Rassegna stampa 24 maggio

 

Volterra: detenuto di 32 anni si uccide, era depresso

 

Il Tirreno, 24 maggio 2006

 

Era stato trasferito dal carcere di Porto Azzurro nel 2004 il detenuto di 32 anni che nella notte tra il 19 e il 20 maggio scorso si è tolto la vita mentre si trovava nella sua cella, all’interno del carcere di Volterra. C.M., stando ai primi accertamenti effettuati dopo la tragedia, soffriva di crisi depressive anche se nell’ultimo anno si era sposato (il matrimonio era avvenuto lo scorso gennaio, con la donna che pochi anni prima gli aveva dato una bambina) e sembrava aver cominciato una nuova vita nonostante fosse costretto a restare in carcere ancora fino al 2012.

Il giovane, originario di Battipaglia in provincia di Salerno, stava scontando una condanna definitiva per omicidio ed evasione per un fatto avvenuto diversi anni fa. Dopo la morte, che è stata scoperta da un agente di polizia penitenziaria, la salma è stata trasportata a Pisa all’istituto di medicina legale. Del suicidio è stata infatti informata l’autorità giudiziaria come sempre succede in questi casi. Sulla salma è stata già effettuata l’autopsia per accertare se la morte sia avvenuta per soffocamento. La notizia era stata tenuta molto riservata; delle attività di polizia giudiziaria si sono occupate le stesse guardie penitenziarie.

Roma: due suicidi in una settimana, l’allarme del garante

 

Corriere della Sera, 24 maggio 2006

 

Due suicidi in carcere di detenuti che erano stati posti in isolamento. A Civitavecchia si è suicidato nei giorni scorsi un etiope, Heias Habekab di 25 anni. Era in isolamento in seguito a una brutta lite nata in cella con altri detenuti. Ancor più grave la situazione di Rebibbia, dove un uomo si è impiccato al G12, il reparto ad alta sicurezza. Ad uccidersi un romano di 39 anni, Luca Carroccia, proveniente da una famiglia nota tra i romanisti. Aveva due figli ed era reduce da alcuni ricoveri sanitari per problemi di grave depressione.

Era tornato in carcere a metà aprile, per aver infranto le regole della misura alternativa al carcere per ragioni sanitarie di cui godeva: era stato trovato "fuori percorso stabilito" mentre andava a trovare i figli che vivono con la madre da cui era separato. A Rebibbia era nel G12, il reparto che proprio in questi giorni ha presentato alla troupe dell’Eliseo la messa in scena della "Tempesta". E lì per una banale lite nell’ ora d’ aria Carroccia era stato trasferito in isolamento. Il garante regionale dei detenuti, Angelo Marroni denuncia queste morti da carcere e si chiede perché mai un uomo con crisi depressive fosse in isolamento e non in infermeria. "Il suo posto - dice Marroni - avrebbe dovuto essere il G14 e non una cella chiusa con lo spioncino chiuso".

Giustizia: Mastella; un decreto per cambiare la legge Castelli

 

La Stampa, 24 maggio 2006

 

"La prossima settimana presenterò in Consiglio dei ministri il decreto legge che abrogherà parti della riforma dell’ordinamento giudiziario. Voragine finanziaria permettendo, quanto prima assumeremo migliaia di dipendenti amministrativi, così come è previsto dalle piante organiche. E poi metteremo questa macchina della giustizia in condizione di poter marciare: soldi per la carta, per i fax, i computer, benzina per le auto. Così, senza più alibi, ognuno sarà messo di fronte alle sue responsabilità. L’idea è quella della concertazione tra governo, avvocatura e magistratura. Naturalmente lavoreremo alla riforma dei codici".

In volo per Palermo, dove parteciperà alle manifestazioni in ricordo di Giovanni Falcone, occasione (riuscita) per rappacificarsi con quella antimafia sempre guardinga e critica, il ministro di Giustizia, Clemente Mastella, prova a tracciare le linee di programma del suo ministero. Applausi gli riserverà l’aula bunker dove centinaia di ragazzi italiani sono arrivati per le celebrazioni della strage di Capaci. E i consensi tra gli avvocati e i magistrati antimafia della Procura lo porteranno ad affermare: "Da politico del Sud sono consapevole che dobbiamo sradicare le mafie che non portano sviluppo alla nostra terra. Da uomo del Sud invito tutti a riflettere sulla necessità di una legislazione unitaria antimafia".

