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Giustizia: chi semina vento raccoglie tempesta di Franco Corleone (Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze)
Liberazione, 10 febbraio 2007
Chi semina vento raccoglie tempesta. È stato un deputato dei DS di Padova, Alessandro Naccarato, a contestare per primo la scelta del ministro Ferrero di inserire tra i 70 membri della Consulta sulle tossicodipendenze il nome di Susanna Ronconi, presidente di Forum Droghe. Quella sciagurata iniziativa ha prodotto un ordine del giorno del Comune di Padova di stigmatizzazione e di richiesta di revoca della presenza da quell’organismo della Ronconi in quanto condannata per l’omicidio di due esponenti dell’MSI avvenuta a Padova nel 1974. Ora è la destra a brandire la clava di una visione primitiva del diritto e di una concezione della giustizia come pura ritorsione. Infatti il 1° febbraio al Senato è stata presentata addirittura una mozione di sfiducia individuale contro il ministro Ferrero reo di avere nominato "una ex brigatista rossa e successivamente fondatrice di Prima Linea" propria consulente. Si tratta di un palese falso. La partecipazione alla Consulta, a titolo gratuito, non configura affatto un rapporto diretto con il ministro, ma garantisce la messa a disposizione pubblica del proprio sapere in una sede pluralista che garantisce voce alle diverse opinioni ed esperienze. Una scelta di esclusione di una persona che prima con un lungo lavoro nel Gruppo Abele e poi con gli studi, le ricerche e la riflessione è divenuta un punto di riferimento per tanti operatori, avrebbe costituito una forma di intollerabile discriminazione. Questo atto della destra non stupisce più di tanto: l’omaggio alla Costituzione è troppo spesso formale e ipocrita e la norma dell’articolo 27 sul carattere delle pene di estrema civiltà e umanità si scontra con il fondo becero di una cultura giustizialista. Avere scontato la pena non è sufficiente, l’ostracismo deve essere perenne e il reinserimento deve essere accompagnato dal silenzio e, paradossalmente, ancora dalla clandestinità. È come dire che per certi reati la lettera scarlatta dell’infamia non può essere rimossa. Mai. Una pena di morte simbolica, insomma. Questo rifiuto alla piena cittadinanza non è solo un grave errore politico, ma quel che è peggio, rappresenta un tradimento della vittoria che la democrazia italiana conseguì sulla lotta armata. È stato il risultato di una lotta dura in nome dei principi della sacralità della vita e del ripudio assoluto della violenza, che non può contemplare sentenze di morte civile per alcuno. Queste affermazioni non sono una rappresentazione di buoni principi o di retorica a buon mercato, ma nella storia politica recente di questo Paese si sono concretizzati in scelte concrete e puntuali. Senza memoria non si va da nessuna parte e per questo ritengo utile ricordare la discussione e la approvazione della legge Gozzini prima, e nel 1987 della legge sulla dissociazione. Il Parlamento scrisse una pagina assai significativa e rivendico con orgoglio la mia partecipazione a quel confronto. La classe politica di vent’anni fa si pose con grande responsabilità, seppure con prudenza e con il limite di non andare fino in fondo, il dovere di affrontare un tragedia collettiva. La via della soluzione politica si fondò sul riconoscimento da parte di un numero consistente di protagonisti di quella stagione degli errori e degli orrori commessi e si confrontò con le posizioni delle cosiddette aree omogenee che erano nate nelle carceri in contrapposizione all’intransigenza degli irriducibili. La consegna delle armi al cardinale Martini e lo scioglimento di prima Linea furono i segni tangibili dell’inizio di una conversione. Un dialogo intenso tra quel mondo recluso e la società civile caratterizzò quegli anni in funzione della riconciliazione sociale. Padre Davide Turoldo, l’architetto Michelucci, don Ciotti in realtà diverse si adoperarono per comprendere e far comprendere. Che cosa rimane oggi di quel patrimonio di umanità, profuso con tanta generosità e intelligenza? Le polemiche che hanno accompagnato l’approvazione dell’indulto sono state il suggello di uno spirito forcaiolo diffuso in tante parti, non solo a destra, della nostra società incattivita. Non credo che queste riflessioni siano fuoriluogo, anche se all’origine della mozione firmata da Schifani, Matteoli, D’Onofrio, Castelli e Cutrufo può esserci una mera strumentalità e un volgare tentativo di mettere in difficoltà il Governo. Il ministro Ferrero ha respinto ripetutamente e con rigore le critiche inconsistenti e ingenerose e per questo merita una solidarietà piena. Paga il prezzo di scelte che sull’immigrazione e sulle droghe chiedono una profonda discontinuità con le scelte razziste e proibizioniste del governo Berlusconi. Questa partita va giocata non sulla difensiva dall’Unione, ma per affermare, senza timidezze, una diversa concezione del mondo. Giustizia: la "peggio gioventù", allarme su violenza giovanile
