Rassegna stampa 31 ottobre

 

Giustizia: Mastella; questo ministero è oberato dai debiti

 

Il Messaggero, 31 ottobre 2006

 

Lo va ripetendo il ministro Clemente Mastella: "La giustizia italiana è oberata dai debiti". Esattamente 35 milioni di euro di conti in rosso solo con le società di informatizzazione. Per spiegare bene il concetto, il Guardasigilli usa una metafora molto colorita: "Stiamo facendo le zeppole senza farina". E ieri, ha ribadito il concetto sottolineando, comunque, che si tratta di un debito del precedente Governo. Nei quattro mesi del suo dicastero - chiarisce - l’accumulo con le aziende dei computer è di un milione di euro. Tanto dobbiamo: l’1,4 per cento", e lancia un invito al collega Padoa Schioppa.

Le parole del ministro vengono recepite dal sindacato Fp-Cgil che rilancia facendo scoppiare un caso. "Perché - denunciano - il Dap, che ha accumulato quasi cento milioni di euro di debito, ha deciso di comprare ben 36 Bmw da destinare ai vertici del Dipartimento penitenziario, spendendo in un colpo solo quasi due milioni di euro per macchine di rappresentanza?". Fabrizio Rossetti, responsabile nazionale del settore penitenziario, definisce la spesa "una pura e irresponsabile provocazione": le 36 auto costano 50 mila euro ciascuna e "rappresentano - afferma - l’offensivo contraltare allo stato di degrado in cui versano decine e decine di istituti penitenziari della Repubblica". Fp-Cgil chiede quindi l’intervento di Mastella "per bloccare quest’offensivo sperpero di denaro pubblico". Anche perché, aggiungono: "con quella cifra si potevano acquistare apparecchi per le emergenze cardiache di tutte le carceri italiane, potevano essere sanati i debiti per l’acquisto di farmaci per gli istituti penitenziari del centro sud, poteva essere garantita la manutenzione e il miglioramento delle condizioni strutturali delle carceri del Nord". Sul "caso Bmw", poi, ha presentato un’interrogazione parlamentare il deputato di Fi Enrico Costa, membro della Commissione Giustizia della Camera, che - sottolinea - "è una notizia che ha dell’incredibile".

Giustizia: direzione Dap, faccia a faccia tra Mastella e Mancuso

 

Ansa, 31 ottobre 2006

 

Si sono incontrati in Prefettura, durante la colazione di lavoro offerta dal prefetto Renato Profili per la visita a Napoli del ministro della Giustizia francese Pascal Clément. Un incontro cordiale, durato solo pochi minuti, faccia a faccia e lontano da sguardi indiscreti quello tra il Guardasigilli Clemente Mastella ed il procuratore aggiunto di Napoli Paolo Mancuso.

Il nome di Mancuso - attualmente coordinatore della sezione "Criminalità comune", uno dei magistrati inquirenti più esperti della Procura guidata da Giovandomenico Lepore - resta tra quelli favoriti nella rosa di candidati a dirigere il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Il mandato ricoperto da Giovanni Tinebra è scaduto e nelle prossime settimane il Consiglio dei ministri dovrà nominare il suo successore. Mancuso, che ha presentato domanda per dirigere il Dap, resta tra i favoriti, insieme con l’altro candidato, l’ex pm palermitano Giuseppe Ayala.

Nessuna dichiarazione ufficiale al termine dell’incontro. Paolo Mancuso è stato coordinatore della Direzione distrettuale antimafia, prima di approdare - qualche anno fa - proprio al dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, che ha lasciato per tornare a Napoli, sempre in servizio negli uffici inquirenti della Procura.

Giustizia: i detenuti al lavoro nel settore agro-alimentare

 

Ifg on-line, 31 ottobre 2006

 

"Il caffè pure in carcere ‘o sanno fa", diceva De Andrè. E, senza scommettere sulle abilità dei secondini con la moka, non si può dargli torto. Alla Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, infatti, un maestro torrefattore insegna ai detenuti l’arte del caffè: selezionare, tostare e impacchettare. Il progetto Pausa Cafè, sostenuto da un investimento di 800.000 euro, è equo-solidale: impiega carcerati per vendere un caffè coltivato in Guatemala, nel distretto di Huehuetenango, da cui prende il nome. In America Latina sono 100 le famiglie che lavorano nei campi di questo caffè che arriva in Italia e dopo la torrefazione in cella viene distribuito con il Presidio Slow Food nei supermercati Coop di Piemonte, Lombardia e Liguria. Ma tra poco si spera di trovarlo anche nei negozi di prodotti equo.

Grazie all’art. 21 della legge 354/75 sul lavoro penitenziario, secondo le stime del maggio 2006, 12.723 dei circa 60.000 detenuti internati nelle carceri italiane possono investire il loro tempo in attività remunerate o volte all’inserimento sociale al termine della pena. Di questi privilegiati (sono meno di un quarto) 2.480 lavorano fuori dalla cinta muraria e 10.456 in istituto. Tra questi, negli ultimi anni sono aumentati quelli che scelgono il settore gastronomico.

La Casa Circondariale di Vercelli, ad esempio, ha ricevuto dalla Caritas e dal Ministero della Giustizia un totale di 280.000 euro di fondi per aprire un corso che insegni ai detenuti il mestiere dell’agricoltore. Nei 300 metri quadrati assegnati dovranno seminare e raccogliere i prodotti tipici della zona, oltre ad applicare quando studiato nelle classi-cella. Orti meravigliosi anche nel carcere della Giudecca, a Venezia. Da qualche anno le detenute della sezione femminile hanno un banco al mercato del giovedì: ortaggi biologici, erbe aromatiche e fiori, un punto di riferimento per i veneziani. Preso in gestione nel 1995 dalla Cooperativa Rio Terà dei Pensieri, l’orto da cui provengono questi prodotti è di circa 3000 metri quadrati ed è recentemente stato diviso in sezioni. Come nelle migliori aziende agricole, le detenute dell’ex Convento delle Convertite diversificano la produzione: un campo di carciofi, ortaggi vari, fiori e piante della macchia mediterranea da cui verranno estratti gli oli essenziali che utilizzeranno nella produzione si shampoo e fitocosmetici.

Svetlana, che ha seguito il corso dall’inizio, ha studiato cultura generale, composizione di fiori secchi e tecniche agricole di base: semina, coltivazione e utilizzo della vanga. "Quando ho fatto l’esame - racconta - ero così agitata che mi sono dimenticata di essere in carcere". A Vicenza, invece, a studiare da agricoltori sono in 12, tutti detenuti di alta sicurezza. In aula per 450 ore a imparare economia e ecologia verde, poi tutti nell’orto a coltivare zucchine e pomodori che serviranno alle cucine del carcere.

