", dichiarò Emanuela Frascella, la "vivandiera". Avrebbero parlato lo stesso. Savasta si era "pentito" subito, appena steso sul pianerottolo della "prigione del popolo".

Tutti colpevoli, sia pure con l’attenuante di avere agito per motivi di "particolare valore morale e sociale". Condannati ad un anno di reclusione, saranno poi amnistiati in Cassazione. Escluso Salvatore Genova, nei confronti del quale il processo venne sospeso per essere stato nel frattempo eletto deputato al Parlamento nelle file del Psdi. Proprio colui che impartì gli ordini non fu mai processato.

Giustizia: Marco Poggi (Sai); "infame"... perché ho detto la verità

 

La Repubblica, 19 giugno 2007

 

Raccontò per primo le violenze, fu "invitato" ad andarsene. Ora non è più il solo testimone ufficiale di quei momenti: "Le dichiarazioni del vicequestore squarciano quel muro di omertà" "Io ho aspettato venti giorni a parlare e ho ancora adesso il rimorso di aver atteso troppo tempo. Non so come si sia sentito quel poliziotto a tenersi dentro la verità per sei anni".

Se ha fatto scalpore, e da qualcuno è stata quasi accolta come attestato di coraggio, la tardiva confessione del vicequestore Michelangelo Fournier ("la notte della Diaz vidi degli agenti picchiare persone inermi, fu una macelleria messicana" ha detto la settimana scorsa davanti ai giudici del tribunale di Genova dove è imputato assieme ad altri 28 colleghi), quando venti giorni dopo la fine del G8, Marco Poggi raccontò di aver visto picchiare, umiliare e torturare i giovani detenuti di Bolzaneto, fu bollato come infame.

Lui, che non è mai stato tra gli indagati, era uno degli infermieri del dipartimento penitenziario in servizio nel carcere speciale del G8. Dopo le sue denunce - contro poliziotti, infermieri e medici - non lavora più nelle carceri ma presta servizio in case di cura di Bologna, la sua città. "Mi hanno fatto capire che era meglio se me ne andavo" racconta.

Gli abbiamo chiesto come si sente a non essere più il solo testimone ufficiale delle violenze del 2001. "Ho provato gioia - risponde - ma non perché questo rafforzi le mie dichiarazioni, quanto perché è un altro importante squarcio in quel muro di omertà".

Dopo le ammissioni di Fournier, alcuni capisquadra della celere potrebbero chiedere (come anticipato ieri da Repubblica) di essere ascoltati al processo Diaz, e chissà che non vi sia un qualche effetto simile anche per il processo per gli abusi di Bolzaneto.

"Non lo so come andrà, dice Poggi - fino ad ora su Bolzaneto ci sono state mezze verità. E io posso anche capire, ma non giustificare i poliziotti, ma i medici e gli infermieri che hanno scelto una missione, quella di lenire le sofferenze delle persone, come hanno potuto partecipare o tacere quando vedevano quegli abusi?"

Poggi ricorda di aver "scritto all’allora vicepremier Fini che a proposito delle torture in Iraq diceva che gli americani avrebbero punito i colpevoli. Io gli chiesi cosa aspettavamo noi a fare lo stesso con chi si era macchiato delle violenze del G8. Non mi ha mai risposto".

La deposizione di Fournier ha riacceso le speranze per una commissione parlamentare d’inchiesta sul G8. "Io non ci credo più - è il parere di Poggi che sulla sua esperienza ha scritto anche un libro "Io, l’infame di Bolzaneto") - il centro sinistra non la farà mai, anche perché i vertici della polizia hanno legami troppo stretti con parlamentari di peso. La commissione non si farà mai finché ad esempio ci sarà in parlamento Luciano Violante".

Marco Poggi anche, dopo sei anni, continua ad essere invitato a convegni e dibattiti sulla sua esperienza. "Qualche giorno fa sono venuti dei giornalisti di una televisione tedesca ad intervistarmi. All’estero, Diaz e Bolzaneto sono vicende che hanno fornito un’immagine tremenda del nostro paese. Un paese che non è in grado di fare giustizia, di trovare la verità, perché la vendetta noi non la vogliamo, la lasciamo ai fascisti".

