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Giustizia: 4 lettere all’Associazione Radicale "Il Detenuto Ignoto" A cura di Irene Testa, segretario de "Il Detenuto Ignoto"
Left - Avvenimenti, 25 marzo 2006
Crimini minori
"Mi chiamo Maria, sono detenuta, devo scontare una pena di cinque anni. Fuori da qui, purtroppo, non ho nessuno ad attendermi (questo già dall’infanzia) e il mio arresto mi ha portato a perdere tutto compreso l’affetto di uno splendido bimbo di quattro anni che, dopo un intervento degli assistenti sociali, mi è stato tolto e dichiarato in stato di adottabilità. Mi è rimasto solo il lavoro che il mio datore mi ha conservato nonostante fosse al corrente del mio arresto. Sono in carcere perché ho spacciato hascisc…"
(M.L.)
Questa è una delle tante lettere che quotidianamente arrivano presso la sede dell’Associazione "il Detenuto Ignoto". In particolare, come tante altre, questa lettera mette in risalto la oggettiva perdita di riferimenti affettivi tanto spesso subita da chi varca i cancelli di una struttura penitenziaria per scontare una pena. Ci si rende conto, purtroppo, di come per legge venga vanificato o annullato anche ciò che dovrebbe invece essere tra le principali fonti di riscatto in un percorso teso alla riabilitazione del reo, ovvero proprio quei legami intimi di appartenenza familiare che sono alla base del vivere sociale. E questo è tanto più grave quando ad essere messo in discussione è il vincolo d’amore della disponibilità di una madre al figlio di pochi anni. La delicata situazione delle detenute madri e dei loro figli è una materia che solo in tempi relativamente recenti è diventata oggetto di leggi che, però, così come attuate, comportano degli effetti collaterali piuttosto controversi, causati dall’impossibilità per alcune detenute, soprattutto straniere e/o senza fissa dimora, a scontare una pena commutata in arresti domiciliari. Accade così che in Italia circa 60 bambini fino all’età di tre anni, tempo estremamente prezioso e delicato della vita del bambino, condividano con le loro madri gli ambienti non proprio edificanti delle patrie galere, e che, se allo scadere dei tre anni le loro madri non si troveranno ancora in grado di ottenere gli arresti domiciliari, questi bambini saranno loro tolti per essere dati in affidamento. Ma i problemi derivanti nelle famiglie dalla reclusione di un loro membro sono naturalmente anche di altra natura, meno affettiva, più materiale ma anch’essa drammatica. Pensiamo a tante famiglie costrette a macinare settimanalmente, a proprie spese, anche migliaia di chilometri per andare a trovare il proprio caro rinchiuso in un carcere lontano, o a quelle che non hanno più in casa chi provveda al sostegno economico del nucleo. Vediamo così come ci troviamo di fronte a un’impostazione politica e culturale della pena che, oltre a punire i colpevoli, colpisce duramente anche i loro prossimi congiunti, e in questo processo è seriamente messa in gioco ogni speranza per quei detenuti, per i loro figli, per le loro famiglie, di ritrovare un domani una propria, ancorché fragile, serenità affettiva e morale.
Il naufragio dell’amnistia e delle speranze
"Mi chiamo L. e vi scrivo a nome di tutta la II° sezione del carcere di S. Anche se penso di rappresentare il pensiero di molti che come me, vivono ristretti in questo mondo a parte che è il pianeta carcerario. Tutti noi per l’ennesima volta ci ritroviamo a partecipare (grazie a voi) al momento più importante della nostra detenzione (dopo la scarcerazione ovviamente..) la proposta dell’amnistia e dell’indulto. […] Siamo chiusi in cella 21 ore al giorno, senza neanche lo spazio fisico per stare in piedi, senza corsi professionali, ne scuole superiori e inferiori dell’obbligo. Siamo ostacolati in qualsiasi iniziativa, e buttati volontariamente in istituti lontani dalle nostre famiglie. Ora vi chiedo: " dov’è la volontà di recuperarci?" perché non prendono forma le belle idee, che alcuni dicono di voler attuare solo nei periodi pre-elettorali?
L.