Pane e biscotti fair trade, invece, al carcere di Siracusa. Dal 2003 li producono quattro detenuti, seguiti da due panettieri esterni, un addetto commerciale, un educatore, un coordinatore e un volontario del servizio civile. È più il corredo burocratico che il reale impiego dei detenuti (6 a 4), ma il progetto è stato un successo: la cooperativa Arcolaio ha aperto il laboratorio nell’istituto e il Progetto Soledad si occupa della distribuzione. E i prodotti, tutti equo-solidali, vantano il perfetto connubio tra sicilianità e gusto latinoamericano. I Biscotti ‘Nzulli, ad esempio, si preparano con mandorle, farina di grano duro siracusana e zucchero di canna proveniente dalla Costa Rica, gli Occhi di Bue hanno un ripieno di datteri importati e quelli al cioccolato hanno nell’impasto il cacao dell’Ecuador. La stessa politica della torrefazione del carcere di Lorusso e Cutugno che con il suo Pausa Cafè è arrivato fino al Salone del Gusto e nei padiglioni di Terra Madre.

Affascinati dalla ristorazione i carceri di grandi città come Milano e Roma. San Vittore ha ottenuto l’appalto per un servizio di catering da offrire alla Provincia mentre i detenuti di Rebibbia hanno organizzato cene per esterni: decorazione della sala, preparazione e preparazione delle portate. A Vercelli, invece, sono 20 i carcerati che studiano da "operatore ai servizi di cucina" presso l’Istituto Alberghiero di Gatthiara, un’orgogliosa seconda F che forse aspira a lavorare in un ristorante "vero". Come alcuni degli ospiti del Carcere Sant’Agostino di Savona, assunti come camerieri dal Ristorante Miglio Verde.

L’enologia di nicchia, invece, ha regalato popolarità tra gli addetti ai lavori ai detenuti del carcere di Vellteri che lavorano presso la Cooperativa Lazzaria. Un giro d’affari di 100.000 euro per il novello Il Fuggiasco, prodotto dal 2002, e per Quarto di luna, uno chardonnay che ha conquistato il marchio Igt e il plauso del Vinitaly. Venduti in esclusiva nei supermercati Coop, hanno in progetto di commercializzare nuove etichette nel 2007.

Vocazione letteraria, invece per il carcere di Fossano, a Cuneo: è uscito Gambero Nero, ricettario fotografico fusion che conta ricette come Fuoco sui carabinieri. Si intrecciano i piatti della tradizione alle note più speziate dei detenuti extra-comunitari, il cui contributo è fondamentale per capire il palato degli istituti. Subito è arrivato in libreria il concorrente: Ricette d’evasione, solido mix di ricette italiane e internazionali, con una sezione sulle cucine del carcere. Il coperchio della crema bucato per tramutarlo in grattugia e i cannoli preparati con il manico di una scopa, l’arte di arrangiarsi.

Giustizia: Cgil; visti i debiti, perché il Dap acquista 36 Bmw?

 

Ansa, 31 ottobre 2006

 

Il Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria ha accumulato quasi "cento milioni di euro di debito", soprattutto "nell’ultimo anno di esercizio finanziario di governo Berlusconi", ma nonostante ciò - denuncia la Fp-Cgil - i vertici del Dap avrebbero deciso di procedere all’acquisto di "ben 36 nuovissime Bmw" spendendo in "un sol colpo 1.728.000 euro per macchine di rappresentanza".

Fabrizio Rossetti, responsabile nazionale del settore penitenziario del sindacato, definisce la spesa "una pura e irresponsabile provocazione": le 36 Bmw nuove da 50mila euro ciascuna "rappresentano l’offensivo contraltare allo stato di degrado in cui versano decine e decine di istituti penitenziari della Repubblica". Fp-Cgil chiede, in una nota, l’intervento del ministro della Giustizia Clemente Mastella "per bloccare quest’offensivo sperpero di denaro pubblico".

"Con quella cifra si potevano acquistare defibrillatori ed elettrocardiografi per le emergenze cardiache di tutte le carceri italiane, potevano essere sanati i debiti per l’acquisto di farmaci per tutti gli istituti penitenziari del centro sud; poteva essere garantita la manutenzione ed il miglioramento delle condizioni strutturali di tutte le carceri della Lombardia, della Liguria, dell’Emilia Romagna. Con quella cifra - prosegue Rossetti - potevano essere acquistati 2.500 personal computer per gli istituti ed i centri di servizio sociale necessari alla informatizzazione dei servizi e per mettere in esercizio le applicazioni informatiche già disponibili che i vecchi PC non supportano".

E ancora: "1,7 milioni di euro è più o meno il costo delle spese di vitto per un carcere come San Vittore o quello necessario per provvedere alla ristrutturazione generale ed all’adeguamento alle norme di sicurezza sul lavoro di un grande istituto penitenziario come Rebibbia. Con quella cifra, invece, il Dap ha deciso di rinnovare un parco macchine di rappresentanza ‘vecchio’ di appena un anno e mezzo". Fp-Cgil ritiene che sia "ormai giunta l ora di procedere senza esitazione alcuna ad un chiaro e visibile ricambio della guida del Dap", condotto "sull’orlo del fallimento".

Il sindacato stila quindi un elenco dei debiti accumulati sotto il precedente governo Berlusconi:"otto milioni e mezzo di euro il debito per quel che riguarda le spese di manutenzione degli immobili, circa 4 milioni quelli per il pagamento del servizio farmaceutico e per l’organizzazione ed il funzionamento del servizio di assistenza sanitaria ai detenuti, lo stesso debito per le spese per il funzionamento degli uffici penitenziari. A quasi cento milioni di euro - conclude - ammonta il debito per le spese per i servizi e per le provviste di ogni genere per il mantenimento dei detenuti e degli internati".

Giustizia: comunicato del Dap in merito ad acquisto delle Bmw

 

Comunicato stampa, 31 ottobre 2006

 

In merito a notizie pubblicate oggi da alcuni quotidiani, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria precisa quanto segue: "Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sta trattando l’acquisto di vetture destinate alla traduzione di detenuti, di collaboratori di giustizia nonché alla tutela del personale sottoposto a protezione. Le suddette autovetture, peraltro già in uso dal Gruppo Operativo Mobile per i fini istituzionali del Corpo di Polizia penitenziaria, sono state concesse in uso gratuito dalla società Bmw da circa un anno. L’unico aggravio per l’erario consiste nel consumo dei carburanti.

Le suddette autovetture protette di fascia media sostituiscono altrettante autovetture Fiat Croma blindate immatricolate negli anni 1991-’92, con moltissimi chilometri di percorrenza e quindi con un grado di affidabilità assai precario. È bene precisare che tale fornitura non è neppure sufficiente a coprire il fabbisogno previsto nell’apposita pianta organica per tale tipologia di mezzo.