 

Ministro, cinque anni per cambiare la giustizia. Da dove partire?

"Dal problema della manutenzione organizzativa. Voglio mettere tutti i protagonisti della giustizia in condizione di discutere tra pari: manca la carta per i fax? Non dovrà più accadere. Le piante organiche sono una groviera di posti vacanti? Faremo migliaia di assunzioni. Naturalmente, dopo cinque anni di scontri all’arma bianca, c’è bisogno non solo di firmare un armistizio ma di impegnarci tutti insieme a ricostruire un percorso comune di responsabilizzazione".

 

È il governo "amico" che bussa alle porte?

"Sgombriamo il campo da questo equivoco. Ci vuole misura e moderazione. Il pendolo non si sposterà dall’altra parte, all’altro estremo. Se il governo Berlusconi ha preferito lo scontro diretto con i magistrati, io non mi metterò certo alla guida di un caterpillar che va in direzione opposta. Io che ho una cultura democristiana ricordo che il nostro profondo senso dello Stato ci ha portato anche ad essere cancellati fisicamente dallo scenario politico. La mia dichiarazione d’intenti è inequivocabile: ai magistrati e agli avvocati dico che troveranno in me uno che vuole lavorare in armonia con loro. "Kennedyanamente" aggiungo: "Chiediamoci cosa fare insieme". Nessuna barricata, dialogo e sforzo comune a comprendere le ragioni altrui. Con l’obiettivo comune di rendere un servizio al cittadino che subisce ingiustizia, che deve essere al centro della nostra azione".

 

Assume a modello la giustizia americana?

"Per tante cose gli Stati Uniti sono un mito, un modello a cui guardare. Ma quando vedo che il loro pubblico ministero viene eletto dal popolo dico che non sono d’accordo".

 

È per la separazione delle carriere?

"Nel nostro programma c’è la distinzione delle funzioni. A giorni alcune parti dell’ordinamento giudiziario andranno a regime. Nei prossimi giorni, spero alla fine della prossima settimana, saremo in grado di varare un decreto legge per bloccare la riforma".

 

Le carceri. Lei già si è pronunciato per un provvedimento di clemenza. Il suo predecessore, il leghista Castelli, fermamente contrario, parlava di incentivare la costruzione di nuove carceri. È d’accordo?

"Sessantamila e passa detenuti sono troppi. I due terzi sono figli del disagio, extracomunitari e tossicodipendenti. Il carcere è un inferno e occorre umanizzarlo. A tutti, anche ai peggiori criminali, va salvaguardata la dignità umana. Un governo serio deve mettere mano all’universo carcerario con una filosofia diversa: dobbiamo cercare di creare le condizioni per ridurre il numero della popolazione carceraria".

 

L’ex pm di Mani Pulite, Gherardo Colombo, in una intervista al "Sole 24 ore" ha chiesto la depenalizzazione dei reati.

"E sono d’accordo. La depenalizzazione può rappresentare una straordinaria occasione per alleggerire il carico dei processi, riducendo così i suoi tempi".

 

Sembra facile, ministro. L’amministrazione della giustizia è un meccanismo molto più complicato. A proposito, sta lottizzando via Arenula? Le nomine dei suoi collaboratori magistrati rispecchiano il manuale Cencelli. Appiattito sulle toghe sindacalizzate?

"Da moderato, avrei potuto scegliere tra i magistrati di Unicost o di Magistratura indipendente. Ho scelto invece un criterio di rispetto, nominando ai vertici del ministero anche magistrati di Md e dei Verdi. Questo, voglio essere chiaro, non significa la riproduzione di dinamiche interne all’associazionismo. Non lo accetterei. Confesso che sto cercando la strada per garantire anche agli avvocati una degna rappresentanza. Ma con la storia delle consulenze bloccate è molto difficile".

