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Indulto: Manconi; risultati buoni, ma vanificati senza riforme
L’Unità, 1 agosto 2007
L’indulto? "Un provvedimento d’emergenza in una situazione di emergenza". Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia con delega per il sistema penitenziario non ha dubbi: a un anno dal provvedimento "il bilancio è positivo, e non solo perché ha consentito ai detenuti, ai 45mila agenti di polizia penitenziaria e a tutti i volontari e operatori di lavorare meglio o perché l’assistenza sanitaria è stata migliore".
Eppure attorno all’indulto sono scoppiate numerose polemiche. Il numero di reati è tornato a salire, tanto per cominciare... "In carcere, prima dell’indulto, c’era una popolazione di circa 61mila persone, con il provvedimento siamo scesi a poco più di 38mila, a distanza di un anno ce ne sono invece 43 mila, e la percentuale dei recidivi oscilla tra il 13 e 14%".
E non si tratta di un dato comunque preoccupante? "Sarebbe preoccupante anche se fosse dell’1%, però questo dato che tra qualche mese potrebbe arrivare al 15% rischia di fare ignorare la recidiva ordinaria che in oscilla tra il 60 e 68% su un arco di tempo tra 3 o cinque anni".
Ma in un anno la popolazione carceraria è di nuovo sulla soglia della massima capacità... "È bene fare una precisazione. Con l’indulto del 1990 si liberarono 10mila detenuti, a distanza di 12 mesi nelle carceri c’erano 10mila detenuti in più di quelli che c’erano con la liberazione degli indultati. Adesso abbiamo una situazione straordinariamente migliore, siamo passati da 30mila a 43mila. Se temessimo il ritorno all’affollamento precedente dovremmo sapere che questo richiede molti anni".
L’assistenza per chi è stato indultato ha funzionato o no? "Il punto di partenza deve essere chiaro: il sistema penitenziario viene attraversato da un flusso costante di persone, 88mila in uscita e 90mila in entrata. A prescindere dall’indulto, abbiamo davanti sempre gli stessi problemi: mancanza di servizi e risorse. Tutto viene costantemente ignorato. Ma siccome questo flusso ha preso il nome di indulto, la contraddizione sociale che questo implica viene scaricata su un provvedimento e non sul sistema penitenziario. Ora bisogna mettere mano alle leggi che producono reclusi non necessari - la Bossi-Fini, la Giovanardi-Fini e l’ex Cirielli - altrimenti i buoni risultati dell’indulto rischiano di perdersi". Indulto: Garanti; era necessario, non sia un'occasione persa
Apcom, 1 agosto 2007
L’indulto varato un anno fa era un provvedimento "inevitabile" per l’oggettiva "illegalità" del sovraffollamento carcerario, ma oggi rischia di essere vanificato dalla mancata approvazione di alcune riforme sulla giustizia e dalla scarsità di risorse. È quanto sostengono i 12 Garanti dei diritti dei detenuti, istituzioni introdotte da altrettanti enti locali (come il Comune di Roma, la Regione Sicilia e la Provincia di Milano), che difendono il provvedimento da chi l’ha definito un "errore" o chi, come il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, lo attribuisce "anche a inconfessabili motivazioni ignobili". Secondo Stefano Anastasia, capo della segreteria del sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri Luigi Manconi, dei circa 61.000 detenuti nelle carceri italiane un anno fa, in 23.609 sono usciti per l’indulto. Il 17% di questi, pari a 4.527 persone, sono rientrati per aver commesso di nuovo reati. "La gran parte di coloro che hanno beneficiato dell’indulto - ha commentato Franco Corleone, Garante del Comune di Firenze - ha capito questo atto di generosità: normalmente il tasso di recidiva è molto più alto e cala solo in presenza di misure alternativa. Bisogna poi tenere conto che gli aiuti del governo per queste persone sono arrivati solo due mesi fa". Le misure più urgenti, hanno detto i garanti, sono le riforme della legge ex Cirielli sulle recidive, della Fini-Giovanardi sulle droghe e della Bossi-Fini sull’immigrazione. Provvedimenti definiti "criminogeni", che "portano in carcere persone che non dovrebbero entrarci" e che dovranno essere modificati al più presto con il sostegno di "risorse adeguate in Finanziaria". Soldi indispensabili per ristrutturare le carceri e applicare così il regolamento del 2000 che imponeva adeguamenti entro cinque anni. Da accelerare anche l’iter parlamentare della riforma del codice penale sostanziale firmata da Giuliano Pisapia. Priorità motivate dal fatto che il 60% dei detenuti sono immigrati e il 30% persone che hanno commesso reati legati alle tossicodipendenze. Grazie all’indulto, ha ricordato il Garante del Comune di Bologna Bruno Desi, il numero dei detenuti era sceso sotto il livello massimo stimato in circa 43.000 unità. Oggi però, specialmente nelle grandi città, è in fase di crescita e rischia di portare a un nuovo sovraffollamento. "Chiediamo al governo e al Parlamento - ha detto il Garante delle Provincia di Milano Giorgio Bertazzini - di essere impopolari e non considerare gli umori più bassi di parte della collettività. Serve il coraggio di uscire da logiche emergenziali". Altrimenti, secondo Corleone, l’indulto sarà solo "un’occasione mancata, e sappiamo che non si potrà ripetere". Indulto: Anastasia; rientrati in 4.523, il 17% degli scarcerati
Ansa, 1 agosto 2007
Su 26.609 detenuti usciti dal carcere in un anno con il beneficio dell’indulto varato l’estate scorsa, sono rientrati in cella in 4.523. Lo ha detto Stefano Anastasia, capo della segreteria del sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi, intervenendo a un incontro nel carcere San Vittore organizzato dai garanti dei diritti delle persone in carcere. "La percentuale di recidiva tra gli indultati si aggira quindi attorno al 17% - ha detto Anastasia - molto al di sotto del 68% che riguarda in generale chi esce dal carcere". Il 68% riguarda comunque, è stato precisato, una base quinquennale. L’incontro è stato organizzato dai Garanti, una figura recente nel panorama italiano. In Italia ne esistono solo dodici e sono ancora in attesa della legge istitutiva del garante nazionale, legge già approvata dalla Camera e in attesa di discussione al Senato. La valutazione dei garanti sull’indulto è decisamente positiva anche se chiedono che vengano adottate tutte le misure e le riforme perché i benefici ottenuti non vengano dispersi. La situazione nelle carceri infatti è ritornata a un livello di vivibilità e attualmente i detenuti sono 42 mila. Indulto: fa più rumore un ex detenuto che commette reati…
