Rassegna stampa 21 marzo

 

Lodi: si impicca in carcere detenuto da due giorni per omicidio

 

Agenda Lodi, 21 marzo 2006

 

Si è impiccato questa mattina, nel carcere di Lodi, Giancarlo Bescapè, 45 anni, di Codogno, l’uomo che sabato mattina all’alba, nel parcheggio del Centro Sportivo di San Fiorano, aveva ucciso a colpi di spranga l’amante Paola Faraldi, anch’ella di 45 anni, che intendeva metter fine alla loro relazione. Bescapè era stato arrestato subito dopo il delitto. Imperturbabile, non aveva dato alcun segno di pentimento. Rinchiuso nel carcere di Lodi,era stato messo in isolamento. Ieri sera però era stato trasferito nella sezione con altri detenuti. Forse nelle ore passate in carcere l’uomo si è reso conto di quello che aveva fatto ed è stato assalito dal rimorso. Una presa di coscienza che, molto probabilmente, l’ha spinto a togliersi la vita.

 

"Venite, ho ucciso una donna" - Agenda Lodi, 20 marzo 2006

 

Giancarlo Bescapè, 45 anni, si è consegnato dopo aver commesso un brutale omicidio: ha ammazzato con una sbarra una donna ligure che abitava a Codogno da un anno Giancarlo Bescapè in un’immagine scattata sul diamante Paola Faraldi, la vittima, aveva una passione per il baseball n Giancarlo Bescapè, 45 anni, molto conosciuto a Codogno per la sua attività di allenatore dei giovani del baseball, viene descritto da tutti come una persona tranquilla, ma sabato mattina all’interno del centro sportivo "Boschetto" di San Fiorano si è scagliato come una furia contro Paola Faraldi colpendola più volte con una sbarra di ferro, un attrezzo utilizzato in palestra per il potenziamento delle braccia. Colpi spaventosi, che sono stati fatali alla donna, una ligure di 45 anni che si era trasferita da poco più di anno a Codogno. Anche la Faraldi era istruttrice di baseball, assassino e vittima si sono conosciuti proprio sul campo da gioco. Un’amicizia che si sarebbe trasformata in qualcosa di più profondo secondo gli inquirenti, che nel cercare di ricostruire cosa ha portato Bescapè a una simile esplosione di ferocia privilegiano proprio la pista passionale. L’omicida subito dopo essersi consegnato agli uomini dell’Arma ha detto una sola frase: "Ho avuto cinque minuti di follia", poi si è chiuso in se stesso.

Giustizia: Biondi; chiarire circostanze morte Cosimo Cirfeta

 

Apcom, 21 marzo 2006

 

"Le indagini che la Procura della Repubblica di Busto Arsizio conduce unitamente a quelle disposte dal Ministero della Giustizia dovranno chiarire molti punti oscuri ed inquietanti di questa tragedia carceraria, in cui un collaboratore di giustizia colpevole di essersi schierato dalla parte giudicata sbagliata, è stato perseguitato durante un’inquietante peripezia carceraria dal consorzio dei pentiti, e non solo da quest’ultimo. È quanto afferma l’on. Alfredo Biondi, difensore del collaboratore di giustizia, Cosimo Cirfeta, morto suicida in carcere a Busto Arsizio. "Questo consorzio - ha aggiunto Biondi - lo ha inseguito e preso di mira; tra i consorziati si è distinto il mostro del Circeo, Angelo Izzo, naturalmente allineatosi al conformismo dei collaboratori antagonisti".

"In una lettera indirizzata a noi avvocati, Biondi e Tonani, proprio alla vigilia della tragica morte, - ha continuato Biondi - Cirfeta scriveva che voleva rendere importanti dichiarazioni al Tribunale di Palermo e raccontava la sua odissea indicando i suoi persecutori. La difesa della figlia di Cirfeta, Alessandra, ha fatto pervenire al Pubblico ministero di Busto questa lettera e gli allegati, arrivati stamani quasi a suggellare un percorso di sofferenza e di persecuzione". "Resta ora da stabilire - ha concluso Biondi - che cosa in realtà sia accaduto, perché un detenuto sottoposto a sorveglianza speciale potesse avere in cella una bombola di gas a disposizione ed un sacchetto plastica (utilizzato da chi?) come camera a gas. Questo lo stabiliranno le indagini peritali. A noi avvocati resta il compito difficile e tormentato di evitare che una morte chiuda, non solo la vita, ma un’indagine. Il coraggio di Cirfeta voleva ancora contribuire a chiarire tutto perché anche lui era divenuto un collaboratore di giustizia magari dalla parte sbagliata".

