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Giustizia: "kit di accoglienza in carcere" per prevenire i suicidi
Ansa, 14 giugno 2006
Arriva il kit di accoglienza nelle 205 carceri italiane, e tutti gli istituti penitenziari entro il 10 agosto dovranno adeguarsi alle nuove regole con cui "accogliere" i nuovi arrivi. Visita medica e colloquio con uno psicologo nelle prime 12 ore dall’entrata, un libretto informativo (tradotto in varie lingue) sulle regole del carcere e sui diritti-doveri dei detenuti; doccia, acqua e cibo garantiti anche se le cucine sono chiuse. E la previsione di una sezione speciale per i primi giorni di detenzione, con camere di due-tre posti, più tempo e spazio per socializzare e altre accortezze. Sono le nuove regole del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) che ha disposto la creazione di una "sezione di accoglienza e attenzione" per attenuare il duro impatto del carcere sulle circa 7.500 persone per le quali ogni mese si aprono le celle. Con una circolare il Dap ha deciso di creare una sorta di "filtro" tra esterno ed interno del carcere, innanzitutto per prevenire il rischio di suicidi che dal 2000 al 2006 sono stati innumerevoli e che, statisticamente, si verificano soprattutto durante il primo periodo dietro le sbarre. L’indulto ha alleggerito le carceri e i detenuti sono passati da oltre 60mila a 43.494, di cui la maggior parte (25.407) imputati in attesa di giudizio. Ma nonostante i benefici dell’atto di clemenza, il momento dell’arrivo in carcere resta il più delicato. Giustizia: Napolitano parla al Csm… ma nessuno lo ascolta!
www.radiocarcere.com, 14 giugno 2007
Sei giugno 2007. Il Presidente della Repubblica interviene al plenum del Csm. L’argomento l’ordinamento giudiziario. L’intervento però si spinge oltre. Sottolinea che la durata dei processi da gran tempo costituisce il problema centrale della giustizia. Invoca una rigorosa applicazione della custodia cautelare. Auspica che nei provvedimenti giudiziari non siano inseriti riferimenti a persone estranee al reato, non necessari per la motivazione. Si sofferma sul funzionamento del Csm, spaccatosi al momento della nomina del Presidente della cassazione e che si accinge alla nomina del Presidente del Tribunale di Roma. Chiede una diversa selezione dei magistrati, che prescinda dall’anzianità e privilegi invece professionalità ed efficienza. Un intervento caratterizzato da parole pesate e puntuali. Un intervento che individua lucidamente e con precisione i mali della giustizia. Un intervento che preoccupa. Argomenti e sede avrebbero giustificato un ampio dibattito. L’apertura di un tavolo discussione. Ma niente di tutto questo. Preoccupa. Politici, magistrati, avvocati, organi che li rappresentano, Anm e Camere penali, hanno taciuto. Nessuna reazione. Con la sola eccezione delle parole spese per l’ordinamento giudiziario. Nessun considerazione per l’eccessiva durata del processo. D’altronde come dice lo stesso Presidente un problema risalente nel tempo. Niente di nuovo. Ignorato il richiamo ad un puntuale uso della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, tale da non coinvolgere inutilmente persone estranee al reato. Anche questo un male da estirpare. Che diventa particolarmente nocivo quando il provvedimento cade nelle mani di quel trita - persone che sono diventati i mass media. Accadimento che obbliga la persona estranea dal reato a vedere inerme la propria vita personale saccheggiata e la privacy violata. Niente neanche con riferimento all’auspicio che i magistrati siano selezionati in base alla loro professionalità. Selezione che invece avviene dando prevalenza all’anzianità e soprattutto all’appartenenza a questa o quella corrente giudiziaria. Deprime osservare le votazioni del Csm. Deprime constatare che i singoli componenti delle correnti della magistratura esprimano il loro voto compattamente e che la logica correntizia prevale sulla propria valutazione personale. Maggior fortuna non è toccata alle parole spese relativamente l’applicazione custodia cautelare. Parole riportate dalla stampa, ma passate inosservate. Nessuna reazione. Tace il Ministro di giustizia. Tace l’Anm. Tacciono le correnti. Tace l’Unione delle camere penali. Tacciono i singoli magistrati e avvocati. E pure il fatto che il Presidente della Repubblica davanti l’organo di autogoverno della magistratura critica l’uso della custodia cautelare non sembra un fatto di poco conto. È evidente che l’uso della custodia cautelare è andato progressivamente degenerando nell’ultimo decennio. L’uso di quello che volgarmente viene chiamato il carcere preventivo ha avuto, sempre più di frequente, finalità diverse da quelle assegnategli dalla legge. Strumento previsto per evitare l’inquinamento delle prove, la fuga dell’imputato o la commissione di reati. Strumento che invece viene frequentemente utilizzato a fini investigativi o punitivi, comportando una sorta di anticipazione della pena. Utilizzazione impropria dalla quale nascono le vittime della custodia cautelare. Coloro che illegittimamente arrestati vengono poi prosciolti. Numero che come quello dei desaparesidos è sconosciuto. Patologia ben conosciuta negli ambienti giudiziari e che solo gli ipocriti negano. Conosciuta ma inspiegabilmente sottaciuta. Giustizia: le donne magistrato, una presenza in forte aumento
Famiglia Cristiana, 14 giugno 2007
Sono entrate in magistratura solo nel 1963, e da allora hanno fatto passi da gigante. Sono brave, competenti e stimate anche dai colleghi maschi. Ma ancora fanno più fatica di loro a salire ai vertici della carriera. Le signore incutono rispetto anche in jeans e gonne colorate. Gentili a tu per tu, sono sempre autorevoli e poco influenzabili nelle occasioni professionali, interviste comprese. D’altronde, sono le "signore del diritto": chi ha mai visto un vero magistrato mostrarsi inconsapevole della responsabilità della toga? Le donne entrano nei ranghi della magistratura come un fiume sempre più grande, e con il numero si rafforza la consapevolezza dei propri diritti, non soltanto quella del Diritto. All’ultimo concorso d’ingresso in magistratura, tenuto nel 2004, oltre il 60 per cento dei 382 vincitori sono risultati donne. Al primo cui furono ammesse, nel ‘63, su 200 posti furono otto le candidate ritenute idonee. In quarant’anni hanno fatto molta strada in un mondo prima tutto al maschile. Ma passano da un’autostrada a un sentiero di montagna arrivando al vertice della piramide. Se i magistrati in servizio sono 8.940 e il 41 per cento sono donne, ai posti semidirettivi diventano l’11 e in quelli direttivi il 4. Hanno da tempo una giusta notorietà donne magistrato come Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano, o Melita Cavallo, capo del Dipartimento per la giustizia minorile: però appaiono le eccezioni che confermano una regola non scritta ma diffusa in Italia, un po’ in tutti i campi. Il potere vero non si declina al femminile. Eppure, sia pure con lentezza, le cose cambiano. Per esempio, nel Consiglio superiore della magistratura in carica (l’organo di autogoverno dei giudici), le donne sono il 25 per cento dei consiglieri. Per la prima volta il suo segretario generale, da cui dipende l’intera struttura, è un magistrato donna, Donatella Ferranti. Che espone alcuni motivi della scarsità di donne ai vertici: "Intanto, visto che il loro ingresso in magistratura è stato possibile solo quarant’anni fa, stanno arrivando ora come età ai concorsi per i ruoli direttivi. Poi, non dimentichiamo che gli impegni familiari gravano pur sempre sulle donne: se si liberano posti disagiati e che richiedono trasferimenti, molte non fanno neppure domanda. Però, credo che nella società in generale ci sia tuttora diffidenza verso donne in posizioni di comando". Aggiunge la dottoressa Luisa Bianchi Bonomo, presidente dell’Associazione donne magistrato italiane (Admi): "Un’altra possibilità è che le donne, spesso per il carico familiare, coltivino con minor impegno quei titoli extragiudiziari che pure contano nella valutazione della progressione in carriera, e che questo le abbia danneggiate".