È quindi del tutto infondata la notizia circa la destinazione a fini di rappresentanza delle predette autovetture, in quanto si tratta di vetture non di lusso, non di alta gamma, ma di fascia media qual è la Bmw serie 3 che risulta essere, tra le autovetture protette di pari livello e segmento, quella più economica sul mercato".

Giustizia: mancano le auto, 11 Pm di Catania rimettono mandato

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 31 ottobre 2006

 

Mancano le vetture, il carburante e anche gli autisti. Restano così a piedi gli 11 magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catania che, "per protesta contro questa situazione e per problemi di sicurezza" da tempo non firmano lo "schema di accordo di protezione" inviato dal ministero dell’ Interno, e oggi hanno rimesso il loro mandato nelle mani del Procuratore della Repubblica, Mario Busacca.

Le officine meccaniche si rifiutano di riparare i guasti, perché i titolari vantano crediti per oltre 35 mila euro, la stessa cosa accade con la benzina, che i magistrati pagano di tasca loro per andare a lavorare. Il distretto giudiziario di Catania comprende anche le Procure di Siracusa, Ragusa, Modica e Caltagirone. "Preso atto delle continue e perduranti gravissime disfunzioni riscontrate - scrivono gli 11 Pm della Dda di Catania in un documento inviato al procuratore capo e al ministero della Giustizia - la carenza di personale tecnico e le condizioni fatiscenti ed obsolete delle autovetture blindate utilizzate non consentono di adeguatamente salvaguardare la nostra incolumità, nè, tanto meno, di garantire un corretto svolgimento dei compiti istituzionali".

I magistrati antimafia di Catania osservano nella missiva che "a tale deficitaria condizione si è da ultimo aggiunta una avvilente indisponibilità di risorse finanziarie che non consentono, ormai da mesi, di approvvigionare le vetture di carburante, nemmeno per garantire la nostra presenza in udienza". Tanto che lo comprano loro a titolo personale. "Alla luce di tale insostenibile situazione - spiegano i Pm della Dda etnea, non abbiamo sottoscritto lo schema di accordo per la protezione ancora una volta trasmesso dal ministro dell’ Interno il 18 agosto scorso".

"I componenti della Direzione distrettuale antimafia - concludono gli 11 sostituti procuratori - ritengono di non dover ulteriormente subire la mortificazione di non potere adempiere di fatto ai propri compiti istituzionali come legge prescrive e coscienza impone, rassegnando, pertanto, il nostro mandato". Il documento è firmato dai sostituti Francesco Puleio, Ignazio Fonzo, Fabio Scavone, Giovannella Scaminaci, Agata Santonocito, Francesco Testa, Iole Boscarino, Alessandro Centonze, Federico Falzone, Pasquale Pacifico, Andrea Ursino.

Indulto: di nuovo sovraffollate carceri di Regina Coeli e Latina

 

Apcom, 31 ottobre 2006

 

Con l’indulto un sospiro di sollievo, ma ora la situazione del sovraffollamento nelle carceri italiane torna ad aggravarsi. Come dimostrano i casi degli istituti di reclusione di Regina Coeli, a Roma, e di Latina. A spiegarlo, dai microfoni di Radio Carcere (in onda stasera alle 21 su Radio Radicale), i direttori delle due strutture. "Regina Coeli - chiarisce il direttore del carcere del centro storico romano, Mauro Mariani - può ospitare al massimo 800 detenuti, compreso il centro clinico. Prima dell’indulto i detenuti erano 980. Fatto l’indulto, verso il 15 agosto, le presenze sono scese a 746 detenuti, ma oggi nel carcere di Regina Coeli siamo di nuovo a 960 detenuti presenti. Con la ripresa dell’attività giudiziaria - ha aggiunto - siamo risaliti ai numeri di presenze prima dell’indulto. Va detto che pochi detenuti, usciti con l’indulto, sono rientrati. Oggi tuttavia riscontriamo ingressi in carcere che riguardano stranieri o tossicodipendenti. La realtà è che io mi trovo a riaffrontare gli stessi problemi di prima dell’indulto".

Una situazione analoga viene descritta a Radio Carcere dal direttore dell’istituto di Latina, Claudio Piccari: "Il carcere di Latina ha una capienza regolamentare di 55 detenuti. Prima dell’indulto a Latina c’erano 125 detenuti. Dopo l’indulto siamo scesi a 83 detenuti, ma poi la situazione è di nuovo peggiorata. Tanto che oggi i detenuti sono 105, quasi il doppio della capienza regolamentare e in celle da 3 ci sono 5 detenuti".

Umbria: varata la legge sul garante dei diritti dei detenuti

 

Asca, 31 ottobre 2006

 

La Regione Umbria nominerà il garante dei detenuti, una persona di comprovata esperienza che dovrà farsi carico di tutelare i diritti umani e civili delle persone sottoposte a misure restrittive. Il Consiglio regionale, alla quarta seduta consecutiva dedicata all’esame del disegno di legge, ha approvato il testo con 16 voti a favore espressi dalla maggioranza di centrosinistra e 10 contrari della Cdl. Tre sole le novità rispetto alla proposta arrivata in aula e tutte introdotte da emendamenti presentati a nome della Giunta dall’assessore Damiano Stufara: riguardano l’elezione del garante a maggioranza di due terzi (20 consiglieri su trenta); la riduzione del 40 per cento delle spese inizialmente previste; l’attenuazione della esclusività dell’incarico del garante che durerà cinque anni e non sarà rinnovabile. La minoranza che nelle precedenti sedute aveva esercitato una ferma opposizione presentando 15 emendamenti tutti respinti, ma soprattutto prendendo la parola per il tempo previsto dal regolamento, ha rinnovato l’assoluta contrarietà alla legge.

A favore del garante, si è espresso il consigliere di Rifondazione comunista Stefano Vinti, che in sede di dichiarazione di voto ha criticato la "feroce opposizione della minoranza che ha segnato, ancora una volta- ha detto - lo spartiacque sull’idea politica di Società". Contrario allo impianto della legge è stato Franco Zaffini, capogruppo di An; "sulle questioni sociali - ha sottolineato - che sono serie anche in Umbria, non si può fare politica". Pietro Laffranco (CDL) ha detto che "il disegno di legge è sbagliato e si pone il problema di tutelare prima chi commette reati rispetto a chi li subisce. C’erano problemi molto più urgenti in questi giorni dalla viabilità umbra messa in discussione, fino agli effetti negativi delle Finanziaria. Siamo stati costretti a parlare del garante delle carceri, con l’aggravante che viene dopo il provvedimento di clemenza.

