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Giustizia: il decreto discrimina, le vere emergenze sono altre di Giuliano Pisapia (Presidente della Commissione per la riforma del Codice Penale)
Liberazione, 29 dicembre 2007
Nelle fabbriche, nei cantieri, nei luoghi di lavoro continua la strage di vite spezzate dalla mancanza di quella sicurezza che lo Stato ha il dovere di garantire a tutti. Napoli brucia sommersa dall’immondizia, l’intero Paese è sconfitto da una Giustizia sempre più sull’orlo di un collasso che rischia di diventare irreversibile. Sono più di due milioni e mezzo le famiglie che vivono sotto la soglia di povertà: il 10% delle famiglie italiane non ha i soldi per mangiare e il 14,7% non ha la possibilità di curarsi. Il potere d’acquisto dei salari è in continua diminuzione, il costo della vita in inesorabile aumento. La precarietà è in vertiginoso, progressivo aumento. In Palestina si continua a morire; le guerre e le violenze aumentano in tutto il mondo e, in Italia, aumentano le basi e le spese militari. In questa situazione, sempre più insostenibile, il Governo, nell’ultimo Consiglio dei Ministri dell’anno, invece di prendere gli indispensabili provvedimenti per porre freno ad una deriva senza approdo, approva nuovi incentivi per le imprese e approva un decreto legge sulla sicurezza (sic!), con norme che neppure il governo Berlusconi aveva osato proporre. Un provvedimento ingiustificato, discriminatorio e incostituzionale, non solo per l’insussistenza di quei presupposti di "straordinaria necessità e urgenza" che possono giustificare la decretazione d’urgenza (art. 77 Cost.), ma anche perché in contrasto con le sentenze della Corte Costituzionale che hanno ritenuto illegittima la reiterazione di decreti legge non convertiti. Se a ciò si aggiunge che, nel 2007 (in particolare negli ultimi 6 mesi), vi è stata una sensibile diminuzione dei reati (meno rapine, meno omicidi, meno incendi, meno scippi etc.), con un bilancio positivo che non ha precedenti, vi sono tutti i motivi per dire che la misura è colma. Malgrado l’incontestabile fallimento del cd. pacchetto sicurezza del 2001; malgrado l’ingloriosa fine del cd. decreto "antirumeni" , si è perseverato nell’errore, di merito e di metodo, approvando un decreto che servirà affatto per contrastare la criminalità ma che avrà l’effetto, cercato e voluto da una parte del centrosinistra, di creare nuove difficoltà alla sinistra, proprio mentre sta faticosamente avanzando un importante, improcrastinabile e prezioso percorso unitario. La sicurezza (nei luoghi di lavori, nelle città, nelle proprie abitazioni) è un bene non negoziabile e lo stato ha il dovere di proteggere i cittadini, ma un Governo di cui fa parte anche la sinistra non può fare proprie, appropriandosele dal centrodestra, norme inutili, ingiuste, pericolose e, in parte, criminogene. Tanto più che - in un momento in cui, al nord, sta dilagando la politica xenofoba della Lega - sarebbe stato invece urgente intervenire, con poche, incisive e condivise, modifiche legislative in grado di dare una risposta alle esigenze, e alle richieste, di una giustizia equa, celere ed efficiente. Come può, la sinistra, e chiunque crede nei valori della democrazia, accettare che sia punito con tre anni di reclusione, chi, pur non avendo commesso alcun reato, rientra, per lavorare e non per delinquere, nel nostro Paese, dopo esserne stato allontanato a seguito di un provvedimento amministrativo? Come è possibile dimenticare la dura, e vincente, battaglia, in Parlamento e nel Paese, contro una analoga proposta dal Governo Berlusconi? Come può, la sinistra, accettare l’espulsione di chi lavora regolarmente, e vive onestamente, ma non è in grado di dimostrare di avere risorse economiche sufficienti, perché gli è impedita, dalla legge o dal datore di lavoro, la regolarizzazione della propria posizione? Come è possibile far propria una norma, a dir poco incivile, che prevede non solo l’espulsione di una "persona sospetta", ma anche dei suoi familiari, con una sorta di responsabilità oggettiva che neppure il fascismo aveva previsto in caso di espulsione, di confino o di altre limitazioni della libertà personale? Il tutto sarebbe giustificato, si legge nei comunicati stampa, dalla novità dell’espulsione immediata di cittadini comunitari ""sospettati" di terrorismo, e sarebbe stato accettato anche a seguito dell’impegno del governo di una corsia preferenziale per la modifica della Bossi-Fini. Ebbene, l’espulsione preventiva dei "sospetti di terrorismo" altro non è che la proroga di una norma, approvata dal centrodestra nella scorsa legislatura, che, oggi come allora, è ben difficile non considerare criminogena. In presenza di una persona sulla quale gravano sospetti di terrorismo, lo Stato ha il dovere di fare tutti i controlli e gli accertamenti necessari: se è un terrorista non si può certo lasciarlo libero di andare all’estero a seminare odio e sangue. Se, invece, terrorista non è, allora l’espulsione sarebbe ingiusta, in quanto colpirebbe un innocente (e i suoi familiari), e pericolosa perche rischia di creare le condizioni per il suo ingresso in un circuito illegale, rendendolo facile preda della criminalità organizzata. Per quanto concerne la garanzia di una corsia preferenziale per la modifica della legge sull’immigrazione, si può solo dire, pur comprendendo le difficoltà di chi ha un ruolo istituzionale, che nulla può giustificare storture costituzionali, politiche e giuridiche quali quelle contenute nel decreto legge approvato dal Governo. Il decreto, oltre a tutto, è già operativo, mentre, è inutile nasconderselo, il disegno di legge avrà un percorso non agevole e non vi è certezza alcuna che sarà approvato senza modifiche peggiorative. Ora la parola passa al Parlamento, dove la sinistra dovrà liberarsi dalla morsa in cui non pochi, anche all’interno del centrosinistra, cercano di stringerla, con la speranza di stritolarla. Solo una sinistra, unita e plurale, potrà contrastare tale disegno e determinare quella svolta, politica e sociale, necessaria per il Paese e indispensabile, non solo per riconquistare il consenso perduto, ma anche per interloquire con i tanti che ancora intendono affrontare, e risolvere, le vere emergenze. Giustizia: dl sicurezza; per le espulsioni basterà un sospetto
Aprile on-line, 29 dicembre 2007
Espulsioni immediate, ma con più garanzie. Non solo per i cittadini comunitari allontanati dall’Italia per "motivi imperativi di pubblica sicurezza", ma anche per tutti gli extracomunitari. Compreso chi viene espulso per prevenzione del terrorismo, ovvero, perché vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo "agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali". Si tratta delle contestate espulsioni previste dal decreto Pisanu del 2005, convertito nella legge n. 155 dello stesso anno: per il loro carattere di eccezionalità (la Corte dei diritti dell’uomo le ha più volte censurate), sarebbero dovute scomparire il 31 dicembre 2007; ma poiché il Governo non vuole rinunciare a questo strumento di lotta preventiva al terrorismo (soprattutto di matrice islamica) ha deciso di renderle permanenti introducendo la convalida (finora non prevista) del provvedimento di allontanamento alla frontiera dei presunti terroristi. In tal modo, dovrebbero essere superate le obiezioni della Corte di Strasburgo. La convalida delle espulsioni da parte del giudice ordinario è la chiave di volta del decreto legge che oggi sarà portato al Consiglio dei ministri. Già con il titolo - "Misure urgenti in materia di contrasto al terrorismo e di allontanamento di cittadini dell’Unione europea per motivi imperativi di pubblica sicurezza" - il Governo