Nessun femminismo di maniera
Titoli come pubblicazioni su riviste o libri, che richiedono tempo fuori dal lavoro, come superare l’ostacolo? Un’ipotesi attualmente dibattuta è quella che espone Donatella Ferranti: "Diamo più punteggio e valorizzazione al lavoro giudiziario e un po’ meno a punteggi acquisiti con attività collaterali come pubblicazioni su riviste e così via". Per loro natura le signore della giustizia non coltivano femminismi di maniera, né chiedono trattamenti speciali in quanto donne. Avanzano solo la richiesta di misure temporanee perché la legge sulla parità abbia gambe e si realizzi nei fatti. Già l’Admi, in particolare, a partire dagli anni ‘90 ha avuto il merito di introdurre nel mondo dei magistrati i problemi delle donne che ne fanno parte. Ne sono derivati a cascata la costituzione della Commissione pari opportunità presso il Csm, un provvedimento sulla maternità e il periodo "post" non penalizzante per le magistrate, la proposta accolta dopo anni dall’Associazione nazionale magistrati di inserire un numero minimo di candidature femminili per i vari organi associativi. Esiste poi, in senso positivo, il "caso Milano". Che non si riferisce a due notissime e tostissime donne magistrato che vi lavorano, come Ilda Boccassini e Clementina Forleo. Ma al fatto che nel distretto di Milano le donne sono complessivamente più degli uomini, e quelle in posizioni di vertice arrivano al 17 per cento. Il che può significare un’effettiva avanguardia verso la parità, ma anche qualcos’altro, secondo un’ipotesi che spiega Donatella Ferranti: "Oggi la magistratura è un impiego di grande impegno, un richiamo per qualità professionale, ma di remunerazione media. Al Nord esistono sicuramente opportunità economicamente migliori per un giovane uomo brillantemente laureato in Giurisprudenza; penso ai consulenti d’impresa, agli studi professionali, agli studi associati, dove il guadagno è senza paragone più alto che in magistratura. A questo punto un uomo, che può gestire meglio il proprio orario, si dedica all’attività più remunerativa".
La famiglia, il lavoro, la scorta...
Un marito, due figlie, un nipotino in arrivo: il massimo della normalità, ottenuto in contemporanea a incarichi non esattamente comuni. Per esempio: presiedere il processo per direttissima al terrorismo padovano di Autonomia operaia nell’80; presiedere negli anni ‘90 a Venezia il processo alla "mala del Brenta" di Felice Maniero, con 110 imputati e parecchie imputazioni da valutare; presiedere, ancora a Venezia, il processo ai Serenissimi che avevano scalato il campanile di San Marco. In ognuna di queste occasioni (ma anche in altre meno note), la dottoressa Graziana Campanato, oggi giudice della Corte di Cassazione, ha dovuto vivere sotto scorta con il resto della famiglia, "anche quando andavo in vacanza", ricorda. "E siccome durante il processo ai Serenissimi erano stati minacciati i miei genitori, è toccata pure a loro. Mio padre è morto in ospedale con la scorta davanti alla camera". Ma conclude con tranquillità: "Quando ci si trova di fronte a un compito, accetti il sacrificio di una vita blindata senza tanto pensiero, perché fa parte del lavoro. Diciamo che poi aiuta a isolarsi, a correre meno il rischio di farsi scappare una parola di troppo, anche con amici". Graziana Campanato è entrata in magistratura nel ‘67 e un anno dopo, a 27 anni, era già giudice unico nell’allora Procura mandamentale di Montagnana, nel Padovano. Insomma, l’esercizio della responsabilità non l’ha mai spaventata. Nel cursus honorum vanta anche i sei anni da presidente del Tribunale dei minorenni di Venezia, prima di approdare in Cassazione due anni fa. Un suo dettaglio, forse minimo ma interessante, emerge dai primi anni di professione, quando "certe discriminazioni le ho accettate, perché l’idea della parità non era ancora in marcia". Il dettaglio è che, in un ambiente allora tutto maschile, "ho cercato di crearmi uno stile, di non mascherarmi da maschio né nel modo di vestire né in quello di porgermi e fare. Volevo avere una credibilità per il rigore nel lavoro, non essere presa per una ragazzina svolazzante. Ma, nello stesso tempo, volevo essere una persona che continuava a rimanere donna".
La studiosa delle "madri di mafia"
Ha studiato le donne di Cosa nostra in tutti i loro risvolti sociali e affettivi, Teresa Principato. Ha scritto libri, tiene seminari nelle università italiane e nella sua carriera ha messo a fuoco i comportamenti delle madri "di mafia": esempi di fedeltà assoluta attraverso le quali Cosa nostra si auto riproduce educando i figli al perverso modello paterno. Oggi il magistrato Principato è un sostituto procuratore nazionale antimafia. Lavora a Roma, alla Dna, ed è applicata ai processi di Palermo dove ha coordinato grandi inchieste, dalla vicenda giudiziaria di Calogero Mannino, l’ex ministro democristiano in attesa di nuovo processo dopo l’annullamento della condanna in Cassazione, al processo Grande Oriente di Trapani, alla cattura del superlatitante Bernardo Provenzano. Negli anni ‘90, ai tempi delle stragi, ha avuto un ruolo di primo piano nel pool di magistrati antimafia, nella squadra dell’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli. E oggi, quando vuole far capire cosa significa essere "madre di mafia", Teresa Principato parla della sua esperienza quasi con paura: "Ricordo un episodio simbolo, una donna che conserva la giacca sporca di sangue con la quale il marito è stato ucciso, e la conserva per il figlio che deve indossarla il giorno in cui l’assassino esce dal carcere: un modo per spiegargli che il suo dovere è uccidere l’assassino". Una donna magistrato al Sud, la sua carriera segnata dal tema mafia, c’è il lavoro, la famiglia, ma sempre Cosa nostra in primo piano. "Oggi", spiega Teresa Principato, e lo ribadisce con una certa amarezza in tutte le interviste, "l’emancipazione femminile non ha contribuito a cambiare le cose e il modello resta sempre quello: la donna viene esclusa dallo zoccolo duro, non ha poteri decisionali anche se le può essere affidata la gestione di interessi economici. E i bambini di pochi anni, che a scuola aggrediscono i figli dei collaboratori di giustizia, sono una testimonianza del perpetuarsi dei valori mafiosi". Giustizia: "caso Bagnasco"; la busta della Lioce non c’entra
La Repubblica, 14 giugno 2007