Redattore Sociale, 1 agosto 2007
"Fa più rumore un "indultato" che commette reati, che altri 200 che trovano un lavoro": per Claudio Cazzanelli, responsabile dei progetti carcere della cooperativa A&I di Milano, è stato un anno di polemiche fuorvianti. "Ci si è concentrati su chi, uscito dal carcere, tornava a rubare e non si cercato di capire quali effetti positivi l’indulto ha portato". La cooperativa A&I gestisce per conto del Comune di Milano il Celav, uno sportello che aiuta gli ex detenuti a trovare un lavoro: in questo periodo stanno seguendo circa 100 persone uscite con l’indulto. "C’è chi sta facendo corsi di formazione, qualcuno è impegnato in tirocini - spiega Claudio Cazzanelli -. Quando ci sono progetti per il reinserimento sociale, i risultati poi si vedono". Per le associazioni, le cooperative e gli enti che a Milano si occupano di carcere, l’indulto non è stato un attentato alla sicurezza dei cittadini. "I recidivi che erano in libertà per l’indulto sono poco meno del 17% a livello nazionale - sottolinea Luca Massari, responsabile dell’area carcere di Caritas Ambrosiana -. La media di solito, fra chi sconta tutta la pena, è invece del 68%. È chiaro che il problema della sicurezza è stato gonfiato sui giornali a dismisura". Oggi le carceri sono di nuovo piene. "Il problema è che vengono poco usate le misure alternative alla pena - aggiunge Luca Massari -. Non ci sono progetti e risorse adeguate, chi esce dal carcere spesso deve cavarsela da solo". Analisi condivisa anche da Corrado Mandreoli, responsabile del dipartimento politiche sociali della Cgil di Milano: "La Regione, la Provincia e il Comune di Milano hanno ridotto i fondi per i progetti. Si parla tanto di sicurezza, ma poi si fa poco per rieducare chi ha commesso reati". Indulto: detenuti hanno capito il valore della libertà concessa
Redattore Sociale, 1 agosto 2007
"I detenuti che sono usciti hanno capito il valore della libertà che veniva loro concessa": per don Antonio Sfondrini, cappellano del carcere di Bollate, l’indulto è stata una buona occasione per tutti. "Dobbiamo tenere presente che ne ha beneficiato anche chi è rimasto in cella, perché le condizioni di vita sono migliorate e si è potuto lavorare meglio ai progetti di rieducazione". Il carcere di Bollate, alle porte di Milano, è l’unico in Lombardia ad avere meno detenuti di quanti potrebbe ospitarne (vedi lancio precedente; ndr): al 30 giugno 2007 erano 550, mentre i posti disponibili sono 903 (la cosiddetta "capienza regolamentare"; ndr) e potrebbe accoglierne fino a 1107 (definita "capienza tollerabile"; ndr). Da Bollate sono usciti con l’indulto 535 detenuti: 275 italiani e 260 stranieri. "È un istituto in cui ci sono soprattutto persone condannate con sentenza definitiva - sottolinea don Antonio Sfondrini -. Sono molti i progetti di rieducazione attivati finora: è chiaro però che sono più efficaci se il carcere non è sovraffollato". L’appello di Giovanni Paolo II ad un gesto di clemenza aveva suscitato molte speranze nei detenuti. "Lo aspettavano - ricorda il cappellano di Bollate -. Anche perché le condizioni di vita erano drammatiche, soprattutto a San Vittore, e ormai erano al limite della sopportazione". Secondo don Antonio molti dei detenuti liberati dall’indulto hanno colto il significato del gesto di clemenza: "Erano coscienti che veniva loro offerta un’occasione unica per cambiare vita". Non sempre però fuori hanno trovato un aiuto. "Purtroppo ci si è limitati a svuotare le carceri - afferma don Antonio -. Si sarebbe dovuto puntare di più al reinserimento sociale di chi usciva". Indulto: Lombardia; carceri già al limite del sovraffollamento
Redattore Sociale, 1 agosto 2007
In Lombardia le carceri sono di nuovo al limite del sovraffollamento: su una capienza massima di 8.379 posti, i detenuti sono (al 30 giugno 2007; ndr) 7.233. Hanno beneficiato dell’indulto 3.293 detenuti (al 27 luglio 2007; ndr): fra gli uomini 1.776 sono italiani e 1.308 stranieri, mentre fra le donne 92 sono le italiane e 117 le straniere. I recidivi che sono tornati nelle carceri lombarde sono 375 (al 28 luglio 2007; ndr), meno del 10%: la maggior parte stranieri uomini (217). Poche le donne che hanno commesso di nuovo reati: solo 11, di cui 9 straniere. È questo il quadro in Lombardia, ad un anno dall’indulto, che emerge dai dati forniti dal Provveditorato regionale alle carceri (vedi tabelle complete allegate; ndr). "Il bilancio non è del tutto positivo - spiega Antonella Maiolo, presidente della commissione carcere del Consiglio regionale della Lombardia -. Ci sono stati comunque più recidivi rispetto ad altre regioni italiane e sta tornando il problema del sovraffollamento delle carceri". Prima dell’indulto, nel luglio 2006, i detenuti erano 8.905. "L’indulto ha permesso di tamponare una situazione che era grave - aggiunge Antonella Maiolo -. Ma il sovraffollamento delle carceri ha bisogno di ben altro per essere risolto". L’indulto. L’unico dato sull’indulto è quello sui recidivi. Sul destino di chi invece è tornato in libertà e non ha più commesso reati si sa poco. "È difficile sapere se e come sono stati seguiti dai servizi sociali o dalle cooperative sociali - aggiunge Antonella Maiolo -. La Regione, da parte sua, ha sostenuto il progetto ‘Un tetto per tutti’ (gestito da diverse associazioni di cui capofila è Caritas Ambrosiana; ndr) per assicurare un alloggio temporaneo a chi usciva dal carcere e non aveva una casa. A fine luglio, inoltre, si è chiuso il bando destinato alle cooperative per progetti di inserimento lavorativo dei detenuti. Abbiamo puntato insomma su casa e lavoro". Sovraffollamento. Solo il carcere di Bollate ha meno detenuti di quanti potrebbe ospitarne: la "capienza regolamentare" è di 903 posti, quella massima tollerabile di 1.107: al 30 giugno c’erano invece "solo" 550 detenuti. Tutte le altre carceri lombarde hanno superato almeno la "capienza regolamentare". A Bergamo, Brescia "Canton Mombello", Busto Arsizio, Castiglione delle Stiviere e Milano "San Vittore" si è oltre la "capienza tollerabile", quindi sono sovraffollate. A San Vittore, per esempio, sono ben 1.290 i detenuti, mentre potrebbero starcene al massimo 1.117. Non se la passano meglio a Bergamo: 424 detenuti su 340 posti massimo. "Siamo di fronte ad un problema più ampio di gestione della giustizia - sottolinea Antonella Maiolo -. Occorre una riforma che permetta processi più veloci, certezza della pena e una gestione migliore delle pene alternative. Costruire più carceri non serve". Detenute madri: Manconi; approvare presto la nuova legge