Palermo: al "Pagliarelli" 1.300 detenuti, la metà sono immigrati

 

Redattore Sociale, 21 marzo 2006

 

La struttura potrebbe contenerne solo 700. La direttrice Brancato: "Il sovraffollamento riguarda tutti gli istituti di pena italiani". Sono 1.300 i detenuti che al momento si trovano presso il carcere "Pagliarelli" di Palermo. "La struttura per quanto moderna e funzionale, ne potrebbe ospitare soltanto 700. Ma quello del sovraffollamento è un problema che riguarda tutti gli istituti di pena italiani", spiega la direttrice del carcere, Laura Brancato. Il carcere è organizzato in 4 padiglioni dotati sia di stanze singole che di altre più grandi dove vengono ospitati dai 10 ai 12 detenuti. Come nella gran parte dei carceri italiane, la metà dei detenuti sono immigrati. Secondo la direttrice gli sforzi quotidiani sono enormi per garantire che gli stranieri mantengano gli usi e i costumi della loro cultura facendo in modo che, nello stesso tempo, non si isolino.

Diversi gli strumenti per il reinserimento lavorativo di cui è dotato il carcere siciliano. All’interno della struttura, infatti, vi è un istituto alberghiero ed è stato costruito un rapporto diretto con l"istituto professionale "Medi". Vengono tenuti corsi di ricamo e di ceramica; i detenuti curano la lavorazione del miele e possono lavorare sempre dentro il carcere in litografia, tipografia e falegnameria. La struttura è dotata anche di palestra e di campetto per calcio A 5. Ma l’aspetto più delicato in un penitenziario è quello psicologico. Qualche settimana fa è avvenuto un suicidio. Nonostante operi, infatti un’equipe di medici, psichiatri, psicologi e assistenti sociali "l’impatto con la detenzione è traumatico, soprattutto per coloro che qualche ora prima conducevano una vita normale. Quando purtroppo c’è l’intenzione di compiere un gesto estremo, nonostante i controlli, il momento lo si trova", sottolinea la direttrice. Recentemente il carcere è stato teatro di una polemica nata sui presunti "colloqui facili" tra i boss mafiosi e i familiari. Sebbene, infatti, una nuova normativa preveda che l’incontro tra carcerato e familiari non avvenga più attraverso il muretto divisore ma in una stanza, il "Pagliarelli" non ha ancora adeguato la propria struttura alla nuova legge e gli incontri continuano ad avvenire attraverso il muro divisore.

Roma: a Regina Coeli un nuovo spazio d'incontro per padri e figli

 

Redattore Sociale, 21 marzo 2006

 

Il carcere di Regina Coeli sarà presto dotato di uno spazio attrezzato, espressamente realizzato per gli incontri fra figli e genitori detenuti. Sono infatti ogni giorno oltre 40 i bambini da 0 a 13 anni che fanno visita ai propri genitori detenuti. Il progetto, nato grazie alla collaborazione fra l’assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Roma, la direzione della Casa Circondariale di Regina Coeli, la Pfizer-Italia e la Consulta comunale per il Carcere, vedrà la realizzazione di un ambiente strutturato e attrezzato in modo consono alle esigenze dei bambini che si recano in carcere a far visita a un genitore, tale da attenuare l’impatto con la struttura penitenziaria e che renda meno traumatici gli incontri familiari.

"Per quanto l’ingresso di un bambino all’interno del carcere possa essere traumatico – ha detto l’assessore alle Politiche Sociali, Raffaela Milano - è comunque fondamentale permettere e sostenere l’incontro fra padri detenuti e figli. È per questo motivo che è necessario che all’interno del carcere vi siano luoghi come questo, realizzato grazie al contributo della Pfizer, in cui bambini e genitori possano avere occasione di incontro sereno e quanto più possibile protetto".

"Da sempre siamo attivi nella comunità accanto alle istituzioni per cercare di risolvere insieme priorità sociali e di salute - ha dichiarato Maria Pia Ruffilli, Direttore esecutivo Politiche sanitarie nazionali e regionali Pfizer Italia -. Sono particolarmente felice di questa nuova collaborazione con l’assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Roma, che rappresenta un’ulteriore tappa del percorso da tempo intrapreso insieme e che ha già visto la realizzazione di importanti progetti a beneficio dei bambini e degli anziani".

Lo spazio individuato è l’attuale sala d’attesa del carcere, dove già da oggi vengono accolti i familiari in attesa di colloquio. Il grande salone verrà trasformato in un ambiente luminoso, colorato e allegro con pareti decorate e con arredi adeguati.