La busta che ha fatto sospettare un collegamento tra le nuove Br e le minacce al presidente della Cei Angelo Bagnasco è di un’associazione religiosa. Il messaggio cifrato era solo il risultato di un gioco di cancellature sul nome di un’associazione fiorentina fondata da un teologo: "Associazione Don Vasco Nencioni per la ricerca religiosa". Cancellando le prime dieci lettere della parola Associazione è comparso "...ne.."; Don è diventato "Do", Vasco si è trasformato sulla busta sequestrata in "...asco"; Nencioni si è ridotto a "Ne" e religiosa in "religios". Dopo aver ascoltato i Tg di ieri sera, un volontario che lavorava nelle carceri ha svelato il mistero ai legali della brigatista Nadia Desdemona Lioce: la busta che la polizia penitenziaria ha trovato nella cella della detenuta, appartiene ad un pacco di buste e altri fogli riciclati che due anni fa il volontario distribuì nel penitenziario di Sollicciano dove allora era rinchiusa la brigatista. Come dal carcere toscano la busta sia giunta all’Aquila dove è stata trovata dagli agenti, resta ancora poco chiaro. Probabile fosse nel bagaglio della stessa Lioce. Come pure chi sia stato l’autore delle cancellature, ma sembra chiaro che quella frase smozzicata non era un messaggio cifrato per i collaboratori occulti delle Br in libertà. "È incredibile - hanno spiegato gli avvocati Carla Serra e Caterina Calia, legali della Lioce - che l’intestazione dell’associazione Don Vasco, con parole cancellate, sia diventata un indizio contro la nostra assistita. In realtà sarebbe stato sufficiente confrontare la busta e chiedere spiegazioni alla Lioce la quale ha chiarito subito che le Brigate Rosse, con le minacce a monsignor Bagnasco e più in generale con Bagnasco stesso, non hanno nulla a che fare". La prossima settimana, il giudice confronterà le buste simili intestate all’associazione religiosa con quella sequestrata l’11 aprile nella cella della Lioce anche se, a detta dei difensori della brigatista, "siamo certi che l’associazione eversiva con finalità di terrorismo imputata alla nostra cliente cadrà definitivamente". Giustizia: processo G8 Genova; scuola Diaz era una "macelleria"
Ansa, 14 giugno 2007
Sembrava una macelleria messicana": è con queste parole che Michelangelo Fournier, all’epoca del G8 del 2001 a Genova vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma, descrive quello che vide al momento dell’irruzione nella scuola Diaz. Una descrizione ben diversa da quella che Fournier, uno dei 28 poliziotti imputati per la vicenda, fornì inizialmente. "Durante le indagini non ebbi il coraggio di rivelare un comportamento così grave da parte dei poliziotti per spirito di appartenenza", ha confessato oggi in aula a Genova, rispondendo alle domande del pm Francesco Cardona Albini. Nelle dichiarazioni rese inizialmente da Fournier ai pubblici ministeri Zucca e Cardona Albini, il poliziotto aveva raccontato di aver trovato a terra persone già ferite e non pestaggi ancora in atto. "Arrivato al primo piano dell’istituto - ha detto - ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana". "Sono rimasto terrorizzato e basito - ha spiegato - quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura che stesse morendo. Fu a quel punto che gridai: "basta, basta", e cacciai via i poliziotti che picchiavano", ha raccontato ancora Fournier. Sollecitato dalle domande del Pm Cardona Albini, ha aggiunto: "Intorno alla ragazza per terra c’erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze". Fournier ha poi raccontato di aver assistito la ragazza ferita fino all’arrivo dei militi con l’aiuto di un’altra manifestante che aveva con sé una cassetta di pronto soccorso. "Ho invitato però la giovane - ha raccontato - a non muovere la ragazza ferita perché per me la ragazza stava morendo". Fournier però ha anche cercato di ridimensionare in parte le responsabilità dei poliziotti: "Sicuramente nella scuola c’erano persone che hanno fatto resistenza, issato barricate, per cui non mi sento di dare la patente di santità a tutti gli occupanti dell’istituto". "Non posso escludere in modo assoluto che qualche agente del mio reparto abbia picchiato", ha detto ancora. In merito poi all’episodio del vice questore Troiani, il poliziotto che avrebbe portato le due bottiglie molotov nella scuola, come prova a carico dei 93 no global, poi arrestati, Fournier ha raccontato di aver visto il collega vicino alla camionetta con addosso il casco del Reparto Mobile di Roma. "Casco e cinturone del nostro reparto - ha spiegato - erano stati distribuiti in occasione del G8 anche ad altri reparti mobili". Medici Penitenziari dell'Amapi: i motivi dello sciopero del 19 e 20
Comunicato stampa, 14 giugno 2007
Grande preoccupazione, tra gli oltre 43mila detenuti nelle carceri italiane. Il 19 e 20 Giugno, infatti non potranno usufruire di nessuna prestazione medica a causa dello sciopero indetto dall’Amapi (Associazione Medici Amministrazione Penitenziaria Italiana). "Ci è stato imposto di rinunciare ad oltre 8 milioni di arretrati e, con senso di grande responsabilità, abbiamo accettato, afferma il presidente dell’Amapi, prof. Francesco Ceraudo. In cambio, già dal settembre scorso, il Ministro Mastella si era impegnato per scritto a trovare i 2milioni e 250mila euro destinati al rinnovo del nostro contratto, invariato dal 2004. Da allora, tutti i nostri solleciti non hanno sortito nessuna risposta: per questo ci troviamo costretti, nostro malgrado, ad interrompere, anche se per due soli giorni, un servizio fondamentale per la popolazione detenuta che, è bene ricordarlo, è costituita in gran parte da tossici, sieropositivi, extracomunitari che hanno riportato in Italia la Tbc, disturbati mentali e diversi cardiopatici. Senza contare altre patologie quali l’Epatite C, diabete. I Medici e gli Infermieri Penitenziari - prosegue Ceraudo - hanno scritto una pagina importante per la storia e la civiltà del nostro Paese. Mezzo secolo di storia fatta di impegno, di spirito di sacrificio e dedizione e soprattutto di rispetto e comprensione per pazienti a dir poco particolari. Adesso, però, siamo stufi di certi governanti che impongono sacrifici alla popolazione, disattendendo impegni e promesse e mantenendo uno stile di vita che non è certo consono da chi pretende sacrifici e rigore". Durante l’agitazione, tutti gli operatori sanitari (medici, medici specialisti, infermieri e tecnici) effettueranno solo il primo intervento di pronto soccorso. Sospesi i ricoveri e le dimissioni, tranne per le urgenze che saranno ospedalizzate. Prosegue invece ad oltranza, lo sciopero bianco amministrativo. Il 19 e 20 giugno, sono state indette manifestazioni di protesta che si svolgeranno davanti ai penitenziari di Parma, Napoli e Palermo. Sardegna: nelle "colonie penali agricole" servono 200 detenuti
Agi, 14 giugno 2007
Per contrastare lo spopolamento e il conseguente rischio chiusura delle tre colonie penali agricole della Sardegna, il provveditore regionale alle carceri Francesco Massidda ha chiesto al Dap di Roma di trasferire sull’isola 200 detenuti. La richiesta è limitata a coloro che hanno già subito una sentenza definitiva, con una buona condotta e ottime condizioni di salute. In vista dell’estate, il lavoro delle aziende agricole di Isili, Mamone e Is Arenas, svuotate un anno fa dall’indulto, si intensifica, aggravando l’effetto-indulto. Il risultato è che i pochi detenuti (meno di 200) delle tre colonie non riescono a sostenere gli impegni quotidiani con la raccolta dei frutti e del foraggio, la pastorizia e la manutenzione dei mezzi. La comunicazione è stata diramata a tutte le carceri della penisola, che stanno raccogliendo le "adesioni" da vagliare. Le carceri isolane ospitano 1.151 detenuti, su una capienza di 1.587 persone. Prima del provvedimento di clemenza varato dal Parlamento il 31 luglio 2006, le celle straripavano di 2.200 detenuti. "L’andamento è positivo nel caso delle carceri rispetto al resto d’Italia, mi riferisco soprattutto al basso numero di coloro che sono stati arrestati poco dopo esser tornati in libertà: meno di 80", spiega il provveditore Massidda. Ma il fenomeno rischia di cancellare gli unici tre istituti in Sardegna dove gli ospiti sono avviati ad un reale percorso di riabilitazione sociale, percependo anche uno stipendio: la paga, per un detenuto-pastore o operaio, ammonta ai due terzi del minimo sindacale. Lettere: Marassi; siamo 12 in una cella... per 22 ore al giorno