Il 1 marzo scorso si è svolto a Roma il convegno "La salute in carcere, parliamone senza censure" organizzato dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria, al quale il Pontefice, il presidente Ciampi e il ministro Castelli hanno voluto contribuire con alcuni messaggi… e c’era da aspettarselo: è bastato un breve tiepido messaggio del Pontefice, un apprezzamento del Presidente Ciampi al convegno, che i media nazionali hanno subito riempito i propri palinsesti con lunghi servizi sui temi della detenzione, e le dichiarazioni sono fioccate a sostegno dei poveri detenuti un po’ da ogni parte politica (evidentemente un rigurgito di umanità a buon mercato fa bene un po’ a tutti in campagna elettorale). Non che l’informazione non serva alla causa che anzi meriterebbe un’attenzione più regolare, non solo contingente, da parte dei media. Ma in realtà c’è poco di nuovo. I dati forniti la settimana scorsa dal Dap al convegno non aggiungono molto (anzi presentano alcune lacune) a quanto da tempo denunciato come una situazione in continuo peggioramento che porterà presto al disastro, nonostante le infondate rassicurazioni del ministro Giovanardi. Era proprio sulla base di questi dati e dell’esperienza di tanti operatori che a Natale il Comitato Promotore della Marcia per l’Amnistia per la Giustizia e la Libertà si era messo al lavoro, e il suo impegno ha permesso a centinaia di persone di manifestare per questa grave questione sociale, dando forza alla seduta straordinaria in Parlamento per la discussione e votazione dei provvedimenti di amnistia e indulto. C’è invece da chiedersi dov’erano allora il Presidente Ciampi e Papa Ratzinger e il Dap con il Ministro Castelli, il cui silenzio di quei giorni fa comunque più rumore - alle orecchie dei detenuti, degli operatori e degli agenti di custodia - delle loro ultime esternazioni.
Prigionieri della droga
"Sono in carcere da circa un mese, per scontare una condanna a 5 mesi di carcere per un reato commesso 12 anni fa, quando ero tossicodipendente. Nel frattempo mi sono rifatto una vita, avevo un lavoro, ho sposato una ragazza e ho una bimba bellissima di tre anni. Adesso però la mia esistenza ha perso di nuovo senso. Ho perso il lavoro, e mia moglie e la bambina sono sole ad affrontare troppi guai. Se riuscissi a scontare questi mesi in misura alternativa o in affidamento sociale potrei lavorare per poter mandare a casa i soldi per mia moglie e la bambina, e per pagare una parte delle spese per l’avvocato…"
Matteo
Matteo ci scrive da Rebibbia e ci parla di un problema che molto di rado è stato posto all’attenzione dei lettori, e di sicuro meno che mai all’attenzione dei telespettatori italiani. Eppure il problema esiste, e pur senza doverlo sperimentare si può facilmente comprendere quale disgrazia possa significare per coloro – neanche tanto pochi – che ne sono vittima, e per le loro famiglie, vittime innocenti. Più in generale, in questo paese la Giustizia ha assunto una lentezza e un ingarbugliamento progressivo tali da generare veri e propri paradossi della sua funzione, arrivando a distruggere esperienze importanti e spontanee di riabilitazione sociale, come nel caso di Matteo, privato del lavoro e separato dagli affetti per lui più significativi, per essere sottoposto a una pena che non si può proprio dire essere tesa alla rieducazione del condannato.
A Luciano serve aiuto
"Mi chiamo F. e mi trovo ristretto nel carcere di M. da qualche anno. Purtroppo in questo istituto sono tante le cose che non vanno, manca qualunque tipo di attività ricreativa e lavorativa. Ma il motivo di questa lettera non riguarda la mia situazione personale, insieme ai miei compagni di cella abbiamo pensato di scrivervi per denunciare la grave situazione in cui verte un nostro compagno di cella che è malato di Aids. Luciano, si chiama così, sta molto male, e noi inermi assistiamo ogni giorno a questa assurda ingiustizia: non essendoci in questa struttura né medici, né farmaci a disposizione questa persona non riesce a ricevere le cure adeguate. L’avvocato di Luciano ha presentato istanza per chiedere il differimento della pena o la sostituzione della misura carceraria con quella domiciliare, ma la richiesta è stata bocciata, con la seguente motivazione: per ottenere il differimento della pena è necessario che la persona si trovi in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative. Quindi non basta che il condannato sia affetto da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria, occorre che la malattia sia giunta ad una fase così avanzata da escludere la rispondenza del soggetto ai trattamenti disponibili o alle terapie. Pur non essendo noi dei medici, siamo certi, vivendoci ogni giorno insieme, che Luciano non potrà resistere ancora molto tempo in queste condizioni. Vi chiediamo aiuto per una persona che ha sbagliato, ma che ha comunque diritto a morire con dignità fuori da queste mura."