Nel dettaglio sono previsti i seguenti interventi: il risanamento dell’ambiente e la ristrutturazione delle pareti; la pittura parietale con personaggi tratti da fiabe o cartoni animati; la realizzazione di un’area giochi con staccionata in legno all’interno del quale saranno disposti i giochi, a norma Cee, e una panca, sistemata per tutto il perimetro, per l’attesa della madre o dell’accompagnatore del bambino. Il progetto prevede inoltre l’impiego di animatori cui affidare il delicato momento dell’accoglienza del bambino e insieme ai quali attendere, giocando o parlando, il turno del colloquio riducendo le tensioni.

"In questi sei anni – ha detto Mario Mariani, Direttore della Casa Circondariale di Regina Coeli – abbiamo profondamente rinnovato la struttura di questo carcere. Questo nuovo intervento permette di sostenere sia i bambini che i genitori detenuti, facilitandone l’incontro e permettendo di non interrompere traumaticamente il rapporto". L’intervento si ispira alle linee guida del Piano Cittadino per il Carcere del Comune di Roma, e fa seguito all’apertura, nel giugno 2005, di un Giardino nella sezione nido di Rebibbia, dedicato ai bambini dai 0 ai 3 anni ospitati, insieme alle loro mamme, all’interno del Carcere. "Si tratta di un Piano – specifica il presidente della Consulta cittadina per il Carcere, Luigi Di Mauro – che vuole considerare le carceri come parte integrante della comunità cittadina. Per questo sono felice che si sia realizzato un nuovo intervento, ancor più importante perché rivolto a sostenere il rapporto padri-figli anche in una situazione difficile come quella della detenzione".

Informazione: da oggi on-line sito il ufficiale della Giustizia Minorile

 

Giustizia.it, 21 marzo 2006

 

In linea da oggi su Internet il sito ufficiale della Giustizia Minorile (www.giustiziaminorile.it). Realizzato, nell’infrastruttura tecnica, dal Servizio Sistemi informatici del Dipartimento, prevede referenti in tutte le articolazioni centrali e periferiche dell’amministrazione, in grado di aggiornare autonomamente le informazioni utili al pubblico. Alla presenza del Capo del Dipartimento - Rosario Priore, ha inaugurato con un click il sito il Vice Capo Dipartimento - Sonia Viale.

Napoli: in discussione una legge regionale per garante dei detenuti

 

Caserta News, 21 marzo 2006

 

La I Commissione consiliare (Ordinamento della Regione, Amministrazione civile, Enti locali, Affari Generali, Rapporti con la Cee), presieduta da Nicola Ferraro (Popolari Udeur) e la VI Commissione consiliare permanente (Istruzione e Cultura, Politiche sociali, Attività per il tempo libero), presieduta da Luisa Bossa (Ds), hanno iniziato in seduta congiunta le audizioni sulla proposta di legge a firma del Presidente Bossa (Ds), avente ad oggetto "Istituzione dell’Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale ed Osservatorio regionale sulla detenzione". Hanno partecipato all’audizione i consiglieri Antonella Cammardella (Prc) e Antonio Scala (Pdci).

I due organismi consiliari hanno ascoltato il vice direttore dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Napoli, Maria Bove, in rappresentanza del direttore Domenico Paonessa, e la funzionaria dell’Assessorato alle Politiche sociali della Regione Campania, Maddalena Poerio, in rappresentanza dell’Assessore Rosa D’Amelio. Il Presidente Bossa ha ricordato che "l’aumento esponenziale, in questo ultimo decennio, del numero delle persone recluse o internate, così come il moltiplicarsi di nuove forme di restrizioni della libertà personale, come i centri di detenzione per gli immigrati, rende il tema delle libertà personali e quello dei diritti e delle garanzie delle persone detenute più che mai attuale". "In una realtà come la Campania, che conta diciotto istituti di pena, con circa 7000 detenuti, il problema di istituire una figura garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale si pone in maniera molto stringente" – ha proseguito Bossa, secondo la quale "l’istituzione del Garante risponde all’esigenza di avere un organo esterno e indipendente rispetto all’apparato carcerario incaricato di contribuire a quanto previsto dal dettato costituzionale a proposito del reinserimento sociale al quale la pena detentiva deve essere finalizzata".

La rappresentante dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Napoli, Bove, ha evidenziato la positività della proposta di legge e ha formulato alcune proposte integrative, tra cui l’inserimento tra i soggetti interessati all’attività del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale al di fuori degli istituti penitenziari e, particolarmente, coloro che sono affidati in prova ai servizi sociali, categoria rispetto alla quale l’Ufficio svolge le proprie funzioni.