Le famiglie dei detenuti: i nuovi poveri della porta accanto

 

Redattore Sociale, 24 maggio 2006

 

Si sente spesso parlare della difficile situazione dei detenuti nelle carceri italiane, ma mai di chi, oltre le sbarre, li aspetta: le famiglie. Figli, mogli, anziani genitori dei detenuti subiscono in silenzio l"umiliazione di colpe che non hanno e pagano il prezzo più alto, quello dell’emarginazione sociale. I volontari dell’Associazione Diritti e Libertà Onlus di Genova non hanno dubbi: "la famiglia del detenuto è parte delle nuove povertà della porta accanto". Quando la porta del carcere si chiude alle spalle del condannato, oltre le mura restano persone che "di colpo diventano cittadini di serie B" e tutto diventa difficile: trovare un lavoro, mantenere i figli, affrontare una malattia. Diritti e Libertà sostiene, Associazione attiva da 23 anni e riconosciuta dal 2003, promuove e tutela i diritti delle famiglie dei detenuti, grazie alla rete di sostenitori e volontari che si espande in tutta Italia e alla collaborazione con Associazioni laiche e religiose.

Per sostenere le spese legali e notarili, alle famiglie viene portata via la casa e le moglie perdono il posto di lavoro a causa dei preconcetti del comune pensare. "Il licenziamento - racconta Alberto De Barberi di Diritti e Libertà - comporta per la donna, l’impossibilità di sostenere economicamente i figli e i servizi sociali li danno in affidamento a istituti o famiglie. Scopo della Onlus Genovese è mantenere il nucleo familiare intatto, evitando l’emarginazione sociale e prevenendo il rischio di comportamenti devianti da parte di adolescenti e bambini. "Le prime vittime della carcerazione sono i minori. - sostiene De Barberi - Sono quasi 400 i bambini a carico dell’Associazione, molti con gravi problemi di salute. Hanno bisogno di tutto: alimenti, medicine, vestiti. Le madri non riescono a pagare le bollette, l’affitto, le visite mediche."

Ogni anno in Italia vengono arrestate dalle 300 mila alle 450 mila persone. Dietro ad ogni arresto si nascondono storie di disperazione e umiliazione. Le porte si chiudono dentro e fuori le mura degli istituto penitenziari e le famiglie si sgretolano. L’Associazione Diritti e Libertà offre assistenza legale gratuita, pacchi di alimenti settimanali, visite mediche gratuite grazie al sostegno di medici, avvocati e professionisti che si sono uniti per dare una speranza ai bambini e alle loro madri. Per le famiglie prive di alloggio è stata istituita una Casa Famiglia, che ospita cinque nuclei familiari. I volontari provvedono all’inserimento scolastico dei minori e alla ricerca del lavoro per le madri, ma senza passare dai consueti canali di intermediazione (Centri per l’Impiego, Agenzie di Collocamento) per evitare che le persone vengano "catalogate", incrementando i fenomeni di pregiudizio. "Chi darebbe lavoro alla moglie di un carcerato?".

I casi vengono segnalati dagli stessi detenuti, dai volontari e dai cappellani delle carceri. Più di una famiglia al giorno si presenta allo sportello dell’Associazione e per ognuno parte la catena di aiuti. L’Università Genova sta preparando il sito dell’Associazione, che raccoglierà le testimonianze di famiglie e detenuti e diventerà un punto di contatto tra Genova e le sezioni dislocate sul territorio nazionale. L’Associazione sta per inaugurare le sedi di Roma e Aosta. Oltre al sostegno economico, Diritti e Libertà è impegnata in progetti volti ad agevolare l’incontro tra i detenuti e le loro famiglie. Progetti come "Bimbi a Natale" e "Bimbi a Pasqua", hanno lo scopo di raccogliere fondi per l’acquisto dei biglietti ferroviari che permetteranno alle famiglie di incontrare il proprio congiunto in occasione delle festività e di conseguenza garantire il rispetto del diritto all’affettività del minore. "L’aiuto economico per queste famiglie - dichiara De Barberi - è indispensabile. Progetti come l’adozione a distanza sono molto lodevoli, ma dobbiamo pensare anche ai figli di casa nostra, le famiglie della porta accanto. Basta scendere in strada per toccare con mano la loro disperazione". Nelle prossime settimane partirà la raccolta alimentare in alcuni supermercati genovesi, per portare alle famiglie un sostegno concreto e mirato volto a salvaguardare il benessere e la salute di questi figli di serie B.