Ansa, 1 agosto 2007
Per affrontare il problema delle detenute madri è necessario approvare al più presto il disegno di legge in materia e diffondere l’esperienza delle case-famiglia. A sollecitarlo è il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi. "Bene ha fatto il Garante regionale dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni a rendere nota la situazione del carcere femminile di Rebibbia dove si trovano ben 19 bambini tra i 0 e i tre anni (da questo pomeriggio, per fortuna, 18), reclusi con le loro madri detenute - sottolinea Manconi - È un fatto di eccezionale gravità: per superare il quale, da un anno, operiamo su più piani. Nonostante la legge Finocchiaro del marzo 2001, infatti, non siamo ancora in grado di impedire che anche un solo bambino venga recluso all’interno del sistema penitenziario italiano, com’è nel programma del centro sinistra. La normativa attuale, pertanto, va riformata e migliorata - dice il sottosegretario - per questo mi auguro che il disegno di legge in materia, già licenziato dalla Commissione giustizia della Camera, sia approvato al più presto e chiedo a quanti hanno a cuore la civiltà giuridica del nostro paese e il senso di umanità che, prioritariamente, deve ispirare il sistema delle pene, di cooperare perché questo accada. La proposta, infatti - spiega Manconi - agendo sul meccanismo di discrezionalità del giudice, vieta la custodia in carcere delle detenute madri, rafforzando l’utilizzo delle misure alternative. L’obiettivo è quello di garantire al massimo la tutela del minore, salvaguardando l’integrità del rapporto con la madre al di fuori delle strutture carcerarie. A questo proposito, sulla base di quanto già realizzato a Milano - conclude - è in atto un processo di cooperazione con gli enti locali (in primo luogo a Venezia e a Roma) al fine di individuare strutture idonee ad ospitare case-famiglia protette in quei casi in cui non sia possibile applicare la detenzione domiciliare". Detenute madri: l’esempio della "casa - famiglia" di Milano
Ansa, 1 agosto 2007
Francesca Corso, assessore della Provincia di Milano ai diritti dei cittadini, commenta: "A Milano da tempo abbiamo dato vita per i bambini da zero a tre anni a queste strutture". "Mi unisco all’appello dei parlamentari come Paola Balducci che chiedono con la massima urgenza l’approvazione della legge contro la detenzione dei bambini in carcere". Francesca Corso, assessore della Provincia di Milano ai diritti dei cittadini, commenta la situazione del carcere di Rebibbia. "L’istituzione della "casa famiglia" ove possano soggiornare le detenute madri con i bimbi è senz’altro una cosa giusta - sottolinea -. A Milano da tempo abbiamo dato vita per i bambini da zero a tre anni a tale istituto, grazie al lavoro della Provincia di Milano, del Provveditorato regionale all’amministrazione penitenziaria, della magistratura di sorveglianza. Lì soggiornano le detenute con i figli. Questi possono andare all’asilo nido e vivono una situazione senz’altro meno traumatica di quella del carcere. È un’esperienza pilota su scala europea che va valorizzata e generalizzata. Sarebbe bene che la particolare attenzione che il Parlamento e i media prestano in questo periodo alla tematica della famiglia si concretizzi in fatti concreti, a difesa delle famiglie più sfortunate e di quei bambini che oggi vivono fra le sbarre anni che dovrebbero essere di libertà, di gioco e di amore". Calabria: 7 Senatori intervengono a difesa del Provveditore
Agi, 1 agosto 2007
I senatori Nuccio Iovene (Sinistra Democratica), Massimo Brutti (Ulivo), Felice Casson (Ulivo), Giuseppe di Lello (PRC/SE), Pietro Fuda (PDM), Giannicola Sinisi (Ulivo) e Rosa Villico Calipari (Ulivo) hanno presentato una interrogazione al Ministro della Giustizia, Clemente Mastella, affinché salvaguardi l’azione di rinnovamento e risanamento del sistema penitenziario calabrese. "Negli ultimi cinque anni, il Sistema Penitenziario calabrese - scrivono i senatori nell’interrogazione - è stato quasi completamente rinnovato, risanato e portato ad elevati livelli di efficienza, rispetto ai compiti istituzionali assegnati all’Amministrazione Penitenziaria, collocando la Calabria all’avanguardia nel panorama nazionale. Tale opera è frutto dell’intenso lavoro del Provveditore Regionale e di molti Dirigenti regionali e Direttori degli Istituti di pena. Tutte le strutture penitenziarie calabresi, in questi anni, sono già state adeguate, o in fase finale di adeguamento, agli standard di abitabilità previsti dal nuovo Regolamento di Esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario (D.P.R. 230/2000). In questi anni, si è registrato un costante e consistente incremento delle opportunità lavorative intramurali per i detenuti. È stata realizzata un’attenta e più adeguata allocazione della popolazione detenuta attraverso una ridefinizione dei circuiti detentivi di alta sicurezza, media sicurezza, con una particolare attenzione alle donne ed ai disagiati psichici, realizzando anche un apposito reparto di osservazione psichiatrica presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria. È stata, inoltre, realizzata una razionalizzazione della Sanità penitenziaria, tale da garantire adeguata assistenza alla popolazione detenuta, nell’ambito del circuito sanitario regionale, per quasi tutte le patologie, grazie anche all’implementazione di impianti ed attrezzature e ad un fattivo e costante rapporto di collaborazione con le Aziende Sanitarie Locali". L’interrogazione evidenzia anche che intese ed accordi operativi sono stati siglati tra le strutture penitenziarie calabresi e le Istituzioni territoriali (Regione, Comuni, Province), nonché con le istituzioni scolastiche ed universitarie, con quelle ecclesiastiche