vuole dimostrare che non si tratta di una riedizione del Dl varato a fine ottobre sull’onda dell’omicidio di Giovanna Reggiani da parte di un rumeno, che decade il 1° gennaio e che, finora, ha prodotto 510 espulsioni di cittadini Ue (181 per motivi imperativi di pubblica sicurezza, che in un anno, secondo il Viminale, potrebbero arrivare a 1.200). Il premier Romano Prodi ha parlato di "misure mirate, nient’affatto dettate dai flussi emotivi del momento". Il Dl odierno nasce dall’esigenza di rimediare al pasticcio combinato al Senato dove, durante la conversione del decreto espulsioni, è stata introdotta la norma anti-omofobia contenente un errore talmente grave da impedire al Capo dello Stato la promulgazione del provvedimento. In questi giorni, il Governo ha lavorato per dare al nuovo Dl un volto diverso dal precedente, per non incorrere nel divieto di reiterazione dei decreti legge stabilito dalla Consulta dal ‘96 in poi. Di qui la decisione di "spacchettare" il Dl originario: un decreto legislativo di 22 articoli (anch’esso approvato oggi) che contiene le parti meno rilevanti sulle espulsioni, in particolare quelle che non dipendono da "motivi imperativi di pubblica sicurezza"; queste ultime saranno disciplinate da un nuovo Dl, che recepisce anche tutte le modifiche approvate dal Senato (a cominciare dal passaggio di competenza dal giudice di pace al giudice ordinario sulla convalida degli allontanamento di tutti gli stranieri); la norma anti-omofobia andrà avanti con lo stralcio al Ddl Pollastrini-Mastella all’esame della Camera e il Governo si impegna a chiedere una corsia preferenziale affinché sia approvato entro febbraio, contestualmente al nuovo Dl espulsioni. Giustizia: quando la sicurezza è "promessa" a suon di decreti di Andrea Scarchilli
Aprile on-line, 28 dicembre 2007
Il governo utilizza ancora la misura d’urgenza per ribadire il potere dei prefetti di allontanare i cittadini comunitari "per motivi di sicurezza pubblica" e (novità) prorogare il pacchetto Pisanu. Le norme anti - omofobia in un ddl apposito. I dubbi sulla legittimità, la richiesta di Ferrero: "Ora approviamo la legge sull’immigrazione" A pochi giorni dalla scadenza tecnica (31 dicembre) del decreto emesso dopo l’assassinio di Giovanna Reggiani, il Consiglio dei ministri ha messo una toppa al pasticcio combinato nell’iter di conversione in legge facendo di nuovo ricorso allo strumento del provvedimento d’urgenza. Il nuovo testo ripropone una parte di quello precedente, attribuendo da subito ai prefetti il potere di espellere cittadini comunitari per "motivi di pubblica sicurezza". I criteri a cui il giudice monocratico - non più quello di pace, come previsto nella versione mai divenuta legge - dovrà fare riferimento sono più rigorosi rispetto a prima. Nel testo è stata aggiunta anche una proroga delle disposizioni varate nel luglio 2005 dall’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, che danno al Viminale la facoltà di espellere immediatamente i sospettati di terrorismo. Quanto alle ormai celebri norme anti - omofobia, che per un riferimento a un trattato sbagliato mandarono in panne l’approvazione alla Camera, saranno reinserite in un disegno di legge in discussione a Montecitorio. Il governo ne è venuto fuori con un atto, come si dice, ai limiti. La reiterazione dei decreti legge - esattamente la strada scelta dal governo - è stata infatti dichiarata illegittima, nel 1996, da una sentenza della Corte Costituzionale. Con due eccezioni. La replica del dispositivo è ammessa se i contenuti normativi sono sostanzialmente diversi - non è il caso, il divieto vale anche per le "parti di decreto - o se incorrono "presupposti giustificativi nuovi, di natura straordinaria". E qui - forse - si può discutere. Ma il ministro dell’Interno, principale artefice della struttura del provvedimento, non è preoccupato: "Il testo varato oggi - ha detto Giuliano Amato - è formalmente e sostanzialmente diverso dal precedente. L’allontanamento del cittadino comunitario per imperativi motivi di sicurezza pubblica è l’unica area di sovrapposizione con il precedente decreto". Non solo, secondo il ministro "l’unica sovrapposizione riguarda il tema e non le norme, che sono diversamente strutturate. Il decreto di oggi definisce in modo circostanziato i motivi di pubblica sicurezza che consentono l’allontanamento dei cittadini comunitari e proroga l’efficacia del cosiddetto pacchetto Pisanu, che prevede l’espulsione delle persone sospettate di terrorismo". Nelle reazioni, comunque, si è registrato il malumore della sinistra a causa del secondo ricorso consecutivo alla decretazione, come ha detto il capogruppo al Senato di Rifondazione comunista, Giovanni Russo Spena: "Continuiamo a pensare che il decreto sia uno strumento sbagliato e inutilmente emergenziale per affrontare i problemi della sicurezza. Mi sembra che gli ultimi due mesi abbiano dimostrato molto chiaramente che le reali emergenze del paese sono ben altre". Secondo Russo Spena "sarebbe stato molto più saggio procedere con un ddl invece di insistere con lo strumento del decreto in nome di esigenze puramente propagandistiche, col rischio di diffondere ulteriormente nel Paese sentimenti di razzismo e xenofobia già sin troppo presenti. Quanto al merito - ha concluso l’esponente del Prc - ci aspettiamo che il testo che il governo si accinge a varare recepisca tutte le modifiche introdotte al Senato, che avevano profondamente trasformato un provvedimento all’origine macchiato da connotati razzisti del tutto inaccettabili e incompatibili con la nostra Costituzione". Come Russo Spena la pensa anche Manuela Palermi, capogruppo al Senato dei Verdi-Pdci: "Il governo fa un errore riproponendo il decreto sulla sicurezza, che è cosa troppo importante e delicata per essere gestita con questo strumento. Se il governo deciderà di riproporlo, dovrà tenere conto dell’ottimo lavoro fatto al Senato sul vecchio decreto. Anche la norma sull’omofobia va riproposta. Quando si prende la strada della repressione, è fondamentale che ogni individuo sia garantito indipendentemente dalla religione, dalla razza, dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale. Su questo punto saremo inflessibili". Una condizione posta in Consiglio dei ministri dal ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero è che alla conversione in legge del decreto - bis sulla sicurezza corrisponda una "corsia preferenziale" all’approvazione del disegno di legge sull’immigrazione. Amato si è dichiarato disponibile: "Il disegno di legge Amato-Ferrero sarà calendarizzato alla Camera in gennaio, in modo da passare rapidamente in commissione". Non solo: "Per me - ha detto il ministro dell’Interno - è importante che venga garantita la sicurezza ma non è meno importante che vi sia una differente legge sull’immigrazione". L’accordo dunque pare esserci: contemporanea conversione in legge del Dl espulsioni e approvazione della Amato-Ferrero in Parlamento entro febbraio, con passaggio in Aula, possibilmente, del Ddl "Stalking-omofobia". Giustizia: Miraglia (Arci); queste sono le norme della destra
Il Manifesto, 28 dicembre 2007
"Il governo avrebbe fatto molto meglio a lasciar perdere i decreti d’urgenza e a discutere in parlamento in maniera civile le vere emergenze di questo paese. Che sono una nuova legge sull’immigrazione e la regolarizzazione di migliaia di persone". Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci, boccia senza appello il nuovo decreto sulle espulsioni varato ieri dal consiglio dei ministri. "Errare è umano, perseverare è diabolico. E il governo persevera nell’errore riproponendo il decreto con metodo andreottiano, cambiando qualche virgola, in peggio", spiega.