Anche la rappresentante dell’Assessorato regionale alle Politiche sociali, Poerio, ha commentato positivamente la proposta di legge e ha ricordato che l’Assessorato competente ha approvato una delibera in materia di mediazione penale e sportelli informativi. Le audizioni proseguiranno giovedì 23 marzo 2006 alle ore 11,00 con i Responsabili del Centro Penitenziario di Secondigliano, della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli, della Casa Circondariale di Salerno, delle Case Circondariali e di Reclusione di Ariano Irpino (AV), Arienzo (CE), Bellizzi Irpino (AV), Benevento, Carinola (CE), Eboli (SA), Napoli, Sala Consilina (SA), S. Angelo dei Lombardi (AV), S.Maria Capua Vetere (CE), Vallo della Lucania (SA), e con il Responsabile dell’Istituto a Custodia Attenuata di Lauro (AV).

Venezia: io, ladro gentiluomo, sindacalista dei detenuti…

 

Il Gazzettino, 21 marzo 2006

 

"Vorrei tanto sperare in un suo aiuto per trovarmi qualsiasi soluzione che può farmi uscire da questo incubo, perché da due anni e tre mesi non vedo la mia famiglia e questo mi pesa tantissimo". È un passaggio di una delle tante lettere, almeno trenta al mese, che i carcerati di tutta Italia mandano a Vincenzo Pipino, "ladro gentiluomo" come si definisce, che da anni si batte per i diritti dei carcerati. Veneziano, 63 anni, ha alle spalle una lunga esperienza di carcere. "Ho scontato 25 anni e sono fuori da uno. Conosco bene la realtà della galera e posso dire che è un lazzaretto. Sono moltissimi i casi di suicidio. Soprattutto i giovani, magari con pochi mesi di pena da scontare, non reggono un’esperienza così dura. In tanti poi si danno al bere". Pipino è noto come il "sindacalista dei detenuti". Autodidatta in materia di leggi e di Codice Penale, da molti anni porta avanti battaglie per il rispetto dei diritti umani di chi è in cella e per il miglioramento delle condizioni di vita. " Ricevo lettere piene di dolore e disperazione da tutte le carceri d’Italia - afferma - E rispondo a tutti. C’è anche qualche extracomunitario ma si tratta soprattutto di italiani. Hanno moltissimi problemi e mi chiedono un consiglio per arrivare a una soluzione. Adesso sono in contatto con due ragazze del carcere di Cosenza. Avrebbero la possibilità di usufruire di benefici, ma nessuno trova loro un lavoro. Sono intervenuto e adesso vediamo". Nella sua battaglia Pipino insiste in modo particolare su un punto: quello della riabilitazione. "Per me il carcere è una discriminazione sociale - dice - Il detenuto è recuperabile. Io insisto, non va tolta ai detenuti la speranza che un giorno si possano reinserire nel contesto sociale".

Si chiama Car.Di.Viola (Carcere Diritti Violati) l’associazione attiva a partire da oggi che ha lo scopo di tutelare appunto i diritti di chi è in carcere. Presidente nonché fondatore è l’avvocato veneziano Marco Zanchi. Di ampio ambito territoriale, al centro e al nord Italia, ha come obiettivi quelli di raccogliere informazioni sulla situazione carceraria, raccogliere denunce da parte di detenuti e di tutti i soggetti coinvolti riguardo la violazione di diritti e il loro eventuale inoltro agli organi competenti e infine la raccolta di richieste e di proposte da parte di tutti coloro che sono interessati e coinvolti. Ci saranno, tra le varie azioni, la consulenza e assistenza a livello non solo legale, ma anche medico, psicologico e culturale e la promozione del volontariato in carcere. "In tanti anni di professione - sottolinea Zanchi - ho visto in carcere tanti, troppi diritti negati a cominciare dal sovraffollamento, in alcune celle ci sono i letti a tre piani, per non parlare delle condizioni igieniche precarie. Ma i problemi sono tantissimi. Bisognava fare qualcosa per cambiare lo stato delle cose e allora ecco l’associazione". Car.Di.Viola ha sede a Dorsoduro, 3078. Il telefono è 334.7709098, la mail cardiviola@libero.it

Brescia: lezione nel carcere di Verziano per gli allievi dell’Itc

 

Brescia Oggi, 21 marzo 2006

 

Gli studenti dell’Istituto tecnico "Battisti" di Salò hanno voluto confrontarsi con la vita del carcere. Entrati a Verziano, hanno scoperto un mondo diverso, ricco di umanità e di interessi.