e con associazioni di volontariato e del terzo settore, "consentendo di realizzare specifiche iniziative, creando sinergie ed interazioni al fine di attuare nel migliore dei modi il dettato Costituzionale in materia di esecuzione penale". Il provveditore Regionale, si evidenzia, "ha in questi anni impresso un forte impulso alle attività in economia diretta attivando lavorazioni industriali, laboratori artigianali ed aziende florovivaistiche all’avanguardia ed impegnando in modo continuativo i detenuti nei lavori di manutenzione ordinaria dei fabbricati". Gli autori dell’interrogazione fanno inoltre rilevare che negli ultimi anni alcuni provvedimenti adottati dall’Amministrazione Centrale relativi al personale apicale delle strutture penitenziarie calabresi, "tesi a garantire un opportuno e fisiologico avvicendamento dei funzionari nelle varie sedi, sono stati successivamente revocati a seguito di impugnazioni giudiziarie, proposte dagli interessati, al fine di impedire tali avvicendamenti; che alcuni di questi funzionari, e segnatamente alcuni Dirigenti, ravvisando nel Provveditore Regionale il "responsabile" di tali avvicendamenti hanno avviato una serie di iniziative, anche giudiziarie, tese ad osteggiare la gestione del Dirigente Generale Quattrone; che, in particolare, uno di essi, nel maggio 2006, ha posto in essere una clamorosa azione di protesta, asserragliandosi per due giorni negli uffici del Provveditorato Regionale, e che per tale comportamento, anche penalmente rilevante in quanto interruzione di pubblico servizio e per questo segnalato all’Autorità giudiziaria, non ha ricevuto alcuna sanzione di ordine disciplinare". Lo stesso dirigente, "inviato in servizio di missione presso la Casa Circondariale di Paola, ha tenuto un comportamento quantomeno discutibile allontanando platealmente, da una pubblica manifestazione in corso nell’istituto, il Dirigente delegato a rappresentare l’Amministrazione Regionale, senza che sia stato adottato, anche questa volta, alcun provvedimento di censura del comportamento tenuto". Palermo: ex detenuti lavorano per manutenzione del verde
La Sicilia, 1 agosto 2007
Venticinque ex detenuti e soggetti disagiati lavorano da venerdì scorso alla sistemazione di alcune piazze bagheresi. Fanno tutti parte dell’associazione "Sviluppo per Bagheria" con cui il Comune ha siglato un accordo per il reinserimento sociale attraverso il lavoro. Una squadra di operai è impegnata in piazza Butera per la sistemazione del verde pubblico, in vista l’attesa apertura al pubblico. Altri 3 operai sono stati impiegati per la custodia dei gabinetti pubblici, altri ancora per la logistica, il servizio idrico e la pulizia della zona antistante la colonia di Aspra. Lavorano sodo già da dieci giorni, invece, i dipendenti in cassa integrazione dell’ATI Group di Michele Aiello, impegnati al cimitero comunale che da mesi versa in stato di quasi abbandono. In poco tempo il gruppo di lavoratori (nella foto tre di loro) ha raccolto quintali di rifiuti, dai cocci di marmo agli indumenti e le sterpaglie alte fino a due metri, ripulendo lo spazio verde tra i loculi. Scoperta e ripulita anche una cappella funebre ancora in costruzione che era stata adibita a discarica. Saranno necessari ancora alcuni giorni affinché le due squadre di operai impegnate in due diverse zone del cimitero completino la pulizia, poi si passerà ai lavori di ristrutturazione di alcuni porticati. Intanto un fontaniere e un elettricista - anche loro dipendenti in cassa integrazione - hanno già provveduto a riportare l’acqua e l’energia elettrica in tutta l’area. "Siamo orgogliosi di questa possibilità - commenta il sindaco di Bagheria, Biagio Sciortino - sono andato diverse volte a trovare i lavoratori e posso dire con orgoglio che si tratta del primo caso in Italia in cui un gruppo di dipendenti in cassa integrazione viene impiegato per lavori di utilità sociale". Aosta: è allarme per la Tbc, accertamenti su agenti e detenuti
Ansa, 1 agosto 2007
Tutte le guardie carcerarie in servizio alla casa circondariale di Brissogne (Aosta) e alcuni detenuti dovranno essere sottoposti ad accertamenti sul’eventuale diffusione del virus della Tbc di cui un detenuto é infetto. Lo ha reso noto oggi il vicesegretario regionale Piemonte Valle d’Aosta dell’Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria (Osapp), Carmelo Passafiume, in una lettera inviata al Provveditore dell’Amministrazione penitenziaria Piemonte e Valle d’Aosta e diffusa anche agli organi di informazione. Il sindacato denuncia un "assurdo ritardo con cui la patologia è stata diagnosticata" e rileva che "non si è provveduto alla dovuta tutela della salute del personale di Polizia penitenziaria e dei loro familiari". Per il dirigente dell’Osapp inoltre "appare inspiegabile come in una struttura quale quella penitenziaria son servizio medico h24 e relativo medico responsabile si sia verificato un caso così eclatante di malasanità". Pisa: Sofri libero 12 ore al giorno per assistere la compagna
Secolo XIX, 1 agosto 2007
Adriano Sofri libero dodici ore al giorno. Assisterà la compagna che deve sottoporsi a un delicato intervento chirurgico. Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze ha accolto un’istanza del difensore dell’ex leader di Lotta continua, l’avvocato Alessandro Gamberini, concedendo a Sofri la possibilità di uscire dalla propria abitazione dodici ore al giorno: dalle 8 alle 20. Sofri, condannato a 22 anni di reclusione per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, dal 2 luglio scorso ha ottenuto la detenzione domiciliare per motivi di salute e la concessione di uscire dall’abitazione per quattro ore al giorno. Ora dall’avvocato si apprende che Sofri ha presentato un’istanza al tribunale chiedendo "un allargamento delle prescrizioni al suo stato di detenzione domiciliare per ragioni familiari e personali". Istanza accettata e tradotta in un prolungamento dell’orario. Sofri ha anche ottenuto il trasferimento provvisorio del provvedimento restrittivo da Firenze a Pisa. I permessi dalla detenzione domiciliare di cui potrà usufruire ogni giorno serviranno ad assistere la sua compagna, che dovrà sostenere un "arduo intervento chirurgico" all’ospedale di Pisa. Lo stesso Sofri, oggi, nella rubrica "Piccola