Voglio chiarire che non abbiamo fatto ostruzionismo, abbiamo solo utilizzato i tempi previsti per i lavori dell’aula. La nostra attenzione sarà altissima al momento di scegliere il nome del garante. La nostra opinione - ha concluso Laffranco - rimane energicamente contraria a questo disegno di legge." Critiche sono venute anche dall’UDC con il capogruppo Enrico Sebastiani il quale ha sostenuto che "il garante non potrà mai rappresentare i bisogni e le istanze dei detenuti. E non è una risposta alle emergenze delle carceri. Quattro sedute del Consiglio regionale su questo provvedimento sono state eccessive su un argomento che non interessa la gran parte dei cittadini." "Questo provvedimento - ha detto Luigi Masci, capogruppo della Margherita - testimonia la sensibilità diffusa che c’è nel paese in riferimento alla salvaguardia dei diritti fondamentali dei detenuti sanciti dalla Costituzione (diritto al lavoro, alla salute, allo studio, alla formazione professionale) e in riferimento al reinserimento dei detenuti nella società".

Dopo aver dichiarato il voto favorevole, Masci ha ricordato che "la figura del garante dovrà essere verificata sul campo e questa verifica spetterà al Consiglio regionale che ha competenza sia in ordine alla nomina che al funzionamento. Se sorgeranno incongruenze c’è la piena disponibilità a riverificare tutto. Con questa rivisitazione il provvedimento va approvato, sottolineando che il garante dovrà essere un soggetto di alto profilo morale e professionale". Per Fiametta Modena (FI) "la partita si riaprirà quando si tratterà di eleggere il Garante con la maggioranza dei 2/3: anche il quel momento l’opposizione farà la sua parte. Rimaniamo contrari alla figura stessa del Garante". Fabrizio Bracco (DS) che ha avuto parole critiche nei confronti del centrodestra "avremmo preferito dedicare queste quattro sedute del Consiglio regionale ad altri argomenti, anche altri problemi rilevanti per la regione" ha detto di essere sorpreso dallo approccio del Centrodestra che "contrappone rei e vittime dei reati, comparando in modo ideologico condizioni che non sono comparabili. I carcerati sono esseri umani che vivono una condizione di difficoltà che la società non può ignorare. Il Garante sarà uno strumento anche per gli operatori sociali che ogni giorno si trovano ad affrontare grandi difficoltà nelle carceri".

Rossano: protocollo d'intesa tra Casa Circondariale e Comune

 

Quotidiano di Calabria, 31 ottobre 2006

 

L’assessore comunale alla pubblica istruzione e politiche sociali Rosa Pirillo ha incontrato la direttrice della casa circondariale di Rossano Angela Paravati. Si sono determinate, da subito, larghe intese e volontà di intraprendere percorsi comuni al fine di creare le migliori condizioni possibili perché alla detenzione si assicuri, una dignità umana. La Paravati, insieme al comandante della Polizia penitenziaria Prudente ha fatto da guida facendo visitare all’assessore la falegnameria, la sala teatro, la sala accoglienza dove i detenuti ricevono le visite dei familiari.

Significativa la visita nella sala dove vengono ricevuti i bambini, tutta addobbata con disegni e colori che sollevano, in qualche modo, dall’angustia del luogo in sé e che creano una cornice di accoglienza rispettosa della fragilità di personalità in crescita come quelle dei bambini.

Dall’incontro è scaturito un protocollo d’intesa, che presto verrà firmato da ambo le parti, sulla base del quale si è convenuto di elaborare un progetto teatrale che partirà dal teatro di Eduardo, atteso che molti detenuti, provengono dalla Campania, per proseguire poi con altri testi che di volta in volta verranno concordati. L’assessore, nel complimentarsi con la direttrice Paravati per tutto quanto è riuscita a realizzare in una situazione di particolare difficoltà e delicatezza, si è impegnata, altresì, a commissionare l’acquisto di arredi scolastici nonché il recupero di quelli che richiedono la manutenzione. "Ci sono nella realtà rossanese - ha detto l’assessore Pirillo - tante risorse, tante energie, tante intelligenze che messe insieme potrebbero portare a realizzare obiettivi di ampio respiro e di grande valenza sociale ed umana". "Basterebbe uscire dagli schemi mentali, dalle sovrastrutture ideologiche - ha infine aggiunta la Pirillo - che spesso ci fanno volare basso e ci fanno abbandonare per strada buoni compagni di viaggio".

Napoli: Mastella; sull’ipotesi dell’esercito si può discutere

 

Adnkronos, 31 ottobre 2006

 

È emergenza criminalità a Napoli. Dopo i delitti delle ultime ore, il rapinatore ucciso dal tabaccaio a Crispano, l’omicidio di Arzano e quello di Pozzuoli, politici e istituzioni tornano ad interrogarsi. Per contrastare i fenomeni di criminalità nel capoluogo partenopeo, il ministro della Giustizia Clemente Mastella, oggi a Napoli per incontrare il suo omologo francese Pascal Clement, non esclude l’impiego dell’esercito. Parlare di esercito, afferma, "era per me prima un tabù. Oggi sono aperto alla discussione". Poi spiega: "Non ho scontrosità e ritrosie laddove ci fossero ipotesi di esercito a presidio di alcune strutture in modo che agenti di forze dell’ordine possano svolgere il loro compito con maggiore scioltezza".

Per Mastella la discussione è anche un’occasione per tornare a difendere l’indulto. "Mi pare che la situazione di questi giorni a Napoli – sostiene - sgombri il terreno da analisi molto frettolose fatte in maniera un po’ imprevidente da chi aveva considerato l’indulto come un mostro". E aggiunge: "Ritenere che la responsabilità di questa recrudescenza fosse dell’indulto è stata una sciocchezza: la situazione a Napoli era e rimane drammatica. Quelli che delinquono sono gli stessi che lo facevano prima. Poi ci sarà anche chi è uscito per indulto, ma la spietatezza di questi giorni dimostra che la colpa non è del provvedimento".

La questione dell’esercito però non convince il presidente della Regione Campania Antonio Bassolino. Nonostante sia prioritario "concentrare le energie nella lotta alla camorra, che è il cancro mortale", secondo Bassolino è più opportuno seguire la strada dei "rinforzi" che quella di un impiego dell’esercito sul territorio. Dalle colonne de "La Repubblica" afferma così che "magistratura e forze dell’ordine vanno dotate di tutti gli strumenti più avanzati". E poi servono "più uomini e più mezzi" per combattere la criminalità di strada. L’esercito "è un facile slogan -dice il governatore-. Io mica mi oppongo. Ma forse si dimentica che l’esercito è già venuto altre volte e non ha risolto un granché".