Panorama, 10 febbraio 2007
Strafottenti, violenti, nella migliore delle ipotesi indifferenti. La "peggio gioventù" sembra abitare nelle nostre città a leggere le cronache di questi tempi: risse notturne davanti ai locali, atti di teppismo a scuola, angherie nei confronti dei disabili, finanche omicidi in nome del "dio pallone". I ragazzi hanno perso la bussola e da più parti si cominciano a lanciare allarmi. Ma gli psicologi ammoniscono: "nessuno si senta esente da colpe perché i giovani non si educano da soli". Anche il Papa è preoccupato per l’escalation di violenza. "Emergono tratti negativi di una cultura consumistica ed edonistica. Istituzioni e agenzie educative sembrano attraversare momenti di difficoltà" ha osservato cogliendo l’occasione della presenza in Vaticano dell’episcopato lombardo. C’é un disagio palpabile a cui occorre porre rimedio. E per questo Benedetto XVI, pur senza mai fare esplicito riferimento a episodi precisi, ha incoraggiato i vescovi a comunicare "la fede alle nuove generazioni" e, salutando i ragazzi dell’Azione Cattolica, ha parlato di "preoccupante emergenza educativa". Contro la perdita di valori che contribuisce a trasformare i ragazzi in assassini ha puntato l’indice anche la vedova di Filippo Raciti, l’ispettore di polizia colpito a morte durante gli incidenti allo stadio Massimino di Catania. Se alla fine si proverà che sono stati proprio dei ragazzi a "togliere la vita a una persona che invece sapeva vivere, è imprescindibile chiedersi - è l’amara considerazione di Marisa Grasso - quale educazione abbiano ricevuto dalla famiglia, dalla scuola, dalla società". Famiglia, scuola, società: tutte e tre, per la psicologa Anna Oliverio Ferraris sono corresponsabili della deriva giovanile a cui assistiamo, "con inspiegabile stupore" constata l’esperta. "Non c’é mai un unico fattore scatenante - spiega - in fenomeni sociali così complessi. I genitori non seguono abbastanza e nel modo giusto i propri figli. Ma anche l’ambiente esterno alla famiglia stimola negativamente gli adolescenti proponendo obiettivi sbagliati e scorpacciate di violenza. Dal mondo degli adulti a quello virtuale dei videogiochi rimbalza un’overdose di aggressività e anche tanti personaggi dello spettacolo, enfatizzati dai media, non rappresentano certo i migliori modelli. Pure la politica offre spesso uno spettacolo di sé deprimente e crea un clima di sfiducia e di non partecipazione". E poi, per Oliverio Ferraris, c’é la scuola, negli anni via via sempre più delegittimata. "Dopo il ‘68 si è pensato più ai diritti dei ragazzi che a mantenere l’autorevolezza degli insegnanti. Tanti docenti sono bravi, ma altrettanti non sono sufficientemente preparati o motivati. E anche qui la politica porta sulle spalle un bel fardello di colpe: la scuola è sempre stata considerata marginale, cenerentola nell’economia generale". Il risultato? "I ragazzi se abbandonati a sé stessi, si organizzano in bande, sfuggono alle regole. Se non si offrono loro alternative, obiettivi culturali finiscono allo sbando". E allora forse non ha torto il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, quando sostiene che senza una vera e propria offensiva educativa qualsiasi piano antibullismo o antiviolenza serve a poco. Ben vengano allora l’arruolamento di Dante e di Benigni per far transitare cultura, storia e qualità. E chissà che davvero non ne salvi più il sommo Poeta che il Consiglio di disciplina a scuola. Giustizia: strage di Erba; Azouz chiede risarcimento ai giornali
Adnkronos, 10 febbraio 2007