Torino: la Procura; il detenuto suicida era "infermo di mente"

 

Ansa, 19 giugno 2007

 

"Perché, nonostante la consulenza che dichiarava la totale infermità mentale dell’indagato, nessuno, a quanto ci risulta, chiese o dispose misure alternative alla carcerazione?": questa la replica della Procura alle affermazioni di Giorgio D’Allio, il medico che accusa "l’apparato giudiziario" per il suicidio di un detenuto romeno, Gherghe Mititelu, condannato per l’omicidio della moglie.

"Niente - spiegano i magistrati - impediva di proporre (o di disporre, nel caso del giudice, ndr) una collocazione più idonea. Eppure, sempre secondo quanto ci risulta, non fu mai inoltrata un’istanza e non fu mai preso nessun provvedimento di questo genere". In procura, inoltre, sottolineano che "un conto è valutare l’imputabilità di una persona al momento di commettere un reato, un altro è vagliarne le condizioni di salute".

Al momento del processo, Mititelu, proprio in considerazione del suo stato di "seminfermo", era detenuto al "Sestante", la sezione di psichiatria del carcere delle Vallette, dove è rimasto più di un anno. Solo due giorni fa aveva ottenuto di poter lavorare nelle cucine. Ieri si è tolto la vita soffocandosi con un sacchetto di plastica.

Nuoro: 34 giorni in sciopero della fame, ora si cuce la bocca

 

Adnkronos, 19 giugno 2007

 

Alessandro Bozza, il detenuto pugliese che aveva sospeso dopo 34 giorni lo sciopero della fame, ha dato vita stamane a una drammatica azione di protesta nel carcere di Badu e Carros a Nuoro per restare solo in cella. Il 45enne che sta scontando la pena all’ergastolo, si è infatti cucito la bocca con un punto di sutura iniziando lo sciopero ad oltranza della fame e della sete. In una lettera, inviata alla Procura della Repubblica e al magistrato di sorveglianza del Tribunale di Nuoro, Bozza manifesta anche la volontà "di rifiutare le conversazioni telefoniche con i parenti e tutte le attività ricreative e sportive e ogni forma di dialogo col direttore e col comandante".

L’immediato interessamento dei responsabili della struttura carceraria e della magistratura di sorveglianza ha tuttavia convinto l’uomo a desistere dalla manifestazione di protesta. A renderlo noto è stata la consigliera regionale della Sardegna Maria Grazia Caligaris (Sdi-RnP), segretaria della Commissione ‘Diritti Civili’ che, dopo aver ricevuto una "drammatica" lettera del detenuto, è intervenuta per sbloccare la grave situazione di tensione creatasi nel carcere nuorese

"Una determinazione estrema - ha detto in una nota la consigliera - che induce a riflettere sulla carenza di comunicazione e di comprensione tra le parti assai grave dopo i fatti avvenuti in precedenza". "Le promesse - dice Caligaris - non sono e non possono essere parole vuote, specialmente quando a farle sono figure istituzionali che operano in strutture dove gli equilibri psicologici sono sempre precari e delicati. Chi ricopre incarichi di responsabilità negli Istituti di Pena dovrebbe nutrire costantemente un senso di servizio nei confronti dell’intera galassia carceraria evitando di mettere a rischio condizioni faticosamente raggiunte grazie al concorso di tutti gli operatori".