F.
Nelle carceri italiane il 27% dei carcerati è tossicodipendente, e i malati di Aids sono 1.525, pari al 2,5% del totale. Secondo lo stesso Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, in realtà, questa patologia avrebbe un’incidenza effettiva perlomeno tripla rispetto al dato ufficiale, dal momento che il test sull’Hiv è facoltativo e almeno due terzi dei detenuti rifiutano di sottoporsi all’analisi specifica. Non c’è da meravigliarsi su questo. Basti pensare che in questo rifiuto gioca un ruolo fondamentale non solo il timore della persona detenuta, come anche spesso della persona libera, di scoprirsi malato, ma anche più probabilmente il timore che, in un ambiente angusto e sovraffollato come la cella, dove la precarietà dell’igiene e il frequente e non controllabile uso promiscuo di particolari oggetti (come per esempio le lamette da barba) sono squallida quotidianità, tale malattia possa comportare l’emarginazione dai riti sociali e dalla solidarietà dei compagni. Non è questo il caso di Luciano che invece, proprio grazie alla solidarietà dei compagni, riesce perlomeno a dar notizia della sua situazione al mondo esterno. Ma la questione più grave riguarda proprio la medicina penitenziaria, che troppo spesso risulta inefficiente quando non addirittura inesistente, e questo aspetto ha subito un’ulteriore peggioramento da quando la responsabilità sanitaria sui detenuti è stata scaricata dal Dap alle Asl (i cui fondi per la medicina penitenziaria sono stati falcidiati nel corso delle diverse finanziarie) in un passaggio di consegne mai definitivamente perfezionato che ha generato confusioni e accavallamenti di pertinenze, e alla fine chi ne fa le spese, sulla sua pelle, è sempre il più debole. In realtà non ci vuole troppo buon senso per comprendere che certi tipi di patologie andrebbero trattati in ben altro modo e in ben altre strutture. Qualcuno dirà che per questo esistono diverse soluzioni fino al ricovero esterno in appositi reparti ospedalieri riservati ai detenuti, costantemente piantonati. Il tutto è arrivarci vivi.
Padova: piano del Comune; incentivi a chi assume ex detenuti
Il Gazzettino, 25 marzo 2006
Alla realizzazione delle idee-guida hanno dato il loro contributo una trentina di associazioni, oltre ai tecnici del settore. L’ottanta per cento di coloro che escono dal carcere vi rientrano, se non sono oggetto di un progetto di recupero. Partendo da questo presupposto, Claudio Sinigaglia ha predisposto un Piano sul carcere che risponde in primis all’esigenza del reinserimento nella vita sociale dei detenuti. Il progetto è il frutto della collaborazione tra il settore di via del Carmine e una trentina fra associazioni, cooperative, Università e volontari che si occupano di promuovere la formazione dietro le sbarre. "Non servono interventi frammentati - ha spiegato l’assessore - ma è necessario che siano coordinati e contraddistinti da una certa continuità. Il Piano, quindi sarà in vigore dal 2006 al 2008 e si muoverà all’insegna di obiettivi e azioni strategiche. Quella del carcere è una realtà molto complessa, ma importantissima, come dimostrano i numeri. La Casa di reclusione ospita 750 persone, tutti uomini, il 90% delle quali sta scontando una condanna definitiva. 670 sono i soggetti sottoposti a trattamento rieducativo, mentre circa 120 fanno un lavoro in carcere con le cooperative dove si occupano di cucina, pasticceria, giardinaggio. Nella casa Circondariale c’è una situazione di costante sovraffollamento con 225 detenuti, il 90% dei quali è costituito da cittadini stranieri, che hanno una loro specificità culturale, linguistica e religiosa e che quindi necessitano quindi della presenza di figure come i mediatori culturali. Alla luce di tutto ciò abbiamo predisposto un progetto finalizzato al superamento della frammentarietà delle iniziative, all’ottimizzazione delle risorse, alla collaborazione con il personale degli istituti di pena e alla tutela delle fasce più deboli della popolazione carceraria. Per raggiungere l’obiettivo sono state individuate alcune aree prioritarie: istruzione, formazione-lavoro, attività ricreative, sportive, culturali