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Giustizia: la riforma funziona, ma va applicata meglio di Sergio Segio
La Repubblica, 17 marzo 2006
Le ultime settimane hanno visto ripetuti episodi di cronaca nera, talvolta con esiti drammatici. Come in quel tentativo di rapina, avvenuto in provincia di Milano, dove sono rimasti feriti un carabiniere e un bandito, mentre un secondo è morto. Sono subito cresciute le polemiche, in quanto uno dei due rapinatori era in semilibertà, tanto che il ministro della Giustizia e un alto ufficiale dei carabinieri hanno auspicato la revisione del sistema delle pene alternative. L’indignazione e preoccupazione per questi fatti è immediata e naturale. Ma, a ben guardare, si tratta di considerazioni fondate solo in apparenza.Ad esempio, bisognerebbe conoscere una semplice cifra: nel 2005 le misure alternative sono state ben 49.943, le revoche per commissione di nuovi reati sono state lo 0,24%, 122 casi in totale. È ben vero che sono 122 casi di troppo, pur se spesso si tratta di piccoli reati. In ogni caso, una percentuale bassissima che certifica il funzionamento di un sistema che favorisce il recupero e, assieme, anche la sicurezza dei cittadini. Da alcune ricerche, risulta infatti che se è molto alta la percentuale di recidiva (sino al 75%) da parte di chi sconta per intero la condanna in prigione, essa scende vistosamente nei casi in cui il detenuto abbia scontato una parte della condanna in misura alternativa al carcere e sia stato affidato ai servizi sociali: in questo caso la commissione di nuovi reati cala al 12% (al 27% nel caso di detenuti tossicodipendenti). La riforma penitenziaria insomma funziona e meglio funzionerebbe se fosse maggiormente e uniformemente applicata. I casi negativi inevitabilmente esistono ma sono sporadici, per quanto dolorosi.Chiedere di inasprire la legge in ragione di quel semilibero rapinatore equivarrebbe a mettere sotto accusa le guardie giurate a causa dei due vigilantes rapinatori che, in quegli stessi giorni, hanno tentato una sanguinosa rapina a Foligno, quand’invece generalizzare è sempre sbagliato e, in questo caso, anche controproducente. Mentre i media insistevano su quelle cronache, un minuscolo trafiletto riportava la notizia di un uomo che a Palermo è uscito di prigione dopo ben 15 anni, poiché scagionato dalle accuse.Quando si discute di carcere, forse occorrerebbe pensare che esso è una realtà che può toccare anche il mondo della "normalità" e non solo quello degli esclusi. E questo dovrebbe magari spingere a guardare agli errori di chi in carcere è finito senza indulgenza ma anche senza accanimento. Giustizia: Corleone e Manconi; garantire diritto di voto ai detenuti
Comunicato stampa, 17 marzo 2006
I Garanti dei diritti delle persone private della libertà dei Comuni di Firenze e Roma, Franco Corleone e Luigi Manconi, hanno dichiarato: "Il nostro compito è quello di tutelare i diritti delle persone recluse e rendere praticabili, ed esigibili, i diritti fondamentali e costituzionali e quelli legati alla condizione di reclusione (innanzitutto, quello alla salute). La scadenza delle elezioni del 9 aprile solleva un’altra grande questione: l’esercizio del voto da parte dei detenuti aventi diritto, che sono molte migliaia, tenuto conto di coloro che sono in attesa di giudizio e di coloro che non hanno pene ostative. Questo diritto ha una particolare importanza poiché certifica l’appartenenza alla comunità civile e contribuisce a una politica di inclusione sociale. Che accade in realtà? Né l’amministrazione penitenziaria, né il Ministero degli Interni né quello della Giustizia, né la gran parte dei Comuni attuano politiche attive per garantire l’esercizio di questo essenziale diritto. Si assiste, così, a una sorta di inversione dell’onere del diritto per cui devono essere i detenuti ad attivarsi con "la domandina" per poter votare: e devono essere ancora loro a procurarsi la tessera elettorale. In realtà, tutti i detenuti possono votare nel luogo di detenzione indipendentemente dalla residenza: e dovrebbero essere le Direzioni degli istituti penitenziari, sulla base dei fascicoli in loro possesso, a fornire ai Comuni l’elenco dei detenuti aventi diritto e i Comuni dovrebbero predisporre una tessera provvisoria per l’esercizio del diritto di voto, presso il seggio speciale costituito in carcere. Chiediamo, quindi, alle autorità competenti di realizzare tutte le condizioni necessarie e invitiamo la popolazione detenuta a chiedere con determinazione il riconoscimento di questa fondamentale prerogativa. Giustizia: Mastella all'Osapp; riordino carriere e aumento organici
