|
Giustizia nel 2006: il ministro Mastella riferisce alla Camera
Ansa, 23 gennaio 2007
Politiche penitenziarie - L’anno appena trascorso ha segnato una svolta nelle politiche penitenziarie a seguito dell’approvazione del provvedimento di indulto, che si innesta in un contesto di iniziative finalizzate alla umanizzazione della pena. Il mantenimento stabile del livello della popolazione detenuta in circa 39.000 unità, a mesi ormai dal prodursi degli effetti dell’indulto; il rilancio delle aree educative con la introduzione di un nuovo modello di trattamento; le iniziative in favore della detenzione sociale - dalle misure per le detenute madri all’opera di recupero dei tossicodipendenti - sono state tutte attività che hanno caratterizzato positivamente l’anno appena trascorso, ristabilendo condizioni di "legalità" nella fase di esecuzione della pena. L’anno 2006 ha visto inoltre sensibili iniziative nel settore del lavoro e della sanità in ambito penitenziario. Si sono infatti consolidate le attività ammesse ai benefici della legge Smuraglia, che offre sgravi fiscali alle aziende che offrono lavoro ai detenuti, e si registrano significative esperienze di formazione lavorativa. Pur in contesto critico di finanza pubblica, è stata poi introdotta la cartella clinica informatizzata che consentirà in breve di conoscere in modo completo le esigenze sanitarie della popolazione detenuta, per una sempre migliore razionalizzazione degli interventi. Accanto a queste iniziative, va pure segnalato il piano di interventi per la ristrutturazione e l’ampliamento di alcune importanti strutture penitenziarie, che consentirà l’incremento della capienza detentiva ed il miglioramento delle condizioni di vita all’interno delle carceri. Giustizia: i medici penitenziari; caos sanitario nelle carceri
Apcom, 23 gennaio 2007
La situazione nelle carceri Italiane piena zeppa di tossici, disturbati mentali, sieropositivi, cardiopatici e con varie patologie respiratorie(buona parte degli extracomunitari reclusi sono affetti da Tbc) o peggio oncologiche, di giorno in giorno si fa sempre più critica. Il caos più totale si è verificato con il taglio di ben 13milioni di euro, sancito dalla Finanziaria 2007, che di fatto ha sancito lo smantellamento della Medicina Penitenziaria Italiana che afferisce all’Amapi (Associazione Medici dell’Amministrazione Penitenziaria Italiana) e che riunisce tutti i medici ed infermieri (oltre 5.000 iscritti) che da anni operano alle dipendenze del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria). Questo taglio, assurdo, oltre a ridurre lo staff sanitario (previsti entro il primo semestre di quest’anno il licenziamento e/o non rinnovo di contratto per oltre 1400 addetti- in gran parte infermieri e medici specialisti), ha già prodotto risultati drammatici nell’approvvigionamento dei farmaci salvavita (sia per i malati cronici, ad es. antipertensivi, insuline, interferone, quest’ultimo molto usato nei pazienti con epatite C, di cui sono affetti praticamente le migliaia di detenuti tossicodipendenti, senza contare i cortisonici, gli anticoagulanti, etc.). C’è il rischio concreto che si scateni una morìa di detenuti o, nel migliore dei casi (per i reclusi) una serie spropositata di ricoveri ospedalieri per soggetti che, come ben sappiamo, necessitano di vigilanza non stop da parte di almeno due guardie penitenziarie o più a seconda della gravità del reato commesso o di 41bis, che andrebbero a gravare anche sui già provati bilanci delle Asl locali. Oltre ai medicinali, mancano anche i pezzi di ricambio e l’assistenza per i macchinari diagnostici o interventistici (vedi un banale defibrillatore che però risulta provvidenziale nel primo intervento specie sulle centinaia di tentativi di suicidio). E l’assurdo ulteriore è che, la Medicina Penitenziaria Italiana (che è una vera e propria specialità), è presa a modello in moltissimi paesi del mondo tant’è che il suo presidente nazionale Francesco Ceraudo, ricopre la massima carica di presidente mondiale dell’Icpms, l’organizzazione che monitorizza lo stato di salute dei detenuti nella carceri di