www.radiocarcere.com, 14 giugno 2007
"Caro Salvatore, qui al Marassi è sempre la solita musica. Da quando sei uscito, non è cambiato niente. Anzi le cose peggiorano. Pensa che non possiamo ascoltare più Radio Carcere, perché questa mattina c’è stata una perquisizione in cella e ci hanno rotto tutte le nostre radioline. Qui in cella siamo in dodici e si sta troppo male. Poi con il caldo che c’è non si respira, ma tu queste cose le sai. Stanotte un ragazzo peruviano è stato male e le guardie dicevano che non potevano fare nulla perché i medici non c’erano. Lui si è messo a sbattere sulla porta della cella chiedendo aiuto. A quel punto è intervenuta la squadretta e lo hanno suonato di botte e poi lo hanno portato in un cubicolo fino alle 5 di mattina. Salvatore qua è un vero inferno, e nessuno ci può aiutare… Ora sono stanco, cerca di spedirmi una radiolina, così almeno posso ascoltarmi Radio Carcere e sto tranquillo. Poi se puoi chiama Riccardo e digli di leggere le nostre lettere che noi gli scriviamo sempre… abbiamo paura che le buttino via prima di sperdile. Ciao, a presto Antonio." Antonio è stato mio compagno di cella per due anni. Io sono uscito da tre mesi, ma lui è ancora dentro. Dentro quella cella del secondo piano del carcere Marassi di Genova. Una cella di dieci metri quadri con dentro 12 e anche 13 detenuti. Due anni sono stato con Antonio in quella cella. Sempre chiusi. Ammucchiati e chiusi. Le ore d’aria, il passeggio nel cortile per due ore, era il nostro unico svago. Infatti, oltre all’ora d’aria nel carcere Marassi scontare la pena significa stare in cella e basta. Niente lavoro, niente scuola, niente attività. Niente. 12 detenuti chiusi nella stessa cella per 22 ore al giorno. Appena entri nella cella ci sono tutti i letti, poi una specie di sgabuzzino, e lì c’è il bagno ovviamente senza finestra. I letti sono quelli a castello, ma a tre piani. Tempo fa un ragazzo è caduto da uno di quei letti e c’è morto. Ma può anche capitare che un detenuto dorma per terra, perché non c’è il letto. L’ho visto io qualche mese fa un ragazzo che l’hanno messo nella nostra cella. Era sera. Ci siamo guardati intorno e il letto per lui non c’era. Così quel ragazzo ha dormito per terra. I giorni seguenti ci siamo organizzati e facevamo i turni per chi gli cedeva il letto. È solidarietà tra detenuti. Questa è la realtà che io ho lasciato e che è ancora nel carcere Marassi di Genova. Infatti, l’indulto al Marassi si è sentito per due mesi, poi tutto è ricominciato come prima. Sovraffollamento, ingiustizie e violenza. È successo a novembre che un ragazzo aveva mal di denti. Erano giorni che stava male, c’aveva tutta la guancia gonfia. In carcere gli davano l’Aulin, che però non gli faceva più effetto perché ormai erano 15 giorni che lo prendeva. Il dentista non si vedeva e i giorni passavano. Una notte, quel ragazzo stava peggio, molto peggio. Ha chiesto aiuto agli agenti. Stava impazzendo. Quando è arrivato l’agente questo ragazzo gli ha detto: "Guardi io ho mal di denti sto scoppiando, mi mandi in infermeria." L’agente gli ha detto: "In infermeria non ci puoi andare perché non ci sono i medici, io non ci posso fare niente. Stai qui e non rompere i coglioni". Lui si è buttato sulla branda disperato per il dolore. Si lamentava, piangeva…poveraccio. Dopo un paio d’ore l’agente è tornato con un bicchierino di plastica e dentro un liquido giallastro: "Prendi questo, e vedrai che il mal di denti di passa". Quel ragazzo ha preso con le mani tremanti quel bicchiere e ha bevuto tutto, ma poi ha fatto una faccia disgustata e ha vomitato. Nella cella si è sparso cattivo odore. Ho raccolto il bicchiere e l’ho annusato. Non era medicina. Era urina. L’agente, che era rimasto lì forse a godersi la scena, gli ha detto: "Buona la mia piscia vero? Ti ha fatto bene ai denti?". Quel ragazzo si è sentito morto. Noi tutti in quella cella ci siamo sentiti morti e non potevamo parlare perché se no andava a finire male, ci avrebbero menato. Al Marassi infatti regna la regola del silenzio. Tu detenuto devi stare zitto. Perché se parli o se protesti, loro aspettano un paio di settimane poi all’improvviso entra in cella la squadretta, ovvero 3 o 4 agenti, e ti menano, o come diciamo noi ti suonano. Ti picchiano sulla branda o per terra, dove capita e poi se ne vanno. Gli altri detenuti devono restare fermi sulle loro brande. Loro lo sanno che non si devono muovere, perché se provi a prendere le difese del tuo compagno picchiato, le botte le prendi anche a te. C’è una tecnica per menarti. In faccia non ti menano mai. Ti menano sui piedi, sulle mani, sulla schiena, in pancia. Ti menano dove non si lasciano segni evidenti. Ma mai in faccia. Sono botte che non lasciano segni che si vedono, ma fanno male. Tanto. Il più delle volte la squadretta entra in azione di notte o la mattina presto quando tutti ancora dormono. Sono questi i momenti in cui ci sono pochi testimoni esterni e tu puoi gridare quanto voi, ma nessuno ti sentirà mai. Molti detenuti del Marassi per difendersi dormono con una lametta in bocca. Se ti tagli e perdi sangue gli agenti si allontanano. Loro hanno paura di prendersi qualche malattia col nostro sangue e sanguinare è per il detenuto una difesa. Non tutti reggono questo inferno. Un giorno stavamo in cella a giocare a carte. Uno di noi, un albanese, è andato in bagno, ma non usciva più. Noi ci siamo allarmati, siamo entrati in bagno e lui si era attaccato un lenzuolo al collo. Si era impiccato. Era appeso lì, rantolava. Noi lo abbiamo tirato giù, respirava ancora. Lo hanno potato via e di lui non abbiamo saputo più nulla. Al Marassi i detenuti voglio leggere Radio Carcere col Riformista, ma gli agenti gli dicono che è proibito comprare Il Riformista in carcere. Non vi stupite, questa è la galera Marassi.
Salvatore, 42 anni Lettere: detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena
www.radiocarcere.com, 14 giugno 2007
Dino e Rocco, dal carcere di Imperia "Ciao Riccardo, come sai siamo due detenuti, tra i tanti, che stanno in carcere grazie alla legge Cirielli sulla recidiva. Qui nel piccolo carcere di Imperia ci siamo contati e siamo circa 20 detenuti, finiti in carcere grazie a questa legge. Per carità non volgiamo dire che siamo innocenti ma vogliamo solo sottolineare la pena eccessiva che il giudice ci ha dovuto irrogare in base alla legge Cirielli. Per esempio qui nel carcere di Imperia ci sono 3 ragazzi che per essere stati sorpresi con pacchettino di hascisc sono stati condannati a 4 anni! Ma ti rendi conto? E pensare che a due passi da noi, in Olanda, il fumo è legalizzato! Ma poi questi politici come Fini, Castelli… si rendono conto dei danni che fanno che ste leggi? Secondo noi si rendono conto di tutto ma siccome a pagare sono sempre i poverelli …pazienza! Siamo in tanti con anni in più di carcere grazie a questa legge Cirielli e siamo tutti arrabbiati.. noi vogliamo pagare il reato.. ma il giusto e non troppo! Ora questa legge Cirielli l’ha fatta la destra e la sinistra l’ha contestata. Ma ora che c’è la sinistra al Governo perché non la cambia? Cosa aspettano? Riccardo grazie per quello che fai!"