 

Se in carcere non sono sostenuti da percorsi rieducativi, torneranno a compiere reati

 

Dalle 300mila alle 450mila persone vengono arrestate in Italia ogni anno. Quasi tutti lasciano una famiglia che ha bisogno di aiuto. Nelle carceri liguri il 40% dei detenuti è straniero. Del restante 60%, il 45% sono cittadini del Sud e il 15% settentrionali. "Malgrado le difficoltà e la carenza di fondi, a Genova e in generale nel Nord - racconta Alberto De Barberi dell’Associazione Diritti e Libertà - possiamo contare sulla rete delle associazioni e sui servizi sociali. Al Sud la situazione è diversa e le famiglie dei carcerati sono completamente lasciate a loro stesse." L’Italia vanta una delle normative più illuminate sul sistema penitenziario. La legge n. 364 del 1975 prevede l’attivazione di servizi rieducativi e di strutture riabilitative per il detenuto, che avrebbe diritto a usufruire di percorsi de reinserimento sociale e culturale. "Ma la realtà - prosegue De Barberi - è purtroppo diversa, perché queste strutture non sono mai entrate in funzione, salvo rari casi."

La mancata attuazione della legge, comporta l’impossibilità di impedire i fenomeni devianti e il comportamento recidivo. "Se in carcere, i detenuti non sono sostenuti da percorsi rieducativi appropriati, una volta usciti, torneranno a compiere reati, con conseguenti gravi costi umani e sociali". Un detenuto costa infatti allo Stato 300 € al giorno. I reclusi vivono in celle con altre 8-9 persone, senza possibilità di avere quell’intimità necessaria ad avviare percorsi di cambiamento. "Bisogna inoltre sottolineare il fatto - conclude De Barberi - che molti detenuti subiscono la carcerazione preventiva e non importa se la sentenza d’appello li giudicherà innocenti. Per la società saranno sempre dei pregiudicati. Il marchio resta, nessuno si ricorda il giorno dell’assoluzione, tutti rammentano il giorno della condanna, perché, per citare Quetelet, la società costruisce il crimine, poi trova sempre chi lo esegue".

 

"Vite tra tenute": un libro verità raccoglie le testimonianze dei detenuti

 

Vite Tra Tenute, o meglio sarebbe Vite Trattenute. Trattenute dietro le sbarre di un istituto penitenziario e raccontate in un libro che raccoglie le testimonianze dei detenuti del carcere di Alta Sicurezza di Vibo Valentia. L’iniziativa parte dall’Associazione Diritti e Libertà Onlus di Genova e dall’Associazione Volontariato Carcerario "Insieme" di Vibo Valentia. Quasi quattrocento pagine di testimonianze sulla vita negli Istituti Penitenziari, raccontata da chi li vive.

Uno specchio sulla realtà carceraria, in un panorama che abbraccia l’intero Codice penale. "Dove siamo - quanti siamo - da dove veniamo - perché siamo qui", i detenuti si confessano ai volontari di Vibo Valentia, descrivono le loro abitudini, le loro sofferenze, tentano di spiegare cosa significa perdere la libertà. Dalla letteratura sul carcere alla letteratura del carcere. Descrizione dettagliate accompagnano il lettore dentro le mura in viaggio tra servizi igienici, cucine, passeggiate nell’ora d’aria. Il testo, strutturato come un romanzo, è un vademecum sulla vita nel carcere e offre un quadro completo del sistema penitenziario italiano e delle leggi che lo governano.

La prima legge è quella di "arrangiarsi", che i detenuti imparano dal primo giorno di reclusione. Dal cucinare pietanze originali utilizzando i pochi ingredienti disponibili, agli indispensabili fili di plastica "multiuso" per stendere biancheria, suppellettili e tegami, alla caffettiera bollente che diventa ferro da stiro, fino al contenitore di sapone liquido trasformato in dosa olio. "In carcere il banale diventa impresa". La vita in carcere ha le sue regole, anche nelle mansioni di ordinaria sopravvivenza. I detenuti s’improvvisano artisti e con pochi arnesi costruiscono navi di legno e soprammobili di carta.