Lei contesta la necessità di presentare un decreto d’urgenza? Tanta urgenza non ha alcun fondamento. L’opinione pubblica ha la percezione di una situazione difficile dal punto di vista della sicurezza. E va bene. Ma è una percezione, appunto, non corrisponde ai dati sulla criminalità. Che invece fotografano che non c’è stato nessun aumento della criminalità, neanche dei reati cosiddetti predatori, quelli che in generale fanno più paura.
Anzi, Amato ha annunciato una "significativa" diminuzione dei reati commessi nel 2006… E non certo grazie al decreto di cui hanno tanto discusso. Ripeto, le nostre emergenze sono altre. Di questa materia si parla troppo e male. Anziché intervenire, si preferisce fare conferenze stampa. Che costano meno dei provvedimenti concreti e fomentano paure e insicurezze. Servono azioni di socializzazione e rassicurazione verso le categorie più vulnerabili. Ma per farle servirebbero risorse e idee. Invece nelle conferenze stampa si dice che gli italiani hanno ragione a sentirsi insicuri. E per farli sentire meglio, basta diminuire le garanzie ai poveri e agli immigrati.
Nel merito, cosa non condivide di questo nuovo decreto? Primo: si rimette in discussione per l’ennesima volta il principio della libera circolazione delle persone a causa di una presunta invasione dei rumeni - nel decreto si parla di ‘paesi membri’ della comunità, ma si sa che si intende Romania. Tutti sanno che l’aumento di rumeni è dovuto al fatto che ce n’erano già molti in Italia, che ora sono semplicemente emersi, e che comunque sono indispensabili al mondo del lavoro. Ecco la vera urgenza: quella di far emergere il lavoro sommerso, le 150mila domande per il decreto flussi da parte di datori che chiamano gli stranieri. E rutti sanno che si tratta di gente che è già da sul nostro territorio. E sono solo una parte: ci sono anche quelli delle campagne del sud. che nessuno vuole regolarizzare.
Fra le garanzie si introduce la convalida dell’espulsione da parte del giudice ordinario... Un passo avanti, va dato atto. D’altra parte però non c’era nessuna necessità di inserire la conferma del decreto Pisanu sulla lotta al terrorismo. Siccome scadeva, il governo lo ha aggiunto e allargato ai comunitari. A che serve? Già oggi, nelle indagini per terrorismo, ci sono tutti gli strumenti per arrestare le persone e tenerle in carcere. E comunque anche un presunto terrorista ha diritto a un giusto processo. Queste cose le abbiamo già contestate al governo Berlusconi.
Quanto ai centri di permanenza temporanea? Spero che prevalga la ragionevolezza, che chi fa ricorso non venga trattenuto. E che i Cpt non si riempiano di comunitari. Lo stesso ministro Amato, alla fine della commissione De Mistura (per la verifica della funzionalità dei Cpt, ndr) ci aveva assicurato che l’idea che vi finissero i comunitari era da escludere. Che oggi ci sia un’ipotesi del genere è un passo indietro Giustizia: Amato; i reati sono in calo... abbiamo lavorato bene
Ansa, 28 dicembre 2007
Nel corso della conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri di ieri il Ministro dell’Interno Giuliano Amato ha illustrato alcuni dati relativi all’andamento semestrale della criminalità in Italia e alle azioni di contrasto attivate dal Governo. "I dati segnalano una complessiva diminuzione dell’andamento della criminalità in diversi ambiti, particolarmente sottolineata nel secondo semestre del 2007 che si va riavvicinando al secondo semestre del 2005". "Ora abbiamo - ha dichiarato il ministro - una significativa diminuzione. Ho dei dati che mi portano a valutare positivamente l’effetto dei provvedimenti adottati nel corso dell’anno". E citandone due in particolare ha dichiarato che "dopo l’entrata in vigore del decreto Raciti c’è stata una diminuzione media del 30% dei feriti sia tra le forze dell’ordine sia tra i cittadini, con un aumento degli arresti e una riduzione dei reati connessi. E dopo l’entrata in vigore del decreto legge che ha modificato il codice della strada, ad agosto, c’è stato un aumento in quattro mesi dei controlli di oltre il 400%". "Oso pensare - ha concluso il ministro - che nei confronti della criminalità in genere, abbiano funzionato anche i patti sulla sicurezza firmati con le città".
A gennaio la nuova legge sull’immigrazione alla Camera
La nuova legge sull’immigrazione Amato-Ferrero andrà alla Camera a gennaio. Lo ha annunciato oggi il ministro dell’Interno Giuliano Amato nella conferenza stampa a palazzo Chigi al termine del Consiglio dei Ministri che ha approvato il decreto legge sulla sicurezza. "È importante che l’approvazione da parte del Governo di queste misure - sottolinea parlando dei provvedimenti sulla sicurezza - non sia scollegata da un contesto più ampio. Per me é importante che sia garantita la sicurezza ma è anche importante che vi sia una diversa legge sull’immigrazione". Ed é proprio per questo che la Amato-Ferrero "su nostra richiesta - spiega Amato - sarà calendarizzata in gennaio alla Camera, in modo che sia presto esaurita dalla prima Commissione". Giustizia: Bruno Contrada trasferito nell'ospedale di Napoli
Agi, 28 dicembre 2007
Il Tribunale di Sorveglianza di Napoli ha disposto il trasferimento in ospedale dell’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada, che sta scontando una condanna a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Lo ha reso noto questa sera a Catania il difensore di Contrada, l’avvocato Giuseppe Lipera. Il Tribunale di sorveglianza di Napoli avrebbe dovuto pronunciarsi il prossimo 10 gennaio sull’istanza di scarcerazione di Contrada per motivi di salute presentata dallo stesso avvocato Lipera. Contrada soffre di varie patologie, secondo il suo difensore, tra le quali il diabete. Da alcuni giorni l’ex dirigente del Sisde rifiutava il vitto del carcere ritenendolo non compatibile con il regime alimentare prescritto ai diabetici. Il 12 dicembre scorso il magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere aveva ritenuto che le condizioni di Contrada, per quanto siano riscontrate le sue malattie, fossero compatibili con la detenzione. Se il magistrato di sorveglianza ha stabilito il trasferimento in ospedale di Bruno Contrada, ha spiegato il suo legale a Sky Tg24, è perché "ha acquisito nuove informazioni sanitarie che confermano che il detenuto non è compatibile con il regime carcerario, e quindi ha capito che bisognava fare qualcosa. Perché se contrada muore - attacca l’avvocato - si conferma che in Italia si fanno bellissimi funerali che fanno da contraltare a bruttissimi processi, come quello di Contrada. Lui sta come un uomo di 76 anni e mezzo, che da 15 anni soffre le pene dell’inferno, che ha avuto di recente due ischemie cerebrali, e deve andare in cura da un geriatra".