posta" che cura sul quotidiano "Il Foglio", chiarisce in che cosa consiste il provvedimento del tribunale e precisa che "nessun mutamento è finora intervenuto nella mia condizione". Tuttavia, non ha più il lavoro esterno alla "Scuola Normale" di Pisa che aveva ottenuto durante la detenzione in carcere, prima dell’intervento all’esofago al quale è stato sottoposto d’urgenza un anno fa. Le precarie condizioni di salute della compagna dell’ex leader della formazione extra-parlamentare di sinistra, hanno indotto Adriano Sofri a chiedere al giudice di sorveglianza di potersi assentare da casa ogni giorno dalle 8 alle 20 per poterle stare vicino in questo periodo delicato e durante la convalescenza. Il provvedimento è stato firmato dal presidente del tribunale di sorveglianza del capoluogo toscano, Vincenzo Sapere, che ha spiegato come la legge prevede che quando la pena può essere differita o sospesa, il tribunale di sorveglianza, una volta esaminato il caso specifico, possa concedere la detenzione domiciliare per vari motivi tra cui la salute, come nel caso di Sofri, e che successivamente possa autorizzare il detenuto ad assentarsi dalla sua abitazione, rispettando un orario prestabilito, come prevede l’articolo 47 ter, 1 ter, della legge penitenziaria 354 del 26 luglio 1975. In futuro, il tribunale di sorveglianza potrà concedere all’ex leader di Lotta continua la "liberazione anticipata", ovvero 45 giorni ogni semestre di pena scontata, complessivamente 90 giorni l’anno. Adriano Sofri fu condannato nel 1990 insieme a Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani, resosi latitante dopo la condanna, per l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi, avvenuto il 17 maggio 1972 a Milano. Dall’inizio del mese di luglio Sofri si trova agli arresti domiciliari per questioni di salute. Una perizia medica, infatti, ha stabilito l’incompatibilità delle sue condizioni con il regime carcerario. Roma: Camera; Cesare Previti
Panorama, 1 agosto 2007
Dopo quattro legislature passate tra i banchi di Montecitorio, Cesare Previti fa un passo indietro e si dimette da parlamentare. Una scelta condivisa e votata a larghissima maggioranza dall’Aula, che ha accolto la richiesta di dimissioni avanzata dall’ex ministro di Forza Italia, prima che fosse messa ai voti la sua decadenza da deputato, per effetto della sentenza definitiva di condanna per corruzione di giudici. La domanda di Previti è stata accolta con 462 sì, 66 no e 4 astenuti. Al posto di Previti è stato proclamato eletto Angelo Sartori. L’ex ministro della Difesa è agli arresti domiciliari dopo la conferma, il 13 luglio 2007, da parte della Cassazione della condanna a un anno e sei mesi per la vicenda del Lodo Mondadori, che si pone in continuità alla condanna a sei anni per il caso Imi-Sir. Come pena accessoria è stata decisa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Questo il testo della lettera che Previti ha inviato al presidente della Camera Fausto Bertinotti e che è stata letta in Aula dal capogruppo di Forza Italia Elio Vito. "Signor presidente, il breve tempo intercorso tra la fissazione dell’ordine del giorno e la seduta odierna, l’operatività del weekend estivo anche per le strutture giudiziarie e lo stato attuale di detenzione domiciliare nel quale mi trovo, rendono praticamente impossibile la mia presenza in aula e mi privano, sostanzialmente, della possibilità di partecipare al dibattito sulla mia decadenza da deputato. Forte è il mio rammarico, pur nella consapevolezza che il mio coartato silenzio nulla toglierà alla gravità della decisione che si intende assumere né, tanto meno, all’evidenza degli squilibri tra poteri dello Stato che da troppi anni affaticano la vita del nostro Paese. Sono innocente e da innocente sconto una condanna ingiusta e lo faccio nel pieno rispetto della legge, ottemperando a tutte le regole del mio stato con discrezione e convinta operosità. Tuttavia, continuo la mia battaglia sempre in nome del diritto perché mi sia resa giustizia e si affermi la verità delle mie vicende giudiziarie. Ed è nel nome del diritto che ho invocato dinanzi alla Giunta elettorale particolare attenzione nel procedere per una decadenza da parlamentare in presenza di una sentenza sulla quale molto è da discutere sia in sede nazionale sia in sede europea, dove la violazione delle garanzie minime dell’equo processo è all’esame della Corte di Strasburgo. Nel ‘98, oltre nove anni fa, la Camera, quando, come ora, la mia parte politica era minoranza, ha sancito, a larghissima maggioranza ed a voto palese, l’esistenza del "fumus persecutionis". Qualche mese fa la Corte di Cassazione ha confermato il verdetto della Camera. Ciò, tuttavia, è avvenuto troppo tardi rispetto alla condanna che nel frattempo era intervenuta e che sto scontando. La Camera, quindi, non è un esecutore acritico di un ordine dell’autorità giudiziaria, né è chiamata ad applicare una norma tassativa delle leggi vigenti. Norma che, attualmente, non esiste nell’ordinamento italiano, come è stato ampiamente dimostrato nel corso dei lavori della Giunta, con l’ausilio del parere di autorevoli costituzionalisti. "In materia di diritti politici, sia la normativa interna che quella europea relativa ai diritti fondamentali richiedono assoluta tassatività non raggiungibile attraverso processi interpretativi di norme previste per altre fattispecie. Se dichiaraste la decadenza compireste un atto di pura sottomissione del Parlamento al potere, non sovrano, ma sovrastante, dell’Autorità Giudiziaria, riconoscendole un primato rispetto al Parlamento del tutto estraneo alla nostra Costituzione, come a quelle di qualsiasi paese democratico. Compireste un atto irrimediabilmente lesivo della rappresentanza politica nazionale di cui è espressione il mandato parlamentare, che non trova fondamento nell’attuale quadro normativo e che non realizza affatto quel bilanciamento tra interessi costituzionalmente protetti di cui la Giunta ha riconosciuto l’esigenza. La creazione di un simile precedente costituirebbe un vulnus per il Parlamento e per i singoli parlamentari gravissimo e irrecuperabile. Il grande rispetto che ho per il Parlamento al quale mi onoro di appartenere da tanto tempo mi impone quindi di fare tutto il possibile per evitare che questo avvenga. Senza per questo, sia chiaro, rinunciare alle ragioni di principio che sono convinto dimostrino l’arbitrarietà della proposta di decadenza oggi in discussione e l’insanabile contrasto di tale misura con i cardini della democrazia rappresentativa. Rassegno quindi le mie irrevocabili dimissioni da deputato, chiedendo di voler procedere immediatamente alla relativa votazione. Con riguardo, Cesare Previti". Immigrazione: interprete di fiducia sarà pagato dallo Stato