tutti i paesi, fondata sotto l’egida dell’Onu, EU, Amnesty International, Medici Senza Frontiere. "È una situazione drammatica - afferma proprio Ceraudo - che abbiamo deciso di esporre, con una lettera aperta, al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, affinché intervenga a sostegno di questi poveracci "ospitati" nelle patrie galere il cui diritto alla salute è sancito dall’art. 32 della Costituzione". "La delusione maggiore - conclude Ceraudo - è l’indifferenza totale riservata ai nostri continui appelli al Governo, al Parlamento, alle Istituzioni Politiche, con particolare riferimento ai partiti: Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Verdi, Radicali, DS e Socialisti, da sempre, ma evidentemente solo a parole, attenti alle problematiche carcerarie". Giustizia: anche infermieri penitenziari sul piede di guerra
Comunicato stampa SAI, 23 gennaio 2007
Ormai è intollerabile il continuo defalcamento dai bilanci dei monte orari infermieristici. Questa amministrazione, come la precedente, continua a flagellare la guardia infermieristica non rendendosi conto che siamo ben molto al di sotto degli standard minimi per l’assistenza. Colpire le persone più deboli è la forza di una amministrazione che non ha certo nella programmazione il suo punto di forza, con la collaborazione, spesso, dei responsabili delle aree sanitarie. Ora iniziamo partendo dalla Sicilia (Agrigento, Sciacca, Caltanisetta, S. Cataldo e altri Istituti) lotte e azioni sindacali serie. Per noi l’assistenza infermieristica nelle carceri è affare serio, per l’Amministrazione una cosa inutile ed anti-economica. Povero questo triste paese incivile.
Marco Poggi, Segretario Nazionale del SAI (Sindacato Autonomo Infermieri) Giustizia: polizia penitenziaria; delusi dall'intervento del ministro
Comunicato stampa, 23 gennaio 2007
"Siamo davvero delusi da ciò che ha detto oggi il Ministro della Giustizia Clemente Mastella alla Camera dei Deputati. Non comprendiamo davvero come si possa affermare, nel corso della comunicazione odierna al Parlamento sullo stato della giustizia, che il 2006 ha segnato una svolta nelle politiche penitenziarie del Paese. L’unico provvedimento concreto è stato l’indulto - giudicato una priorità per il Ministro, ma incomprensibile a decine di milioni di italiani -, che ha fatto registrare più di 25mila beneficiari. Per il resto, nulla è previsto per chi nelle carceri per adulti e per minorenni combatte quotidianamente in prima linea, e cioè le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria." Il commento è di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione più rappresentativa della Categoria. "Non una parola è stata spesa per l’adozione concreta ed urgente di rimedi di fondo al sistema penitenziario paralleli all’indulto, come ha chiesto più volte anche il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Non una parola, soprattutto, il Ministro Mastella ha speso per gli appartenenti alla Polizia penitenziaria. Non c’è infatti un solo impegno, nella comunicazione odierna del Ministro al Parlamento, degli impegni che assunse verso il Corpo il 4 ottobre scorso alla Festa Nazionale. In quell’occasione Mastella parlò di rideterminazione delle piante organiche del Corpo, di ampliamento dell’area penale esterna con la previsione di affidare alla Polizia Penitenziaria tutti i controlli sui soggetti che beneficiano di misure alternative nonché compiti e competenze al di là delle mura del carcere. E aggiunse che era rilevante ampliare le competenze del Corpo nei servizi di tutela e scorta dei soggetti appartenenti al Ministero della Giustizia fino a costituire commissariati territoriali di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti connessi al lavoro sul territorio. Nulla di tutto questo ha previsto e detto oggi il Ministro della Giustizia Mastella alla Camera ed, anzi, continuare ad impiegare nella sua scorta due appartenenti alla Polizia di Stato... Per tanto, la nostra delusione e amarezza alla sua comunicazione sullo stato della giustizia sono totali". Giustizia: mai più bimbi in carcere... tranne se sono stranieri