Mastella: su differimento pena decidono i giudici
Il ministro della Giustizia Clemente Mastella torna a intervenire sul "caso Contrada". "Ricordo a me stesso e all’avvocato Giuseppe Lipera che la decisione circa l’istanza di differimento della pena per ragioni di salute è di esclusiva competenza della magistratura di sorveglianza" ha spiegato il Guardasigilli replicando alle preoccupazioni e agli appelli del legale dell’ex funzionario del Sisde, condannato a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa e attualmente ricoverato al Cardarelli di Napoli per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Responsabilità - "Per quanto mi riguarda - ricorda il Guardasigilli - ho immediatamente avviato l’istruttoria di rito relativa alla supplica di grazia, a firma dello stesso avvocato Lipera, non appena trasmessami dal Capo dello Stato. Volermi ora attribuire responsabilità per eventi che nessuno di noi si augura - conclude Mastella, con riferimento al rischio di morte evidenziato venerdì dal Lipera - è strumentale, giuridicamente privo di fondamento e umanamente ingiusto". Non è in pericolo di vita - Intanto, il giudice di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, Daniela Della Pietra, nel provvedimento con il quale ha rigettato la richiesta di differimento della pena presentata dall’avvocato Giuseppe Lipera, spiega che l’attuale quadro clinico di Bruno Contrada "non risponde ai principi di concessione del differimento dell’esecuzione della pena, che è un provvedimento eccezionale, tuttavia in ragione dell’età del pervenuto e della pluripatologia di cui è affetto è opportuno il suo trasferimento in ospedale". Nelle cinque pagine del provvedimento, il magistrato ricostruisce l’excursus clinico dell’ex funzionario del Sisde compreso l’ultimo esame dei medici militari per i quali "le condizioni di Contrada non configurano in atto una condizione di imminente pericolo di vita", ma conferma allo stesso tempo "il parere di non compatibilità con il regime carcerario" per un detenuto "ultrasettantenne, con quadro pluripatologico" per il quale la detenzione "costituisce una prevedibile causa di grave peggioramento" delle sue condizioni di salute.
Contrada non è in pericolo di vita
L’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada, trasferito ieri sera all’ospedale Cardarelli di Napoli dal carcere di Santa Maria Capua Vetere dove sta scontando una condanna per associazione mafiosa, non è in pericolo di vita anche se le sue condizioni di salute richiedevano il ricovero. Lo ha riferito oggi una fonte sanitaria, dopo la prima notte trascorsa da Contrada nel reparto detenuti dell’ospedale napoletano. "Le condizioni di Contrada non sono da definire in pericolo di vita ma era opportuno che andasse ricoverato per un eventuale intervento medico. È affetto da una serie di patologie croniche", ha detto la fonte a Reuters. Il ricovero del 76enne ex numero tre del Servizio informazioni del ministero dell’Interno è giunto ieri sera al termine di una nuova giornata di polemiche sull’ipotesi di concessione della grazia su cui è chiamato a decidere il Capo dello Stato. Il legale di Contrada Giuseppe Lipera ha inviato nei giorni scorsi al presidente della Repubblica una "accorata supplica" affinché il capo dello Stato prenda in considerazione l’ipotesi di concedere la grazia, anche in assenza di domanda, per gravi ragioni di salute. Contrada non ha infatti mai chiesto l’atto di clemenza, come è richiesto per la concessione della grazia, non ritenendosi colpevole del reato di concorso esterno in associazione mafiosa per il quale, nel maggio scorso, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 10 anni in via definitiva. L’iniziativa di Contrada è stata criticata dal ministro Antonio Di Pietro, che l’ha definita "una scorciatoia per sfuggire a una condanna per associazione mafiosa". Con una mossa inattesa ieri sera il magistrato di sorveglianza Daniela Della Pietra ha deciso il trasferimento di Contrada in ospedale, ma sempre in qualità di detenuto. Una decisione che, sebbene non definitiva, fa sperare l’avvocato Lipera in vista dell’udienza del tribunale di Napoli, anticipata al 10 gennaio, sul differimento della pena chiesto dal legale per "gravissimi motivi di salute", iter che viaggia parallelo rispetto a quello della grazia. Nel caso in cui i giudici dovessero dare ragione alla difesa, Contrada tornerebbe in libertà o eventualmente a casa agli arresti domiciliari. Giustizia: Bruno Contrada firma per tornare in carcere...