Redattore Sociale, 1 agosto 2007
Lo ha deciso la Corte di Cassazione. Bruno (Garante Bologna): "Faciliterà l’esercizio del diritto di difesa". Finora era assegnato dal pubblico ministero. Gli stranieri coinvolti in un processo potranno nominare un proprio interprete di fiducia per capire le accuse e spiegarsi meglio. E a pagarlo sarà lo Stato. È la novità sancita dalla Corte di Cassazione, con una sentenza depositata lo scorso 6 luglio e resa nota oggi dall’avvocato Desi Bruno, garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna. "La sentenza n. 254 del 2007 - commenta Desi Bruno - è un passo avanti che faciliterà in modo significativo l"esercizio del diritto di difesa, consentendo agli stranieri di comunicare con il proprio difensore e di preparare adeguatamente la propria linea difensiva". "La pronuncia della Cassazione - spiega Antonio Costa dell’Ufficio comunale del Garante di Bologna - si inserisce all’interno delle norme che regolano il patrocinio legale gratuito per le persone non abbienti. Finora, in caso di procedimento penale nei confronti di un cittadino straniero, l’avvocato d’ufficio era affiancato da un interprete, fornito però dal pubblico ministero". La Cassazione ha invece dichiarato incostituzionale l’articolo 102 del Testo unico 2002 sulle spese della giustizia, osservando che "per l’accusato straniero, che non conosce la lingua italiana, il diritto di nominare un proprio interprete rientra nella garanzia costituzionale del diritto di difesa nonché nel diritto al giusto processo. Tale nomina è motivata dalla necessità di garantire all’imputato il diritto di comprendere le accuse formulate contro di lui e intendere il procedimento al quale partecipa, in modo tale da renderne effettiva la partecipazione". All’interprete della difesa, quindi, sarà liquidato un compenso pagato dallo Stato. E questa decisione della Cassazione, osserva ancora la Garante, non vale solo per chi è sotto processo, ma per tutte le persone straniere e non abbienti "a vario titolo coinvolte in un procedimento penale, come persona offesa, indagato, imputato, condannato, con un procedimento in corso". Si tratta, conclude Desi Bruno, di "un ulteriore passo per l’attuazione dell’articolo 24 della Costituzione italiana, che prevede che siano assicurati ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione". Immigrazione: Bruno; Cpt di Bologna chiuderà perché inidoneo
Il Domani, 1 agosto 2007
La chiusura del Cpt di Bologna è un dato di fatto. O meglio lo sarà. E non saranno necessarie circolari ministeriali o provvedimenti governativi d’urgenza, semplicemente basterà attendere che le nuove direttive in materia facciano il loro corso. Ne è fermamente convinto il Garante dei diritti delle persone private della libertà di Bologna, l’avvocato Desi Bruno, che lunedì insieme ai colleghi di Firenze, Roma e Torino ha incontrato nella capitale il ministro dell’Interno Giuliano Amato.
Avvocato Bruno, come è andato l’incontro con il ministro Amato? "È stato soddisfacente: abbiamo affrontato le questioni relative all’iter della riforma dell’Immigrazione e abbiamo avuto alcune indicazioni sul destino dei Centri di Permanenza Temporanea".
Andiamo con ordine: a che punto è l’iter della legge che dovrà prendere il posto della contestata Bossi-Fini? "Dopo l’estate (come ha confermato anche il ministro Ferrero nella sua visita bolognese, ndr) comincerà dalla Camera l’iter parlamentare: e questo è positivo perché consentirà di procedere più velocemente, almeno nella prima fase".
Con la legge Amato-Ferrero cambierà il ruolo dei Cpt. In quale senso? "In realtà a cambiarlo è già intervenuta la direttiva che dispone di provvedere immediatamente alla identificazione degli immigrati. Cioè già dal momento in cui arrivano al carcere. L’obiettivo, nemmeno troppo velato, è quello di impedire per quanto possibile il passaggio degli stranieri dal Cpt: in questo modo si abbatterebbe il numero dei presenti e comincerebbe lo svuotamento dei centri".
In questo senso, dunque, si può ipotizzare una prossima chiusura anche del Cpt di Bologna? "Si sta lavorando ad una legge che consenta ai richiedenti asilo di non passare più attraverso i Cpt, ma in luoghi ad hoc. E lo stesso trattamento verrà riservato alle donne vittime dello sfruttamento, che ora sono le uniche presenze femminili a passare di lì: con le nuove direttive saranno ospitate nei centri di accoglienza. L’importante ora è arrivare ad una differenziazione delle situazioni. Quando l’avremo ottenuta, potremo dire di aver raggiunto un risultato positivo, perché verranno meno i presupposti di utilizzo del Cpt".
In altre parole, diminuiranno gli "ospiti" fino a rendere superflua la presenza di un centro di permanenza temporanea. "Sì".
Ma avete parlato col ministro della situazione di Bologna? Si sa qual è la posizione ufficiale sul futuro della struttura: sarà un centro di identificazione, rimarrà un Cpt o cos’altro? "Non è ancora stata decisa una destinazione finale, ma l’impressione è che una decisione possa essere presa solo dopo l’entrata in vigore della legge. Piuttosto abbiamo avuto l’impegno dal ministro di ulteriori accertamenti sull’idoneità della struttura e sui lavori pianificati, che oggi sono in corso di svolgimento. Perché la natura di questi interventi non è ancora stata chiarita alla collettività. Noi abbiamo denunciato da tanto tempo e con noi anche la commissione De Mistura e lo stesso sindaco Cofferati, la presenza di troppe sbarre, di filo spinato e di tante situazioni che rendono quel posto in vivibile: i lavori all’interno per ora hanno portato solo alla sostituzione delle brande, con i letti su base di cemento, e alla riattivazione del campo sportivo. Vogliamo capire se si farà qualcosa anche su sbarre e filo spinato. E se ci saranno altri interventi strutturali".