Con Bassolino si trovano d’accordo i senatori di Rifondazione Comunista Giovanni Russo Spena, Tommaso Sodano e Raffaele Tecce: "Pensare di portare l’esercito a Napoli contro la criminalità è un grande errore che non risolverebbe certo la drammatica situazione della città - affermano i senatori in una nota - Certo, è giusto pensare ad una razionalizzazione dell’uso delle forze dell’ordine ed anche a un loro rafforzamento, ma non si ricostruisce la società civile ed il tessuto sociale con la semplice repressione".

Puntare sulla prevenzione e sulla ricostituzione del tessuto culturale è invece l’idea di Piero Fassino per cominciare a risolvere il problema della criminalità a Napoli. "Il tema della sicurezza è una priorità assoluta su cui produrre uno sforzo eccezionale in alcune zone come a Napoli, dove bisogna mettere in campo uno sforzo supplementare e straordinario per controllare il territorio", ha detto il leader della Quercia nel corso della puntata di "Otto e mezzo" che andrà in onda questa sera su La7. "Ma i problemi della città di Napoli non si risolvono solo con l’ordine pubblico. C’è una situazione di emergenza per cui serve rafforzare il lavoro di prevenzione dell’ordine pubblico, ma c’è anche un problema di ricostituzione del tessuto culturale che si è slabbrato", ha aggiunto.

Napoli: Lega; la criminalità è cresciuta a causa dell’indulto

 

Apcom, 31 ottobre 2006

 

"L’allarme degli 007 sulle conseguenze dell’indulto è la risposta, finalmente non politica, all’indirizzo del ministro della Giustizia che anche ieri, in una battuta televisiva, ha affermato senza alcun pudore che l’indulto per quanto riguarda i morti ammazzati a Napoli non c’entra assolutamente nulla". È quanto si legge in una nota congiunta dei senatori della Lega Nord Piergiorgio Stiffoni, Ettore Pirovano, Paolo Franco e Massimo Polledri.

"Solo in provincia di Napoli - sostengono i parlamentari leghisti - l’indulto ha dato una spinta e fatto uscire 8 mila detenuti così, guarda caso, dal 2 agosto ogni giorno, a cadenza programmata, vengono eseguiti degli omicidi. Su 26 mila che hanno beneficiato del provvedimento di clemenza, 1.118 sono stati arrestati in flagranza di reato e rispediti in cella. E Mastella continua a fare la sua solita risatina e andare a cimentarsi come ballerino in tv, piuttosto che, insieme al suo collega Amato, prendere sul serio la situazione".

Napoli: Mastella; cittadini hanno paura, serve più presenza Stato

 

Asca, 31 ottobre 2006

 

"Esercito o non esercito serve una straordinaria presenza dello stato, delle istituzioni, della coscienza popolare, perché oggi i napoletani sono in preda ad una grande paura che bisogna vincere; da soli forse non ce la fanno più; istituzioni e governo hanno il dovere di fare tutto il possibile per eliminare questa paura". Lo ha detto il ministro guardasigilli Clemente Mastella a Terni, a margine della inaugurazione della mostra "Forme e colori del silenzio - arte in carcere" rispondendo alle domande dei giornalisti sulla situazione della sicurezza al Sud dopo i fatti di criminalità crescente nel napoletano. Mastella, sull’indulto, ha sostenuto come ci sia stata un’ampia maggioranza sul provvedimento respingendo le critiche che vengono da alcune parti smentite dal fatto che le carceri oggi sopportano un carico inferiore di detenuti. Sulla finanziaria invece il guardasigilli ha ribadito che c’è "il dovere di modificarla" in particolare tutelando le aspettative di pensionati e lavoratori, perché non si possono chiedere "sacrifici un po’ a tutti".

Roma: gli studenti del liceo "Le Muse" cantano per i detenuti

 

Il Messaggero, 31 ottobre 2006

 

"L’Istituto superiore Le Muse, canta Mimì per i detenuti di Regina Coeli". Si terrà domani pomeriggio all’interno del carcere romano, lo spettacolo dei ragazzi iscritti al liceo linguistico per le arti dello spettacolo di Nettuno. "I detenuti - spiegano gli organizzatori - avranno così la possibilità di ammirare questi giovani talenti in una sorta di opera-balletto, con la partecipazione di quattro cantanti e quattro danzatori".

Regista dell’evento sarà Massimiliano Ottolini, fondatore della scuola nettunese, mentre in costumi saranno affidati alle mani di Paola Siraco e la direzione dei cantanti che andranno in scena a Federica Bracchetti. Lo spettacolo, ideato da Massimo Di Gregorio, psicologo del carcere, riproporrà alcune delle canzoni più significative della vita di Mia Martini. Tra queste, "Notturno", "Almeno tu nell’universo", "Minuetto", "Gli uomini non cambiano", "Cummè", "La nevicata del ‘56", "E non finisce mica il cielo" , e "Piccolo uomo".

Pisa: interrogazione parlamentare su situazione Centro Clinico

 

Il Tirreno, 31 ottobre 2006

 

E sul carcere Don Bosco compare anche un’interrogazione parlamentare: è firmata dagli onorevoli Maria Luisa Boccia, Di Lello Finuoli, Vano e Russo Spena, che si sono rivolti al ministro della giustizia. L’interrogazione chiede "chiarimenti sull’operato dei magistrati di sorveglianza e sui vari scioperi della fame che sono avvenuti al Don Bosco da parte di detenuti malati.

Al punto da richiamare anche l’attenzione del sindaco". Nel testo Si precisa anche "la difficile situazione del carcere che avrebbe una capienza di 226 detenuti ma ne ha ospitati fino a 407 con solo 226 unità di personale, 4 educatori e 8 psicologi e delle difficoltà del Centro clinico del Don Bosco, oberato da ricoverati gravissimi".

I parlamentari chiedono al ministro: "Se non si ritenga opportuno fornire ulteriori informazioni e chiarimenti in merito alle condizioni ed alle modalità di gestione della vita carceraria nell’istituto di pena di Pisa, nonché in ordine all’operato degli organi territorialmente competenti della magistratura di sorveglianza; in particolare: sulla base di quali criteri siano state motivate le numerose ordinanze di rigetto delle istanze di differimento dell’esecuzione della pena nei confronti di detenuti gravemente malati, per i quali numerose perizie mediche hanno dichiarato l’incompatibilità con il regime carcerarlo delle relative condizioni di salute; quali provvedimenti siano stati previsti, all’interno del carcere di Pisa e in particolare nell’ambito del centro diagnostico terapeutico, per garantire la dignità e il diritto alla salute dei detenuti ivi ristretti; se si ritenga che le condizioni di sovraffollamento e strutturale inadeguatezza del carcere di Pisa, che continuano a suscitare proteste ed atti di autolesionismo da parte dei detenuti, siano compatibili con le prescrizioni dettate in materia dalla disciplina dell’ordinamento penitenziario, di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, ed al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, "Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà"; se non sia opportuno adottare adeguati provvedimenti volti a migliorare le condizioni di disagio e degrado in cui versano i detenuti del carcere di Pisa, denunciate ormai troppo spesso nelle sedi più diverse, sottolineandone l’incompatibilità con i requisiti minimi di ordine strutturale, organizzativo e ambientale, prescritti dalla normativa italiana ed internazionale, al fine di garantire che il trattamento penitenziario sia "conforme ed umanità" ed assicuri "il rispetto della dignità delle persone (art. 1, comma primo, legge 26 luglio 1975, n. 354)".