Reuters, 28 dicembre 2007
L’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada ha firmato la richiesta di dimissioni volontarie dall’ospedale Cardarelli di Napoli, dove era stato ricoverato ieri sera nel reparto detenuti su disposizione del giudice di sorveglianza, e dovrebbe fare ritorno in carcere nelle prossime ore. Lo dicono fonti mediche e il legale di Contrada, Giuseppe Lipera, che ha spiegato che la decisione è stata presa perché ritengono le condizioni del reparto inaccettabili. Al momento non è noto quando Contrada farà ritorno in carcere, dove sconta una condanna a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. "I reparti detenuti sono come dei lager", ha commentato Lipera, annunciando che domani mattina si recherà al carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dove è previsto che Contrada faccia ritorno. Il ricovero del 76enne ex numero tre del Servizio informazioni del ministero dell’Interno è stato disposto ieri sera con una mossa inattesa dal magistrato di sorveglianza Daniela Della Pietra. "Provino il ministro della Salute Livia Turco e il ministro della Giustizia Clemente Mastella a farsi ricoverare per un’ora in un reparto detenuti", ha aggiunto Lipera. Adducendo gravissime ragioni di salute, l’avvocato ha inviato nei giorni scorsi al presidente della Repubblica una "accorata supplica" affinché il capo dello Stato prenda in considerazione l’ipotesi di concedere la grazia a Contrada, anche in assenza di una domanda in tal senso. Contrada non ha infatti mai chiesto l’atto di clemenza, come è richiesto per la concessione della grazia, non ritenendosi colpevole. L’iniziativa di Contrada è stata criticata dal ministro Antonio Di Pietro, che l’ha definita "una scorciatoia per sfuggire a una condanna per associazione mafiosa". Intanto si attende per il 10 gennaio l’udienza davanti al tribunale di sorveglianza di Napoli sul differimento della pena chiesto dal legale per "gravissimi motivi di salute", iter che viaggia separatamente rispetto a quello della clemenza. Sul caso il Guardasigilli Mastella, che nei giorni scorsi ha avviato l’istruttoria di rito relativa alla supplica di grazia, ha ricordato che "la decisione circa l’istanza di differimento della pena per ragioni di salute è di esclusiva competenza della magistratura di sorveglianza". Nel caso in cui i giudici dovessero dare ragione alla difesa, Contrada tornerebbe in libertà o eventualmente a casa agli arresti domiciliari. Polizia Penitenziaria negli Uepe: comunicato della Fp - Cgil
Blog di Solidarietà, 28 dicembre 2007
Lo scorso 17 dicembre si è tenuto l’ennesimo confronto con l’Amministrazione sulla bozza di decreto interministeriale (Giustizia ed Interni) che prevede la sperimentazione dell’inserimento della Polizia Penitenziaria con l’istituzione dei Nuclei di verifica e controllo. La Fp-Cgil ha evidenziato il permanere delle perplessità già ampiamente rappresentate negli incontri precedenti, riferendosi in particolare alla collocazione logistica e funzionale dei nuclei presso gli Uepe e all’impatto negativo che questo comporterebbe sia in termini organizzativi sia in termini di risorse, e pertanto sull’opportunità di collocazione presso i Prap o i Nuclei di traduzione e Piantonamento; alla necessità di escludere dalla sperimentazione la misura alternativa dell’affidamento in prova al Servizio sociale ribadendo le motivazioni già ampiamente espresse, confermando che la sperimentazione, se di sperimentazione si tratta, debba prendere in considerazione solo misure come la detenzione domiciliare e la semilibertà. Infine si è ribadito la necessità dei criteri e degli indicatori necessari per la valutazione finale della sperimentazione a sostegno della scientificità ma anche a garanzia dell’imparzialità . Punti che risultano imprescindibili per questa O.S. e che non hanno trovato alcun riscontro nella predisposizione dell’ultima bozza di decreto che in maniera assolutamente demagogica, a parere della Fp Cgil, intende offrire un contributo al bisogno di sicurezza sul territorio. Si è evidenziato, a tal proposito, con determinazione che il livello di sicurezza nei cittadini non si innalza solo intervenendo sull’esecuzione penale esterna, ma va affrontato in una visione politica e culturale più ampia che, ad esempio, portasse a ridurre il numero dei detenuti nelle carceri, che dopo l’indulto risultano nuovamente sovraffollati. L’Amministrazione, pur tentando di definire in breve tempo la problematica, ha dovuto prendere atto della necessità di un ulteriore confronto della parte pubblica e ha rinviato l’incontro ad altra data. Non possiamo che essere contenti di tale decisione, auspicando che la riflessione vada nella direzione sperata, tenendo conto che diversamente saranno intraprese le dovute iniziative politiche e sindacali a sostegno della nostra posizione.
Il Coordinatore nazionale Fp Cgil Settore Penitenziario Lina Lamonica Il Coordinatore Nazionale Fp Cgil Polizia Penitenziaria Francesco Quinti Roma: la Biblioteca "Papillon" rischia seriamente di chiudere
Associazione Papillon, 28 dicembre 2007
Lettera aperta della Papillon alla c.a. del Sindaco Veltroni, degli Assessori e di tutti i Consiglieri Comunali di Roma; alla c.a. del Presidente, degli Assessori, di tutti i Consiglieri Municipali e di tutti i cittadini del Municipio VIII.
Oggetto: la chiusura della "Biblioteca del Casale Ponte di Nona, Giulio Salierno" e la sua trasformazione in una trattoria, un sexi shop e una bisca... così, forse, certi "sinistri" Assessori competenti saranno finalmente contenti! Gentili autorità, Vi rubiamo soltanto pochi minuti per comunicarvi che dopo un anno e mezzo di vita, la "Biblioteca del Casale Ponte di Nona, Giulio Salierno", inaugurata nel giugno del 2006, rischia la chiusura. La nostra è l’unica biblioteca esistente in Europa che sia stata completamente ideata e costruita all’esterno delle carceri (e aperta a tutti i Cittadini) da un gruppo di ex detenuti e di detenuti in misura alternativa. Finora sono falliti tutti i nostri appelli alle autorità politiche e amministrative competenti per trovare sostegni economici per la gestione della Biblioteca e per l’organizzazione di altre significative iniziative rivolte ai giovani e agli anziani di questa parte della periferia romana, che è poi quella del Municipio VIII, che periodicamente rimbalza sui mezzi di informazione per fatti di criminalità subiti dai Cittadini e atti di violenza e/o intolleranza. Ad oggi abbiamo ottenuto soltanto un piccolo ma importante impegno dell’Assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Roma, Claudio Cecchini (un uomo che ha avuto la fortuna di lavorare con Don Luigi Di Liegro e che ringraziamo per la sua sensibilità) per coprire parzialmente le spese di gestione per una parte dell’anno 2008, ma ovviamente questo è soltanto un utilissimo ma piccolo palliativo. Noi oggi non ripeteremo a Voi i molteplici valori culturali, formativi e lavorativi che sono impliciti in questa nostra esperienza, limitandoci soltanto a sottolineare il suo carattere di piccolo ma significativo esperimento che va nella direzione di contribuire a creare un ponte tra il sacrosanto diritto alla sicurezza dei liberi Cittadini e il rispetto del dettato costituzionale che stabilisce le finalità rieducative e risocializzanti della pena. Voi tutti siete donne e uomini di parte, di "Partito", ma siete anche autorità istituzionali. Se quindi potete facilmente immaginare quanti e quali ostacoli (davvero poco nobili!) incontri nella realtà delle periferie urbane la diffusione delle attività socio/culturali, allo stesso tempo avete la possibilità e il potere di non assistere in silenzio alla morte di