Tra le tante attività che la scuola è chiamata ad affrontare, da alcuni anni è emersa l’educazione alla legalità e alla solidarietà. Sono valori che con facilità possono scadere nella retorica, limitandosi ad un’adesione neppure troppo convinta. Invece gli allievi della 4ª B Geometri, 4ª B Turistico e 5ª B Programmatori, accanto agli impegni in classe, laboratorio o palestra, hanno affrontato alcune esperienze nuove, centrate soprattutto sull’attenzione all’uomo.

Nei giorni scorsi hanno visitato la Casa circondariale di Verziano, che ospita poco più di un centinaio di detenuti (scontano pene passate in giudicato). Per loro giornate fatte di lavoro, di attesa e ripensamenti a un passato che li ha visti coinvolti in vicende difficili e tragiche.

L’esperienza, preparata da tempo, si è concretizzata grazie alla disponibilità e alla collaborazione della direttrice, la dottoressa Maria Grazia Bregoli, che ha offerto agli studenti l’opportunità di un dialogo sicuramente fuori dalla consuetudine, permettendo loro di affrontare un percorso didattico non facile ma prezioso. Per qualche ora ragazzi e ragazze hanno potuto osservare il mondo dietro le sbarre, al di là delle cancellate e dei muri di separazione con la vita esterna. Con sorpresa hanno pure visto alcuni loro coetanei (detenuti) impegnati sui banchi di scuola: alcuni frequentano un biennio geometri curato dal "Tartaglia" di Brescia e studiano per conseguire il diploma, altri danno esami all’Università e inseguono la laurea. E poi luoghi comuni e immagini televisive fatte a pezzi: dal vivo il rapporto tra guardie e carcerati è ben diverso.

"Una giornata coinvolgente, un approccio diretto ad un mondo che ci è estraneo, ma che, allo stesso tempo, fa parte della nostra società", hanno commentato i salodiani, rimarcando come sia significativo "vivere in piena libertà e tranquillità, senza essere controllati o limitati nella propria vita". L’esperienza attiene a un progetto triennale, pensato e condotto dalle professoresse Bianca Bonomini Pelizzari e Claudia Dalboni Agocchini, sempre incoraggiate dal dirigente Cosimo Calò. L’obiettivo: sottolineare quanto la solidarietà sia un valore universale e, al tempo stesso, strategico per l’educazione e la formazione dei giovani studenti. Per questo sono state contattate numerose associazioni presenti sul territorio: dalla Croce Rossa Italiana a Emergency. Dalle parole delle persone alternatesi nell’istituto di via IV Novembre è emersa la passione che anima medici, religiosi, professionisti di vario genere, semplici volontari.

Qualche esempio: da Salò il geriatra Angelo Gasparotti con "Solidarietà Salodiana" e poi Luigi Maculotti e Marco Garatti, impegnati nel clima della guerra irachena e afgana, in terre tanto lontane da casa; madre Mirella Roda e don Adriano Santus, assistenti religiosi nelle carceri bresciane; Paola Carmignani e Sara Poli, attive nel coinvolgimento delle detenute in un laboratorio teatrale proprio a Verziano; Gabriella Citroni, impegnata a difendere i diritti internazionali dell’uomo nell’ambito di un’ iniziativa della Bocconi di Milano.

Parole, immagini, fotografie, relazioni interpersonali sono stati gli strumenti a disposizione degli studenti del "Battisti" per conoscere contesti differenti dalla realtà in cui vivono, e confrontarsi con valori per loro scontati e per molti altri no.

Alghero: oggi carcerati, domani liberi e professionisti…

 

Alguer.it, 21 marzo 2006

 

Oggi carcerati. Domani liberi e professionisti. Una marcia in più al percorso educativo promosso nel penitenziario di Alghero arriva dalla firma di un protocollo d’intesa. L’accordo siglato dall’assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Alghero, dal Centro Territoriale per la formazione permanente degli adulti, l’istituto professionale alberghiero, e l’area pedagogica della casa circondariale di Alghero, prevede la collaborazione dei diversi soggetti nella promozione di iniziative mirate a favorire l’educazione e ad innalzare le competenze di base dei detenuti che dopo il percorso di studi potranno conseguire un titolo di studi superiore. Tra gli obbiettivi del protocollo d’intesa far acquisire loro competenze specifiche da spendere poi nel mercato del lavoro. Per il momento sono circa una ventina i carcerati di diverse nazionalità che frequentano i corsi tenuti all’interno del carcere di via Vittorio Emanuele dai docenti dell’istituto alberghiero. Vicini all’espiazione della pena, guardano all’uscita dalla cella con un misto di timore per ciò che incontreranno all’esterno ma altrettanta voglia di fare per reinserirsi nella società. È questa l’impressione percepita dal vicesindaco e assessore alla Pubblica Istruzione Antonello Muroni, durante l’incontro con i carcerati: "Ho avvertito una necessità incredibile da parte loro di poter colloquiare per sapere quali possibilità lavorative avranno una volta usciti dal carcere". Muroni li ha esortati a porsi in modo propositivo nei confronti delle istituzioni. I detenuti dei laboratori di falegnameria e di manufatti elettrici coordinati dalla Cooperativa Apriti Sesamo hanno già incassato la fiducia del Comune che ha acquistato da loro le luminarie natalizie che da due anni addobbano i caseggiati scolastici della città. Domani, in occasione della "Giornata della legalità", l’amministrazione comunale consegnerà ai corsisti due personal computer per l’attività didattica.