Ansa, 17 marzo 2006
Riordino delle carriere, aumento degli organici fermi al 1993, riconoscimento del ruolo e delle specifiche funzioni delle guardie carcerarie, sostanzioso adeguamento dei livelli retributivi. Sono stati questi, si legge in una nota dei Popolari-Udeur, i temi affrontati da Clemente Mastella in un incontro con l’Osapp (il sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria) svoltosi oggi a Regina Coeli. Il segretario dell’Udeur, che era accompagnato dall’assessore alla sicurezza della Regione Lazio Regino Brachetti, dal capogruppo al consiglio comunale Gianfranco Zambelli e da Marco Verzaschi e Francesco Borgomeo, ha osservato come, a fronte di un sensibile aumento della popolazione carceraria anche per effetto di leggi come la ex Cirielli, il numero dei poliziotti penitenziari sia inferiore di molto alle reali esigenze dei vari istituti di pena. "Siamo portati a ritenere che il miglioramento della situazione carceraria - ha detto Mastella - debba passare inevitabilmente per una rivalutazione del ruolo della polizia penitenziaria. E proprio perché il sistema penitenziario italiano si basa prevalentemente sul lavoro delle guardie carcerarie, che vivono quotidianamente a contatto con i detenuti, non si può immaginare di affrontare l’emergenza-carceri di per sé già grave, e quella ancora più allarmante dei prossimi mesi, senza un’adeguata rivalutazione dell’organico del Corpo e senza i necessari riconoscimenti economici". "Al silenzio registrato dal governo in questi cinque anni - ha concluso Mastella - si dovrà rispondere con fatti concreti, e in tempi brevi, nella prossima legislatura. Il sistema carcerario non può più attendere". Minori: il 39% di chi entra nel circuito penale usa eroina
Ansa, 17 marzo 2006
Precario o disoccupato, con difficili condizioni familiari e incline all’uso di droghe. Questo l’identikit del minorenne tipo entrato nel circuito penale italiano, tracciato da una ricerca della Fondazione Iard commissionata dal Dipartimento Giustizia minorile del ministero di via Arenula. Dall’ esame del percorso di 281 ragazzi ospitati in 91 comunità di recupero distribuite in tutta Italia, risulta che il 55% ha rapporti di lavoro precario, il 22% è disoccupato e che solo il 38% vive con entrambi i genitori; il 43% fuma abitualmente marijuana e derivati da cannabis; il 39% usa eroina accompagnata da altre sostanze; il 18% preferisce l’uso combinato di altre sostanze ad esclusione dell’ eroina. La ricerca, presentata a Roma dal sottosegretario alla Giustizia, Jole Santelli, e dal responsabile scientifico della Fondazione Iard, Renato Pocaterra, propone anche un modello operativo per gli interventi di riabilitazione e reinserimento dei giovani nella società: un progetto corposo denominato "Total Quality negli interventi sulle tossicodipendenze in ambito penale" che prevede un monitoraggio delle diverse fasi del percorso riabilitativo. "L’idea - ha spiegato Pocaterra - sviluppata in collaborazione con i funzionari del Dipartimento per la Giustizia minorile, rappresenta una vera e propria sfida: inserire il concetto di qualità totale, utilizzato nelle aziende per rendere efficaci e standardizzati i processi produttivi, all’ interno del circuito riabilitativo penale minorile, per assicurare un risultato positivo agli interventi". Il sottosegretario Santelli, nel sottolineare che il governo Berlusconi "è stato il primo ad occuparsi del sostegno ai tossicodipendenti inseriti nel circuito penale minorile", ha ricordato quanto è stato fatto per i ragazzi detenuti che hanno problemi di droga: dalla legge che prevede uno stanziamento annuale di 2 milioni di euro, nel triennio 2005-2008, per il collocamento dei giovani detenuti tossicodipendenti in comunità terapeutiche; al milione di euro destinato dalla Presidenza del Consiglio in sostegno al progetto che prevede l’integrazione dei servizi minorili di Giustizia, delle strutture territoriali del settore sanitario, delle associazioni e cooperative del privato sociale e del volontariato. Genova: assessore all’immigrazione in visita a Pontedecimo