Redattore Sociale, 23 gennaio 2007
Critiche le associazioni sulla proposta di legge, varata dalla Commissione giustizia, che punta a evitare la carcerazione dei figli fino a tre anni con le madri. Le posizioni di volontari e politici in un convegno oggi a Roma. Nuove norme per le mamme detenute con figli minori. Nel momento in cui il testo di legge approvato in Commissione giustizia prima di Natale arriva all’esame dell’aula di Montecitorio, le associazioni di volontariato che si occupano di carceri chiedono alcune modifiche. In particolare uno dei punti dolenti è quello che riguarda l’applicazione delle norme anche alle detenute straniere che oggi - dopo l’indulto - rappresentano la maggioranza delle donne in carcere con figli minori, ma che rimarrebbero escluse dai benefici della nuova legge perché entra in contrasto con la cosiddetta Bossi-Fini che regola le espulsioni. Il tema del rapporto tra mamme detenuti e figli è stato al centro dell’incontro (dal titolo molto chiaro: "Che ci faccio io qui?", perché nessun bambino varchi la soglia di un carcere) organizzato questa mattina a Roma da un gruppo di associazioni che operano da anni nelle carceri italiane e che in particolare si occupano dei problemi delle mamme detenute. Promotrice dell’incontro - al quale è stato invitato anche Ettore Ferrara, capo del Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - l’associazione "A Roma, insieme". Ma il cartello è molto nutrito: Consulta Penitenziaria del Comune di Roma, "Bambini senza sbarre" (Milano), Comunità di S. Egidio di Roma, "Donne fuori" di Bologna e "Ristretti Orizzonti" di Padova. Ha coordinato il dibattito la giornalista Rai, Gabriella Caramore. Per le associazioni di volontariato che operano in carcere la situazione attuale della proposta di legge presenta quindi luci ed ombre. Il primo commento è sicuramente positivo perché il testo, dopo essere stato emendato in commissione, ora è pronto per la discussione in aula. Soddisfatta, per esempio, Leda Colombini di "A Roma, insieme", che ha messo l’accento soprattutto sullo sblocco di un provvedimento di cui si avverte da tempo l’urgenza. Leda Colombini ha spiegato infatti che le norme attualmente in vigore (la cosiddetta legge Finocchiaro) non sono completamente efficaci. Una serie di difficoltà burocratiche e procedurali ne rendono cioè difficile l’applicazione pratica, mentre la necessità di salvare i bambini dalla galera dovrebbe essere un principio minimo. Dalle storie raccontate questa mattina dalle rappresentanti delle associazioni e dagli esperti (il dottor Bianchi, per esempio, psicologo al Bambin Gesù di Roma) emerge una realtà drammatica. Una realtà che l’associazione "A Roma, insieme" conosce molto bene perché lavora in carcere e perché organizza già da tempo l’uscita del sabato dei figli delle detenute di Rebibbia femminile. Ed è per la prima volta che quest’anno sono stati coinvolti anche i figli delle detenute Rom. Colombini ha raccontato anche casi di successo nel reinserimento sociale e nell’assicurare una continuità al rapporto tra madri detenute e figli. Per la proposta di legge oggi in discussione sono state raccolte al tempo (nel 2005) settemila firme ed è stato Enrico Buemi il parlamentare che per primo se n’è fatto carico. Tre sono i punti essenziali della proposta in discussione. Il primo riguarda l’eliminazione della recidività. Si punta di misure alternative al carcere che evitino appunto il dramma dell’incarcerazione (insieme alla madre) del figlio o della figlia con meno di tre anni. Nel testo di legge già licenziato dalla commissione giustizia si prevede (articolo 1) il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena. Si punta soprattutto sulle misure alternative che possano favorire il reinserimento sociale delle madri che hanno commesso reati. Un altro punto essenziale del testo riguarda il diritto del minore di essere accompagnato in ospedale o al pronto soccorso dalla madre. La mamma deve essere autorizzata ad accompagnare il figlio in questi momenti che notoriamente sono tra i più drammatici e duri per i bambini. Infine - tra le tante altre