Pescara: il carcere di San Donato, tra sovraffollamento e attività

 

Il Tempo, 21 marzo 2006

 

Trecento detenuti in totale, 100 stranieri, 100 tossicodipendenti, 5 malati di Aids. E ancora 200 in attesa di condanna definitiva, 25 semiliberi e una massiccia presenza di rom. In un anno oltre mille ingressi: quattro detenuti ogni giorno. È questa la fotografia che abbiamo scattato al carcere di San Donato a Pescara. Un edificio costruito negli anni ‘50 che come molti altri fa i conti con problemi di sovraffollamento, strutture fatiscenti, personale carente e assistenza sanitaria ai minimi termini. Basti pensare che a fronte di una capienza di 210 posti-letto la prigione pescarese ne contiene 278 e che la sezione femminile è chiusa da tempo per le gravi condizioni strutturali. Per non parlare poi della carenza di agenti: 189 guardie a fronte di un organico di 212, con una mancanza di trenta secondini. Nonostante questa situazione allarmante i detenuti movimentano le loro giornate con attività ludiche e culturali. Tra corsi di formazioni e scuole di primo e secondo grado, tra laboratori artigianali e lezioni teatrali, tra ore di cinematografia e approcci alla lettura, la vita dietro le sbarre si alimenta anche di momenti di supporto psicologico con l’aiuto dei volontari, in particolare della comunità "Sant’Egidio". . Qualcuno si impegna a cucinare gustosi pranzetti per tutti nelle celle, mentre altri si ingegnano in attività di bricolage con materiali di riciclo. I tossicodipendenti mantengono anche in gattabuia la fragilità psicologica e di conseguenza difficilmente riescono a rinunciare alla droga. . Tuttavia i secondini non abbassano mai la guardia e infatti la storia di questa casa circondariale è segnata solo da due evasioni, ma entrambe sventate. Nonostante questi episodi la vita a San Donato risplende anche per alcuni casi di intensa solidarietà tra i detenuti: se uno si ammala o è infermo, ad esempio, tre "piantoni" (così chiamati in gergo) si occupano di lui. Certamente la rinuncia forzata alla libertà è un prezzo elevato da pagare che non tutti sono disposti a sopportare: purtroppo avvengono anche episodi di autolesionismo o di aggressione. Sarebbe auspicabile che il carcere più che un luogo di punizione o di vendetta diventi uno spazio di recupero, di civilizzazione e di reinserimento nella società.

Festa del papà: il circo in carcere, per padri detenuti e figli

 

Ansa, 21 marzo 2006

 

Una giornata con papà, a ridere, stupirsi, gridare per le spettacolari esibizioni del circo. Il sogno diventa realtà per un centinaio di bambini che in genere possono abbracciare il proprio padre solo nella fredda e asettica sala colloqui di un carcere. Per la prima volta il circo varca le soglie di un penitenziario: martedì prossimo, 21 marzo, clown, trapezisti e giocolieri del circo di Moira Orfei strapperanno un sorriso ai bambini e ai loro papà detenuti nel carcere napoletano di Secondigliano. Anche se due giorni dopo il canonico giorno di S. Giuseppe, l’iniziativa del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) nasce proprio in occasione della festa del papà. Sarà una ‘primà alla quale assisterà il capo del Dap, Giovanni Tinebra. L’intenzione è quella di far arrivare il circo in diverse carceri italiane man mano che la tourne di Moira Orfei si sposterà in altre città. A Napoli lo spettacolo si terrà nel teatro del carcere. "Vediamo come va - dicono Vincenzo Lo Cascio e Marco Santoro, i due poliziotti penitenziari autori del progetto cui Tinebra ha dato il via libera -. Non è escluso che in futuro possano entrare in carcere anche il tendone del circo e gli animali". A Secondigliano ci saranno trapezisti, clown, giocolieri per la gioia di bambini dai tre ai 16 anni e di padri condannati per reati che vanno dallo spaccio di stupefacenti alla rapina. Sono tutti detenuti nel reparto "comuni", ma tra di loro ci sarà anche un ex "alta sicurezza".