Liguria Notizie, 17 marzo 2006
Oggi l’assessore all’immigrazione Enrico Vesco ha visitato la casa circondariale di Pontedecimo. Ne è emerso che il 45% delle 70-80 detenute del carcere di Genova-Pontedecimo, unico istituto femminile della Liguria con una sola sezione maschile, è costituita da donne immigrate coinvolte nel traffico di stupefacenti. Il direttore del carcere di Pontedecimo, Giuseppe Comparone in riferimento al sovraffollamento ha definito il suo carcere "un’ isola felice e che sono molti i progetti per avviare i detenuti al reinserimento nella società". A tale proposito l’assessore Vesco ha assicurato investimenti dalla Regione Liguria per potenziare i corsi di lingua italiana rivolti agli immigrati della popolazione carceraria. Si è parlato poi dei CPT, Centri di Permanenza Temporanea: "La Regione ha già preso una posizione forte sulla politica dell’immigrazione che ha dato frutti nefasti e quindi va ripensata partendo proprio dalla chiusura dei CPT attuali e non aprendone altri". Torino: la Juventus Calcio in visita al "Ferrante Aporti"
Ansa, 17 marzo 2006
Mister Capello, Fabio Cannavaro e Adrian Mutu hanno visitato, nel pomeriggio di giovedì, il Centro Giustizia Minorile "Ferrante Aporti" di Torino. Il tecnico e i due campioni, accompagnati dalla Direttrice della struttura Elena Lombardi Vallauri, hanno incontrato i ragazzi, e dopo aver firmato gli autografi di rito, hanno risposto alle loro domande. Si è naturalmente parlato di calcio, ma anche dell’importanza del gruppo e del rapporto tra compagni di squadra. I ragazzi e le ragazze del "Ferrante Aporti" hanno poi donato agli ospiti dei piatti di ceramica, da loro realizzati durante le ore di laboratorio. Il Centro Giustizia Minorile, infatti, promuove attività e iniziative rivolte a tutti i giovani sotto la competenza del Tribunale dei Minori e della Procura della Repubblica - sia quelli interni al carcere, sia quelli rientranti nell’area penale esterna - quali apprendistato, istruzione, attività sportive e attività socialmente utili (presenze dei giovani in centri diurni e strutture legate all’handicap, aiuto alle mense Caritas, servizi per anziani…). Seguiti da assistenti sociali, psicologi, educatori, mediatori culturali, i ragazzi svolgono attività in laboratori professionali, officine meccaniche (riparando alcuni automezzi del Comune), laboratori di arte bianca e al contempo seguono le lezioni in una scuola interna. Attualmente il Centro Giustizia Minorile ospita circa 40 ragazzi, in media 30 maschi e 10 femmine. Il Ferrante Aporti, attraverso i suoi servizi, predispone progetti individualizzati di reinserimento sociale. Il Centro Giustizia Minorile dispone del sito internet www.cgmtorino.it. Roma: così l’arte contemporanea arruola i detenuti…
Il Giornale, 17 marzo 2006
"Anche se non siamo con voi fisicamente il nostro cuore è a voi vicino. I migliori auguri per i vostri studenti di Rebibbia". Un mazzo di fiori con questo biglietto, indirizzati a Luca Modugno, ideatore della mostra "Non sono quello che sono", nell’ambito del progetto Artwo, inviato appunto dai detenuti del carcere di Rebibbia. Si tratta di un progetto ambizioso, sulla carta quasi impossibile. Un progetto che, però, a dispetto di tutto si sta traducendo in una solida e felice realtà. Luca Modugno, e i suoi collaboratori, hanno pensato di realizzare una grande idea. Una scommessa che si può considerare vinta, almeno per ora. Come ammesso dallo stesso Modugno, due sono le ambiziose potenzialità di Artwo: per prima cosa far conoscere l’arte contemporanea anche ai non addetti ai lavori, la seconda di entrare con l’arte contemporanea nelle comunità di recupero, o come nel caso di cui adesso parliamo, all’interno di un carcere. Un progetto difficile, al quale Modugno ha creduto da sempre, e nel quale ha voluto far diventare parte attiva anche alcuni artisti. Artisti che sono stati chiamati a progettare oggetti d’arte, di design, realizzati poi dai detenuti nel carcere. Una