novità - c’è l’istituzione di Case famiglia protette, in cui possono essere trasferite le madri detenute con i loro figli. "Le madri di prole di età non superiore ad anni dieci - dice l’articolo 5 della legge Buemi - e con la stessa convivente espiano la pena, qualora non possa essere disposta una detenzione con regime più favorevole, nelle case famiglia protette". (previste già da una precedente norma del 1975). Una critica al testo varato in commissione è venuta però da Stefania Boccale, avvocato, una delle redattrici dell’iniziale testo di legge che ha dato vita alla proposta ora alla Camera. Secondo la giovane avvocatessa, è stato sbagliato stralciare dal provvedimento tutta la parte relativa alle detenute straniere, che oggi, dopo l’indulto, rappresentano ancora la maggioranza delle mamme con figli con meno di tre anni in carcere. In particolare si tratta delle norme che davano la possibilità di richiedere il permesso di soggiorno agli immigrati in carcere prima dello scadere della pena. Questo avrebbe evitato i veri e propri drammi che si verificano con le norme attuali, ovvero con l’applicazione rigida della Bossi-Fini sull’immigrazione. Allo scadere della pena, al momento di uscire dal carcere, molte madri immigrate ridiventano improvvisamente clandestine e quindi da espellere. Ci sono stati casi limite in cui donne scarcerate sono state rispedite nei loro paesi di origine (spesso africani) quando magari i loro figli sono stati invece inseriti nelle scuole italiane. I bambini hanno scoperto così di essere di nuovo senza madre. Sondrio: qui ci sono i detenuti di serie A e quelli di serie B
La Provincia di Sondrio, 23 gennaio 2007
"Dispiace doverlo riconoscere, ma anche tra i detenuti ci sono quelli di serie A e quelli di serie B". L’amara conclusione è dell’avvocato Elvira Borsani, alle prese con diverse situazioni piuttosto delicate soprattutto sotto il profilo umano. Se in occasione dell’entrata in vigore della legge sull’indulto aveva manifestato tutte le proprie perplessità su un provvedimento accusato di non tenere in debita considerazione il problema dell’effettivo reinserimento dei detenuti, adesso, a pochi mesi di distanza, si trova a tracciare un bilancio ancora più negativo della situazione. Che deve essere ritenuta generale e non certo riferibile soltanto a Sondrio. "Il disagio maggiore lo vivono i condannati a una pena definitiva. La legge prevede che, al ricorrere di certe condizioni, queste persone abbiano il diritto di accedere alle misure alternative al carcere, come l’affidamento ai servizi sociali o, nel caso dei tossicodipendenti, a una comunità di recupero - spiega Borsani -. Troppo spesso però si verificano dei casi nei quali, tra due detenuti nelle stesse identiche condizioni, a uno viene concesso il beneficio e all’altro no. E in maniera del tutto immotivata". Difficile riuscire in questi casi a sapere il perché. "Anche qui ci si scontra contro l’inefficienza della burocrazia, alla quale a volte si sommano le negligenze di alcuni operatori di Ser.T. e Uepe, gli uffici a cui spetta il compito di accertare, rispettivamente, lo stato di tossicodipendenza e quello familiare del detenuto" dichiara senza mezzi termini Borsani. Che aggiunge: "Senza l’accertamento di uno stato di tossicodipendenza non si può ottenere l’affidamento in comunità, mentre senza quello sulla situazione lavorativa e familiare il detenuto non può chiedere di tornare alla propria occupazione. Eppure capita che l’operatore tenuto a fornire l’attestazione si rifiuti di farla, magari adducendo problemi di superlavoro o, peggio ancora, lasciando trasparire il proprio disinteresse o addirittura la propria antipatia per l’autore della richiesta. Io, per esempio, mi sono anche sentita dire frasi come: "Fosse per me, per quella persona butterei via pure la chiave della cella"". Con conseguenze pesantissime per le vittime di quelle che l’avvocato denuncia come vere e proprie ingiustizie. Come quella del tossicodipendente che a giorni dovrebbe essere liberato definitivamente e per il quale Elvira Borsani assicura che manca ancora la documentazione