"La nostra iniziativa - raccontano gli autori - è nata per la voglia di raccontare e informare come, nonostante le sbarre, il detenuto si ingegna e si impegna per dare sfogo alla propria creativa essenza di essere soprattutto uomo." Dietro all’apparente ilarità dei racconti, si nascono emozioni e drammi di vite sospese, quella del condannato e della sua famiglia. La vendita del libro, pubblicato lo scorso aprile, darà sostegno economico a genitori, moglie e figli che, oltre le sbarre, aspettano di tornare a una vita "normale".

Pescara: due nuovi progetti di reinserimento per i detenuti

 

Il Messaggero, 24 maggio 2006

 

Si chiamano "Cantieri" e "Voci dal Purgatorio" i progetti di reinserimento dei detenuti abruzzesi. Il primo, un cortometraggio che sarà presentato venerdì alle 18.30 a San Donato, è stato girato all’interno della scuola edile di Pescara dove alcuni detenuti hanno preso parte ad un corso di formazione professionale. Dura mezz’ora e sarà preceduto da un backstage in cui i carcerati raccontano le loro esperienze di vita. Il secondo, un libro già distribuito gratuitamente a tutti gli studenti dell’istituto professionale "Di Marzio", è stato redatto da due giovani scrittori pescaresi: Marcello Nicodemo e Mario De Benedictis.

Raccoglie spaccati di vita, sfoghi, amare riflessioni e speranze dei detenuti di Pescara e Chieti, impreziosite da alcune poesie e da una serie di immagini immortalate dall’obiettivo di Antonio Giammarino e da quello degli stessi carcerati di San Donato. Un testo significativo, dove la libertà diventa per molti una chimera: "Con tutto il ferro che ci circonda arriviamo a pensare di essere parte di esso". Patrocinato dall’associazione culturale "Oltreleparole" e dal provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, si divide per singole storie, con protagonisti sette detenuti che, volendo rimanere nel più totale anonimato, si sono raccontati usando degli pseudonimi. L’introduzione è stata invece scritta dal provveditore delle carceri abruzzesi e molisane Gianni Veschi, sensibile alle problematiche legate al reinserimento sociale: "Questa pubblicazione - dice - dimostra che il detenuto aspira ad avere un contatto con l’esterno. Non ci limitiamo a rinchiuderli in una cella, ma cerchiamo di rieducarli, e sono molti quelli che riprendono a studiare in carcere". Dello stesso avviso è Lucia Avvantaggiato, direttrice del carcere di Chieti: "Lavoriamo sulle storie personali dei detenuti, cercando di capire il loro percorso di vita affinchè, da liberi, possano trovare dentro di sé la forza per affrontare meglio il futuro". Non è stata casuale nemmeno la scelta di presentare l’opera in una scuola. L’ultima parola spetta agli scrittori: "Essendo anche docenti - dichiarano all’unisono Nicodemo e De Benedictis - abbiamo notato come la scuola a volte diventi l’anticamera del carcere. È un luogo in cui molti adolescenti incominciano una parabola discendente che, come raccontatoci da alcuni detenuti intervistati, si conclude qualche anno dopo in carcere".

Rimini: la colpa del figlio detenuto ricade sulla madre

 

Corriere Adriatico, 24 maggio 2006

 

Da cinque anni la madre di uno degli assassini, una brava donna, si spezza la schiena nella speranza di garantire un futuro migliore ai suoi cinque figli, i due maschi e le tre ragazzine rimaste in Romania. In poche ore tutto le è crollato addosso e, in attesa di processi e sentenze, lei ha già avuto la prima "condanna". La famiglia di Gabicce per cui lavorava come badante le ha dato il benservito. Una specie di nemesi storica al contrario che fa ricadere sulla madre la colpa del figlio.Già ieri la donna ha dovuto fare le valigie dalla casa dove viveva a tempo pieno da quasi sei mesi: licenziata senza bisogno di spiegazioni.

Né lei ha fatto domande: le immagini del figlio che esce dalla questura tra i poliziotti passate in televisione hanno avuto un effetto devastante sulle persone che l’avevano accolta con fiducia in casa e l’avevano messa in regola apprezzandone laboriosità ed educazione.Ieri la donna, madre di Marian Balauca, 20 anni da compiere il 10 giugno, è andata in Tribunale nella speranza di incontrare il figlio in uno dei corridoi del palazzo di giustizia. Lui, per non smentire la fama di "duro" alla vista della donna si è tirato indietro per evitare di essere baciato e per sottrarsi all’abbraccio materno.Poi, quando la porta dell’aula s’è chiusa è scoppiato a piangere come un bambino sotto gli occhi del giudice Lucio Ardigò.