"Le richieste dei detenuti che, come in questo caso coinvolgono il magistrato di sorveglianza - conclude Caligaris - non possono essere disattese e nei limiti del possibile esaudite. Per Alessandro Bozza vi è la necessità, come del resto richiesto per i detenuti sardi, di essere trasferito in un carcere vicino ai suoi familiari come prevede la legge sull’ordinamento penitenziario". Del suo caso è stato informato il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Lazio: Laurelli (Ds); a Viterbo grave la situazione sanitaria

 

Asca, 19 giugno 2007

 

"Mi rivolgerò immediatamente al Provveditore Regionale del Ministero di Grazia e Giustizia per rappresentare la grave situazione sanitaria che si è determinata a Viterbo". Lo ha dichiarato Luisa Laurelli (DS), Presidente della commissione Sicurezza e lotta alla criminalità del Consiglio regionale del Lazio, che oggi, accompagnata dal portavoce dell’Ulivo per il Partito Democratico Giuseppe Parroncini, si è recata oggi presso il carcere Mammagialla di Viterbo. Secondo Laurelli, "cinque medici per 500 detenuti vuol dire che il diritto alla salute nel carcere di Viterbo non è garantito. Il personale medico e infermieristico è sottostimato, non è garantita la copertura dei turni lavorativi essendo state ridotte le ore settimanali per medici e infermieri rispettivamente da 30 a 27 e da 44 a 40. Chiederò che vengano intanto ripristinare le 30 e le 44 ore".

"È paradossale - ha detto ancora Laurelli - che a pochi giorni dall’approvazione della legge regionale sui diritti dei detenuti, con provvedimenti ministeriali si vanifichi nelle carceri proprio il diritto alla salute, con un aggravio dei compiti sulla polizia penitenziaria. Non possiamo accettare una situazione del genere nella nostra Regione, che, approvando la legge sulle carceri, ha compiuto un balzo in avanti sul piano della civiltà giuridica, che però rischia di essere oscurata se viene leso il diritto alla salute dei detenuti, che è un diritto fondamentale".

Teramo: il Centro per l'Impiego apre Sportello per i detenuti

 

Agi, 19 giugno 2007

 

Anche i detenuti potranno iscriversi al Centro per l’Impiego, acquisendo in questo modo il diritto al lavoro attraverso gli strumenti e le azioni messi a disposizione di tutti i cittadini. Dopo lo sportello informativo "Tantetinte" per detenuti immigrati - vincitore del primo premio sezione enti locali del Sodalitas Social Award - si rafforza la collaborazione fra l’Istituto penitenziario teramano di "Castrogno" e la Provincia con un nuovo progetto che favorisce il reinserimento sociale dei detenuti.

"Intra" è un progetto finanziato con fondi Equal - misura comunitaria - con un ampio partenariato: le altre Province abruzzesi, il Provveditorato regionale del Ministero di Giustizia, lo Ial Cisl, il Cefal (agenzia di ricerca e formazione); Confcooperative e Ance Abruzzo.

I partner transnazionali sono Portogallo, Spagna, Germania, Lussemburgo e Francia, Paesi che partecipano ad Intra attraverso i loro enti locali. Dopo la prima fase di sperimentazione - che durerà fino al 31 dicembre prossimo - c’è l’intenzione di mettere a sistema il servizio, favorendo in maniera permanente il reinserimento sociale dei detenuti attraverso il lavoro.

Non tutti i detenuti potranno iscriversi nelle liste del Centro per l’Impiego ma solo quelli in "affidamento in prova" ai servizi sociali, in semilibertà, in libertà condizionata ed agli arresti domiciliari. Insomma tutti coloro che hanno maturato il beneficio di misure alternative alla detenzione. Lo Sportello è aperto dal lunedì al giovedì con personale dei Centri per l’Impiego.

Oltre alle iscrizioni, i dipendenti dell’ente, garantiranno i seguenti servizi: orientamento, preparazione all’occupabilità, mediazione culturale per gli stranieri, intervento della psicologa del lavoro, servizio di tutoraggio sia per l’inserimento lavorativo che per l’avvio ai corsi formazione. Lo Sportello lavorerà in stretta relazione con l’equipe del carcere (area educatori).