a causa, probabilmente, del mancato coordinamento tra i Ser.T. di due città distinte, entrambe interessati alla vicenda. "E se non arriva in tempo, il mio assistito non potrà entrare nella comunità che è già pronta ad accoglierlo, così tornerà libero e non avendo né arte né parte finirà sotto un ponte a vivere di espedienti, mentre la persona che è in cella con lui e che era nelle stesse condizioni è già in comunità da tempo". Vicende simili anche per i due detenuti, questa volta non tossicodipendenti, che avrebbero maturato i requisiti necessari per tornare in famiglia dai figli in tenera età "e che sono ancora in attesa degli accertamenti familiari". Bologna: con il teatro si riflette sul carcere e sulla tortura
Redattore Sociale, 23 gennaio 2007
Un teatro civile, che fa sentire la sua voce in difesa dei diritti umani. Con spettacoli ai quali assisteranno anche gruppi di detenuti del carcere bolognese della Dozza, in permesso grazie ad una collaborazione avviata con la garante Desi Bruno, la magistratura di sorveglianza e la direzione dell’istituto di pena. È la proposta che nasce a Bologna, dove in questi giorni, fino al 28 gennaio, va in scena il monologo "L’orizzonte di K.", interpretato dall’attore Jesus Emiliano Coltorti per la regia di Roberto Cavosi. La sede dello spettacolo non poteva essere più adatta: è il Teatro Anatomico della biblioteca dell’Archiginnasio, progettato nel 1637 come sede di autopsie e lezioni dimostrative per gli studenti di Medicina, che diventa oggi palcoscenico per un teatro civile che riflette sul carcere e la tortura e si propone come autopsia della violenza e della banalità del Male contemporaneo. Il misterioso K., unico protagonista in scena, è "il prigioniero" per antonomasia. Metafora di una condizione umana, ma anche vittima degli orrori del ‘900 e di questo millennio che si è aperto all’ombra dell’11 Settembre: il personaggio diventa di volta in volta Bobby Sands nelle celle inglesi, un desaparecido argentino ai tempi della dittatura, un iracheno torturato ad Abu Ghraib, un recluso senza volto e senza diritti, in nome della sicurezza nazionale, nel campo americano di Guantanamo. Tante identità di prigionieri che ci fanno riflettere, dice il regista Cavosi, "sulla violenza che sta diventando sempre più padrona della nostra libertà. È difficile parlare di ciò che ha fatto l’Occidente dopo l’11 Settembre senza passare per disfattisti. Ma il teatro ha da sempre la funzione di superare la violenza. Fin dagli antichi greci, che assumevano il dolore in scena e provavano a liberarsene nel momento della rappresentazione. Oggi viviamo un senso di fallimento dell’uomo come essere politico. Ma bisogna continuare a parlarne, attraverso il teatro, per tenere accesa una speranza di civiltà". "Dopo le prime letture animate dello scorso dicembre - dice Libero Mancuso, ex magistrato e ora assessore agli Affari istituzionali del Comune di Bologna - vogliamo continuare ad usare lo spazio dell’Anatomico in Archiginnasio per un teatro che diffonde la cultura della difesa dei diritti civili". Per questo sono stati invitati a vedere "L’orizzonte di K." gli studenti delle scuole bolognesi, e assisteranno alle recite anche i detenuti della Dozza. L’ingresso è gratuito, ma i posti sono limitati: info e prenotazioni tel. 051.203040. Milano: ricette da Bollate e San Vittore… alle nostre tavole
Slow Food, 23 gennaio 2007
Un matrimonio? Una conferenza stampa? Un banchetto privato? La soluzione è, come intuibile, un buon servizio di catering. Ma quello che forse non sapete è che, oltre ai catering più noti, esiste "l’Abc la sapienza in tavola", il servizio catering offerto dalla omonima cooperativa sociale costituita da..detenuti. Detenuti del carcere di Milano-Bollate. La qualità e il livello dei prodotti e del servizio sono eccellenti, i prezzi - dicono - davvero competitivi. È per tutte le occasioni: convegni, seminari, conferenze stampa, matrimoni e banchetti privati, cerimonie varie. E anche asporto di pasticceria (torte e mignon), nonché cibi freddi e pizze (anche per quantità limitate). I "cuochi" del carcere lavorano