G., dal carcere di Trapani "Caro Riccardo, sono in carcere dal 2001 con un accusa infamante. Violenza sessuale. Tra poco la mia pena finirà. Ma non finirà mai il dolore per un’accusa ignobile, per un processo ingiusto e per un carcerazione passata in giro per l’Italia. Proprio quando sta finendo la mia pena, ti voglio dire le difficoltà che deve incontrare uno senza soldi per poter affrontare un processo. Un processo per un fatto terribile come la violenza sessuale. Mal difeso dal mio avvocato, sono stato condannato senza che le mie ragioni fossero ascoltate e le mie prove a discarico fossero valutate con obiettività. Udienza dopo udienza mi rendevo conto che comunque, solo per l’accusa che mi era stata mossa, sarei stato alla fine giudicato colpevole. E così è stato. Poi il carcere nelle c.d. sezioni protette, lo sguardo diffidente degli agenti e dei detenuti… beh quella è prigione nella prigione… Io ormai ho questi scontato la mia pena e tra poco sarò fuori, ma devi sapere quanti sono in carcere che si disperano perché innocenti e incapaci di potersi difendere. In questi anni di galera ne ho visti tanti, per queste ragioni, lasciarsi morire. È attraverso quei corpi che passa la lama dell’ingiustizia. Lascio a Radio Carcere la mia testimonianza di persona condannata ingiustamente"
Gaetano, dal carcere Pagliarelli di Palermo "Caro Riccardo ho 51 anni e mi trovo in carcere con una condanna a vita, fine pena mai. Ti ho letto sul Riformista l’altra settimana e ho capito le tue ragioni. Ora il mio primo problema, io sono uno di quelli condannati all’ergastolo. Adesso, dovendo stare in carcere per sempre, il mio problema è quello di dare un minimo di senso a questa mia detenzione. Per questa ragione ho fatto più di 60 domandine per essere trasferito in una casa di reclusione dove possa almeno lavorare. Purtroppo sembra di combattere contro i mulini al vento e nessuno risponde alle mie istanze. Stare in carcere a vita e senza poter lavorare è carcere nel carcere. È morire due volte. E tu lo sai. Per quanto riguarda il processo che mi ha condannato a vita. Beh ti dico solo che aspetto dalla mia cella il giorno in cui troveranno i veri colpevoli. Riccardo, ti saluto con stima e scusami per la calligrafia, ma io ho solo la seconda elementare."
Claudio e Antonio, dal carcere di Piacenza "Caro Arena, ti scriviamo in merito ad un tema che per noi è molto importante e che riguarda sia il lavoro in carcere che il reinserimento lavorativo di chi esce dal carcere. Su Rai 3 tempo fa c’è stato un bel programma dedicato proprio a questo tema. Si parlava del carcere le vallette di Torino dove c’è addirittura una torrefazione per il caffè. Si parlava del carcere di Vibo Valentia dove si lavora la terracotta ecc. Tra le altre cose si parlava anche di sbloccare la vendita dei beni prodotti in carcere, magari con l’esenzione dell’iva. Vendita oggi bloccata per questioni di burocrazia. L’idea ci sembra giusta. Anche perché in questo modo sia le aziende che i consumatori, che gli stessi detenuti lavoranti, avrebbero un gran beneficio. Infine la cosa più importante e che sappiamo cara a Radio Carcere, ovvero il lavoro in carcere. Nelle carceri italiane, anche dopo l’indulto, sono molti i detenuti che vorrebbero lavorare ma che non possono farlo. Molti di noi vorremo imparare un mestiere durante la condanna e così prendere spunto dalla pena per lasciarsi alle spalle la parentesi negativa che ci ha portato qui dentro. Sei d’accordo? Grazie per quello che fai per noi". Roma: il Garante Spadaccia; Ser.T. di Rebibbia rischia lo sfratto
Comunicato stampa, 14 giugno 2007
Un appello del Garante comunale ai responsabili della Sanità pubblica e dell’Amministrazione penitenziaria. Il Servizio Tossicodipendenze di Rebibbia (Ser.T.) che serve tutti e quattro gli Istituti penitenziari di Rebibbia sarebbe stato sfrattato - secondo quanto riferisce una agenzia - dai locali che, in base ad una convenzione fra la Regione Lazio, la Asl Rmb e l’Amministrazione Penitenziaria, occupa legittimamente da oltre cinque anni presso la Casa circondariale a custodia attenuata (Terza casa). Il Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Roma ha rivolto un pressante invito ad intervenire per risolvere questa situazione ai responsabili dell’attuazione e nel rispetto della Convenzione: da una parte l’Assessore alla Sanità della Regione Lazio On. Augusto Battaglia e il Direttore Generale della Asl Rmb Dr.ssa Flori Degrassi e, dall’altra, il Direttore del Dap, Dr. Ettore Ferrara ed il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Dr. Angelo Zaccagnino. "È già grave - ha dichiarato Spadaccia - che si sia giunti a questa situazione ma è ormai intollerabile che non si intervenga per risolverla al fine di evitare che possa essere messo in crisi un servizio delicatissimo, essenziale per la salute di centinaia di detenuti tossicodipendenti dei quattro Istituti di Rebibbia, molti dei quali a trattamento metadonico a scalare. Al 31 maggio scorso, secondo i dati del Provveditorato, i detenuti tossicodipendenti erano complessivamente nei quattro istituti 393. Del Sert fanno parte alcune decine di medici, infermieri, psicologi e assistenti sociali che non possono essere sottoposti ulteriormente ad una tale incertezza e tensione. Chi, dunque, ha l’autorità ed il potere per decidere intervenga e decida al più presto". Roma: la tele-didattica entra in carcere grazie alla Fastweb
Nexta Media, 14 giugno 2007
Inaugurato il primo progetto di teledidattica, una formazione a distanza che aiuterà i detenuti a studiare direttamente dal carcere. Senza discriminazioni. Il carcere diventa un luogo dove imparare. E non la cosiddetta "cultura carceraria" bensì quelle nozioni che la maggior parte delle persone apprendono tra i banchi di scuola. Fino a poco tempo fa sembrava impossibile, ora invece è addirittura lo studio che raggiunge il detenuto, senza che quest’ultimo debba modificare i ritmi serrati e gli orari rigidi che contraddistinguono le case circondariali. Il Garante dei Detenuti della Regione Lazio, in collaborazione con L’Università di Tor Vergata, Fastweb e Lazio Disu aiuterà chi vive recluso nel nuovo complesso di Rebibbia a compiere in maniera più completa quel percorso tipico della funzione detentiva che mira a rieducare il detenuto e a prepararlo per essere reinserito pienamente all’interno della società dopo aver scontato la pena comminatagli dalla sentenza di Cassazione. Nasce con questa idea il progetto pilota Teledidattica - Università in Carcere che coinvolge ben tre corsi di laurea (Economia, Lettere e Giurisprudenza) di cui Fastweb è sponsor ufficiale. "La pena deve avvenire nel rispetto della dignità del detenuto, offrendo a questi le condizioni per il suo reinserimento sociale" ha sottolineato il Presidente Napolitano, alla presenza del Ministro Mastella e del Ceo di Fastweb Stefano Parisi, durante la sua visita alla casa circondariale di Rebibbia "per non ricadere nel circuito delinquenziale o scivolare nell’emarginazione una volta fuori", come è avvenuto di recente in troppi casi dopo la concessione da parte del Presidente stesso dell’indulto. Il progetto prevede incontri settimanali in videoconferenza con i docenti, grazie ad un’aula appositamente adibita a questo scopo presso il carcere di Rebibbia e tre aule multimediali presenti invece nel complesso dell’ Università di Tor