Un risarcimento non inferiore a un milione di euro. È questa la richiesta che Azouz Marzouk, l’ex indiziato numero uno della strage di Erba, ha chiesto come indennizzo ai mass media. La denuncia, al momento indirizzata contro ignoti per diffamazione a mezzo stampa e omesso controllo sulle pubblicazioni è stata presentata ieri al tribunale di Milano dal suo legale Pietro Bassi. Nelle 13 pagine depositate sono tanti gli articoli incriminati pubblicati sulla stampa nazionale, su quella locale e sui siti web. Nessuna cifra ufficiale nella denuncia, ma "la richiesta alle testate giornalistiche - spiega all’Adnkronos il legale - non sarà inferiore a un milione di euro". Azouz è stato per gran parte della stampa, inizialmente, dipinto come l’assassino della sua famiglia. Poco importa se il tunisino scarcerato con l’indulto era all’estero e non poteva aver compiuto il massacro. A fare il suo nome sono stati gli inquirenti, ma a sbatterlo in copertina, prima che la giustizia avesse fatto il suo corso, ci hanno pensato i mass media. Stampa che ha dato il via "alla creazione del mostro, salvo poi pervenire -si legge nella denuncia- a timide e frettolose rettifiche". Rettifiche, queste ultime "che sono state immediatamente seguite da un secondo e non meno crudele ‘gioco al massacro"‘ che ha coinvolto ancora una volta Azouz. Se non era più lui l’autore materiale della strage, la risoluzione del giallo era nel suo passato e nei suoi precedenti penali per spaccio di stupefacenti. La stampa ha dipinto Azouz a "tinte fosche", ha pubblicato il suo nome come se fosse quello dell’assassino "senza che nell’immediatezza potesse in effetti ravvisarsi un obiettivo interesse pubblico alla divulgazione dell’ipotesi investigativa, prima che questa non fosse sufficientemente riscontrata nei fatti". Si è scavato nel passato del tunisino pregiudicato e lo si è trasformato in carnefice. Un’accusa di "scontata responsabilità in assenza di qualsiasi riscontro". È "ingiusto e deontologicamente scorretto - si legge nella denuncia - che alla stampa sia consentito illazionare ed anzi approfittare dell’evidente potenziale di attrazione che una simile storia può esercitare sul pubblico per dipingere, ancor più se possibile, a tinte fosche la figura di Azouz". Così ogni articolo giornalistico "sembra costruito tramite una confusa operazione di sartoria editoriale svolta su informazioni di raccolta da fonti anonime o comunque difficilmente rintracciabili, non verificabili come quelle dei vicini di casa" o non verificate come quelle provenienti dall’Autorità giudiziaria e dalle forze dell’ordine "in aperto e perdurante spregio di qualsiasi forma di rispetto del segreto d’ufficio nel corso delle indagini preliminari". Articoli che "spesso appaiono rappresentati non già quale opinione del giornalista o di chi viene intervistato, ma come fatto reale accertato o che comunque tendono ad adombrare dubbi sulla persona di Azouz, in mancanza di qualsiasi forma di collegamento con evidenze probatorie accertate". I giornalisti hanno lasciato margini ridotti per i dubbi, pochi condizionali e nessun interrogativo, senza prendere in considerazione la possibilità che Azouz rientrasse "nel novero nelle mere ipotesi" degli investigatori. Se a fare il nome del tunisino, come l’assassino della strage, sono stati gli inquirenti si ricorda, nella denuncia, che "in materia di diffamazione a mezzo stampa, non esistono fonti privilegiate, invocabili da parte del giornalista al fine di giustificare il mancato controllo della veridicità dei fatti esposti". Giustizia: caso Unabomber; udienza rinviata al 19 febbraio
La Repubblica, 10 febbraio 2007
È stata sospesa e rinviata al 19 febbraio prossimo l’udienza in camera di consiglio per l’incidente probatorio relativo al lamierino dell’indagine su Unabomber. L’udienza si terrà alle 15 nel Palazzo di Giustizia di Trieste. La decisione è stata presa dal gip Enzo Trunvellito, poiché oggi non è stato completato l’esame delle perizie sul reperto rinvenuto nella chiesa di Sant’Agnese a Portogruaro. Lo ha comunicato all’uscita dal Tribunale uno dei due difensori di Elvo Zornitta, l’avvocato Maurizio Paniz. Al termine della udienza il sostituto procuratore della Repubblica di Trieste, Pietro Montrone, ha letto un comunicato. "Non appaiono allo stato del tutto superate le discrasie riscontrate tra le perizie dei Ris e della difesa e quella del professor Alessio Plebe riguardanti il lamierino di un ordigno inesploso attribuito a Unabomber", afferma il comunicato della procura. Il testo informa che oggi è stato discusso l’esito della perizia di Plebe, interrogato assieme all’altro perito del Gip Pietro Benedetti, a cui sono stati chiesti chiarimenti "in particolare - precisa la nota - all’entità e all’origine della confermata, anche da Plebe, modifica dell’attuale bordo del lamierino". In precedenza il perito, ai cronisti, aveva detto che, in base alla sua analisi, il lamierino risultava "alterato, ma non manomesso". Il professor Plebe non ha voluto approfondire i contenuti del suo