e di socializzazione". Le azioni strategiche contenute nel Piano del Comune sono finalizzate al reinserimento lavorativo degli ex detenuti; vanno proprio in questo senso le borse-lavoro, cioè il sostegno economico previsto per gli imprenditori disponibili ad assumere un detenuto. Un’altra iniziativa riguarda i progetti di collaborazione con le cooperative sociali di tipo B, cioè quelle che, oltre che degli ex detenuti, si occupano anche dei disabili e delle persone in stato di disagio. Un altro passaggio previsto è l’accoglienza nelle comunità dei soggetti che si trovano in stato di semilibertà. È sbagliato - ha detto ancora Sinigaglia - considerare quella carceraria come un’altra realtà. Bisogna pensare al recupero delle persone mettendo a loro disposizione risorse in modo coordinato: a questo proposito anche la Fondazione Cassa di Risparmio si è dichiarata disponibile a darci un aiuto". Padova: Casa Circondariale, presto aprirà una nuova sezione
Il Gazzettino, 25 marzo 2006
Sarà inaugurata entro la metà di aprile la nuova sezione della casa circondariale di via Due Palazzi. Una struttura da 87 posti così suddivisi: uffici, tre celle da tre posti e quattro da quattro detenuti al piano rialzato, cinque da 4 letti, due singole e tre da tre posti al primo piano, altre cinque da 4 detenuti, due singole e tre da tre posti al secondo piano. È stato realizzato un blocco che ha una capienza complessiva di poco inferiore al corpo vecchio (87 posti a fronte dei 92 dell’obsoleta struttura, oggi sovraffollata). Non è però ancora chiaro il destino di quest’ala. È quanto hanno appreso le organizzazioni sindacali di Fp-Cgil, Fps-Cisl e Uil-Fpl nel corso dell’incontro di ieri mattina con il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Felice Bocchino e con la direttrice della casa circondariale Antonella Reale. Il massimo responsabile del sistema penitenziario veneto ha illustrato la proposta della sua struttura tecnica: con l’apertura del nuovo corpo la vecchia e fatiscente struttura carceraria dovrebbe essere chiusa. È una decisione che Bocchino non può però prendere da solo. L’ultima parola spetterà infatti al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di Roma. Vi è quindi il rischio che il provveditore si trovi costretto ad accettare i diktat romani. Per ovviare alla drammatica situazione del sovraffollamento nelle celle (262 detenuti a fronte di una capienza di 92 posti) la Cisl ha avanzato la proposta di una radicale ristrutturazione e contestuale messa a norma del corpo vecchio. Non solo. Nella nuova sezione vi sono gravi deficit strutturali come la mancanza di cancelli e telecamere, passeggi inadeguati alla capienza prevista. Mancano inoltre gli uffici per il funzionamento dell’istituto e ci si dovrà appoggiare ai servizi della parte vecchia, che dista un centinaio di metri. "Noi non abbasseremo la guardia - afferma Bernardo Diana, coordinatore territoriale dei penitenziari - quindi agiremo a livello ministeriale per evitare decisioni avventurose che potrebbero aggravare ancora di più la situazione dei detenuti e le condizioni di lavoro e di sicurezza del personale, costretti già oggi a turni massacranti, con la rinuncia a ferie e riposi". "Il risultato ottenuto conferma la gravità della situazione - aggiunge il segretario generale della Cisl Giovanni Faverin - lunedì ci attiveremo per chiedere l’intervento del prefetto. Ci auguriamo che le scelte vengano fatte in ambito locale" Avezzano: Cisl rilancia la proposta di ristrutturazione a zone
Il Tempo, 25 marzo 2006