Livorno: riaperto il caso di Marcello Lonzi, riesumata la salma

 

Il Tirreno, 31 ottobre 2006

 

È stata riesumata mercoledì la salma di Marcello Lonzi, il detenuto livornese morto nel carcere delle Sughere il 12 luglio 2003, e oggi verranno compiuti i primi esami sul corpo. La riesumazione è stata decisa dal procuratore reggente, Antonio Giaconi, che ha accolto la richiesta di nuovi accertamenti presentata da Ezio Menzione, avvocato di Maria Ciuffi, madre del Lonzi. Oggi al cimitero dei Lupi si svolgeranno i primi esami, tra i quali sono previsti accertamenti radiografici al cranio e al torace per capire se Lonzi abbia subito o meno dei colpi la sera che morì. Maria Ciuffi infatti ha sempre sostenuto che il figlio non è morto per un infarto come affermava la prima indagine, ma che invece avrebbe subito un pestaggio. Le consulenze sono affidati al professor De Ferrari di Brescia per la procura e al professor Salvi di Genova per la madre di Lonzi.

 

Detenuto morì in carcere: dopo tre anni salma riesumata

 

La salma di Marcello Lonzi, il detenuto livornese morto nel carcere labronico delle Sughere il 12 luglio 2003, è stata riesumata su ordine della procura di Livorno che ha recentemente riaperto le indagini. Oggi saranno effettuati esami radiografici al cranio e al torace tesi a evidenziare le eventuali percosse subite dal detenuto. Secondo la madre, Maria Ciuffi, tutelata dall’avvocato Ezio Menzione, Lonzi infatti sarebbe morto in seguito a un pestaggio subito in cella da parte degli agenti di polizia penitenziaria. La precedente indagine della procura livornese sulla morte del giovane, invece, si concluse con l’affermazione che il detenuto fosse morto per un infarto. Tra i nuovi elementi depositati da Menzione, e che hanno spinto la procura di Livorno a riaprire il caso, ci sono anche alcune tracce di sangue collocate in zone della cella non rilevate dai periti durante la precedente indagine. Non solo: a convincere la procura livornese e il gip che la vicenda meritasse ulteriori attenzioni vi sono alcune ferite sul corpo di Lonzi che non erano state prese in considerazione.

 

Caso Lonzi, 5mila euro per il processo

 

Soddisfatta Maria Ciuffi, la mamma di Marcello Lonzi, per il raggiungimento della cifra di 5mila euro che consentirà il pagamento delle spese per la riapertura del processo sulla morte del figlio, avvenuta tre anni fa nel carcere delle Sughere di Livorno. I cinquemila euro sono stati raccolti a Pisa fra cittadini, tifosi nerazzurri e appartenenti al movimento antagonista Newrotz. L’ultima iniziativa, lo scorso fine settimana alle Piagge, nella ex sede dell’ex centro Macchia Nera, ha permesso il raggiungimento del tetto previsto a finanziare la riapertura del processo, già accordata dopo le precedenti archiviazioni di Livorno e di Genova, e che vedrà il primo atto nella riesumazione della salma del giovane. Maria Ciuffi ringrazia tutti quelli che hanno appoggiato nella sua battaglia per accertare la verità sulla morte del figlio.

Vercelli: "Codice a Sbarre", ecco la moda in stile carcerario

 

La Stampa, 31 ottobre 2006

 

Per lavorare alla nuova collezione, c’è anche chi ha scelto di rinunciare ad alcune ore di libertà: dalla passione di quattro detenute - grazie a un progetto sociale voluto dal carcere di Vercelli, in collaborazione con il Ministero della Giustizia - è nata la linea di jailwear (abbigliamento carcerario) "Codiceasbarre", che oggi sfila per la prima volta, a Milano, sulle note di "Nessuno tocchi Caino", cantata da Andrea Mirò.

Partito nel 2002 con poche proposte, il progetto di moda e solidarietà si è via via allargato, fino a comprendere una collezione di una cinquantina di capi, per uomo e per donna, tutti legati al mondo carcerario. L’ispirazione della collezione per la prossima primavera-estate, creata dalle detenute e dal team stilistico Vanilla Lab, viene dall’archivio delle divise carcerarie, quelle che si usavano prima del 1975: niente metallo, solo cerniere in plastica; stampe al posto delle "pericolose" etichette, dove si potrebbero nascondere stupefacenti; coulisse con fettucce corte per non farsi del male; tasche non tagliate ma applicate a toppa, per mantenere sempre il contenuto in vista.

E poi la scritta for healthy prisoners, che distingueva i capi destinati ai detenuti sani da quelli riservati agli ammalati. Sempre dalle detenute, è venuta l’idea della reversibilità dei capi, con cui hanno voluto segnalare "che, fuori, il tempo del lavoro non è il tempo libero, mentre per loro - spiega Caterina Micolano, direttrice del progetto - è esattamente il contrario".

Così, da una parte felpe, T-shirt e maglioni sfoggiano il classico tessuto a righe, simbolo dell’omologazione carceraria, mentre dall’altra puntano su colori come il grigio e il nero, rappresentanti dello stile dominante nelle metropoli. Anche i tessuti richiamano il mondo carcerario e le sue necessità: cotoni ingualcibili o che comunque si stirano velocemente "perché in prigione, l’ora di stiratura - spiega Micolano - bisogna prenotarla con largo anticipo".

La linea, distribuita nei migliori negozi di 13 regioni, è di livello medio alto, con proposte dai 40 euro in su. Nato come progetto sociale nel 2002, come proposta sulle Pari Opportunità, presentato dal Settore Politiche Sociali del Comune di Vercelli, in partenariato con il Consorzio sociale Armes, il Ministero di Giustizia, la Consigliera di Parità, e sostenuto dal Ministero del Lavoro nell’ambito della Misura e del Fondo Sociale Europeo, "Codiceasbarre" è partito con un corso di taglio e cucito per quattro detenute, che oggi sono imprenditrici a tutti gli effetti.