Forse per la prima volta dal momento del fermo ha realizzato la gravità di quello che ha fatto. Senza parole, da parte degli accusati, è poi filata via l’udienza di convalida. Sia Marian, difeso dall’avvocato Simone Campolattano, sia Eduard Arcana, l’altro clandestino romeno accusato dell’omicidio di Elio Morri (difeso dagli avvocati Piero Venturi e Carlo Caparrini) si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Hanno preferito non aggiungere nulla alla lunga confessione resa in questura, ma entrambi - attraverso i loro legali - hanno chiesto di essere interrogati più avanti dal sostituto procuratore Marilù Gattelli, il pm che ha coordinato l’esemplare indagine.

Il giudice Ardigò ha convalidato i fermi e disposto, come era scontato che entrambi rimangano in carcere. Nel suo provvedimento si sottolinea, tra l’altro, la "disumanità del loro comportamento".Il magistrato ha inoltre dato il nullaosta al trasferimento dei detenuti che verranno separati: Balauca andrà a Forlì, l’altro probabilmente a Pesaro. In ogni caso per loro non è più previsto il regime di isolamento. Non avevano mai conosciuto il carcere. Gli accertamenti hanno infatti confermato che i due romeni sono incensurati sia in Italia sia in patria.

A quanto si apprende anche la famiglia di Eduard ha garantito al ragazzo il proprio sostegno: i genitori e la sorella sono regolari e vivono da tempo nel Pesarese. Le difese sono ora al lavoro per trovare uno spiraglio alle prospettive processuali: i romeni hanno ammesso il pestaggio e specificato di aver colpito alla testa, ma l’autopsia ha riscontrato anche lesioni compatibili con la caduta dalla bici e indicato nell’asfissia una concausa del decesso. Inoltre, sia pure finora velatamente, i due tendono a scaricare reciprocamente le maggiori responsabilità. Gli addebiti sono comunque pesantissimi: omicidio volontario aggravato da motivi futili e abietti e dalla crudeltà, tentata rapina aggravata, ma anche - per un precedente episodio - di rapina aggravata, e lesioni personali gravi.

Non solo: gli investigatori sono al lavoro per rintracciare le vittime, un italiano e una coppietta di ragazzi tedeschi, di altre aggressioni confessate da Eduard, ma non ancora "ricostruite" e quindi non attribuibili a loro. Altri raid all’insaputa delle rispettive famiglie, che però originarie della stessa cittadina non si vedevano più di buon occhio, attribuendo ognuna all’influenza dell’altro la deriva caratteriale dei loro ragazzi. A sostenere la madre di Marian, all’uscita del Tribunale c’era l’altro figlio, appena diciottenne. L’unica persona alla quale l’accusato avrebbe fatto qualche ammissione sul delitto poco prima dell’arrivo della polizia. Una confidenza che potrebbe trasformare il giovane congiunto, clandestino e manovale in nero, in testimone. Una condizione capace di garantire quello che fino a ieri per lui era un solo miraggio: un permesso di soggiorno.

Vicenza: carcere e scuola, partita della solidarietà col Csi

 

Il Gazzettino, 24 maggio 2006

 

Nonostante la sconfitta è stata una bella esperienza per i ragazzi dell’Itis Rossi di Vicenza guidati dall’insegnante di educazione fisica Gianni Peretti: nei giorni scorsi sono entrati al San Pio X di via Dalla Scola per una partita con i detenuti. Ovviamente solo i maschi maggiorenni. L’iniziativa rientra nel progetto Carcere e Scuola messo a punto dal CSI di Vicenza e di Verona (con l’associazione Progetto Carcere 663) e al quale hanno aderito diverse scuole vicentine tra cui l’Istituto Artusi di Recoaro, l’Ipsoa Lampertico di Vicenza e il liceo Pigafetta.