piccola catena di montaggio, nella quale l’arte è l’elemento in comune. Su oltre 1600 detenuti, venti hanno aderito al progetto e otto di loro vi lavorano con assiduità. I numeri sembrano bassi, in realtà sono il risultato di un grande successo, voluto anche da il direttore di Rebibbia, Carmelo Cantone. Il successo dell’iniziativa deriva soprattutto dalla grande sinergia che esiste tra gli artisti e i detenuti; questi ultimi infatti, grazie a questa possibilità data loro, si sentono parte attiva di una azione, di un movimento culturale. Gli oggetti da loro realizzati inoltre vengono prodotti in serie limitate e presentati al grande pubblico con apposta la firma dell’artista. Tutte le opere presenti in mostra sono frutto anche del loro contributo e anche e soprattutto di quello di grandi artisti, sensibili e di grande umanità quali Carlo De Meo, Stefano Canto, tra i primi ad aderire con entusiasmo al progetto. Anche la scelta dello spazio per questa mostra non è casuale. Se l’idea base di tutta il progetto è infatti il materiale di recupero, povero, riutilizzabile, lo stesso vale anche per l’Isa, (Istituto superiore antincendi) che un tempo ospitava i vecchi magazzini generali, questo fino alla fine dell’Ottocento, e che ora invece contiene L’Accademia dei vigili del fuoco. Un posto non nuovo come contenitore per l’arte contemporanea, ma che in questo caso, come sottolineato da Michele di Grezia, direttore dell’Isa, diventa parte integrante del progetto stesso, per le sue virtù di spazi riconvertiti rispetto alla funzione di un tempo. Oltre agli oggetti realizzati dai detenuti, una vera e propria mostra, realizzata da artisti con propensione all’utilizzo, ancora una volta, di oggetti di scarto, curata da Gianluca Marziani, all’interno, anch’essa, degli spazi dell’Isa. Informazioni utili. La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al prossimo 10 aprile nei locali dell’Istituto superiore antincendi di via del Commercio 13, dalle 16 alle 20. Ingresso libero. www.artwo.it Forlì: la "Bossi-Fini è troppo severa, il carcere scoppia
Corriere della Romagna, 17 marzo 2006
Una "lettera aperta" a tutti i candidati locali delle forze politiche in lizza per la Camera e il Senato contro il "sovraffollamento delle carceri" è partita promossa da un gruppo di volontari e di operatori sociali del progetto "Anelli", fra cui Raffaele Barbiero, Barbara Bovelacci, Debora Battani, Maria Grazia Venturi, Luigi Zinitti, Adriana D’Orazio, Sandro Gualtieri, Maria Giulia Petrini. "L’attuale quadro legislativo - chiarisce la lettera - produce strutture penitenziarie sovraffollate di cittadini stranieri che spesso scontano pene detentive sostanzialmente per aver violato una sanzione amministrativa (dal 2001 assimilata ad un reato penale). In definitiva siamo a chiederLe, in caso di sua elezione, di impegnarsi a favore del ridimensionamento delle sanzioni relative a questo reato, fermo restando le condizioni di clandestinità connesse ad altri reati che sono sanzionabili penalmente e che sono la prima causa del affollamento carcerario". Attualmente, secondo il Testo unico sull’immigrazione, all’art. 10, comma 1, la polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti come il visto d’ingresso e/o nulla osta al lavoro e, al comma 2, il respingimento con accompagnamento alla frontiera è disposto dal questore. Secondo l’articolo 13, comma 3, l’espulsione è disposta in motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a impugnativa dell’interessato. Lo straniero espulso non può far rientro nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera. Allo straniero che, già denunciato per il reato di cui al comma 13 ed espulso, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni. Giustizia: il problema delle droghe e il carcere ad orologeria di Elias Vacca (Avvocato penalista)
Alghero Notizie, 17 marzo 2006