Per favorire le occasioni di lavoro ai detenuti un ruolo importante sarà svolto dal servizio domanda/offerta dei Centri per l’Impiego che ha contatti con le aziende e che, quindi, informerà gli imprenditori di questa possibilità anche illustrando gli incentivi messi a disposizione dalla normativa nel caso di assunzioni di detenuti che percepiranno un compenso di 400 euro mensili. Attualmente a Teramo ci sono 130 detenuti che potrebbero iscriversi nelle liste del CPI, 60 hanno già dato la loro adesione. Il 30% sono immigrati, il 10% è donna. Il reparto femminile, unico in Abruzzo, presenta le seguenti caratteristiche: 40% italiane, 30% straniere, il restante 30% di provenienza rom.

Sulmona: un "lezione ambientale" nei boschi per i detenuti

 

Il Tempo, 19 giugno 2007

 

Saranno sette i detenuti del carcere di Sulmona che questa mattina raggiungeranno la Riserva Naturale del Monte Genzana per una visita formativa. Lo ha reso noto il direttore del penitenziario sulmonese, Sergio Romice. Un corso di formazione per la mappatura e la manutenzione dei sentieri di montagna inseriti nel progetto nazionale "Recupero del Patrimonio Ambientale" che coinvolge alcuni internati della Casa di Lavoro peligna.

Un piccolo esperimento per continuare a mantenere vivo il rapporto istaurato nel corso degli anni tra la Casa di Reclusione e le associazioni esterne. Il corso prevede, tra l’altro, l’espletamento di giornate di "formazione sul campo" con uscite dal carcere previa autorizzazione del magistrato di Sorveglianza in regime di licenza. Un’iniziativa che fa risaltare lo sforzo del direttore del penitenziario sulmonese guardando al futuro reinserimento nella società dei detenuti. Sul posto saranno presenti Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale.

Massa: il 23 giugno la "notte dell’amicizia" dentro il carcere

 

Toscana In, 19 giugno 2007

 

 

L’iniziativa, che nasce dall’esperienza dei laboratori del gusto promossi da Slow Food all’interno del carcere, si terrà il prossimo 23 giugno. Dal marzo 2006, la Direzione dell’Istituto Penitenziario di Massa Marittima ha sottoscritto un Protocollo operativo con la Condotta di Monteregio dell’Associazione Slow Food per la realizzazione di Laboratori del Gusto, destinati alle persone in detenzione all’interno della struttura.

L’iniziativa, oltre a sollecitare i detenuti ad una riflessione critica dei propri stili alimentari e sulla conoscenza dei prodotti, si propone di rafforzare l’inserimento dell’Istituto nel territorio, connotandolo sempre di più come parte integrante dello stesso facendolo partecipe di iniziative realizzate a livello locale (Massa Marittima è già titolata come città slow food). Già da qualche anno, infatti, la direzione del carcere ha aperto le porte dell’istituto ad ospiti esterni sia con uno spettacolo-concerto di un noto artista, rappresentazione finale del laboratorio teatrale condotto all’interno della struttura, sia con la partecipazione di ospiti esterni, insieme alle persone recluse ed al personale, ai Laboratori del Gusto via via proposti.

In collaborazione con l’ente comunale, a conclusione del percorso di conoscenza gastronomica si terrà la "notte dell’amicizia", che ripercorrerà le tappe salienti dei laboratori attraverso la riproposizione degli alimenti già presentanti elaborati in piatti strutturati ed offerti in un unico momento conviviale. Tra gli altri saranno impiegati il riso, i formaggi, il miele, i prodotti da panificio, salumi, zafferano, dolci tradizionali locali.

Tra gli invitati della Direzione della C.C. i vertici del Prap Toscana, il Magistrato di Sorveglianza di Siena, le autorità religiose (sua Eccellenza il Vescovo Monsignor Santucci e Don Luigi Rossi della Fondazione S. Anna) e militari locali. Salvo defezioni o imprevisti, è preventivata la partecipazione di Lidia Bai, Sindaco di Massa Marittima e di assessori comunali (tra gli altri l’assessore alle politiche sociali Luciano Fedeli e quello alle attività economiche, turismo e promozione del territorio Dino Roccabianca). A questi si aggiungono varie realtà legate al carcere e alle sue finalità (su tutte Cooperativa sociale "il nodo" e cooperativa sociale "arcobaleno").