esame, sul quale verrà interrogato dai difensori nella prossima udienza del 19. Ha però sottolineato che il suo lavoro "non è equivalente alle altre perizie". Quanto infine alle illazioni legate alla possibilità che qualcuno possa aver manomesso il lamierino, Plebe ha affermato che "esse non rientrano nel quesito che mi è stato posto, che riguarda invece - ha concluso - l’accertamento di variazioni nella misura del reperto". Dopo aver sentito la perizia di Alessio Plebe, Elvo Zornitta è apparso più tranquillo: "Sono sereno. Sì, mi sono tranquillizzato. Aspettiamo il 19. Ho fiducia nei magistrati; mi sembra che oggi abbiano dimostrato una volta di più che meritano la mia fiducia". Maurizio Paniz, legale di fiducia dell’ingegnere, ha ribadito che, a detta del collegio difensivo "il lamierino è stato manomesso, quindi per la difesa e Ris si tratta di una prova falsificata". Sull’eventualità di un proscioglimento del suo assistito, Paniz ha aggiunto che "non è possibile chiedere o disporlo in sede di incidente probatorio, ma viene chiesto successivamente da parte del Pm. E non ho nessuna ragione per non pensare - ha precisato - che possa essere richiesto". Agrigento: non è giusto che chi sbaglia venga accantonato
La Sicilia, 10 febbraio 2007
Nonostante l’impegno, più o meno deciso delle varie amministrazioni che si sono succedute alla guida della città - ma lo stesso discorso potrebbe essere riferito a qualsiasi altra realtà siciliana - il dramma della disoccupazione e ancora di più del reinserimento nella società di ex detenuti, è quanto mai vivo e lungi dall’essere risolto. Prima della seduta del Consiglio comunale che si è svolta martedì scorso, il sindaco Biondi ha recepito le legittime lamentele di un giovane ex detenuto licatese Giuseppe Fallù, il quale, dopo avere avuto nel recente passato alcuni guai con la giustizia, non riesce a trovare un impiego che gli permetta di avere una vita dignitosa e di potersi redimere agli occhi della società. "Una persona che ha avuto guai con la giustizia non ha diritto a farsi una nuova vita - dice - lo Stato non ci tutela, ecco che allora mi sono rivolto agli amministratori comunali, il vice sindaco Federico si è prestato per darmi una mano ma ancora non è successo nulla". Il sindaco Biondi, ha voluto lanciare un appello all’imprenditoria licatese nella speranza che qualcuno scelga di dare un’altra possibilità a persone dal passato torbido ma che hanno voglia di reinserirsi a pieno titolo nella società civile. Forlì: un laboratorio di giornalismo sociale nel carcere
Adnkronos, 10 febbraio 2007
I detenuti della Casa circondariale di Forlì da oggi avranno un laboratorio di giornalismo sociale. Con questo obiettivo e nell’ambito del progetto Equal Pegaso, ieri è stato firmato nel carcere della cittadina emiliana un accordo per la sperimentazione di un laboratorio produttivo. Si tratta di laboratori locali di comunicazione nelle carceri composti da gruppi di volontari, detenuti e operatori che realizzano iniziative di comunicazione sociale e creativa. Foggia: l’On. Vladimir Luxuria entra a visitare il carcere
Teleradioerre, 10 febbraio 2007
"Il carcere non è una discarica sociale e voi non siete dei rifiuti" Ha esordito così Vladimir Luxuria, il primo onorevole transessuale della storia d’Italia, in visita al carcere della sua città, Foggia, che per la prima volta ha aperto le porte al Cinema. Mater Natura, il film sul mondo gay e transessuale di Massimo Andrei, in concorso nella sezione lungometraggi del Festival del Cinema Indipendente, è stato infatti proiettato per i detenuti allo scopo di offrire loro l’opportunità di trascorrere un’ora e mezza fuori dalla cella. "È stata un’ora speciale - ha dichiarato uno di loro - perché ci ha dato la sensazione per un attimo di essere tornati nel vecchio mondo, quello che abbiamo vissuto e che speriamo di rivivere presto". Tra i protagonisti del lungometraggio anche il neo eletto deputato di Rifondazione Comunista Vladimil Luxuria nel ruolo di Massimino, un trans che sostiene un candidato politico affinché porti in parlamento le istanze delle coppie di fatto, omosessuali e transessuali. Dunque una sorta di segno premonitore. " Se penso che due anni prima ho recitato una parte che oggi risponde a realtà, mi vengono ancora i brividi. Anche se per questo devo dire solo grazie al regista che forse avrà letto il mio futuro". Tra il pubblico c’era anche un detenuto dichiaratamente transessuale che, rispecchiandosi nella trama del film, ha chiesto maggiore rispetto per la diversità.