Il problema delle carceri sta diventando una bomba a orologeria. Indegno di un paese civile in cui gli istituti di pena devono, per legge, rieducare e reintegrare la persona. Strutture sovraffollate, violenza, personale insufficiente, condizioni igieniche precarie e soprattutto 20.000 persone in attesa di giudizio. Una vergogna, tanto più che il 30% di questi verrà giudicato innocente. Molte sono le forze politiche, dal centrodestra al centrosinistra, che dichiarandosi garantiste, almeno a parole, paiono volere contrastare questa situazione. Negli Istituti di Pena italiani ci sono quasi 60.000 detenuti, di questi quasi 3.000 sono donne e 65 di queste cercano anche di crescere i loro bambini. Sono invece 23.500 quelli che hanno una pena inferiore a tre anni. La Sardegna conferma il triste trend nazionale: su 1.661 detenuti, più 48 donne, il 30% è rappresentato da extracomunitari. Un’altra fetta consistente è costituita da tossicodipendenti. Solo nel carcere di Buoncammino di Cagliari, il 60% dei reclusi ha problemi di droga e di questi il 90% è affetto da malattie psichiatriche. Il dato è allarmante. Le carceri, analizzando i dati, sono strutture ricolme di tossicodipendenti, extracomunitari e malati psichici. Un situazione devastante, indegna di un paese civile. La ricetta del Ministro della Giustizia, il leghista Castelli, è quella di costruire nuove carceri. L’amnistia, annunciata per tutta la legislatura è promossa è rimasta solo un promessa. Le carceri stanno diventando, ed i dati della casa circondariale di Alghero lo confermano, dei luoghi di permanenza momentanea in cui i detenuti entrano ed escono senza che ci sia nessun tipo di recupero della persona. Chi esce dal carcere si ritrova in una condizione peggiore di quella in cui è entrato. E ciò produce dei danni notevoli sia a queste persone che alla società intera. Non esiste alcun recupero della persona. Il carcere diventa un luogo in cui non si "cura" la malvivenza ma anzi si peggiorano le situazioni di persone, che già non avendo nulla da perdere, non gli resta che dedicare la loro vita all’illegalità. Elias Vacca, avvocato penalista, membro del coordinamento nazionale giustizia del Pdci e candidato con lo stesso partito alle prossime politiche, può dire qualcosa su quest’argomento che conosce molto da vicino. "Sulla realtà giudiziaria e di conseguenza carceraria, già precaria, sono arrivati ad influire due leggi: l’ex Cirielli e soprattutto la Bossi - Fini", afferma Vacca che, continuando, evidenzia come l’ex Cirielli abbia influito negativamente su questa situazione: "sono stati annullati tutti i benefit: per i reati reiterati e recidivi non si ha più nessun aiuti, sono state annullate tutte le attenuanti generiche".
Ma non ritiene giusto che chi compia in modo continuato dei reati perda questi benefit? No e spiego perché. I tossicodipendenti commettono tanti piccoli reati, microreati, recidivi e reiterati, appunto. E queste persone non potranno più usufruire del rito abbreviato. Tutti provvedimenti che non faranno altro che alimentare e far perdurare la situazione attuale senza alcun tipo di salvaguardia per la società ma neanche senza alcun recupero di questi cittadini che continueranno ad entrare ed uscire dal carcere.
Ma secondo Lei che correzioni avrebbe dovuto inserire il legislatore? La legge Cirielli non prevede nessun tipo di percorso di recupero della persona: ne Sert, né altre misure. In questo modo le galere scoppieranno di persone che non avranno più un futuro, la condanna deve anche prevedere una speranza di recupero sennò si producono solo rifiuti umani".
Lei condanna anche la nuova legge sulle droghe, detta legge Fini, perché? Come se non bastasse, a questa situazione già gravosa, si aggiunge l’equiparazione delle droghe tra pesanti e leggere. E come se non si volesse prendere atto della realtà. Così facendo, il legislatore riconosce l’uguaglianza delle droghe e anche i consumatori si sentiranno legittimati a mettere sullo stesso piano hashish, eroina, ketamina e marjuana. Io non fumo, non mi drogo, ho provato lo spinello ma ho capito che evidentemente non faceva per me e me ne sono tenuto sempre lontano. Detto questo, sono convinto che ognuno possa fare quello che vuole con il proprio corpo.
Quale sarebbe la sua alternativa? Io sono per la legalizzazione delle droghe leggere e per la somministrazione controllata di quelle pesanti, questo per contenere il danno. Non si può criminalizzare l’uso. Questa legge crea un vincolo sempre più stretto tra spacciatore e drogato che vengono messi sullo stesso piano e che invece andrebbe spezzato.