Ristrutturazione a zone, spostamenti interni e riduzione temporanea della ricettività, sono queste le proposte del segretario della Cisl Marsica, Paolo Sangermano, che interviene sulla delicata questione del carcere di Avezzano. "Tale soluzione emersa nell’incontro del 16 marzo, tra organizzazioni sindacali e il Provveditore regionale all’Amministrazione penitenziaria, se tecnicamente percorribile, comporterebbe il mantenimento della funzionalità della struttura carceraria, anche se con una temporanea minore ricettività rispetto a quella attuale, ed eviterebbe la definitiva chiusura del carcere". Sangermano, rivolto alle istituzioni, ricorda come la chiusura provvisoria del carcere di Avezzano sia contenuta nel decreto ministeriale del 30 gennaio 2001 nel quale il San Nicola viene inserito fra gli istituti "strutturalmente non idonei alla funzione propria" da sostituire con nuova struttura. "Tuttavia le rappresentanze politiche ed istituzionali - incalza Sangermano - hanno colpevolmente ignorato in questi anni la necessità di realizzare, in tempi compatibili, una nuova e funzionale struttura carceraria che rispondesse ai requisiti richiesti dalla legge in materia di igiene e scurezza. Per quanto sopra la Cisl ritiene auspicabile che tutte le future iniziative attivate dalle istituzioni interessate prendano avvio dalla consapevolezza che la salvaguardia della struttura è strettamente collegata al mantenimento dell’operatività, seppur ridotta, della stessa. Risulta di tutta evidenza – conclude – che soluzioni diverse comporteranno inevitabilmente la perdita di questo ulteriore importante istituto con pesanti conseguenze sul piano occupazionale, sociale ed economico dagli effetti devastanti per un territorio già duramente colpito da importanti crisi e spogliato di infrastrutture e servizi fondamentali". Viterbo: apre ufficio di mediazione sociale e giustizia riparativa
Asca, 25 marzo 2006
Un mediatore per attenuare le conseguenze di un reato, per fornire assistenza alle vittime e per favorire il reinserimento responsabilizzato del reo sarà presto una realtà nel territorio regionale. Su proposta dell’Assessore all’Istruzione, diritto allo studio e formazione, Silvia Costa, la Regione Lazio ha deliberato, infatti, nella Giunta di oggi, di "istituire il Comitato tecnico scientifico nell’ambito della realizzazione del progetto sperimentale di Ufficio di Mediazione sociale e giustizia riparativa, che avrà sede presso la Provincia di Viterbo". Obiettivo della giustizia riparativa, definito dall’Onu e dal Consiglio d’Europa, è di offrire una maggiore accessibilità dei cittadini alla giustizia - si legge in una nota - "una nuova attenzione alle vittime ed una apertura costruttiva a spazi responsabilizzanti di impegno da parte degli autori del reato". La figura del mediatore penale ed esperto in giustizia riparativa, dunque, è una figura professionale di particolare importanza, che esige un’adeguata preparazione. La Regione Lazio ha dato l’avvio al corso di formazione sperimentale per operatori in tale settore, al quale hanno avuto accesso 14 corsisti provenienti da tutte le categorie della società: uomini e donne delle differenti fasce di età. Realizzato attraverso l’Agenzia per lo sviluppo delle amministrazioni pubbliche (Asap), il percorso formativo è stato messo a punto con l’obiettivo di istituire sperimentalmente, a Viterbo, un primo Ufficio di Giustizia riparativa e mediazione penale, il cui Comitato scientifico sarà presieduto da Maria Pia Giuffrida, dirigente generale dell’Amministrazione penitenziaria e coordinatrice della Commissione di studio "Mediazione penale e giustizia riparativa", che ha definito il "pacchetto formativo". "È un segno della particolare attenzione al percorso di rispetto della dignità umana, che coinvolge innanzitutto le vittime, dando loro un sostegno da un punto di vista sia morale, sia legale - dichiara l’Assessore all’Istruzione, Silvia Costa - Agli autori di reati, poi, attraverso la conoscenza degli effetti delle loro azioni e della funzione riparatrice della pena, dà una possibilità di guardare al futuro in modo costruttivo. Infine, per opera del mediatore penale si favorisce l’attenuazione dei conflitti sociali e l’incontro e la comprensione delle parti coinvolte." La rilevanza del progetto della Regione Lazio è duplice. Da un lato, fornisce risposte riparative; dall’altro, garantisce l’omogeneità degli interventi di assistenza e di mediazione, di riparazione e di prevenzione, offrendo un modello che possa poi diventare esportabile anche in altre Regioni. Il corso, della durata di un anno, è stato articolato in tre moduli: Giustizia riparativa e mediazione penale; Criminologia, Psicologia della devianza ed elementi di vittimologia; Elementi di diritto e procedura penale. Sono previsti, inoltre, tre seminari che mirano ad approfondire alcune tematiche mediante l’incontro con istituzioni, associazioni di vittime o loro familiari, operatori di uffici di mediazione già esistenti. Pesaro: agenti "quasi detenuti", 33.000 ore di straordinari nel 2005