Ma la notte dell’amicizia non è riservata ad una limitata élite di invitati ed autorità. La partecipazione è infatti aperta a tutta la cittadinanza, compresi coloro che non sono soci della condotta slow food, che potranno aderire tramite l’associazione entro il 18 giugno e partecipare dopo le dovute autorizzazioni.

Inizialmente per la realizzazione di tale evento la Direzione dell’istituto aveva pensato di utilizzare un ambiente esterno contando su una disponibilità locale, successivamente, però, a causa di alcuni inconvenienti si è reso impossibile l’utilizzo dell’area individuata. Si è pertanto deciso, anche per dare maggiore risalto all’iniziativa, di realizzare la "notte dell’amicizia" proprio all’interno della struttura, utilizzando degli spazi verdi a disposizione dell’Istituto. In tal modo, infatti, si dà continuità all’esperienza di integrazione avviata con i laboratori del gusto che, come anticipato, hanno visto la partecipazione della comunità locale, in particolare soci slow food, ma anche altri invitati dalla Direzione presenti in singole occasioni (tra gli altri, il Magistrato di Sorveglianza di Siena e la Direttrice dell’Uepe di Siena).

Insomma, la cena del prossimo 23 giugno costituisce un’occasione per favorire il processo di risocializzazione e reinserimento degli ospiti della struttura e, al contempo, un’altra tappa del percorso volto a rendere il carcere luogo della città, fruibile ed utile per la collettività.

Forlì: "calciando calciando", i detenuti scendono in campo

 

Comunicato stampa, 19 giugno 2007

 

L’associazione Con…tatto, che si interessa dei detenuti e della Casa Circondariale di Forlì, ha organizzato un triangolare di calcetto in collaborazione con la squadra "Gli Amici di Marcello". Il torneo si è svolto domenica 17 giugno al campo sportivo di Sadurano.

Oltre agli "Amici di Marcello" hanno partecipato le squadre di "Sadurano - gruppo Scout FO12" e "la Rocca" formata dai detenuti della Casa Circondariale di Forlì. La giornata è stata possibile anche grazie ai volontari dell’associazione "Con…tatto" che hanno accompagnato gli otto detenuti sul campo. La squadra Sadurano - gruppo Scout FO12 è risultata la vincitrice del torneo seguita da Amici di Marcello e, infine, da quella della Rocca.

L’iniziativa ha ottenuto il patrocinio del Comune di Forlì e un contributo dalla Provincia di Forlì – Cesena con il quale sono state realizzate: una coppa per il vincitore, magliette per i giocatori, le targhe di partecipazione e la merenda finale.

L’associazione Con...tatto proseguirà nell’organizzazione di varie attività a favore del pianeta carcere, per questo ricerca volontari di diversa formazione nella convinzione che possano essere una risorsa preziosa. Chi è interessato può rivolgersi può scrivere a: con_tatto.forli@libero.it o contattare Viviana Neri tel. 339.6936215.

Velletri: il garante regala attrezzature sportive ai detenuti

 

Comunicato stampa, 19 giugno 2007

 

 

Attrezzature sportive per consentire ai detenuti della Sezioni speciali del carcere di Velletri, di vivere con maggiore serenità il loro periodo di reclusione. È questo il senso della donazione effettuata dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni.

Le attrezzature sportive sono state consegnate questa mattina dallo stesso Garante, al direttore del carcere di Velletri Giuseppe Makovec. Si tratta di panche per bilancieri, bilancieri, kit di pesi per oltre 160 chilogrammi, palle mediche e cyclettes.

Destinatari della donazione, le sezioni "Isolamento" e "Precauzionale". Nella prima sono ospitati i nuovi giunti, i partenti, ex guardie carcerarie o appartenenti alle forze dell’ordine. Nella sezione "Precauzionale" sono, invece, ospitati coloro che hanno commesso reati connessi alla violenza sessuale o che hanno il divieto di incontro con il resto della popolazione carceraria.