Il problema della droga si collega a doppio filo con la situazione insostenibile della carceri, cosa si dovrebbe fare? Se il dato che emerge è che lo stato decide di reprimere allora le carceri devono essere migliorate sennò quella che dei carcerati è una pena nella pena. La condanna non comprende il fatto di vivere dentro delle topaie. Dovrebbe starci molta meno gente, con delle finalità rieducative della pena. Qualora vincesse il centrosinistra, alle prossime elezioni, annuncio che questa legge verrà cambiata subito. La legge Fini non rappresenta altro che il potere che si accanisce contro i più deboli, dei derelitti umani che sono in maggior parte sono tossicodipendenti. Milano: spacciavano droga in carcere, sette detenuti denunciati
Adnkronos, 17 marzo 2006
Gli stupefacenti venivano nascosti all’interno di biancheria intima e consegnati al momento dei saluti tra detenuti e chi li andava a trovare. Detenuti per rapina avevano trovato il modo di procurarsi cocaina e hashish che riuscivano a far entrare in carcere e spacciavano agli altri detenuti. Le sostanze stupefacenti venivano nascoste nel tacco delle scarpe o all’interno di biancheria intima e consegnate al momento dei saluti tra detenuti e chi li andava a trovare. La Squadra Mobile di Milano e la Polizia Penitenziaria hanno ricostruito la vicenda ed eseguito sette ordinanze di custodia cautelare. Secondo la ricostruzione degli investigatori la droga veniva ordinata al telefono. Lauro: dal carcere un dettagliato ricorso contro "l'ex Cirielli"
Il Mattino, 17 marzo 2006
A presentarlo è stato il detenuto Domenico Maria Rizzuto alla Corte di Giustizia Europea. Il tribunale ha decretato l’ammissibilità dell’appello che ha come oggetto la violazione del principio di Irretroattività della Legge Penale, sancito dall’articolo 25 della Costituzione Italiana, dall’articolo 2 del codice penale e dall’articolo 7 della Convenzione Europea. "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso", la disposizione che il ricorrente Rizzuto ritiene non sia rispettata dalla Ex Cirielli. Tra le varie modifiche apportate al sistema detentivo italiano dalla discussa normativa vi è quella secondo la quale le misure alternative alla detenzione in carcere possono essere concesse solo dopo che il detenuto abbia scontato i 2/3 della pena e per una sola volta nella sua esperienza di reclusione. Introdotte anche ulteriori limitazioni per i recidivi. Come lo stesso ricorrente scrive: "L’aver ottenuto una condanna con la previsione di estinguere la stessa con determinati criteri rimane questione principale di legittimità della legge stessa, in quanto si effettua una chiara regressione in materia di rieducazione del reo che in pratica cambia la consistenza delle pene irrogate durante la loro esecuzione". Sulla questione interviene anche la dottoressa Carmela Caruso, educatrice volontaria presso la casa circondariale di Lauro, che spiega: "Leggi come la ex Cirielli rendono difficoltoso il lavoro di noi operatori perché si allungano i tempi della detenzione e si effettuano ulteriori restrizioni alle misure alternative, rallentando così il processo del recupero stesso. Attenzione alle speculazioni che favorisce questa legge, in favore di quel circuito di comunità che si prefigge di sostituirsi allo stato nella gestione delle pene a discapito dell’amministrazione penitenziaria". Immigrazione: Maroni; Pisanu è responsabile se non attua legge
Apcom, 17 marzo 2006
"Chi deve applicare la legge e non la applica se ne assume la responsabilità: la legge prevede certi comportamenti da parte del Ministro dell’Interno, se non lo fa se ne assume la responsabilità. Noi denunciamo questa situazione, e lo richiamiamo al rispetto della legge, che è una legge qualificante di questo governo". Per questo il ministro del Lavoro Roberto Maroni annuncia: "Chiederò a Pisanu di trasmettere agli ispettorati provinciali del lavoro le domande presentate, per verificare se le condizioni sono regolari oppure no. Bisogna verificare tutte le domande: quelle regolari saranno accolte, per quelle irregolari c’è l’espulsione". Intervistato da Apcom, Maroni esclude con decisione la possibilità di sanare la situazione di chi si è autodenunciato: "Abbiamo già fatto una supersanatoria nel 2003, e poi abbiamo deciso che non ce ne sarebbero state altre. Quindi diciamo che non è possibile, anche perché la legge Bossi-Fini non prevede sanatorie ma espulsioni. Gli immigrati