Il Messaggero, 25 marzo 2006
"Mi hanno riferito della situazione del carcere di Pesaro e non appena riceverò informazioni più dettagliate mi muoverò per porre la questione a chi compete". Alla fine anche il presidente della Provincia, Palmiro Ucchielli, è intervenuto sulla questione carcere e sui problemi legati alla carenza di organico della casa circondariale pesarese. Il decreto ministeriale che periodicamente definisce l’organico di ogni istituto carcerario ha riconosciuto al carcere pesarese una carenza di 19 uomini, come spiega il sindacalista del Sappe, Aldo Di Giacomo: "La mancanza di agenti di polizia penitenziaria che, a dire il vero caratterizza tutte le carceri italiane, a Pesaro è diventata quasi insostenibile. Nell’ultimo anno la casa circondariale di villa Fastiggi ha fatto ricorso a 33.000 ore di straordinari, senza contare l’enorme mole di ferie non godute accumulata da ciascun agente (in tutto 150, ndr). È da tempo che stiamo denunciando questa situazione". Ma alla continua richiesta di agenti, da parte del sindacato, almeno per ora non giungono risposte confortanti dal ministero di Grazia e giustizia. A rendere ancora più tesa la situazione all’interno del carcere pesarese ci ha pensato, martedì scorso, l’aggressione di un detenuto a due agenti. La terza in meno di tre mesi. Episodi che accadono spesso all’interno di ambienti, non certo distesi, come quelli degli istituti penitenziari e che non sono mai degenerati in scontri particolarmente violenti. Episodi che, comunque, allarmano per la frequenza con cui si verificano in una realtà relativamente piccola come è quella di Pesaro. La casa circondariale di Pesaro infatti, secondo i dati forniti dal provveditorato regionale di amministrazione penitenziaria, conta 255 detenuti, di cui 20 donne e 235 uomini. Cifre che, secondo il sindacalista Di Giacomo, non giustificherebbero un numero così alto di aggressioni. La carenza di organico, poi, oltre che per gli agenti potrebbe rivelarsi negativa anche per la salute dei detenuti stessi. Secondo gli ultimi dati disponibili a Villa Fastiggi sono presenti 42 tossicodipendenti, 6 alcool dipendenti e un detenuto malato di Aids. Soggetti che, a dispetto delle carenze di organico, necessiterebbero -spiegano sempre i sindacati- di una maggior sorveglianza e assistenza per via delle precarie condizioni di salute. Giustizia: uccise il fratello tossicodipendente, graziato da Ciampi
Ansa, 25 marzo 2006
Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha concesso la grazia a Leonardo Schena, di 32 anni, di Fasano (Brindisi), il quale stava scontando nel carcere di Taranto una condanna a sette anni di reclusione per l’omicidio del fratello, Stefano Schena, all’epoca trentaduenne, compiuto la notte del 20 maggio 1999 nella loro abitazione. L’atto di clemenza è stato firmato da Ciampi il 15 marzo ed è stato notificato in questi giorni alle competenti sedi giudiziarie e alla direzione della Casa circondariale di Taranto. Schena sarebbe dovuto uscire dal carcere il 18 dicembre 2008. Il 20 maggio di sette anni fa Leonardo Schena uccise il fratello a fucilate perché esasperato dalle continue violenze alle quali Stefano - disoccupato, tossicodipendente, con piccoli precedenti penali per spaccio di stupefacenti - sottoponeva la famiglia e in particolare i genitori, nella cui casa vivevano anche i figli. Quella notte Stefano rientrò a casa ubriaco e cominciò ad inveire contro i genitori, lanciando in aria tutto ciò che gli capitava a portata di mano. Poi iniziò a picchiare i genitori che stavano cercando di calmarlo. Leonardo Schena, esasperato, prese il fucile da caccia, detenuto legalmente, e sparò due colpi, uccidendo il fratello. Poi confessò tutto ai carabinieri. Giustizia: Martinat (An); occorrono più carceri, non l’indulto...