Lavorando a stretto contatto con i reclusi del carcere Velletri, i collaboratori del Garante dei detenuti hanno constatato la difficile situazione dei detenuti ospitati nelle due sezioni speciali. "Queste persone hanno richiesto più di altri la nostra attenzione - spiegano dall’Ufficio del Garante - Dai colloqui è emerso che uno dei maggiori disagi era la mancanza di strumenti idonei allo sfogo ricreativo e al momento ludico".

"Siamo contenti di aver fatto questa donazione - ha detto il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni - perché quelli dell’Isolamento e del Precauzionale sono fra le persone che avvertono con maggiore intensità la durezza della vita in carcere".

Roma: Priebke; revocato il permesso di uscita per lavoro

 

Reuters, 19 giugno 2007

 

Alla fine della sua prima giornata di permesso lavorativo, e dopo che un centinaio di persone lo avevano contestato in mattinata, il 93enne ex capitano delle SS Erich Priebke si è visto negare ieri sera dal giudice di sorveglianza militare il diritto di lasciare gli arresti domiciliari. Secondo quanto riportano oggi i media, il magistrato ha disposto la sospensione della misura per la mancata comunicazione alle autorità da parte di Priebke dei suoi spostamenti per recarsi a lavorare nello studio del suo avvocato.

Ieri mattina, l’anziano ex ufficiale nazista Priebke era giunto allo studio di via Panisperna alle 7.15, sullo scooter dell’avvocato Paolo Giachini. Più tardi, davanti all’ufficio sono arrivati i primi manifestanti, che mostravano striscioni con scritto "Priebke Boia", "Vergogna tribunale militare" - per aver concesso all’ex ufficiale tedesco la possibilità di lasciare gli arresti domiciliari - e "335 volte vergogna", con riferimento al numero delle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

"La protesta andrà avanti finché avremo fiato", ha detto Roberto Limentani, un esponente della comunità ebraica, che partecipava al presidio anti-Priebke. "Siamo qui per la giustizia. Noi non dimentichiamo, e spero che anche il resto del mondo civile non dimentichi. Mi dispiace che qui ci siamo solo noi (ebrei), perché il problema non è solo nostro, è un problema di tutti". Sulla vicenda ieri è intervenuto anche il ministro della Difesa Arturo Parisi, che ha convocato il procuratore militare generale.

Dopo essere stato estradato dall’Argentina in Italia nel 1995, Priebke è stato condannato all’ergastolo da un tribunale militare per il massacro, avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale a Roma, come rappresaglia contro un’azione condotta dai partigiani contro le truppe d’occupazione. L’avvocato Giachini, che ospita in un appartamento l’anziano condannato, ora agli arresti domiciliari, era tornato a difendere anche ieri la decisione del tribunale di concedere a Priebke il permesso di lavoro esterno: "La legge prevede che dopo un certo periodo in prigione, i detenuti abbiano il diritto di ottenere certi benefici, perché in Italia la pena non è punitiva ma mira alla rieducazione dei condannati".

L’Aquila: no a "figlio in provetta" per il boss Salvino Madonia

 

Il Messaggero, 19 giugno 2007

 

Il ministero della Giustizia ha detto no alla richiesta del boss mafioso Salvino Madonia, già approvata dal Gup di Palermo, di sottoporsi alle procedure per la fecondazione artificiale della moglie. Madonia sta scontando a L’Aquila una condanna definitiva all’ergastolo per l’omicidio dell’imprenditore Libero Grassi e si era sposato, in carcere, con Mariangela Di Trapani, figlia del capomafia Francesco. Il matrimonio fu celebrato il 23 maggio 1992, lo stesso giorno della strage di Capaci.

I coniugi Madonia hanno già un figlio, nato nel 2000 durante la detenzione del boss. Mistero su come sia avvenuto il concepimento. Dopo l’autorizzazione del giudice a procedere il boss era in attesa di sapere dal ministero della Giustizia le modalità con le quali procedere all’inseminazione artificiale della moglie, ma il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha negato l’autorizzazione.