Vergata a Roma. Questo farà sì che possa essere sviluppato un programma di formazione in grado di adattarsi al meglio al profilo degli studenti e che possano essere approfonditi eventuali argomenti di particolare interesse. Inoltre, aiuterà i detenuti a non sentirsi studenti "di serie b", perché non solo potranno seguire in diretta le stesse lezioni che vengono tenute per gli universitari ma avranno anche modo di interagire direttamente con professori e compagni in aula, rimuovendo così alcuni degli ostacoli che hanno reso difficile per molti carcerati fini ad oggi l’acquisizione di un titolo di studio universitario. L’infrastruttura su rete Vpn ad alta velocità su rete Mpls che Fastweb installerà presso le tre facoltà e presso la casa circondariale garantirà il servizio di learning-on-line che caratterizza il Progetto. Un’ulteriore agevolazione per tutti coloro che fin dal 1998, con l’apertura del primo Polo Universitario Carcerario a Torino, hanno deciso di investire su se stessi e sulla propria formazione per fare del carcere un’esperienza migliorativa che li allontanasse da quella parte di società definita "deviante" con la quale erano entrati in contatto. "Studiando ho capito ciò che avevo vissuto sulla mia pelle - racconta Michele, 33enne siciliano che ha da poco conseguito la laurea in Giurisprudenza nel carcere di Volterra - studiando ho capito che non sono un mostro. E questo mi ha aperto nuove prospettive". Una nuova e concreta speranza, dunque, che ci consente di guardare al futuro con maggiore propositività. "La cultura è la più grande delle soddisfazioni: mi consente di confrontarmi con gli altri, di non rimanere spiazzato" ci dice Francesco, 42 anni, in carcere da più di dieci, "ma soprattutto di dare delle risposte ai miei figli quando vengono a trovarmi dietro le sbarre." E mentre lo dice, gli si illuminano gli occhi, perché vede per loro un futuro migliore. Venezia: "Rieducare e reinserire", una due giorni di dibattiti
Redattore Sociale, 14 giugno 2007
L’iniziativa è organizzata dall’associazione di volontariato penitenziario "Il Granello di Senape"; previsti tra domani e sabato convegni, proiezioni cinematografiche e incontri pubblici. Venezia fa il tradizionale bilancio sulle buone pratiche per il reinserimento sociale dei detenuti e degli ex detenuti con una due-giorni dal titolo "Rieducare e reinserire", in programma per domani e sabato con convegni, proiezioni cinematografiche e incontri pubblici. L’iniziativa è organizzata dall’associazione di volontariato penitenziario "Il Granello di Senape" che opera da tanti anni in sinergia con il Comune di Venezia e in collaborazione con una rete di associazioni carcerarie e cittadine. Nel presentare l’evento, giunto alla dodicesima edizione, l’assessore alle Politiche sociali Delia Murer ha sottolineato il buon esito dell’attività dei due sportelli informativi aperti lo scorso anno, dentro e fuori del carcere, che "hanno permesso alle persone detenute e ai loro familiari di costruire relazioni fondamentali per un autentico reinserimento". E sarà proprio questo aspetto ad aprire la manifestazione, con un confronto pubblico che si svolgerà domani dalle 10.30 alle 17.30, ai Magazzini del Sale alle Zattere. A dibattere dell’argomento saranno gli operatori di nove città impegnati nei servizi di informazione, orientamento e consulenza destinati a soggetti in percorso giudiziario ed ex reclusi. La serata di domani sarà inoltre dedicata all’analisi dei risultati delle attività lavorative, grazie agli interventi delle cooperative sociali e delle istituzioni pubbliche. Cornice di questa riflessione sarà il film "L’aria salata" (premiato alla Festa internazionale del Cinema di Roma) che verrà proiettato alle 21 al cinema Giorgione e che sarà presentato dal sociologo Gianfranco Bettin e dall’attore protagonista Giorgio Colangeli, con ingresso gratuito. Le misure alternative alla detenzione invece apriranno il confronto di sabato, con un incontro pubblico dalle 9.30 alle 13 all’Auditorium Santa Margherita. La presidente del Granello di Senape, Maria Teresa Menotto, ha ricordato a questo proposito che "chi ha scontato la pena in carcere senza sviluppare nessun altra esperienza è recidivo nella misura del 70%, mentre di gran lunga inferiore (dal 4 al 19%) è il numero di coloro che reitera dopo aver intrapreso percorsi di recupero". L’incontro di sabato affronterà un argomento molto delicato che punta a individuare nuove strade per l’espiazione della pena non più centrata sulla privazione della libertà, ma aperta a una prospettiva riabilitativa. A coordinare l’evento sarà Sergio Segio del Gruppo Abele, i relatori invece saranno l’assessore della Provincia di Venezia Rita Zanutel, il vice capo Dipartimento di amministrazione penitenziaria Emilio di Somma, il magistrato Alessandro Margara, il criminologo Carlo Alberto Romano, il magistrato di sorveglianza del Tribunale di Bologna Maria Longo e Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze. La rappresentante dell’Unione triveneta dei Consigli dell’Ordine degli avvocati, Monica Gazzola, ha annunciato che "l’esperienza veneziana degli sportelli e degli incontri formativi rivolti agli operatori, ai volontari, al personale carcerario per creare una comune cultura legale hanno interessato anche altri Ordini degli avvocati nel Veneto, in Friuli, nel Trentino dove questa sperimentazione sarà riprodotta" e ha aggiunto che "c’è un vivo interesse nella stessa Comunità europea per iniziative di questo tipo che vedono l’unione tra l’istituzione carceraria, le istituzioni, le associazioni, il terzo settore, gli Ordini professionali in grado di disegnare un modello sinergico capace di saldare servizi e competenze diverse". Roma: Ipm; incontro sul tema della prevenzione dei suicidi
Adnkronos, 14 giugno 2007
Il 15 e 16 giugno prossimi si svolgerà presso al sala della Protomoteca in Campidoglio il congresso "Prevenzione delle condotte suicidarie nel carcere minorile", promosso dal Centro per la giustizia minorile del Lazio, dal Comune di Roma, dal Garante dei diritti dei detenuti e dal Dipartimento di scienze neurologiche, psichiatriche e riabilitative dell’età evolutiva dell’università "La Sapienza". Oltre al contributo di studiosi italiani e stranieri sarà presentata la ricerca del gruppo interistituzionale, istituita a Roma sul rischio di suicidi in carcere. Nella scheda di presentazione del congresso si evidenzia come una indagine pilota sui casi di suicidio o gravi tentativi di togliersi la vita da parte di ragazzi transitati negli ultimi anni nell’istituto penale minorile di Casal del Marmo sia stato il punto di partenza per una prima valutazione del fenomeno su un campione ristretto ma indicativo. Milano: Agesol apre due nuovi Sportelli per il reinserimento
Comunicato stampa, 14 giugno 2007