Ansa, 25 marzo 2006
"Noi crediamo che la sicurezza dei cittadini sia una delle priorità e per questo siamo per la costruzione di più carceri sul territorio e non certo, come l’Unione, per l’indulto e l’amnistia". Lo ha affermato il vice ministro ai Trasporti e alle Infrastrutture, Ugo Martinat, partecipando ad un incontro elettorale di Alleanza Nazionale. "Con la legge Cirielli - ha aggiunto - entro pochi anni i detenuti italiani passeranno dagli attuali 60.000 ad 80.000. Per questo reputiamo necessario costruire più carceri. Chi delinque deve stare in carcere non libero per le strade". Martinat ha poi ricordato che il governo, in base ad una convenzione stipulata con l’Abania, ha costruito in quel paese un carcere dove ora sono detenuti 600 albanesi arrestati in Italia". "Per l’Italia - ha concluso - è stato molto meno costoso costruire quel carcere piuttosto che mantenere in Italia quei detenuti. Occorre lavorare per siglare altre convenzioni di questo tipo con altri paesi, per esempio il Marocco". Napoli: 81enne evade dagli arresti domiciliari e torna in carcere
Il Mattino, 25 marzo 2006
Castel Volturno. Territorio caratterizzato da forti contraddizioni ed infiniti paradossi, è anche il paese dei detenuti agli arresti domiciliari. Negli appositi registri della sola stazione dei carabinieri di via Cavour sono un centinaio quelli che hanno eletto in zona il proprio domicilio per beneficiare di questa misura detentiva. E in quella lista, fino a ieri, c’era anche Raffaele Cardone, 81 anni, condannato a sei anni dal tribunale di Bari per reati legati al contrabbando e che, data l’età avanzata, era riuscito a ottenere appunto i domiciliari. C’era, perché da ieri Raffaele Cardone si trova nuovamente rinchiuso nel carcere di San Tammaro. Il nonnetto, infatti, è evaso ed è stato sorpreso dai carabinieri nei pressi dell’ufficio postale di Soccavo, suo vecchio quartiere di residenza. Adesso il giudice dovrà decidere se lasciarlo in carcere o concedergli nuovamente i domiciliari. Ma il nonnetto a quanto pare, è refrattario a questo tipo di misura detentiva. Già l’anno scorso, infatti, evase per andare a trovare dei vecchi amici a Napoli e fu sorpreso dalle forze dell’ordine mentre scendeva da un autobus di linea. E ieri, come allora, si è giustificato alla stessa maniera: "Non posso continuare a vivere con mia figlia, ho bisogno di indipendenza". Immigrazione: Calderoli; pillole antidesiderio per extracomunitari
Ansa, 25 marzo 2006
Gli extracomunitari, che arrivano in Italia, o si portano con sé le mogli o "darei loro quelle famose pillole che azzerano il desiderio sessuale". È la soluzione, indicata all’Espresso dall’ex ministro leghista Roberto Calderoli, convinto che "se tanti reati sessuali sono compiuti da extracomunitari è perché arrivano in un’età in cui hanno gli ormoni a mille, senza donne e con le prostitute che li rifiutano". La ricetta anti-stupri è una delle proposte dell’esponente leghista che, a monte, chiede "un giro di vite sui permessi", pur consentendo di portare le famiglie. "Ci vuole - afferma Calderoli - una correzione della Bossi-Fini perché i giudici hanno aperto buchi importanti. Bisogna dare un giro di vite sui permessi. Comincerei a fissare una piccola cauzione anche per quelli di studio o turistici. E incaricherei la polizia dei controlli". Quanto ai Cpt, tanto contestati da alcuni partiti del centrosinistra, l’ex ministro del Carroccio non ha dubbi: "Sono indispensabili e l’immigrato deve uscirne solo per tornare al suo paese o per andare in carcere se ha fornito false generalità". Droghe: Pericu (sindaco Genova); liberalizzare le droghe leggere
Ansa, 25 marzo 2006