La motivazione del diniego è stata quella che un ergastolano "non può offrire garanzie di tutela al nascituro". "L’orientamento che è venuto a consolidarsi - scrive il Dipartimento - nel rispetto dei principi generali contenuti nella legge 19 febbraio 2004 (norme in materia di procreazione assistita), postula che sia garantita massima tutela al nascituro, anche sotto il profilo dell’esigenza che questi viva all’interno di un quadro familiare stabile, condizione che verrebbe in parte preclusa, dalla permanenza in vinculis di uno dei genitori".

"Inoltre - aggiunge il Dipartimento - secondo le precedenti determinazioni assunte, osservate dalla giurisprudenza, le attività mediche connesse alla procreazione assistita (prelevamento del seme) non possono essere qualificate come prestazioni sanitarie effettuabili a carico dell’ amministrazione".

 

Dietro le sbarre, tanta voglia di paternità

 

Molti i boss mafiosi detenuti che in passato sono riusciti, nonostante i divieti di contatto, a mettere incinta la propria moglie. Su questi casi i magistrati hanno avviato indagini.

Nell’estate del 1997 i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Brancaccio a Palermo, condannati per le stragi di Roma, Milano e Firenze e per l’uccisione di Padre Pino Puglisi, riuscirono a far "volare la cicogna" dalla cella in cui erano detenuti e sottoposti al 41 bis. Le loro mogli partorirono due bimbi in una clinica di Nizza, a distanza di un mese l’una dall’altra, nonostante i mariti fossero detenuti da oltre due anni. La procura di Palermo avviò un’inchiesta in cui veniva ipotizzata una fecondazione in provetta realizzata illegalmente. Le indagini non portarono ad identificare i complici dei boss.

Nel 2000 il capomafia Salvino Madonia, detenuto da diversi anni a L’Aquila, diventa padre per la prima volta. Gli inquirenti non sono mai riusciti a svelare il mistero di come la moglie sia riuscita a concepirlo. Gli investigatori ipotizzarono la complicità di qualcuno del carcere, ma senza riuscire a trovare alcun riscontro. Adesso il boss ha chiesto di avere un figlio grazie alla fecondazione assistita.

Il primo caso in cui il ministero della Giustizia ha però autorizzato la fecondazione risale al 2002 e riguarda un pregiudicato catanese detenuto per scontare una condanna per mafia e non all’ergastolo come nei precedenti casi.

Anche negli Usa i boss collegati a Cosa nostra, detenuti per lunghe condanne, hanno cercato nel 2002 di avere figli dalla moglie con un traffico illegale di provette fatte uscire dal carcere. È il caso di Antonio Parlavecchio, la cui moglie venne bloccata all’uscita dalla prigione federale di Allenwood, in Pennsylvania, con la fiala per un’inseminazione artificiale.

Stessa vicenda per Kevin Granato, che però è riuscito a far portare avanti alla moglie la fecondazione assistita grazie alla complicità di agenti penitenziari che sono stati in seguito scoperti e condannati.

Droghe: Vasco Rossi; è criminale considerarle tutte uguali

 

Notiziario Aduc, 19 giugno 2007

 

"Con la droga il mondo sarebbe migliore", questa la frase che avrebbe pronunciato pochi giorni fa Michael Jackson. E Vasco Rossi ieri ha specificato, durante un’intervista trasmessa da Rds: "Con la droga si intende tutto quello che fa male ed è proibito. Ci sono altre droghe che vengono considerate meno pericolose, come l’alcool, che invece fa più male".

Il cantante ha tenuto a specificare che ci sono differenze notevoli fra le varie sostanze e che considerarle tutte uguali è criminale e genera solo confusione fra i ragazzi. "La marijuana è pericolosa quanto l’alcool, forse meno; però sono 50 anni che viene demonizzata e continuano a dire che uccide e altre sciocchezze di tutti i tipi". Il rocker ha concluso: "Con le droghe il mondo è sempre andato avanti e non si può farle sparire con la bacchetta magica".

 

 

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