Il suo giudizio sul Cpt è sempre stato negativo: ora vede la luce in fondo al tunnel? Si può pensare di arrivare veramente ad una sua chiusura? "Io sono sempre stata contraria, ma non sono nemmeno per una chiusura dall’oggi al domani. Sono convinta sia meglio che il percorso venga accompagnato. E in questo momento, le prospettive di un reale ridimensionamento e la possibilità che venga meno il suo utilizzo, ci sono tutte". Droghe: Udc promuove "test" parlamentari; polemiche e insulti
Affari Italiani, 1 agosto 2007
Sono ben 126 i parlamentari che hanno prenotato il test antidroga organizzato dall’Udc in un presidio sanitario allestito a piazza Montecitorio. Una affluenza che ha superato le attese degli organizzatori dell’iniziativa, tanto che per la seconda volta è slittata la chiusura dell’ambulanza adibita ad ambulatorio. Dopo aver spostato dalle 12,30 alle 15 il termine degli esami, gli organizzatori hanno infatti deciso di proseguire fino alle 18 per permettere a tutti i parlamentari con il numeretto in mano di sottoporsi al test antidroga. "E basta, con sto Mele...". Lorenzo Cesa è in fila per il test antidroga in piazza Montecitorio spiega ai cronisti che l’Udc proseguirà la battaglia dei valori nonostante la vicenda del deputato Mele e della sua notte brava, quando un suo collega di partito lo invita stizzito a non parlarne più, a guardare avanti. E in effetti sono in molti i parlamentari dell’Udc in fila per sottoporsi al test e a rivendicare la guida della battaglia contro gli stupefacenti. Accanto a loro molti deputati azzurri, tanti leghisti, pochi quelli di An, nessuno o quasi del Centrosinistra. Il test è triplice: della saliva, dell’urina o del sangue. Ci vogliono 5 minuti per farlo, molto di più occorre invece attendere in fila. Tanti i parlamentari presenti, fin dalle 9.30 di mercoledì mattina. Fra i dirigenti Udc Casini, Cesa, Buttiglione, Tassone, Volontè, D’Onofrio, Dionisi, Libè, D’Alia, Pionati, Vietti, Drago, Ciocchetti. Fra i parlamentari di Forza Italia Osvaldo Napoli e Guido Crosetto, i leghisti Roberto Cota, Andrea Gibelli, Davide Caparini, Adolfo Urso e Riccardo Pedrizzi di An. Cesa attacca chi ha portato avanti "una strumentalizzazione indecente" sulle contestate dichiarazioni sul ricongiungimento familiare e sottolinea l’importanza di una iniziativa che serve a "a dire che la droga uccide". D’accordo Cota, per il quale "è giusto che ogni parlamentare dimostri di non far uso di droghe, anche se la vera soluzione è una selezione della classe dirigente a monte". I parlamentari prendono un numero, come al supermercato, alle 11.30 ne hanno già staccati oltre sessanta. Il deputato di An Pedrizzi, il primo del suo partito ad arrivare, annuncia che proporrà a Il Secolo d’Italia "nel rispetto della privacy di pubblicare i nomi dei parlamentari che si sono sottoposti al test". Quanto alle assenze di molti dei parlamentari di via della Scrofa, getta acqua sul fuoco Urso: "È un fatto personale e tale deve restare, nel rispetto assoluto di chi sceglie di fare o meno il test". Molti, fra gli esponenti dell’Udc, spiegano che avrebbero preferito un test tricologico, come proposto senza successo dai centristi in Parlamento. Quel tipo di test, a differenza di quello a cui si sono sottoposti stamane i parlamentari, rileva presenza di sostanze stupefacenti anche a distanza di mesi. "Questo test è un segnale chiaro davanti al Parlamento. Il test antidroga tutti lo vogliono, ma solo dopo che l’hanno bocciato e ci hanno lasciati soli a difenderlo in Parlamento", prosegue Casini. Quanto al caso Mele, il leader Udc aggiunge: "È una cosa che amareggia, ma tutti i discorsi sentiti in queste ore sul caso Mele sono il segno del fastidio che provoca la nostra posizione politica. Le battaglie dell’Udc non possono essere inficiate in alcun modo da fatti personali". Ma l’iniziativa dell’Udc spacca i partiti del Centrodestra. "Sono molto in polemica con Casini, bisogna imparare a non essere demagogici. Casini dice che non è venuto nessuno di An a fare il test? Eccoci qui, siamo venuti per rispondere alla sconcia chiamata alle armi di Casini". Ignazio La Russa, capogruppo di An alla Camera, risponde così a Pier Ferdinando Casini, che aveva criticato An per non aver partecipato al test antidroga promosso dai centristi in piazza Montecitorio. "Noi siamo per il test tricologico, questo non serve a niente - scandisce La Russa - è solo un’iniziativa propagandistica e demagogica. E Casini sappia che nessuno può essere precettato da lui". Per La Russa, il leader Udc deve scusarsi anche per le critiche rivolte ad An sulla scelta di abbandonare l’Aula della Camera per il voto finale sulla riforma dell’ordinamento giudiziario: "Attendiamo ancora le scuse". Sull’argomento conclude Maurizio Gasparri, in piazza con La Russa e altri deputati aennini: "Se l’Udc avesse abbandonato l’Aula, Mele avrebbe preso l’aereo, sarebbe andato a casa e pensate quanti guai si sarebbero risparmiati...". "Non ho alcuna difficoltà ad accogliere l’invito di Ignazio La Russa a fare il test anti-droga tricologico. Sono pronto, purché però ci si sottoponga anche lui. Ci andremo insieme". Il capogruppo dell’Udc in commissione Affari Costituzionali Giampiero D’Alia risponde così all’invito-provocazione del presidente dei deputati di An Ignazio La Russa di fare "un test anti-droga serio e non uno simbolico e inutile" come quello proposto dall’Udc. A fronte delle parole di La Russa, il suo collega di partito, Giorgio Bornacin, afferma: "Ritengo necessario che i parlamentari si sottopongano a questa prova e ne rendano pubblici i risultati. Non possiamo chiedere ai giovani di non drogarsi - spiega il senatore -, non possiamo chiedere ad alcune categorie come medici, autisti di mezzi pubblici, ed altri di sottoporsi a test periodici, se non diamo l’esempio". La lotta alla droga, conclude Bornacin, "è una priorità, perché drogarsi è un reato contro se stessi e contro la società: gravissimi sono i danni che gli stupefacenti procurano sia alla persona sia alla collettività tutta". "Non provo nessun imbarazzo ad essere qui in fila per il test anti-droga. Qualcuno dirà da che pulpito viene la predica.... Ma io dico che non si può sputtanare un partito che si batte per dei valori solo per l’errore di un singolo. Mele non era il massimo dirigente del partito né l’emblema morale dell’Udc". Così il presidente dei centristi, Rocco Buttiglione, spiega le ragioni della sua presenza in piazza Montecitorio per sottoporsi al test anti-droga e torna sulla vicenda del deputato ex Udc Cosimo Mele. "Identificare il partito con l’errore di un singolo è infame, qual è il partito italiano che non ha avuto nelle sue fila un drogato, un corrotto, un mafioso o un camorrista? La priorità è però la selezione della classe dirigente", conclude Buttiglione. Le spaccature riguardano anche la Lega. A fronti di molti onorevoli del Carroccio che si sono sottoposti al test, ci sono anche padani che si chiamano fuori e attaccano i centristi. "Il test antidroga dell’Udc è una buffonata. Farò volentieri il test antidroga, ma in una clinica medica, non in mezzo alla strada. Non accetto lezioni di morale da chi, visti i fatti degli ultimi giorni, fa politica in maniera ipocrita". Lo afferma Gianluca Pini, della Lega Nord Padania, criticando seccamente l’iniziativa dell’Udc davanti a Montecitorio.