Spero arrivi presto il Garante dei diritti dei detenuti
"Sono contenta che in Parlamento ci sia una legge che finalmente istituirà la figura del garante dei diritti del detenuto. Una figura importante per creare un ponte tra le carceri ed il Governo". Lo ha dichiarato Vladimir Luxuria durante la visita pomeridiana al carcere di Foggia, in occasione della presentazione del film "Mater Natura" che la vede tra i protagonisti. "Spero che la figura del garante, già presente a San Severo, arrivi presto anche nella mia città". Droghe: proibizionismo sconfitto nei fatti di Sergio Romano
Panorama, 10 febbraio 2007
Non mi sembra che le dichiarazioni del ministro dell’Interno a Napoli sul "gigantesco" consumo di cocaina in Italia possano considerarsi una rivelazione. Qualche mese fa gli organizzatori di un programma televisivo si servirono di uno stratagemma per sottoporre a una prova medica (l’analisi del sudore) un campione abbastanza rappresentativo di parlamentari. Il programma violava alcune fra le più elementari norme sulla privacy e non andò in onda, ma gli italiani appresero che un parlamentare su tre, secondo il campione, farebbe un uso occasionale di sostanze stupefacenti. Nello stesso periodo l’Università di Pavia comunicò che le acque del Po portavano ogni giorno l’equivalente di 4 chili di cocaina corrispondenti a 16 mila dosi quotidiane. A Milano una indagine analoga dette risultati altrettanto clamorosi. Oggi le parole di Giuliano Amato, insieme a qualche altro dato reso pubblico recentemente, rendono il quadro più completo. Soltanto in Campania, nel 2006, è stata sequestrata una tonnellata di cocaina. Non passa mese senza che i corpi di polizia mettano le mani su 300 chili di droga. Gli italiani che ammettono di farne uso sono ben più di 300 mila. Alcuni dati comparativi confermano l’importanza del fenomeno. L’Italia ha scavalcato i Paesi Bassi (considerati un tempo il paese più permissivo d’Europa) ed è al terzo posto dopo Gran Bretagna e Spagna. Conosciamo anche alcuni dei fattori che contribuiscono all’aumento dell’offerta. La Colombia è in guerra contro i narco trafficanti e ha raggiunto qualche buon risultato, ma non li ha sconfitti. La Bolivia ha un presidente "indigenista", Evo Morales, che rifiuta di trattare la coltivazione della coca alla stregua di un crimine e ha fatto della foglia una sorta di simbolo nazionale. In Afghanistan, dopo la fine del regime talebano, i contadini hanno ricominciato a coltivare papaveri e forniscono al mondo il 90 per cento del suo "fabbisogno" di eroina. L’aumento dell’offerta ha provocato la caduta dei prezzi. Un grammo di cocaina (100 euro nel 2003) costa oggi 40 euro e permette quattro dosi. Una dose costa più di un biglietto per il cinema, ma i clienti che la considerano meglio di un film sono evidentemente numerosi. Il problema della distribuzione, apparentemente non esiste. Il business della droga è una macchina che genera il proprio carburante e non ha bisogno di ricorrere alle banche per finanziare la propria attività. I consumatori poveri diventano spacciatori, gli impiegati a tempo pieno cadono spesso nelle mani della polizia, ma l’organizzazione è probabilmente disposta a garantire una certa previdenza sociale agli infortunati e alle loro famiglie. Molti sostengono che l’aumento dei consumi registri un fenomeno nuovo perché investe una fascia sociale composta da giovani uomini d’affari, dinamici, mondani, continuamente alla ricerca di efficienza e benessere, insomma una parte di quella che potrebbe definirsi la classe dirigente del Paese. Non ne sono sicuro. Ho l’impressione che le vere ragioni dell’aumento vadano ricercate in una sorta di assuefazione sociale e culturale. Aumenta, sia pure gradualmente, il numero di coloro che non temono di cadere nel buco nero della dipendenza e sono convinti di poter fare buon uso della loro dose più o meno occasionale. In una parte delle società moderne questa convinzione, sommata alla diminuzione dei prezzi, sta provocando un’attrazione difficilmente resistibile. Se le cose sono in questi termini, la reazione di Giuliano Amato è perfettamente giustificata. Non è facile combattere