Dichiarazione di Francesca Corso, Assessora all’Integrazione Sociale per le persone in carcere o ristrette nelle libertà della Provincia di Milano. "Sono lieta di informare - dichiara Francesca Corso, Assessora all’Integrazione Sociale per le Persone in Carcere o Ristrette nelle Libertà della Provincia di Milano - che, in sinergia con l’assessorato, l’Agesol (agenzia di solidarietà per il lavoro) dà vita a due nuovi sportelli di servizio ai detenuti, agli ex detenuti e ai familiari. Il primo sportello si chiama Info Point Imprese. È uno sportello che fornisce informazioni e servizi alle imprese affinché i detenuti possano cercare un’occupazione . Esso sarà attivo ogni mercoledì mattina dalle 9.30 alle 13.30 presso la sede dell’assessorato in via Pancrazi 10 a Milano. Il secondo sportello si chiama Sp.In. (sportello informativo). Si rivolge a persone sottoposte a procedimento penale, ex detenuti e familiari per informare e agevolare i contatti con i servizi che si occupano di lavoro, casa, salute, consulenza legale, affettività ed emergenza. Esso sarà in funzione ogni lunedì dalle 9.30 alle 12.30 sempre in via Pancrazi. Si tratta di iniziative che contribuiranno alla politica di reinserimento sociale per i detenuti e gli ex detenuti in cui da anni siamo impegnati, nell’ambito di una campagna che da tempo stiamo conducendo per sensibilizzare l’opinione pubblica ed in particolare le imprese. La qualità e il livello civile di una società moderna si misura anche dalla capacità delle istituzioni di agevolare il reinserimento sociale. Ci pare di essere così in sintonia col disposto costituzionale che all’art. 27 prevede, com’è noto, la rieducazione del condannato. Catania: una nuova cooperativa per dare lavoro ai detenuti
La Sicilia, 14 giugno 2007
Sabato 16 alle ore 10, nella sala teatro dell’istituto penitenziario di Caltagirone, sarà firmato il protocollo d’intesa per la promozione di una cooperativa di inserimento lavorativo dei detenuti per la gestione in attività di produzione della ceramica e gestione di una serra agricola. Il protocollo sarà firmato tra la direzione della casa circondariale di Caltagirone e il Consorzio Sol.Co. Catania - Rete di Imprese sociali Siciliane s.c.s. Onlus; il Consorzio Idea Agenzia per il lavoro s.c.s. Onlus, la Provincia regionale di Catania, il Comune di Caltagirone, la Diocesi di Caltagirone, l’istituto statale d’arte "Luigi Sturzo". La direzione della casa circondariale di Caltagirone, al fine di creare opportunità di lavoro per le persone detenute e perseguire l’obiettivo del loro reinserimento sociale, sottoscrive il protocollo d’intesa con i suddetti enti, premesso che il 1° dicembre scorso è stato sottoscritto un protocollo d’intesa per la realizzazione del progetto denominato "A.L.I. Abitazione Lavoro Integrazione" con la direzione della casa circondariale di Catania Bicocca; la casa circondariale di Catania a piazza Lanza; la casa circondariale di Giarre; il Consorzio Idea Lavoro e la Provincia regionale di Catania. Nella casa circondariale di Caltagirone è già avviato il progetto "verde serra", che prevede la diretta partecipazione del Comune di Caltagirone. Il progetto è finalizzato alla formazione professionale dei detenuti nel settore della floricoltura e all’istituzione di una serra. Nella casa circondariale sono stati anche avviati corsi di formazione per ceramisti e decoratori, nonché istituita una succursale dell’istituto d’arte e della ceramica di Caltagirone. Udine: "Il Nuovo" avrà un supplemento… fatto in carcere
Comunicato stampa, 14 giugno 2007
"La voce nel silenzio", periodico realizzato all’interno della Casa circondariale di Udine, al suo ottavo anno di vita, tenta una nuova sfida uscendo come supplemento de "Il Nuovo" nell’intento di risollecitare una riflessione con il territorio e le istituzioni locali sulle delicate problematiche della giustizia, della pena detentiva, del reinserimento sociale, non dimenticando i temi della sicurezza sociale e quello delle vittime del reato. In precedenza il periodico usciva come supplemento del mensile "Ho un sogno": a questo proposito non possiamo che ringraziare questa testata ed il suo direttore Roberto Chiesa che hanno permesso per sette anni l’uscita del giornale dandoci sempre fiducia e autonomia. Ora, per una molteplicità di motivi, tra cui gli elevati costi per realizzare il periodico e la difficoltà nella distribuzione, la redazione ha deciso, grazie alla disponibilità del direttore e dei giornalisti de "Il Nuovo", di tentare questa nuova esperienza. Un’esperienza che trova il suo senso nel dare la parola a chi vive la limitazione della libertà e nell’avviare, attraverso la riflessione ed il confronto, possibili percorsi di reinserimento sociale in una logica di giustizia riparativa. La redazione, in questi anni, ha maturato la consapevolezza che è tutt’altro che facile affrontare il tema del carcere e del reinserimento delle persone detenute quando il tessuto sociale manifesta una sempre più elevata percezione di insicurezza sociale che inevitabilmente rende più spessi i muri tra i luoghi di pena ed il territorio circostante. Sappiamo quanto l’informazione giochi un ruolo decisivo in questa dinamica facendo leva soprattutto sulle emozioni e su analisi che difettano spesso di approfondimenti. Si pensi ad esempio alle misure alternative alla detenzione che vengono citate solo nei casi di inadempienza, mentre non si racconta di quante persone utilizzano questi provvedimenti per ricostruire la propria esistenza. Siamo peraltro consapevoli delle difficoltà della politica, sia a livello nazionale che locale, ad affrontare le problematiche del sistema penitenziario per rendere operativi l’ordinamento ed il regolamento penitenziario. La nostra attività informativa, che sconta non pochi limiti, è chiaramente solo un minimo e parziale contributo per elaborare una concezione diversa della pena, che dovrebbe essere tesa a ridurre la recidiva favorendo azioni risarcitorie e di pubblica utilità superando la logica prettamente retributiva della giustizia. In altri termini, è pensabile concepire il carcere come "extrema ratio" per istituire pene alternative o addirittura delle alternative alle pene? Domanda che sommessamente aleggia nelle riunioni di redazione e che raramente si manifesta considerando tale quesito decisamente utopico. Ricominciare un confronto con la comunità esterna e con le istituzioni forse ci può aiutare a non nascondere del tutto questa domanda. Massa: domani nel carcere giornata di sport e di rieducazione
Ansa, 14 giugno 2007
Venerdì 15 giugno, l’allenatore della Roma, Luciano Spalletti terrà alle persone detenute nel carcere massese una conferenza sul ruolo delle attività sportive nell’ambito delle iniziative rieducative e risocializzanti. Luciano Spalletti, allenatore della Roma Calcio, venerdì 15 giugno, alle ore 9.00, farà visita agli ospiti detenuti della Casa di Reclusione di Massa, con i quali si intratterrà per una breve conferenza sul tema: "Lo sport quale elemento del trattamento penitenziario". Luciano Spalletti, oltre ad essere uomo di sicuro successo nell’ambito dello sport, è anche un campione di sensibilità e di umanità, qualità che lo hanno portato ad impegnarsi sul fronte del disagio sociale e dell’emarginazione in genere. La programmata visita ai detenuti del carcere massese, costituirà ulteriore occasione per ribadire l’impegno sociale di Spalletti verso le classi emarginate, con una conferenza che vuole acclarare il ruolo insostituibile dello sport penitenziario quale elemento imprescindibile della prevenzione del reato, del trattamento rieducativo e risocializzante dei reclusi. Belluno: da Agenzia delle Entrate assistenza fiscale ai detenuti
Ansa, 14 giugno 2007