Bologna: cineforum sul tema del reinserimento degli ex detenuti

 

Bandiera Gialla, 21 marzo 2006

 

Mercoledì 22 marzo alle ore 20.15 presso il centro Poggeschi di Bologna, avrà inizio il cineforum "Dopo il carcere: percorsi di reinserimento tra difficoltà ed opportunità", sul tema del reinserimento degli ex detenuti. L’evento è organizzato dall’associazione di volontariato "Il Poggeschi per il carcere". La rassegna consiste nella proiezione di tre pellicole cinematografiche che affrontano, sotto diversi aspetti, la problematica del reinserimento degli ex detenuti nella realtà sociale, al termine della loro esperienza carceraria. Le proiezioni si terranno tutte al centro Poggeschi alle ore 20.15 secondo il seguente calendario:

mercoledì 22 marzo: "Ragazzi fuori" di Marco Risi (Italia 1990);

mercoledì 29 marzo: "Clean" di O. Assayas (Francia 2004);

lunedì 3 aprile: "Il segreto - The Woodsman" di N. Kassel (Usa 2004).

Ogni proiezione sarà preceduta da una breve presentazione di un volontario dell’associazione ed al termine del film, verrà data l’opportunità di scambiare le proprie impressioni sulle tematiche affrontate dalla pellicola.

 

Per informazioni

Centro Poggeschi Via Guerrazzi 14,

40125 Bologna

Tel. 051/22.04.35

www.centropoggeschi.org

centro@centropoggeschi.org

Iraq: Camp Nama, un carcere peggiore di Abu Ghraib...

 

Il Messaggero, 21 marzo 2006

 

Il carcere di Abu Ghraib, quello dell’incappucciato o dei prigionieri con il guinzaglio, non è il più duro di Baghdad: c’è di peggio nei pressi dell’aeroporto internazionale della capitale irachena. Lo scrive, in prima pagina, il New York Times, secondo cui nel carcere di Camp Nama c’è una vera e propria black room (stanza nera o buia), nella quale vengono fatti gli interrogatori più duri. Camp Nama, che ospita il carcere segreto, è una ex base militare dell’ex presidente Saddam Hussein, e la black room è una cella senza finestre dove i sicari del presidente praticavano la tortura. La gestiscono le Forze speciali, in particolare i componenti della cosiddetta Task Force 6-26, che persegue un solo obiettivo: catturare o uccidere il ricercato numero uno in Iraq, il terrorista giordano di al Qaida Abi Musab al Zarqawi. Capire se nella black room viene praticata o meno la tortura è ovviamente impossibile vista la segretezza che circonda il carcere, ma il sospetto c’è, perché alcuni componenti della Forza speciale sono stati scartati per avere commesso una serie di abusi non da poco. Fatto sta che un cartello messo dai militari nell’area di detenzione recita "No Blood, no Foul", cioè niente sangue, nessuna irregolarità, cioè che occorre evitare di far sanguinare i detenuti o chi viene interrogato, così non hanno modo di fare ricorso. Gli interrogatori non sono una passeggiata: i detenuti vengono picchiati con il calcio del fucile, e non di rado i militari urlano e sputano loro addosso per farli parlare, secondo una fonte militare che ne ha parlato al quotidiano. Inoltre, contrariamente a quanto succede nelle altre carceri militari americane, la Croce Rossa non ha accesso a Camp Nama. Tutto ciò è iniziato prima che scoppiasse lo scandalo di Abu Ghraib ed è proseguito anche dopo, smentendo - secondo il Nyt - le assicurazioni del Pentagono secondo cui i fatti del carcere di Baghdad erano dovuti ad un pugno isolato di soldati violenti e senza controllo. Mentre si profila il "caso Nama", il presidente degli Stati Uniti George W. Bush, nel terzo anniversario della guerra in Iraq, schiera la sua Amministrazione a difesa della sua scelta e chiede al popolo americano pazienza e ulteriori sacrifici, promettendogli la vittoria. Ma la stampa pone l’interrogativo se l’invasione valesse la pena di essere compiuta. In televisione danno una mano a Bush il vice-presidente Dick Cheney e il generale George Casey, comandante del contingente militare in Iraq. Casey insiste che la guerra civile in Iraq non è imminente. Ma come lui non la pensa l’ex premier iracheno Iyad Allawi, che, alla Bbc, dice: "Purtroppo, siamo in una guerra civile". In un articolo pubblicato dal Washington Post, il segretario alla difesa Donald Rumsfeld afferma, poi, che un ritiro precipitoso dall’Iraq lascerebbe campo libero a "saddamisti e terroristi" e sarebbe come se "la Germania del dopoguerra fosse stata riconsegnata ai nazisti", o come avere restituito l’Europa dell’Est "liberata" dalla Guerra Fredda al gioco sovietico.