un nemico che può contare parecchi alleati fra le persone che dovremmo proteggere dalle sue insidie. Ma non è possibile abbandonare i ceti sociali più poveri e indifesi dove la droga produce effetti molto più devastanti di quanti ne produca nei ceti più alti della società. Per i liberali alla Milton Friedman la soluzione del problema è la liberalizzazione di un certo numero di droghe. Taglieremmo l’erba sotto i piedi del narcotraffico, svuoteremmo le carceri e renderemmo più sicure le strade. Mi rendo conto che non sarà semplice, ma temo che la battaglia proibizionista sia perduta e mi chiedo se non fosse proprio questo, sotto sotto, il messaggio di Amato. Droghe: su depenalizzazione Ferrero divide la maggioranza
Il Messaggero, 10 febbraio 2007
Il ministro Paolo Ferrero ha presentato in Senato la bozza di legge sulla droga. Si tratta di linee guida, concordate anche con la Consulta nazionale, che dovranno affrontare l’iter parlamentare. La legge al suo esordio, però, ha già messo lo scompiglio nella maggioranza, come è accaduto per i Pacs. Ferrero è stato attento al confronto e ha sfumato alcuni aspetti, ma ci sono dei passaggi chiave che non trovano il consenso di una parte della Margherita. Il fronte Teodem teme un "eccesso di liberalismo" e bolla come "debole" l’impianto che non mette sufficienti paletti al consumo di sostanze. È soprattutto la "depenalizzazione" del consumo che preoccupa molti centristi. Nessuno difende il carcere come sistema di "punizione" per i tossicodipendenti. Tuttavia c’è il timore che la depenalizzazione abbassi il livello di guardia. Comunque, non ci sarà alcuna legalizzazione o liberalizzazione dei consumi, questo Ferrero lo ha chiarito più volte. E il ritorno della distinzione tra droghe leggere e pesanti? Su questo punto l’accordo è più ampio. I Teodem non si oppongono. Quanto la droga sia un tema eticamente sensibile lo dice la spaccatura dell’Unione che in novembre ha dovuto fare i conti con i 51 senatori che bocciarono il decreto Turco sull’innalzamento delle dosi di cannabis per uso personale. L’alfiere della battaglia allora fu Paola Binetti, che assunse posizioni molto critiche. Con lei altri 50 senatori, firmatari di una lettera di dissenso. Insieme scrissero che era un errore "raddoppiare la dose di cannabis per non incorrere nelle sanzioni penali" e che "per i giovani era un messaggio ambiguo" e non poteva considerarsi una soluzione. Alla bocciatura trasversale seguì un ordine del giorno, approvato anche da una parte dei Ds, in cui si impegnava il governo a trovare una soluzione al problema. Ferrero con la legge che presenta oggi pensa di appianare la questione abolendo le tabelle previste dalla Fini-Giovanardi. Secondo il ministro della Solidarietà le tabelle non aiutano a definire il confine tra spaccio e consumo. Il ddl, infatti, intende superare la logica delle quantità e riportare nelle mani del magistrato la discrezionalità di stabilire, di caso in caso, se si tratti di dose personale o spaccio. La legge parte dal rifiuto del "proibizionismo" che era sotteso alla Fini-Giovanardi. Il nuovo "piano d’azione" punterà molto sulle strategie di prevenzione. Secondo Ferrero la repressione peggiora i problemi e non sortisce gli effetti sperati. Altro punto cardine del provvedimento antidroga, al quale daranno il loro contributo anche altri ministri, sarà il ritorno alla riduzione del danno, secondo un nuovo modello, non più unico e valido in assoluto, ma con delle iniziative da verificare con parametri scientifici. Intanto, la Cdl ha presentato in Senato una mozione di sfiducia contro Ferrero per un incarico dato all’ex brigatista rossa Susanna Ronconi. Ferrero ha smentito: "La Ronconi non è consulente del ministero e non percepisce alcun emolumento. Fa parte della Consulta nazionale delle tossicodipendenze che è composta da settanta membri, più i membri tecnici indicati dalle Regioni. La formazione della Consulta ha seguito criteri di pluralità, professionalità e ricerca delle esperienze maturate in materia". Droghe: Volonté (Udc); Ferrero "stupefacente e diseducativo"
Ansa, 10 febbraio 2007