Per conto del Centro sportivo Italiano hanno accompagnato la comitiva il presidente provinciale Enrico Mastella e il volontario coordinatore dell’attività Leopoldo Galla. Con loro il decano degli arbitri Aldo Parise. Gli studenti si sono trovati ad affrontare una selezione della sezione AS (alta sorveglianza) sotto gli occhi vigili degli agenti di polizia penitenziaria. Ad aprire le marcature Llakdi per i detenuti al 29esimo del primo tempo, al quale ha subito risposto Lunardi per l’Itis Rossi al 30esimo. Le squadre sono andate a riposo sull’uno a uno.

Nella ripresa dopo 5 minuti segnano i "padroni di casa" con Hakme. Pronti i futuri periti hanno risposto dopo due minuti con un gol di Rappo: un bel tiro da fuori area che ha sorpreso il portiere del San Pio X. Infine il gol del vantaggio è stato siglato al 43esimo da Ben degli AS. Si è giocato all’insegna della correttezza e del far play. Alcuni elementi tra i detenuti hanno potuto mettere in evidenza le loro qualità calcistiche. Tra gli studenti da segnalare l’ottima prestazione di Rappo.

Nei saluti finali i detenuti attraverso il CSI hanno donato all’Istituto Rossi una maglia dei campionati mondiali del 1982 siglata da Paolo Rossi per ringraziare i ragazzi per la loro disponibilità. "Con le partite in carcere vogliamo lanciare un segnale - ha affermato Enrico Mastella Presidente CSI di Vicenza - alla società vicentina: i detenuti fanno parte della nostra comunità e prima o poi dovranno ritornare tra noi. per questo bisogna lavorare per preparare questo reintegro. E lo sport in questo caso è un viatico eccezionale!".

Giustizia: Berlusconi; dopo tanti anni l'amnistia è cosa positiva

 

Adnkronos, 24 maggio 2006

 

"Ritengo che dopo un certo numero di anni l’amnistia sia qualcosa di positivo". Lo ha detto il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, intervenendo a Porta a Porta. "Il nostro sistema carcerario è previsto per meno di 50mila presenze -ha sottolineato l’ex presidente del Consiglio- mentre i detenuti sono circa 63 mila. Oggi la situazione delle carceri italiane non è di dignità per i carcerati a cui lo Stato può togliere, e deve togliere qualora c’è un reato la libertà, ma non la dignità o può mettere a rischio la sua salute".

Napoli: 6 anni di carcere ingiusto, chiede 150 mila euro

 

Il Mattino, 24 maggio 2006

 

Assolto dal Tribunale di Santa Maria di Capovetere con formula piena - sentenza non impugnabile perché lo stesso Pm ha chiesto il proscioglimento, e quindi definitiva - perché il fatto non sussiste. Ma per Aldo Mario Carere, originario di Polistena, rinchiuso prima nel carcere di Montacuto, dove aveva insegnato ai detenuti, poi a Fossombrone con l’accusa di essere il "postino" di un boss della camorra, non sarà semplice dimenticare un calvario durato sei anni.

Un calvario che a suo dire vale almeno 150 mila euro, anche se il risarcimento del danno assicura di non averlo ancora quantificato con i propri legali. Tanti gli elementi da valutare. Tanti i danni subiti, morali e materiali. Arrestato nel quadro di un’operazione della direzione antimafia campana contro i clan camorristici del casertano, il suo nome venne legato a quello del boss Vincenzo Zagabria, all’epoca dei fatti detenuto a Montacuto, consentendogli di mantenere i contatti con l’associazione malavitosa. Da educatore carcerario a detenuto.

Per Carere le manette sono scattate il 28 marzo del 2000. Ma alla fine, nell’udienza del 19 maggio 2006, il Tribunale di Santa Maria di Capovetere lo ha assolto dall’accusa di concorso in associazione mafiosa dopo anni costellati di rinvii e di dolorosi interrogatori. "Ora mi sento felice e sollevato - commenta Carere -, ho sempre avuto fiducia nella giustizia. Non ho mai capito come possa essermi trovato coinvolto in una vicenda di questo genere".