Assunte a tempo indeterminato, seguono lo stile della linea, personalizzano i capi e definiscono strategie di marketing. Una di loro, la 31enne rom Valerie, grazie all’indulto oggi potrebbe godere del regime di semilibertà, che le permetterebbe di uscire dal carcere di Vercelli alle 9 di mattina, per farvi ritorno alle 21, ma ha chiesto insistentemente di rinunciare ad alcune delle sue ore libere per poter continuare a lavorare in laboratorio fino alle 14. Anche le ferie, per paradosso, sono punitive per queste lavoratrici che, comunque, una volta scontata la loro pena, potranno continuare a seguire il progetto anche da "esterne", in una nuova logica di reinserimento lavorativo, che poggia sulla passione e sull’imprenditorialità al femminile.

Bari: un ex detenuto; "con la mia fedina nessuno mi assume"

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 31 ottobre 2006

 

"Non voglio tornare a delinquere e tornare in prigione". È l’appello che A.F. lancia alle istituzioni. Con precedenti penali per contrabbando, oggi in libertà vigilata e con uno sconto di pena ricevuto grazie all’indulto che lo vedrà però costretto alla residenza a Giovinazzo (BA) fino al prossimo settembre e soprattutto, a quanto dichiara, con l’intenzione di voltar pagina, si è visto chiudere le porte i faccia da tutti. La sua è la ricerca disperata di un lavoro. "Il mio nome è seguito dalla mia fedina penale - afferma -.

Per questo non c’è nessuno che voglia offrirmi una possibilità". Con quattro figli e due nipoti affidati dal tribunale dei minori a sua moglie, questi ultimi gli unici a ricevere aiuti economici dai servizi sociali, sarebbe disposto ad accettare qualsiasi lavoro, anche il più umile. "Mi sono anche offerto per la raccolta delle olive - in questo settore e in questo periodo c’è necessità di mano d’opera - ma anche per questo tipo di lavoro non trovo nessuno disposto a "rischiare" per me. Questa è ormai una situazione mi sta facendo perdere la dignità di uomo". A.F. nel recente passato si è reso protagonista di atti di intemperanza nei confronti degli amministratori pubblici.

"È stato frutto della mia disperazione - si difende facendo riferimento a quegli episodi -. Le mie richieste di aiuto sono state interpretate come la ricerca di un semplice sussidio. Ma i pochi euro che la mia famiglia ha ricevuto in questo anno sono serviti a mala pena a pagare una bolletta Enel".

Quello di A.F. non è un caso limite. Sono in molti quelli che, avendo beneficiato dell’indulto, si trovano nelle stesse condizioni. Per una legge appena varata che presto ha mostrato le sue falle. Soprattutto per l’assenza di progetti concreti legati al reinserimento nella società di chi ha potuto lasciare il carcere. Nonostante esistano fondi legati all’inserimento nel mondo produttivo degli ex detenuti. Sono gli imprenditori lungimiranti che in questo caso mancano.

"Sarei disposto anche ad emigrare in qualche città del nord - conclude il protagonista della storia - ma essendo in libertà vigilata, non posso allontanarmi da Giovinazzo. Sarebbe considerata una evasione, nonostante ciò mi verrebbe voglia di tentare. Per spiegare poi ad un giudice tutta la mia situazione". Intanto, non gli resta altro da fare che ciondolare per le vie della città cercando di trovare qualche espediente pur di sopravvivere.

Parma: se l’ambiente diventa un’opportunità per i detenuti

 

Redattore Sociale, 31 ottobre 2006

 

È stato presentato solo oggi ufficialmente il progetto "L’ambiente un’opportunità", promosso dalla Provincia e dalla Direzione degli Istituti di pena parmensi. Sono infatti al lavoro già da un mese i dieci detenuti del carcere parmense protagonisti di questa iniziativa: 8 di loro sono impegnati a ripristinare una zona del Parco del Taro gravemente danneggiata lo scorso anno da un incendio doloso, mentre gli altri 2, affidati a Legambiente, stanno lavorando nel greto del torrente Parma. Il progetto è nato come naturale prosecuzione dell’iniziativa svoltasi lo scorso 13 maggio, in cui una ventina di detenuti hanno rimesso a nuovo un’area del Po di Polesine Parmense (vedi lancio del 28/08/2006). Da allora sono stati attivati una decina di tirocini finalizzati a lavori socialmente utili: si va dal taglio di piante cadute, agli sfalci e pulizia dei sentieri, alla costruzione di zattere e nidi artificiali per gli uccelli. Vengono inoltre costruite o riparate staccionate, parapetti, capanni osservatorio, tavoli e panche ed eseguiti lavori di ristrutturazione nella corte di Giarola, sede del parco. Allo stesso modo all’interno dell’area di riequilibrio ecologico del torrente Parma verranno eseguite attività di manutenzione e di gestione del verde a supporto di richieste di cittadini.

"Abbiamo scelto di comunicare questa iniziativa ad un mese dal suo avvio, perché il clima sociale creatosi dopo l’indulto avrebbe potuto incidere negativamente sul senso di questa esperienza che ha la finalità di creare le condizioni affinché nessuno possa dire di essere stato lasciato solo. In questo modo si offre una possibilità di rifarsi una vita a chi ha sbagliato, prevenendo il pericolo di reiterazione del reato", ha spiegato l’assessore provinciale Tiziana Mozzoni. "Il carcere deve essere vissuto come una risorsa. A questo obiettivo guarda la nostra iniziativa che ha una duplice finalità: offre ai detenuti un’opportunità di costruire un percorso futuro all’esterno del carcere e contribuisce a rendere più bello l’ambiente", ha sottolineato il direttore degli Istituti di pena Silvio Di Gregorio. Il progetto è realizzato con la collaborazione del volontariato, cooperazione sociale, ente di formazione. Il progetto di tirocini ha previsto anche una parte teorica, un percorso di orientamento e socializzazione svoltosi in aula che ha toccato diversi temi fra cui un’analisi delle leggi e normative relative al contesto italiano e locale, con la finalità di formare competenze per l’inserimento occupazionale.

Il lavoro dei detenuti all’interno del Parco del Taro è supportato da tutor forniti da una cooperativa sociale, specializzata in ambito ambientale, una figura che segue i detenuti durante le ore di lavoro, e che si rapporta in modo continuativo con il Consorzio di solidarietà sociale, che ha compiti di coordinamento delle cooperative sociali che aderiscono al progetto. Inoltre un tutor di Forma Futuro effettuerà un monitoraggio costante dell’ evoluzione del tirocinio delle singole persone, in raccordo con l’assessorato alle Politiche sociali e sanitarie che funge da punto di riferimento e da coordinatore della progetto. I detenuti sono impegnati otto ore al giorno. Il progetto iniziato il 2 ottobre 2006 terminerà il 4 dicembre 2006.