Cina: gli organi dei condannati a morte venduti sul web

 

Corriere della Sera, 21 marzo 2006

 

Comprare su internet gli organi dei prigionieri cinesi giustiziati nelle carceri e negli ospedali dell’ex impero celeste è uno dei mercati illegali più floridi in Oriente. Lo rileva un’inchiesta pubblicata martedì dal quotidiano inglese Independent che afferma che sono oramai centinaia i cittadini benestanti giapponesi e di altre nazioni ricche del Sud-Est asiatico che scelgono di spendere migliaia di euro per comprare organi "donati" dalle vittime del regime cinese

La scelta di coloro che hanno bisogno di un trapianto rivela il quotidiano inglese è sempre la stessa: aspettare mesi per ottenere il trapianto o cercare sui siti cinesi la migliore offerta di questo mercato illegale: Kenichiro Hokamura, cittadino giapponese ha preferito la seconda opzione: visto che dal 1997 in Giappone erano stati donati solo 40 organi umani, l’uomo d’affari sessantaduenne non ha avuto altra possibilità: "Davanti a me c’erano 100 persone che aspettavano lo stesso organo per un trapianto. Potevo morire prima di sottopormi ad un’operazione. Il donatore era un uomo giustiziato e il prezzo che ho pagato era di 6,8 milioni di yen (circa 50 mila euro n.d.r)".

Il mercato fiorisce anche perché il governo cinese non presenta la lista delle persone che ogni anno sono giustiziate, ma grazie ad alcuni analisti e a reportage di alcune associazioni come "Reporter sans borders" e "Amnesty International" si stima che ogni anno sono uccisi circa 8.000 cittadini per reati comuni o perché sono dissidenti politici. Le voci che esistesse un mercato illegale di organi circolavano dalla metà degli anni ottanta, ma solo adesso se ne ha avuta la certezza.

Hokamura afferma di essersi rivolta ad un sito internet e poi è stato contattato da un broker cinese. Secondo alcune testimonianze lo stesso agente ha aiutato centinaia di giapponese ad avere il visto per trasferirsi in Cina e ottenere il trapianto. "Il prezzo era veramente basso", afferma Hokamura, "io guadagno facilmente quei soldi, cosa doveva fare?". Secondo l’uomo d’affari il governo giapponese non sa nulla di questi "viaggi della speranza".

Il costo di un trapianto di rene si attesta intorno ai 50.000 euro, mentre quello al fegato arriva anche a 130.000 euro. Ma i prezzi aumentano nel momento in cui i malati richiedono di voler essere operati nel proprio paese: attraverso dei meccanismi segreti gli organi sono trasportati nel paese d’origine del malato e l’operazione è fatta di nascosto. Negli ultimi tempi, il crescente traffico illegale ha allarmato il governo nipponico che ha aumentato i controlli e le ricerche, ma è molto difficile fermare le persone disperate che hanno bisogno di un organo e sanno che è possibile trovarlo a poche migliaia di chilometri. "Come potevo ancora aspettare" continua l’uomo d’affari giapponese Hokamura. "Ero in dialisi da quattro anni e quattro mesi. Ero stanco di aspettare".

Da parte sua il governo cinese afferma che fa di tutto per stroncare il mercato illegale di organi, ma c’è chi insiste nel sottolineare la connivenza di Pechino in questi affari loschi, visto che non sono solo gli ospedali privati a macchiarsi di queste infamanti pratiche, ma anche quelli più grandi, che sono sotto lo stretto controllo del governo comunista. C’è chi come il dottor Ding Qiang, capo del reparto urologico dell’ospedale di Huashan di Shanghai non esclude che il traffico di ospedali sia portato avanti da alcuni ospedali specializzati, ma esclude che il governo ne sappia qualcosa: "In Cina le donazioni di organi sono legali, mentre quelle comprate con denaro sono contrarie alla legge. Ma la Cina è un paese molto grande ed esiste un proverbio che afferma "Le montagne sono alte e l’imperatore è lontano". È possibile quindi che le piccole cliniche private facciano affari con questi traffici illeciti".

 

 

Precedente Home Su Successiva