questa esperienza, reclamando che anche le Istituzioni Comunali facciano la loro parte in sinergia con le altre. A tal proposito vi informiamo che dopo svariati tentativi, lo scorso 27 settembre siamo riusciti finalmente ad ottenere un incontro congiunto con l’Assessore al Lavoro e alle Periferie, Dante Pomponi, e con l’Assessore alla Cultura, Silvio Di Francia. Questi vostri due Assessori ci hanno detto chiaro che non hanno né competenza né soldi per aiutarci. Forse avrebbero dovuto soltanto aggiungere che soprattutto non ne hanno voglia. Anzi, in uno scatto di sincerità l’Assessore Pomponi, contrapponendosi infantilmente alle nostre argomentazioni, si è lasciato andare ad affermazioni strampalate sulla stupidità della linea di "portare la cultura nelle periferie" che tutte le Giunte di centro sinistra hanno adottato almeno dal 1993, e che noi, nella nostra beata ingenuità, ritenevamo ancora valida. Prigioniero del suo stesso "realismo", l’Assessore Pomponi (che pure era presente alla nostra inaugurazione il 23 giugno del 2006) è arrivato ad affermare che abbiamo sbagliato, perché oggi invece di aprire una biblioteca e un centro socio/culturale in periferia avremmo dovuto aprire una trattoria. E il bello è che l’Assessore Di Francia non ha neanche avvertito il bisogno di replicare a tali castronerie pomponiane. Ancor più significativo è il fatto che tutto questo avveniva pochi giorni prima che nel territorio del Municipio VIII scoppiassero gravissimi incidenti tra giovani italiani e stranieri che hanno fatto risaltare, tra le tante carenze delle periferie, anche quelle di strutture culturali idonee a facilitare l’integrazione delle fasce sociali svantaggiate, siano esse italiane o straniere. Tanto è vero che in quei giorni l’Assessore Pomponi e il suo illustre predecessore, On. Luigi Nieri, si sono affrettati, per l’ennesima volta, a sventolare il varo di quei tredici centri socio/culturali che negli ultimi quattro anni sono stati "giocati" pubblicitariamente almeno otto volte (in media, una volta ogni sei mesi) mentre sarebbe invece auspicabile che sul finanziamento e la gestione di alcuni di essi intervenga almeno la commissione trasparenza del Comune di Roma. Ebbene, Gentili Autorità, Noi faremo di tutto, ma proprio di tutto, per denunciare davanti ai Cittadini e alle Istituzioni politiche e giudiziarie quei tentativi di strozzinaggio clientelare di chi vorrebbe trasformare anche questa bella esperienza della nostra biblioteca in uno dei loro tanti e ben finanziati "comitati elettorali permanenti". E certo non abbiamo alcuna intenzione di chiudere la "Biblioteca Giulio Salierno" per sostituirla con una trattoria e magari anche con un sexi shop (recentemente finanziati anche dalla Regione Lazio) o con una bisca dove poter disporre di quei moderni giochi multimediali con i quali i bambini e gli adolescenti imparano presto il culto della violenza, il disprezzo per i "diversi", il bullismo e quanto altro di meglio si può trovare sul mercato della moderna incultura. Per quanto ci riguarda, noi continueremo a darci da fare per costruire una significativa attività lavorativa che nel giro di un paio di anni ci liberi dalla necessità di dover chiedere aiuti economici alle Istituzioni, ma nell’immediato non siamo per niente disposti a perdere questo patrimonio di libri, di professionalità acquisita e di progettualità per il futuro, che appartengono a noi ma anche alle centinaia di liberi Cittadini che ci hanno aiutato in questi anni. Se sarà necessario, trasporteremo questa bella biblioteca in un altro Municipio, in un altro Comune o addirittura in un’altra regione, e magari la doneremo a qualcuna di quelle realtà giovanili del sud che negli ultimi anni si sono impegnate nella lotta contro la mafia. E lo faremo, Gentili Autorità, con un augurio e un richiamo: augurandogli di trovare dovunque e sempre la forza e la dignità per non sottomettersi alla più viscida e pericolosa delle mafie, che è poi quella sorta di "mafia istituzionale" (di destra, di centro o di sinistra, poco cambia) che troppe volte inquina le istituzioni locali ed è davvero uno dei peggiori cancri della nostra società; ricordandogli invece che per quanto molte volte il mondo istituzionale possa apparire tutto corrotto, la Politica è stata e resta la più nobile tra tutte le attività umane e quindi vale sempre la pena di battersi, dentro e fuori dalle Istituzioni, per liberarla dai mali che l’affliggono e la mortificano. E magari anche la diffusione della Cultura può aiutare in questa difficile battaglia. Nel salutarvi, gentili autorità, noi ci auguriamo di poter contare sulla sensibilità di voi tutti per evitare che un’esperienza così bella e utile vada a morire per "disinteresse istituzionale".
Associazione Culturale Papillon-Rebibbia Roma: Garante detenuti del Lazio scrive a sindaco Veltroni
Comunicato stampa, 28 dicembre 2007
Il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni scrive al sindaco di Roma Walter Veltroni: "creiamo un tavolo per risolvere il problema dei detenuti, reclusi nelle carceri romane, privi di residenza e di documenti di identità". Un tavolo di confronto con il Comune di Roma per risolvere il problema della residenza dei detenuti rinchiusi nelle carceri romane (Rebibbia, Regina Coeli, Istituto penale Minorile di Casal del Marmo) e gli aspetti sociali e sanitari che ne derivano. È quanto ha proposto i Garante dei Diritti dei Detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni al Sindaco di Roma Walter Veltroni e all’assessore capitolino alle Politiche Sociali Raffaela Milano. Su questo versante nei giorni scorsi - grazie ad un Protocollo d’intesa siglato tra il presidente del V Municipio di Roma Ivano Caradonna e lo stesso Garante dei Detenuti - è partita la procedura di snellimento dell’iter burocratico che consentirà il celere rilascio delle carte d’identità ai reclusi di Rebibbia. "Un primo passo in avanti", lo ha giudicato il Garante che tuttavia reputa "indispensabile" un accordo complessivo con il Comune di Roma per risolvere definitivamente il problema. Nelle carceri romane sono infatti diverse decine i detenuti, alcuni dei quali malati, che non "esistono" per i Municipi della Capitale né per il Servizio Sanitario Regionale. "Persone disagiate - è scritto nella lettera inviata da Marroni al Sindaco di Roma - che pongono ai servizi della città, sociali e sociosanitari, domante complesse. Il problema è che senza residenza e senza carta di identità non si esiste, non si ha iscrizione al Servizio Sanitario, non si hanno riferimenti né è possibile attivare di un percorso di reinserimento o assistenziale alternativo al carcere, pure previsti dall’Ordinamento e dal Codice". "Come Garante dei diritti dei detenuti - ha detto Angiolo Marroni - ho proposto alle massime autorità del Campidoglio di affrontare il problema della residenza dei detenuti che hanno perso o che non hanno fissa dimora, attraverso un percorso di concertazione, ognuno nell’ambito delle proprie responsabilità. Auspico che, grazie alla collaborazione tra istituzioni, si possa arrivare a risolvere una situazione che sta penalizzando tante persone ristrette in carcere impossibilitate a fruire di servizi a causa della mancanza della residenza e dei documenti di identità". Forlì: "Liberi di lavorare", un'intesa per il reinserimento
Comunicato stampa, 28 dicembre 2007