"È stupefacente che il presidente Prodi non prenda le distanze dalle dichiarazioni del ministro Ferrero. Per parte nostra presenteremo un ordine del giorno relativo alla missione in Afghanistan per impegnare il Governo a impedire la coltivazione di oppio, che è fonte primaria dei guadagni di Al Qaeda e sostituirla invece con la produzione di generi di prima necessità". Lo afferma il capogruppo Udc alla Camera, Luca Volontè. "Rimangono comunque sconcertanti e altamente diseducative - conclude - le parole di un ministro della Repubblica più attento agli interessi dei trafficanti di droga che alla salute dei cittadini italiani". Droghe: Bindi (Margherita); immigrazione più urgente di droga
Apcom, 10 febbraio 2007
Il ministro alle Politiche per la famiglia, Rosy Bindi (Margherita) invita, a distanza, il collega di Governo Paolo Ferrero (Rifondazione comunista), responsabile della Solidarietà sociale, a focalizzare l’attenzione più sulla riforma dell’immigrazione che su quella relativa alla tossicodipendenza. L’occasione è la tavola rotonda sulle politiche familiari che si è svolta nella sede della Margherita, a Roma. Rivolgendosi al sottosegretario alla Solidarietà sociale, Cristina De Luca, Bindi ha detto: "Consiglierei al tuo ministro di avere più fretta sull’immigrazione che sulla droga". Il ministro Bindi, che ha sottolineato il valore positivo dell’immigrazione in Italia, ha altresì messo in luce la "grande urgenza" di modificare la vigente legge Bossi-Fini. Droghe; cocaina, in cura ci sono piloti, infermieri e netturbini
Il Messaggero, 10 febbraio 2007
Droga sul posto di lavoro, si allarga l’allarme sociale. La responsabile di uno dei Sert della Asl RmB rivela di avere avuto in cura, tra gli altri, infermieri e piloti di aereo. A Roma il caso dell’Ama: nel servizio "mortuaria" le dosi servivano per vincere l’orrore dei cadaveri. Cocaina per correre a sirene spianate, per volare a diecimila metri di quota senza rischiare una nuova crisi di panico. Cocaina per infilarsi tra le lamiere, per raccogliere corpi sfregiati, per superare la paura e l’orrore. Può succedere. Succede. Un tuo collega la scambia per caffeina, non sa quanto fa male, e il contagio si espande. È successo all’Ama, l’ex municipalizzata di Roma, 7.000 lavoratori tra dirigenti, quadri intermedi e addetti alla raccolta e al riciclaggio dei rifiuti. Casi isolati ma si è deciso comunque di intervenire. Dal vertice aziendale è partita una richiesta d’aiuto all’Agenzia per le tossicodipendenze del Comune di Roma. "Un gruppo di dirigenti, ma non dico di quale azienda, ha seguito un corso di sensibilizzazione durato tre giorni" spiega Guglielmo Masci, direttore dell’Agenzia. Ci siamo rivolti a figure di riferimento in grado di individuare i soggetti a rischio, informare e intervenire nel modo adeguato". Ma è l’Ama stessa ad ammettere, "il problema riguardava un numero molto limitato di dipendenti per i quali è stato avviato un percorso di recupero e di riabilitazione". E a rivendicare subito dopo: "Siamo la prima azienda pubblica ad aver intrapreso questo percorso". La coca come carburante, come benzina professionale.Era successo a Roma sud dove un intero reparto di un’azienda, il gruppo addetto al turno di notte, aveva lanciato un altro Sos. All’Ama, l’allarme è scattato dopo l’arresto di un’operatrice. Spacciava. S’è scoperto che il problema era diffuso. Riguardava il comparto della "mortuaria" ma non solo, anche altre unità operative, semplici netturbini. Un numero nel complesso esiguo se si considera il gigantesco organico ma pur sempre un campanello d’allarme. "In casi del genere bisogna sapere che le leggi ci sono e con una corretta prevenzione si possono ridurre i danni, chi è coperto da contratto può conservare il posto per 3 anni, la legge 626 è un baluardo importante della sicurezza", informa ancora Masci. Un’altra azienda romana impegnata nella mediazione sociale ha lo stesso problema. Il licenziamento del lavoratore è la resa. Il fallimento di tutte le terapie. "È quello che vogliamo evitare riprende Masci getta il lavoratore in una situazione drammatica". Clima aziendale aggressivo, bisogno di soldi, ricorso all’usura. Sono questi i sintomi