Ambiente: rapporto "Zoomafia LAV", più crimini contro gli animali

 

Asca, 31 ottobre 2006

 

Cavalli costretti a correre su improvvisati e pericolosi circuiti stradali urbani, spesso all’imbrunire o di notte, drogati con stimolanti per aumentarne le prestazioni (11% dei farmaci dopanti utilizzati), con antinfiammatori (73%) per fargli sopportare fatica e dolore, con broncodilatatori (7%), con sostanze attive sul sistema nervoso centrale, miorilassanti e tranquillanti (3%). La LAV presenta la VII edizione del Rapporto Zoomafia: in esame i crimini contro gli animali nel biennio 2004/2005, un fenomeno i cui confini risultano sempre più ampi e che coinvolge ambiti fino a poco tempo fa considerati marginali.

Le inchieste avviate confermano che il doping non è una pratica circoscritta alle sole corse clandestine, ma interessa anche corse ufficiali e, fenomeno sempre più in crescita, i palii e le corse associate a feste padronali, manifestazioni che, in particolare in Sicilia, attirano anche interessi malavitosi. Le corse clandestine di cavalli e le infiltrazioni criminali nel settore dell’ippica si confermano campi in cui le organizzazioni malavitose hanno trovato notevoli fonti di guadagno. Tra il 2004 e il 2005, sono state bloccate dalle forze di polizia 16 corse illegali, sequestrati 130 cavalli e denunciate 696 persone, di cui 4 minorenni, nell’ambito di inchieste su corse clandestine e truffe nell’ippica, scommesse e doping.

Almeno 14 i macelli clandestini scoperti dalle forze dell’ordine e circa 50mila gli animali d’allevamento sequestrati perché allevati abusivamente, destinati alla macellazione illegale, o affetti da patologie: questi alcuni dei numeri di un fenomeno in preoccupante crescita, quello della “Cupola del bestiame”, con un fatturato annuo di almeno 250 milioni di euro, che in alcune regioni gestisce un vero e proprio mercato parallelo di carni provenienti da animali rubati o malati, macellati clandestinamente con metodi particolarmente brutali e al di fuori di ogni controllo igienico-sanitario.

Il tutto con la complicità di venditori disonesti e veterinari pubblici collusi grazie ai quali la macellazione illegale può avvenire addirittura nei macelli pubblici o convenzionati. Sono loro, infatti, che “lavano” gli animali attraverso documentazione falsificata, permettendo quindi il passaggio dalla fase della clandestinità a quella della legalità. Parallelo ma contiguo al mercato clandestino di carne, il fenomeno dell’abigeato, ovvero il furto di bestiame, che interessa circa 100mila animali ogni anno. Secondo alcune stime, in tutta Italia, i “furti” di animali d’allevamento sono aumentati del 20%, la Sicilia con un aumento del 18,7% è al primo posto seguita dal Lazio con il 13,6%.

Accanto ai canili lager e al business sui randagi che garantisce agli sfruttatori di questi animali introiti stimati intorno ai 500 milioni di euro l’anno, grazie a convenzioni con le amministrazioni locali per la loro gestione, cresce il traffico di cani importati dai Paesi dell’Est: circa 20/25 mila cuccioli importati illegalmente ogni anno. Molto fiorente per le organizzazioni criminali il traffico illecito di fauna esotica protetta, che interessa circa un terzo di quello legale: oltre 70 le persone denunciate nel biennio 2004/2005 per reati connessi all’importazione e alla vendita a vario titolo di animali, piante o parti di essi, appartenenti a specie protette o in via d’estinzione, per un business quantificabile in circa 7-8 miliardi di euro l’anno.

E non sono cifre che stupiscono se di pensa che solo nel nostro Paese, in un anno, sono venduti illegalmente 10-15 mila pappagalli esotici, con un costo che varia dai 2.000-2.500 euro per il cacatua, fino ai 10.000 euro per il cacatua oftalmica, solo per citare un esempio. Ma il commercio di animali selvatici riguarda anche animali appartenenti a specie autoctone italiane, che alimenta in maniera preoccupante il bracconaggio con un giro d’affari di circa 5 milioni di euro.

In alcune zone del Paese la caccia di frodo è diventata un business gestito dalla criminalità organizzata. Recentemente, però, si registra una maggiore attenzione da parte degli organi inquirenti che ha portato ad attività investigative di grande spessore. Nonostante ciò, mercati "specializzati" come quello palermitano di Ballarò o quello di Via Brecce a Sant’Erasmo di Napoli, non presentano cenni di crisi. Tra i banchi dei popolari mercati si trovano facilmente gabbie stracolme di piccoli uccelli protetti, detenuti in condizioni pietose, trasportati in stato di esasperata cattività. Non mancano mammiferi e rettili: sono stati sequestrati, infatti, anche scoiattoli, tartarughe e serpenti.

Anche il mare è saccheggiato dalla criminalità: fiorente il traffico di datteri di mare, stelle marine, ricci diadema, posidonia, cavallucci e tartarughe marine, tursiope, tonno rosso, squalo bianco, cernia bruna, tutte specie protette pescate illegalmente per la vendita sottobanco ai ristoranti. Ogni anno in Italia vengono raccolte illegalmente tra le 80 e le 180 tonnellate di datteri, equivalenti a 4-9 ettari di fondali desertificati.

Si calcola che per un piatto di linguine ai datteri si distrugge un quadrato di fondale di 33 centimetri di lato. Le “spadare”, reti lunghe chilometri che fanno strage di pescespada e di specie protette come delfini, tartarughe, capodogli, al bando dal 2002, sono usate ancora a centinaia nel Mediterraneo nonostante gli indennizzi per la riconversione ottenuti dall’Unione Europea. Il Servizio navale operativo della Guardia di Finanza e di Stato e Unione Europea, con la quale gli armatori avrebbero ottenuto fino a 260mila euro ciascuno per una riconversione mai realizzata.

Sempre attiva la “guerra” che si combatte nella laguna veneta tra “caparozzolanti” (pescatori di vongole) e forze dell’ordine, fatta di inseguimenti, conflitti, feriti e morti, che ha portato all’arresto di circa 100 persone in due anni, coinvolte in un giro d’affari che frutta a una sola barca circa 500 euro a notte, e presuppone un’organizzazione capace di gestire la commercializzazione del pescato. Introiti notevoli: basti pensare che in un anno, una sola società di pescatori è stata capace di immettere sul mercato un milione e 500 mila chili di vongole avvelenate, per un valore commerciale di 10 milioni di euro.

 

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