Siglato il primo Protocollo Sperimentale di collaborazione tra l’Agenzia Obiettivo Lavoro, l’Ente di formazione Technè s.c.p.a., carcere di Forlì e Uepe (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) di Bologna. Trovare un lavoro a chi è stato in carcere sarà più facile. È stato siglato in questi giorni un protocollo per favorire l’inserimento lavorativo, nelle imprese della nostra provincia, di chi ha scontato una pena in carcere o in "esecuzione penale esterna". L’accordo prevede che gli inserimenti, di cui 2 già avviati da settembre ad oggi, avvengano tramite la stretta cooperazione di tutti i firmatari, i quali collaborano per seguire sotto ogni aspetto il delicato passaggio dal carcere al lavoro. In particolare, gli operatori dell’equipe penitenziaria (del Carcere e dell’Ufficio Esecuzione Penale Esterna) si occupano di selezionare e segnalare le persone che possono accedere ai benefici di legge e intraprendere un percorso di reinserimento nella comunità. Technè si occupa di seguire e monitorare le persone che escono dal carcere, collaborare alla ricerca di imprese, garantire un tutoraggio attento alla persona e la consulenza alle imprese coinvolte. Un ruolo innovativo è affidato all’Agenzia Obiettivo Lavoro - la più grande agenzia per il lavoro italiana - che, in virtù degli stretti rapporti con il mondo aziendale, provvede a sensibilizzare le imprese ed a "somministrare" il lavoratore presso imprese proprie clienti - il cosiddetto inserimento lavorativo "On the Job" - facilitando così la fase più problematica del reinserimento, ovvero il reperimento di imprese disponibili ed un inserimento lavorativo immediato tramite contratto di lavoro. Il Protocollo "Liberi di Lavorare", il primo nella nostra regione che coinvolge una Agenzia come Obiettivo Lavoro nell’ambito dell’esecuzione penale, dovrà quindi facilitare i rapporti della Rete territoriale locale e, soprattutto, rendere fattivo e stabile l’inserimento sul posto di lavoro per le persone in esecuzione penale o ex detenute. Promosso da Technè all’interno dell’Iniziativa Comunitaria Equal "Pegaso", il Protocollo sarà ampliato nei prossimi mesi a possibili nuovi firmatari (Direzione provinciale del lavoro, Ausl, Comuni) con l’obiettivo di andare verso il superamento della sperimentazione e il consolidamento dell’iniziativa. Verona: serve un Centro d’ascolto e il Garante dei detenuti
Comunicato stampa, 28 dicembre 2007
"Nella sezione femminile del carcere di Montorio ci sono due Gesù bambini: uno simbolico adagiato nella culla del presepe, l’altro, di 27 giorni, in grembo alla madre detenuta". È Roberto Sandrini, presidente dell’Associazione "La Fraternità", a denunciare il fatto nel corso della conferenza stampa di presentazione di un libretto appena pubblicato sul progetto d’intesa Sportello Giustizia. "Intanto fuori dal carcere i familiari attendono sulla strada l’accesso ai colloqui, senza un riparo e senza riferimenti. Se non rispettiamo la legge, come possiamo pensare che chi ha commesso un reato capisca veramente di aver sbagliato e di aver infranto un valore comune?" si chiede Arrigo Cavallina, volontario della Fraternità e responsabile del progetto, che aggiunge "evidentemente la realizzazione di un progetto nasce dalla constatazione di un bisogno". Il bisogno è quello di tutelare i diritti di chi è privo di libertà e creare una via di comunicazione tra l’area del penale e il territorio circostante perché - parole di Sandrini - "si smetta di dar colpa all’ammalato se non guarisce, ma le responsabilità ricadano su chi lo deve curare". Promosso dal Centro Servizi per il Volontariato di Verona, il progetto Sportello Giustizia è nato due anni fa, per - spiega la presidente del Csv Elisabetta Bonagiunti - "arricchire le esperienze e le competenze delle associazioni, mentre svolgono un servizio di utilità sociale non indifferente". Convinte che la sicurezza si difenda con una paziente integrazione e garantendo i diritti di tutti, le associazioni che hanno aderito al progetto - con capofila "La Fraternità" - hanno scelto la via della collaborazione per puntare a degli obiettivi che singolarmente non sarebbero state in grado di affrontare. Don Tonino Bello, Cestim volontariato, Emmaus Villafranca, Ripresa Responsabile, Società S. Vincenzo e Volontariato calabriano Perez hanno agito in rete per dare visibilità alle problematiche che circondano la realtà del carcere. Una delle più urgenti è quella che richiede l’istituzione - anche a Verona - della figura di un Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, già in esercizio in molte città, province e regioni della penisola. Ciò rappresenterebbe l’apertura di un dialogo tra la città e il carcere, oltre che la garanzia di una tutela di quei diritti che, secondo la Costituzione, devono essere comuni a tutti i cittadini, siano essi reclusi o meno. Anche perché, riprende Cavallina "se chi vive o esce dal carcere è accolto, guidato e tutelato vi sarà senz’altro più sicurezza". Dopo il convegno svoltosi nel novembre 2006 e il coinvolgimento dell’ambito istituzionale - spiega il fascicolo - "mancava solo la votazione dell’assemblea, ma eravamo alla vigilia del rinnovo elettorale e nell’ultimo Consiglio utile pare non ci sia stato il tempo". Altro tramite di integrazione tra carcere e territorio sarebbe la realizzazione di un Centro d’ascolto davanti al carcere di Montorio, per offrire assistenza e un servizio di informazione non solo ai detenuti in condizione di semilibertà, a chi esce dal carcere e si ritrova privo di punti di riferimento e allo stesso personale penitenziario, ma soprattutto ai familiari delle persone recluse. Chiunque abbia occasione di passare dalle parti del carcere - specie in una mattina di pioggia e freddo - può rendersi facilmente conto di quanto siano proprio quest’ultimi a necessitare di un punto di riferimento e di accoglienza. Una proposta, quella del Centro d’ascolto, che risale a oltre 10 anni fa e che "avanza e retrocede" - spiega Cavallina - "con un silenzio da parte dell’amministrazione precedente che continua con quella attuale". L’iniziativa è stata approvata nel febbraio di quest’anno. "Da quel momento - è scritto nel libretto - "non abbiamo più ricevuto nessuna comunicazione. Il 18 maggio 2007, nel corso di un incontro relativo a tutt’altro, abbiamo appreso informalmente che il tema Centro d’ascolto era stato inserito in un più ampio "progetto carcere" elaborato dagli uffici comunali e presentato per il finanziamento alla fondazione CariVR. E qui terminano le tracce". Sono invece recenti le tracce lasciate da un altro aspetto del progetto Sportello Giustizia: stabilire un protocollo di collaborazione tra Università degli studi di Verona e realtà carceraria. Lo scorso 6 dicembre si è svolto un convegno sul tema all’Università di Verona e tutto lascia sperare in un prossimo felice accordo tra le parti. L’idea è di istituire uno sportello informativo interno al carcere, a cui i detenuti di Montorio possano rivolgersi per un’assistenza ad ampio raggio sui temi che li riguardano, siano essi giuridici, sociali, amministrativi, educativi o familiari. A fornire informazioni saranno gli studenti in corso delle Facoltà di Giurisprudenza e di Scienze della Formazione, che potranno acquisire un’esperienza senz’altro preziosa per il loro futuro lavorativo. Ciò che ora preme è far luce sulle battute d’arresto da parte delle istituzioni e stimolare le stesse a prendere una decisione sulla figura del Garante dei Diritti - ampiamente trattata anche in un Cd Rom allegato al fascicolo e on line su www.lafraternita.it - e sulla realizzazione del Centro d’ascolto. Entrambe tematiche urgenti, dato il ripresentarsi del sovraffollamento e l’ormai chiara necessità di un’integrazione tra carcere e società civile per risolvere i problemi dell’una e dell’altra. "Il compito del volontariato è esaurito" - afferma Cavallina, che conclude - ora tocca all’amministrazione comunale attuale riprendere in mano la situazione".