Il sindaco di Genova, Giuseppe Pericu, ribadisce la sua posizione favorevole alla liberalizzazione delle droghe leggere e rinnova la sua stima a don Andrea Gallo, protagonista di un gesto provocatorio contro la nuova legge sugli stupefacenti, difendendolo dall’attacco del consigliere comunale di Forza Italia Giuseppe Cecconi. Al centro di un dibattito che ha acceso l’odierna seduta del Consiglio comunale, creando alcuni momenti di tensione, i criteri di assegnazione del Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi, per l’organizzazione di incontri e manifestazioni, con particolare riguardo per quanto avvenuto durante la presentazione del libro di Don Gallo "Il cantico dei drogati". L’episodio risale al 9 marzo scorso, quando il fondatore della Comunità di San Benedetto al porto ha fumato uno spinello nel Salone di rappresentanza in segno di protesta. "Quando ero parlamentare ho firmato una proposta di legge per la liberalizzazione delle droghe leggere e continuo a pensarla allo stesso modo" ha ricordato Pericu, rispondendo al quesito posto dai consiglieri Benzi (Liguria Nuova), Bernabò Brea (An) e Cecconi (Fi). "È ovvio quindi - ha aggiunto il sindaco - che questa nuova legge mi metta a disagio e che la protesta di don Gallo mi trovi d’accordo. Per quanto riguarda, invece, il modo in cui tale protesta si è manifestata, credo che don Gallo possa rispondere personalmente, moralmente e, nel caso, penalmente del suo gesto. Sulla questione infatti il Comune non ha nessun potere". Pericu, precisando come sul tema della droga non si possano assumere posizioni semplicistiche, ha comunque ribadito la sua stima per il sacerdote e per la sua attività di recupero, rispondendo così alle dure accuse di Cecconi, che ha definito don Gallo "prete nero che sfrutta i drogati grazie al contributo di Comune e Asl". Droghe: Calissano patteggia 4 anni per morte ballerina brasiliana
Ansa, 25 marzo 2006
Paolo Calissano ha patteggiato stamane quattro anni di reclusione per l’accusa di omicidio colposo, in conseguenza di un altro reato, la cessione di cocaina, che aveva causato la morte per overdose della ballerina brasiliana di "lap dance" Ana Lucia Bandeira Bezerra, trovata cadavere nell’abitazione dell’attore il 25 settembre scorso. Il gup Maria Teresa Rubini ha accolto infatti, dopo una breve camera di consiglio, l’accordo sull’entità della pena raggiunto nei giorni scorsi tra il Pm Silvio Franz e l’avvocato Carlo Biondi, difensore dell’attore. "Finalmente è finita la parte giudiziaria, ora ricomincia la mia vita", ha commentato a caldo l’attore, raggiunto al telefono dalla notizia che il giudice aveva accolto la richiesta e l’entità del patteggiamento. L’attore era inoltre imputato per la cessione a terzi di cocaina nel corso di diversi festini a casa sua e per la detenzione in casa sua di un portasigari con dentro la droga. La sera invece, in cui morì la ballerina, ospiti di Calissano erano Alessio Chiarlo, un benzinaio poi arrestato per spaccio nel dicembre scorso, e una comune amica, Ileana Sanna. La squadra mobile, diretta da Claudio Sanfilippo, una decina di giorni fa ha arrestato anche quattro spacciatori senegalesi che fornirono all’attore la droga per il tragico festino in cui morì la ballerina, e fece andare in coma Calissano che venne salvato da una telefonata di Chiarlo al 118. Calissano, 39 anni, noto al pubblico delle fiction come il dottor Bruno di "Vivere" e il manager senza scrupoli, Guido Mandelli, di "Vento di Ponente", oggi per sua scelta non era presente in tribunale. L’attore infatti ora è libero; è solo sottoposto all’ obbligo di non allontanarsi dal territorio del comune di Trofarello, in provincia di Torino, ospite della comunità di recupero per tossicodipendenti "Fermata d’autobus". L’avv. Biondi dopo la sentenza del gup ha spiegato: "Abbiamo chiesto questa pena per permettere al mio assistito di poter completare il suo cammino di recupero presso la Comunità. In attesa della sentenza definitiva - ha aggiunto - ho fatto richiesta del prolungamento del permesso per la fisioterapia al ginocchio". Intanto il legale avvierà le pratiche perché il suo cliente possa usufruire delle misure alternative alla detenzione in carcere. La sentenza definitiva infatti potrebbe arrivare in tempi brevi, a meno che la procura generale non presenti ricorso per Cassazione. Nei confronti del patteggiamento infatti è possibile sia il ricorso per Cassazione da parte della Procura generale sia dello stesso imputato. Nel processo a carico dell’attore non si sono costituiti parti civili l’ex marito e i figli della ballerina a seguito dell’accordo raggiunto per un risarcimento da parte di Calissano di 120 mila euro.
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