aiutati da alcuni soci esterni: dalla sua nascita, "Abc la sapienza in tavola" ha curato centinaia di buffet per privati, istituzioni, fondazioni, università, perfino per la polizia penitenziaria e per il Tribunale di Milano. Ovviamente è una grande occasione per i detenuti - che possono lavorare in vista di un reinserimento futuro, oltre che mettersi alla prova grazie alle responsabilità e ai doveri che la gestione economica, imprenditoriale e "di relazione" che una simile iniziativa richiede. Ma è un’occasione anche per chi desidera un servizio catering alternativo e a prezzi migliori di quelli più "tradizionali". E sembra che il binomio carcere-cucina non sia limitato all’area di Bollate. Esiste infatti un CD, ammiccante già dal titolo, "Avanzi di galera. Le ricette dei poco di buono", edito da Guido Tommasi editore, Premio Cenacolo 2003 (di cui parla anche Macchianera) realizzato a San Vittore. Tra le 80 ricette, dal "cavolfiore nel cellone" alle "zucchine in salsa dell’ergastolano", non mancano consigli per costruire un "cartoccio" (fornellino con carta di giornale), un coltello o una grattugia. È anche l’occasione per parlare di vita carceraria, attraverso un gran numero di contributi anche in formato audio e video. L’iniziativa è della redazione de Il Due, il giornale on-line che dal 1998 viene realizzato all’interno del carcere di Milano. Nel cd i detenuti presentano le loro ricette, spesso ispirate ai ricordi della cucina di casa e - a testimonianza di una presenza crescente di extracomunitari nelle prigioni italiane - tanto contaminate dai sapori della cucina araba, magrebina, sudamericana, slava, da dare origine a una sorta di meticciato gastronomico. 35 piatti in tutto, sfiziosi e di poco costo, tipici del recluso dai gusti forti, tra i quali il cavolfiore del cellone e le zucchine in salsa per l’ergastolano, gli spaghetti alla disgraziata, l’imbroglio di pollo al nero e il caffè rigorosamente alla napoletana. Droghe: proposta di legge; depenalizzare subito il consumo
Redattore Sociale, 23 gennaio 2007
Presentato il testo della nuova legge (primo firmatario Boato) che chiede la modifica della Fini-Giovanardi. Corleone minaccia uno "sciopero della fame di dialogo" se la proposta non sarà messa in calendario entro una settimana. Depenalizzazione dell’uso personale e delle condotte annesse di stupefacenti, ricerca di misure alternative al carcere, abrogazione della legge Fini-Giovanardi sulle droghe. I deputati dell’Unione tornano alla carica con la proposta di legge Boato-Russo Spena sulle droghe, mentre il presidente del Forum droghe, Franco Corleone, minaccia di iniziare una serie di proteste civili come il "digiuno di dialogo con la Presidenza della camera" se il testo di legge non verrà "incardinato" (ovvero avviato l’iter legislativo con tanto di calendario) entro una settimana. "Io ho ancora pazienza, ma voglio fissare il termine di una settimana", ha detto oggi Corleone durante una conferenza stampa organizzata alla Camera proprio per discutere della nuova legge. Molti i firmatari del testo che è stato presentato la prima volta nell’aprile dello scorso anno. Marco Boato ha detto infatti che la proposta è stata sottoscritta da 40 deputati che - pur esprimendo posizioni politiche diverse - hanno trovato un punto di convergenza negli impegni presi a suo tempo con il programma elettorale dell’Unione. Boato ha citato in particolare due passaggi del programma dell"Unione dove si sosteneva la necessità di superare il carcere e l’impostazione repressiva che la legge Fini-Giovanardi aveva dato alle politiche sulle tossicodipendenze. Boato ha ricordato le parole utilizzate nel programma dell’Unione che a proposito di droghe diceva: "Educare, prevenire, curare, non incarcerare". Boato, ma anche gli altri parlamentari che sono intervenuti alla conferenza stampa (Ruggero Ruggeri, Carlo Leoni, Cinzia Dato e Daniele Farina) hanno parlato della grande ipocrisia che si è manifestata quando il ministro Livia Turco ha "osato" ritoccare - seppure in modo lieve - le tabelle sulle quantità delle sostanze. Bisogna invece tornare appunto al programma