Ufficio Stampa de La Fraternità Libro: "Diritti e castigo", una recensione di Marco Incagnola
Aprile on-line, 28 dicembre 2007
Il rapporto sulle istituzioni totali italiane del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura, a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro, Carta/Edizioni Intra Moenia 2007. In edicola con Carta dal 22 dicembre al 18 gennaio. Roma, stazione Termini. Al binario 13 il Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa ha trovato un box di 2,70 mq privo di qualsiasi arredo usato quale camera di sicurezza per i fermati. Proprio il comando della polizia di Roma Termini è stato teatro di uno dei due "incidenti" menzionati espressamente nel Rapporto del Comitato relativo alle istituzioni totali italiane. Il personale in servizio si è particolarmente "distinto" per essersi rifiutato di fornire il proprio nome e codice identificativo, nonché per aver fatto attendere la delegazione del Cpt per quasi un’ora, nascondendo la presenza di due detenuti. Ma di questa notizia, e delle tante denunce presenti nei rapporti del Comitato relativi all’Italia, la politica e i media italiani sembrano quasi del tutto disinteressati. I diritti umani e le istituzioni soprannazionali non godono evidentemente di grande attenzione nel nostro paese. Poca è la conoscenza che se ne ha, poca l’autorità che si tende ad accordare loro. Non a caso l’Italia è uno dei pochi paesi in Europa a non prevedere nel suo codice penale il reato di tortura e a non aver istituito il Garante per le persone private della libertà personale. Non a caso quando nel marzo 2007 un nostro connazionale, Mauro Palma, è stato eletto presidente del Comitato sopra menzionato, i giornali italiani sono stati tra i pochi in Europa a non darne notizia. Il Consiglio d’Europa sin dal 1987 ha istituito il Comitato per la Prevenzione della Tortura che visita i luoghi di detenzione - carceri, centri per stranieri, ospedali psichiatrici giudiziari etc. - di ben 47 Paesi europei e formula raccomandazioni ai relativi governi. Finalmente ora possiamo leggere la traduzione in lingua italiana degli ultimi due rapporti (visite del 2004 e nel 2006) sull’Italia del Comitato europeo, nonché le risposte ufficiali fornite al proposito dal nostro governo. È infatti disponibile nelle edicole di molte città italiane Diritti e castigo, a cura di Susanna Marietti e Gennaro Santoro dell’associazione Antigone. Il volume propone anche interventi sul tema della sicurezza e dei diritti, tra cui si segnalano lo scritto inedito di Loïc Waquant e le interviste a Zygmunt Bauman e a Mauro Palma. I rapporti del Comitato, come accennato, prospettano un quadro alquanto buio del rispetto dei diritti umani nelle istituzioni totali italiane, specie per quel che riguarda la gestione dei centri di permanenza temporanea. Solo per citare alcuni esempi tratti dal libro, un incidente acclarato e biasimato dal Comitato ha riguardato le dichiarazioni raccolte nel Centro di permanenza temporanea di Ragusa durante la visita del 2006 relative ad " attività sessuali inappropriate " tra uomini del personale del Centro e alcuni ospiti, che avrebbero così beneficiato di qualche vantaggio. Su questo fronte la risposta delle autorità italiane è stata assolutamente inadeguata: anziché pensare a indagini approfondite su questi gravi episodi, ci si è limitati esclusivamente ad ipotizzare l’inserimento di un più alto numero di personale femminile. Non meno grave la denuncia ricevuta dalla delegazione durante la visita al Centro di Crotone. E.W.K, un cittadino iracheno sbarcato a Lampedusa l’11 maggio 2006, durante il trasferimento al Centro di Crotone aveva partecipato ad un fallito tentativo di evasione. L’uomo ha raccontato che, durante la sua permanenza forzata al commissariato di polizia di Crotone, al termine della perquisizione integrale durante la quale è rimasto sempre in manette, è stato accusato di aver ferito un poliziotto. Per questo motivo, ha detto ancora E.W.K, è stato oggetto di violente percosse (calci, schiaffi, manganellate) da parte di cinque poliziotti presenti nella stanza. Trasferito poi in un locale senza finestre, l’uomo è stato sul punto di perdere conoscenza, a causa del dolore. Nelle 24 ore successive, non ha ricevuto né da bere né da mangiare. L’indomani, davanti al Tribunale, dopo aver dichiarato quanto accaduto al giudice, l’uomo è stato rassicurato sul fatto che la sua denuncia sarebbe stata oggetto d’inchiesta. E invece non è accaduto nulla. In base a quanto detto dalle autorità italiane, non esisteva infatti prova del presunto maltrattamento da parte di cinque poliziotti. Di conseguenza, nessun procedimento penale è iniziato. Il cittadino iracheno è stato per giunta rimpatriato. Immigrazione: le promesse di Ferrero, come per le droghe? di Vincenzo Donvito (Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori)
Notiziario Aduc, 28 dicembre 2007
Il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, fa sapere che il consiglio dei ministri ha deciso che la legge Amato-Ferrero sarà calendarizzato a gennaio alla Camera. Ci auguriamo che questo sia un impegno e non una promessa, per il bene di tutto il Paese, inclusa la credibilità del Governo e del ministro stesso. Anche se la proposta di riforma della legge Bossi-Fini sull’immigrazione lascia irrisolti una serie di problemi, primo fra tutti l’esistenza anacronistica e pericolosa delle quote di ingresso, foriere di illegalità e la cui procedura è impossibile da rispettare. Nonostante questo ci auguriamo che se ne cominci a parlare e non finisca come con la proposta di legge del Governo per la riforma della legge sulle droghe, la Fini-Giovanardi. Non ce ne voglia il ministro Ferrero, ma proprio per quest’ultima riforma i preannunci sono stati tali e tanti e altrettanto tante le scadenze eluse, che non ci stupiremmo che altrettanto avvenga su un tema altrettanto scottante come l’immigrazione. Nel caso delle droghe, come in quello dell’immigrazione, sono in considerazione aspetti che solo per chi ha le bende sugli occhi riguardano gli ultimi della nostra società, perché i risvolti della cattiva considerazione di questi ultimi sono diventati drammi economici, sociali, umani e politici della nostra quotidianità. Per questo chiediamo al ministro Ferrero un colpo di reni su ambedue le questioni oppure un silenzio che lui stesso potrà utilizzare per valutare la propria politica in un governo che, nato anche per la riforma delle leggi su droga e immigrazione, è invece fino ad oggi il principale esecutore delle peggiori leggi in materia che esistono in tutti i Paesi occidentali... con la beffa che sono leggi del precedente Governo e contro le quali l’attuale maggioranza ha anche preso i voti per cambiarle.
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