An e Udc: sfida del test, tricologico vs saliva
Ora la sfida non è più sul grado di ‘durezza’ nell’opposizione, sulla presenza o meno in Aula nei momenti decisivi. Ora tra An e Udc la sfida è sul test antidroga. Se i centristi piazzano un laboratorio d’analisi mobile in piazza Montecitorio per uno screening basato sull’esame della saliva, An si rivolge a un laboratorio poco distante dalla Camera, eccependo sull’affidabilità dell’analisi non senza un accenno ai costi della politica applicati alle provette. È infatti Ignazio La Russa ad annunciare che "i parlamentari di An si recheranno oggi, alle ore 17, in un laboratorio di analisi vicino al Pantheon, dove eseguiranno il test antidroga tricologico. L’on. Gianpiero D’Alia, che ha già confermato di accogliere il mio invito, è il benvenuto". Il test basato sull’esame dei capelli, tricologico appunto, garantirebbe una retroattività ben superiore alle 48 ore che La Russa attribuisce a quello made in Udc. "Lo supererebbe anche un tossicodipendente, visto che ha validità retroattiva di 48 ore e tutti erano stati avvisati", osserva senza tanti giri di parole. Poi una sottolineatura che riecheggia le polemiche sulle coperture sanitarie per i parlamentari: "Abbiamo fatto una convenzione con un laboratorio del Pantheon per un test antidroga tricologico, che non è una presa in giro come questa. E in più lo paghiamo noi, senza rimborsi". "Per i deputati di An e per il capogruppo dell’Udc in commissione Affari costituzionali l’appuntamento è al gruppo di An al termine della Conferenza dei capigruppo", ribadisce il presidente dei deputati di An.
Udc e Verdi litigano su monnezza e prostitute
"Ecco i soliti Verdi che fanno la loro campagna elettorale su questa roba...". Reagisce così il presidente dei senatori dell’Udc, Francesco D’Onofrio, al blitz di alcuni esponenti dei Verdi e della Rosa nel Pugno durante il test anti-droga organizzato dai centristi in piazza Montecitorio. Un altro militante dell’Udc, rincara la dose: "Invece di pensare a questi episodi dovrebbero occuparsi dei rifiuti in Campania". Piccato, risponde il verde Paolo Cento: "Di monnezza è pieno il Parlamento, quello bisognerebbe ripulire". Il militante ribatte: "Certo, tu di monnezza te ne intendi". Ma Cento lo fulmina: "Io a mignotte però non ci vado". Droghe: caso Mele; aperta indagine per cessione stupefacenti
Affari Italiani, 1 agosto 2007
Cessione di sostanze stupefacenti: è questa l’ipotesi di reato formulata dalla procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta sulla serata "allegra" trascorsa venerdì sera in un hotel di via Veneto dall’ex deputato dell’Udc, Cosimo Mele, in compagnia di due donne, di cui una ricoverata all’ospedale San Giacomo in evidente stato confusionale forse per l’assunzione di droga. Il procuratore Giovanni Ferrara ha delegato gli accertamenti alla squadra mobile che, dopo aver ascoltato la giovane "squillo" sentitasi male, dovrà raccogliere anche le dichiarazioni testimoniali dell’amica. Gli inquirenti vogliono capire chi ha portato la droga in camera e chi l’ha ceduta agli altri. Sul punto, le versioni dell’ex parlamentare dell’opposizione e della ragazza ricoverata non coincidono assolutamente: lui ha escluso di aver portato droga, lei non è stata dello stesso avviso. E così sarà inevitabile l’audizione di Mele. "Si deve ancora decidere in quale veste sarà sentito", spiegano a palazzo di giustizia, cioè se da indagato o da persona informata sui fatti. "La legge antidroga è uguale per tutti?": a chiederlo è Giulio Manfredi, della direzione di Radicali Italiani, a proposito della vicenda della nottata del deputato Cosimo Mele con due "squillo". L’esponente radicale chiede cioè "di verificare al più" presto se un deputato della Repubblica ha violato una legge dello Stato". Manfredi ricorda quanto prescrive la legge Fini-Giovanardi, e in particolare che chiunque offre, cede, distribuisce, procura ad altri, passa… sostanze stupefacenti è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000. Per i fatti di lieve entità, la pena va da uno a sei anni e la multa da euro 3.000 a euro 26.000. Stesse pene per chiunque acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene sostanze stupefacenti che per quantità... ovvero per modalità di presentazione... ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale". Se poi non si supera la soglia ("fissata dal ministro della Salute ad interim Silvio Berlusconi a 750 milligrammi") si applicano le sanzioni amministrative e non penali. Turchia: l’Ue condanna Ankara per casi di torture ai detenuti
Il Meridiano, 1 agosto 2007
Strasburgo La Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato la Turchia per "falaka". Cioè per aver torturato con percosse sulla pianta dei piedi, un detenuto che aveva protestato contro la severità delle carceri turche e per aver inflitto simili pratiche ad alcuni curdi sospettati di essere membri del Pkk (il Partito dei lavoratori curdi inserito nella lista nera delle organizzazioni terroristiche). Sabri Diri, incarcerato nel 2000 in una prigione di massima sicurezza di Istanbul, perché appartenente ad un’organizzazione criminale, aveva partecipato ad una serie di scioperi della fame organizzati contro le durissime regole del penitenziario. Le manifestazioni di protesta furono immediatamente represse nel sangue dalle autorità carcerarie. Una serie di esami commissionati dalla stessa Corte di Strasburgo ha consentito di provare l’esistenza di traumi riconducibili alla "falaka", una pratica che Ankara aveva negato o, comunque, ricondotto ad altre cause. Nella sentenza pronunciata ieri, la Corte Ue ha concluso che Diri è stato torturato "intenzionalmente con lo scopo di punirlo e di annullare la sua resistenza fisica e morale nei confronti delle autorità del penitenziario". L’ex prigioniero, che ora risiede in Svizzera, ha diritto ad un indennizzo pari a 15.000 euro per danni morali. In un’altra sentenza, Strasburgo ha attribuito risarcimenti compresi tra i 5.000 e i 12.700 euro a 12 curdi residenti a Sirnak, arrestati dalla polizia turca nel settembre 1999 perché sospettati di essere iscritti al Pkk. I curdi avevano presentato ricorso alla Corte europea, accusando Ankara di avergli inflitto gravi torture, come privazione del cibo, botte ed elettroshock, per indurli a confessare. I giudici di Strasburgo hanno dato ragione a cinque di loro e riconosciuto agli altri sette l’eccessiva durata della custodia cautelare. "Ogni volta che le autorità stimano vi sia una infrazione terroristica", ricorda la Corte nella sentenza, "non hanno carta bianca per arrestare dei sospetti e per porli in custodia cautelare senza il controllo effettivo dei tribunali".
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