clandestini che si sono autodenunciati sanno di essere entrati illegalmente, e se si è commessa un’irregolarità se ne pagano le conseguenze. È come se uno commette una rapina, poi si autodenuncia e chiede l’amnistia... è impossibile". Anche perché "la sanatoria chiama nuovi irregolari: lo sapevamo e per questo eravamo contrari anche alla sanatoria del 2003". La legge Bossi-Fini, ribadisce ancora una volta Maroni, "non prevede la sanatoria: una volta che si è accertato l’ingresso clandestino nel Paese, l’autorità deve applicare la legge italiana. Se poi si decide di non applicarla è un’altra questione, ma questa è la legge in vigore". Oltre al dovere di applicare la legge, per Maroni "c’è anche il dovere di rispondere alla strumentalizzazione della sinistra, che ha convinto con l’inganno migliaia di immigrati a presentare domanda. Numerose associazioni hanno fatto girare e-mail in cui si diceva che questa poteva essere una sanatoria. C’è gente che ha chiamato alla mobilitazione per usare strumentalmente questo argomento in campagna elettorale". Inoltre, osserva l’esponente del Carroccio, "è curioso che la sinistra ci accusi di aver fatto sanatorie e condoni, e poi ci chiede la sanatoria sull’immigrazione". Maroni non fa sconti neanche ai datori di lavoro, siano famiglie o imprese: "Chi dà lavoro a un clandestino offre lavoro in nero, per cui sono previste sanzioni. Non sono sanzioni penali, ma sono comunque sanzioni" per comportamenti irregolari che vanno "dall’evasione dei contributi previdenziali all’ingresso irregolare, se la magistratura lo ritiene. Chi assume un lavoratore irregolare - insiste il ministro del Welfare - sa che non paga i contributi e sa che commette un’irregolarità. Quindi deve rispondere di questa irregolarità". Roma: evade, ma solo per tornare in carcere in Germania
Roma One, 17 marzo 2006
Non è una storia stile banda bassotti in cui un detenuto, armato di cucchiaio e pazienza, scava un tunnel che sbuca nella cella vicina. Giacinto Corbo, un siciliano di Canicattì emigrato in Germania, è il protagonista di un paradosso giudiziario che lo ha portato ad evadere per tornare in carcere. L’incredibile vicenda - diffusa oggi dal Tempo - risale a cinque anni fa, ma solo oggi la notizia diventa di dominio pubblico. Tutto è iniziato vent’anni fa quando Corbo, allora 18enne, decide di partire per raggiungere il fratello si trova in Germania già da qualche anno. Appena arrivato in un sobborgo di Francoforte, le cose cominciano a girare per il meglio: raggiunto il fratello,Giacinto trova un lavoro. Purtroppo una sera il giovane siciliano si ritrova coinvolto in una discussione con due ubriachi molesti che presto degenera in rissa, durante la quale uccide uno dei due ubriachi e viene ferito a sua volta. La polizia lo arresta e lui confessa addossandosi tutta la responsabilità. Il processo si conclude con una condanna all’ergastolo, ma la legislazione tedesca prevede la possibilità, per il Tribunale di Sorveglianza, di stabilire quando far uscire un detenuto che abbia scontato almeno 15 anni. Corbo aveva buone possibilità di essere rilasciato dopo 18 anni. Grazie alla Convenzione di Strasburgo che prevede per i detenuti in carceri europee la possibilità di scontare la pena nel proprio Paese natale, nel ‘99 si apre la possibilità di tornare in Italia dopo 13 anni di carcere. Ovviamente Giacinto accetta, ma una volta a Rebibbia gli agenti gli comunicano che in Italia la pena viene commutata in un normale ergastolo. Gli appelli e gli scioperi della fame non servono a nulla e durante una licenza premio decide di tornare in Germania perché, in base alla stessa convenzione, un detenuto evaso e riarrestato deve tornare al carcere d’origine. Così Corbo lascia passare la mezzanotte dell’ultimo giorno di permesso e si ripresenta al carcere di Diez. I tedeschi, stupiti, lo arrestano. La condotta in carcere è impeccabile, tanto che tra un paio di anni Giacinto sarà definitivamente scarcerato, ma la pantomima non è ancora conclusa. Dall’Italia fanno sapere che per la legge il siciliano è ancora ricercato e appena varcherà il confine sarà arrestato. "Sono pronto ad affrontare un secondo processo in Italia - dichiara Corbo durante un’intervista telefonica - ma voglio farlo da uomo libero, come prevede il codice penale per l’evasione, grazie a quella libertà che avrò guadagnato con oltre vent’anni di galera".
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