dell’Unione che, oltre a basarsi su una filosofia opposta alle leggi varate dal centrodestra, proponeva anche l’abrogazione della legge Fini-Giovanardi, che tra l’altro, è stata varata con una sorta di trabocchetto, visto che è stata "allegata" all’ultimo momento al provvedimento sulle Olimpiadi invernali di Torino. Secondo Carlo Leoni (deputato Ds e vicepresidente della Camera), ma anche secondo Daniele Farina (del Prc) la parola abrogazione è stata usata nel programma dell’Unione solo in due casi: nel caso della Fini-Giovanardi sulle droghe e nel caso della Bossi-Fini sull’immigrazione. Neppure per la legge 30 sul lavoro precario è mai stata usata quella formula. Si tratta quindi, secondo i parlamentari che hanno firmato la proposta di legge, di dare seguito e coerenza a quegli impegni. La proposta presentata oggi - d’altra parte - non è una risposta alla Fini-Giovanardi perché è addirittura precedente a quel provvedimento. Ma anche oggi, con il governo di centro sinistra in carica, si continuano a scontare ritardi e lentezze. Anzi - ha spiegato Farina - siamo di fronte a forme di melina e resistenze di ogni tipo. Per questo il suo partito, Rifondazione, ha deciso di ritirare le proposte elaborate e di convergere sulla proposta Boato che diventa dunque quella rappresentativa di tutto l’arco di forze dell’Unione. Il testo presentato il 28 aprile del 2006 all’inizio dunque della XV legislatura propone modifiche al dpr 309 del 1990 in materia di depenalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti, di misure alternative alla detenzione per i tossicodipendenti e di politiche di riduzione del danno. Ma in realtà si riparte dalla proposta presentata nel corso della legislatura precedente nel luglio del 2003. Ora ovviamente si deve tenere conto del fatto avvenuto successivamente, ovvero del blitz Fini-Giovanardi. I primi quindici articoli della proposta Boato sono finalizzati all’abrogazione della Tabella unica in cui sono inserite tutte le diverse sostanze stupefacenti della legge Fini-Giovanardi e la riproposizione del testo precedente del 1990. Ma la novità forse più importante del nuovo testo dei 40 firmatari si trova tra l’articolo 16 e l’articolo 17, laddove si propone una modifica anche della legge del 1990. Si afferma cioè la "non sanzionabilità dell’uso e della detenzione a uso personale di sostanze stupefacenti e psicotrope". Anche nell’articolo 17 si trova un netto ribaltamento rispetto alle norme del ‘90. Con l’articolo 17 si prevede infatti l’applicazione di sanzioni penali solo per chi detiene sostanze al fine di cederle a terzi e di ricavarne un profitto. Con questa impostazione si sancirebbe quindi la depenalizzazione completa del consumo. Ma nel progetto di legge - che ha avuto anche il contributo di Alessandro Margara - si dedica anche una parte importante alle misure alternative alla detenzione per i tossicodipendenti. Nella proposta viene anche chiesta la modifica dell’articolo 79 della legge del ‘90, laddove si affronta la questione dell’agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti da parte di chi adibisce un locale pubblico o un circolo privato, anche in relazione a interventi repressivi contro i centri sociali. Infine viene inserita una parte specifica relativa alla riduzione del danno. In ogni caso - è stato detto oggi durante la conferenza stampa - bisogna fare presto perché la Fini-Giovanardi sta provocando i suoi effetti più nefasti: da una parte il rischio di un nuovo aumento della carcerazione per piccoli spacciatori o consumatori. Dall’altra una vera e propria paralisi dei servizi. Su questo punto sono intervenuti in conferenza stampa sia Riccardo De Facci della Cnca, sia Claudio Cippitelli del Coordinamento nazionale nuove droghe, mentre Patrizio Gonnella di Antigone ha messo in luce la contraddizione più palese. Il governo che ha varato l’indulto (anche se poi una parte della maggioranza lo ha rinnegato), rischia di vanificare quel provvedimento se non si mette mano da subito sia alla Fini-Giovanardi sia alla Bossi-Fini che sono le due leggi per cui si continua ad andare in galera.
|