che fanno accendere la spia, il disagio, la dipendenza da droghe. A metà degli anni ‘90 all’Ama lavoratori per lo più a basso reddito partì un esperimento. Fu tentato il reinserimento di dieci ex tossico-dipendenti. Riuscì a metà, alcuni ce la fecero altri no. Ma erano i tempi dell’eroina. Con la coca è diverso. Susanna Collodi è la responsabile di uno dei Ser.T. della Asl RmB. Che vuol dire periferia sud della città. Dieci anni in trincea, ha visto tutto e di tutto: "Di casi ne abbiamo seguiti tanti. Il semplice consumatore di cocaina ha bisogno di cure, a volte basta solo l’ausilio di farmaci. Per chi invece è ormai dipendente c’è bisogno di un lavoro di rieducazione, bisogna sospendere, cambiare. Ho in mente il caso di alcuni infermieri del 118 sottoposti a orari usuranti. C’è chi allo stress, all’eccessivo coinvolgimento emotivo, reagisce cercando sostanze che ti danno la carica. Si comincia così, pensando magari di auto-curarsi, e si finisce cocainomani". Le unità di strada ormai girano a vuoto. Lo spaccio si svolge porta a porta. Da pusher a consumatore o da consumatore a consumatore. Droga a domicilio, difficile da intercettare. E senza che sia più possibile tratteggiare una tipologia ben distinta delle categorie a rischio. La tira il ricco, la tira il povero, tira la middle class. E altri hanno già osservato che se ti beccano, com’è successo a Kate Moss e Lapo Elkann, passato il primo momento, la popolarità aumenta. La società, insomma, non condanna. Il vip che inciampa può riparte di slancio. Diverso è se chi ne fa uso svolge un pubblico servizio o un lavoro che comporta certe responsabilità. Chi ha un bisturi o un volante tra le mani . "Per un certo periodo abbiamo avuto in terapia il pilota di una compagnia aerea italiana. La mattina prendeva il metadone e poi volava su una rotta nazionale. Assumeva cocaina ed eroina, lo faceva anche prima di mettersi alla cloche". Volava due volte. All’insaputa dei passeggeri. Gran Bretagna: allo studio una macchina che legge nel pensiero
Ansa, 10 febbraio 2007
Grosso passo avanti nella ricerca di una macchina per leggere nel pensiero: un gruppo di neuroscienziati con a capo il professor John-Dylan Haynes ha sviluppato una tecnica che grazie ad un sofisticato scanning del cervello permette di decifrare in anticipo nel 70% dei casi le recondite intenzioni di una persona. La sensazionale notizia - che in prospettiva è destinata a suscitare grossi interrogativi etici sul rispetto della privacy - è stata pubblicata dalla rivista "Current Biology". Il prof. Haynes, che adesso lavora in Germania all’Istituto Max Plank per le Scienze Cognitive e del Cervello, non nasconde la sua soddisfazione: "Prima d’ora non era possibile capire dall’attività cerebrale come una persona intendeva agire per il futuro". Lavorando assieme a colleghi di Tokyo e di Londra, il prof. Haynes è riuscito nell’impresa con la messa a punto di complessi programmi di computer capaci di decifrare un’enorme massa di dati generati da scanning ad alta risoluzione del cervello. Ad un gruppo di otto volontari con gli elettrodi in testa per il monitoraggio cerebrale è stato chiesto di fare un po’ di aritmetica mentale: di addizionare o sottrarre a proprio piacimento due numeri ma di non rivelare nulla delle intenzioni. Sette volte su dieci i ricercatori sono stati in grado di prevedere accuratamente in anticipo se la cavia umana in questione aveva optato per l’addizione o la sottrazione. "Gli esperimenti - ha spiegato il neuroscienziato dell’istituto Max Plank - hanno dimostrato che le intenzioni non sono codificate in neuroni singoli ma in un’intera struttura spaziale di attività cerebrale. Le intenzioni sono immagazzinate nella parte anteriore del cervello e per l’esecuzione devono essere copiate in una regione differente, più indietro". Il prof. Haynes dà per scontato che grazie al tumultuoso progresso della neuroscienza "in futuro sarà possibile anche leggere pensieri astratti nei cervelli dei pazienti". A quel punto un uomo non sarà in grado di mantenere più alcun segreto e potrà essere spiato fin nel più intimo.
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