L’ufficio della Agenzia delle Entrate di Belluno ha firmato una convenzione con la locale casa circondariale per offrire assistenza e informazione in materia fiscale ai detenuti. La direzione del carcere, previo nulla osta del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria di Padova, fisserà gli appuntamenti con il personale dell’ufficio. I funzionari incaricati offriranno il servizio di consulenza nei giorni indicati, riservatamente e in modo completamente gratuito. Libri: prossima pubblicazione di 12 racconti illustrati da detenuti
Adnkronos, 14 giugno 2007
Dodici racconti di altrettanti scrittori diventano un libro, la cui particolarità è quella di recare le illustrazioni che i testi hanno ispirato ad alcuni detenuti di Rebibbia e dell’ospedale psichiatrico del carcere di Castiglione delle Stiviere. Non a caso il titolo della pubblicazione dell’editrice Soqquadro è "Racconti d’evasione", la cui presentazione si svolgerà il prossimo 25 giugno nel cortile di Palazzo Casali a Cortona, nell’ambito del Poetry and Coffee Festival. I detenuti, su cui l’editore ha deciso di mantenere il riserbo, percepiranno comunque una percentuale sui profitti del volume. Gli scrittori che hanno aderito all’iniziativa sono: Vittorio Baccelli, Tristano Cassandra, Luigi Colombo, Daniela Colucci, Danila Comastri Montanari, Mario Frighi, Raffaele Gambigliani Zoccoli, Barbara Marchetti, Simone Maria Navarra, Marco Peri, Mauro Righi, Franco Santamaria. Diritti: Gay Pride; l'adesione del sottosegretario Luigi Manconi
Comunicato stampa, 14 giugno 2007
Aderisco, come faccio ormai da 15 anni, al "Gay Pride", che si terrà a Roma sabato prossimo. Ritengo questo appuntamento un’importante occasione per riaffermare la necessità e l’urgenza di un riconoscimento giuridico per le coppie di fatto in quanto, appunto, coppie, unioni, "nuove famiglie": attribuzione, dunque, di diritti e doveri, prerogativa e facoltà ai singoli individui e, insieme, riconoscimento della piena dignità per le unioni civili come tali. Tutto ciò riguarda, evidentemente, le coppie di fatto eterosessuali e riguarda, altrettanto evidentemente, le coppie formate da individui dello stesso sesso. Ciò è particolarmente importante in una società dove l’omofobia è ancora assai diffusa e le discriminazioni - sul piano sociale, politico e fin istituzionale - sono ben lungi dal venire superate.
Luigi Manconi, Sottosegretario alla Giustizia Diritti: Gay Pride; "Gabbie e percorsi omosessuali" di Lillo Di Mauro
Ansa, 14 giugno 2007
Un parallelo tra le gabbie dove sono costretti i detenuti privati della liberta perché hanno compiuto dei reati e quelle virtuali, ma non meno pesanti, costruite dai pregiudizi che sono costretti a vivere ogni giorno gli omosessuali. Su questo filo sottile si snoda il percorso, composto da una ottantina di poesie, del libro "Gabbie, interni omosessuali" scritto da Lillo Di Mauro, poeta contemporaneo omosessuale che oggi presenta il suo quinto libro nella libreria "Feltrinelli International" a Roma, nell’ambito della serata letteraria "Percorsi di Arte Gay: Antologie & Poesie", organizzata dal Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli. Un’appendice del libro è dedicata, invece, a 30 sms che l’autore ha inviato al suo compagno. "Sono la testimonianza che l’amore omosessuale, al contrario di quello che si sostiene - ha spiegato Di Mauro - è un amore molto forte. Dimostrano un progetto di vita in comune che dura da 21 anni. Questo libro è un contributo alla lotta per i diritti omosessuali, dove si parla di gabbie che racchiudono vite discriminate, isolate, derise, temute dalla cultura, dai pregiudizi, dalla paura oltre le quali le nuvole compongono il sogno. Recinti dell’anima dove solo la poesia fa sopravvivere". L’incasso delle vendite delle prime 50 copie di "Gabbie, interni omosessuali", sarà interamente devoluto da Lillo Di Mauro per la prevenzione dell’Aids. Di Mauro, ha collaborato con il primo circolo di intellettuali e artisti che fondarono l’Arcigay a Roma nel 1985, presiede da 10 anni la Consulta permanente per i problemi penitenziari, è coordinatore del piano per il carcere del Comune di Roma e del piano permanente per l’inserimento in lavori di pubblica utilità per i condannati dal giudice di pace, è direttore del centro giovani la Bulla per il recupero di minori sottoposti a provvedimenti penali, co-fondatore e vice presidente del "Forum nazionale per la tutela della salute dei detenuti" e co-fondatore del "Forum nazionale per la giustizia minorile". Droghe: Cancrini; presto in Cdm un nuovo disegno di riforma
Notiziario Aduc, 14 giugno 2007
Un nuovo ddl sulla droga è allo studio del ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero. "Una legge che presto sarà presentata in Consiglio dei ministri", ha annunciato questa mattina il deputato del Pdci Luigi Cancrini a margine della presentazione del libro di Achille Saletti "Cara figlia, parliamo di droga". "La ratio della legge è quella di ripristinare innanzitutto la distinzione tra droghe pesanti e leggere", spiega Achille Saletti, presidente dell’Associazione Saman e membro della Consulta nazionale degli operatori per le tossicodipendenze. "Poi, l’intento è quello di punire severamente chi, attraverso l’abuso di sostanze psicotrope (droghe e alcool) mette in pericolo la vita degli altri". Il ddl allo studio prevede inoltre che vengano introdotte nuove sanzioni amministrative. Secondo l’on. Cancrini, il ddl presto in discussione avrebbe raccolto anche il consenso degli esponenti teodem della Margherita. Droghe: libro di Saletti (Saman); "Cara figlia, parliamo di droga"
Notiziario Aduc, 14 giugno 2007
L’espediente è quello, caro ai romanzieri dell’800, della forma epistolare, ma il tema trattato è di scottante attualità: droga e abusi tra gli adolescenti. A parlarne è un esperto del settore, Achille Saletti, criminologo, presidente dell’Associazione delle Comunità terapeutiche Saman e membro della Consulta nazionale degli operatori per le tossicodipendenze, che ha presentato oggi il libro "Cara figlia, parliamo di droga". "Il mondo della politica e dell’informazione stanno conducendo una campagna allarmistica sulla droga, ma per combattere davvero questo fenomeno occorre invece una corretta informazione" ha esordito Saletti. Gli adolescenti sono piccoli, ma non sono stupidi. Per essere credibili ai loro occhi occorrono sincerità, autorevolezza e credibilità". "Sia detto forte e chiaro, non si muore di cannabis. Le iniziative eclatanti come quella del sindaco Moratti sul kit antidroga e del ministro Turco che vuole inviare i Nas o i cani antidroga nelle scuole sono solamente spot pubblicitari per raccogliere consenso elettorale". Secondo Saletti "ciò che consideriamo droga è frutto di una convenzione" e l’abuso di droghe legali (alcol e tabacco) causa un numero di morti superiore a quello dei decessi legati a sostanze stupefacenti. In quel caso però, è lo stesso mondo adulto, spinto da interessi economici, a promuoverne il consumo. Qual è allora la soluzione? Saletti propone innanzitutto una campagna informativa accurata, la stessa politica che ha portato a una drastica riduzione del consumo di tabacco. "Bisogna dire chiaramente ai giovani che sì, la droga è buona, ma è un rischio enorme e ci si può anche rimettere la vita. Occorre un messaggio chiaro, cifre e dati alla mano. E, soprattutto, basta con la demonizzazione e il terrorismo psicologico, con le soluzioni veloci di improbabili terapie faidate che non risolvono nulla".
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