Secondo il pm antimafia di Napoli Agostino Cordova, che aveva chiesto e ottenuto all’epoca 51 ordinanze di custodia cautelare contro le nuove leve della camorra, Carere avrebbe permesso a Vincenzo Zagaria, presunto capo del clan dei Casalesi, di mantenere rapporti con l’organizzazione pur essendo ristretto nella prigione dorica in regime di 41 bis, ovvero di sorveglianza speciale. Avrebbe fatto uscire dalle sbarre lettere e messaggi destinati agli affiliati. "L’unica mia colpa - spiega Carere - è stata quella di aver parlato al telefono con una persona sospettata di far parte della camorra. Abbiamo conversato del più e del meno, ma le nostre parole sono state interpretate come messaggi in codice".

"La Procura di Napoli - continua - aveva chiesto la mia incriminazione. Il gip mi aveva dato il concorso esterno. Fui tradotto prima a Montacuto, poi a Fossombrone. Fui rilasciato il 18 luglio del 2000. Ho perso il lavoro di insegnante al centro territoriale di educazione degli adulti della scuola media Podesti di Ancona. In pochi mi sono rimasti accanto. I miei amici più cari, i miei familiari, mia figlia. A loro devo tutto. Mi hanno dato la forza di resistere per tutti questi anni, di non mollare, di non cadere nella depressione".

Giustizia: don Rigoldi; oltre all’amnistia servono aiuti concreti

 

Metro News, 24 maggio 2006

 

Ci sono molti motivi per progettare un indulto o una amnistia che riducano il sovraffollamento delle carceri italiane. Un primo motivo è certamente quello di osservanza della legge: la Costituzione anzitutto e poi anche la Carta dei Diritti dell’Uomo, leggi fondanti dello Stato che assegnano al carcere il compito della custodia e insieme della rieducazione del detenuto. Questo vale a maggior ragione e con più determinazione per i minorenni. Altri buoni motivi sono insieme quello del senso di umanità, della sicurezza, del non sprecare denaro. In ogni condizione le persone hanno il diritto al rispetto della loro dignità. Anche se giustamente punito, nessuno può essere trattato come un animale.

Chi conosce talune carceri italiane si rende ben conto del senso di questa affermazione. È anche una questione di sicurezza perché se all’uscita un detenuto ha compreso i suoi errori e ha progetti di vita buona e onesta, non solo abbiamo aiutato una persona a cambiare vita ma abbiamo eliminato un pericolo di recidiva. Sprecare denaro per fare illegalità, spregio della dignità delle persone e infine riavere in libertà persone disperate o indurite non è né giusto né utile. Detto questo bisognerà affrontare alcuni problemi concreti. Senza entrare nella definizione degli anni di riduzione dell’indulto o dei reati cancellati dall’amnistia, vanno tenute presenti almeno due questioni. La prima riguarda i detenuti stranieri. Il 37% dei circa 40.000 detenuti già condannati dei quali circa la metà ha contravvenuto al Testo Unico sull’immigrazione.

Messi fuori si riconsegnerà loro il decreto di espulsione con l’impegno ad abbandonare l’Italia o si provvederà direttamente al rimpatrio? In questa seconda ipotesi ci vorrebbe una sorta di ponte aereo per circa diecimila persone.

Nella prima ipotesi avremmo diecimila clandestini in giro per le nostre città, senza la possibilità di pagarsi il viaggio di rientro. Per tutti gli altri, italiani o stranieri, all’uscita potrebbero essere persone che hanno casa oppure no, persone che hanno un lavoro oppure no, uomini e donne che hanno una famiglia oppure nessuno. Questo per dire che, mentre si progetta l’amnistia o l’indulto, occorre anche pensare ad una sorta di "rete di protezione" perché l’assenza di casa, di lavoro, la solitudine preludono a comportamenti come minimo di depressione, ma anche purtroppo alla ricerca dei mezzi di sopravvivenza con modalità che potrebbero essere illegali. Mi parrebbe necessario chiamare a raccolta, insieme con le istituzioni, il volontariato, il privato sociale, la Chiesa stessa che in maniera così autorevole richiede questi provvedimenti per preparare delle risposte di accoglienza a diversi livelli limitando al massimo gli interventi di mera assistenza offendo invece possibilità di lavoro, di abitazioni ad un canone accessibile, persone che possano aiutare l’integrazione sociale. Chiedere il "fuori e basta" mi suona più come retorica che non una vera risposta concreta ai bisogni dei detenuti.

Siracusa: studenti e detenuti uniti per fare un giornale

 

Adnkronos, 24 maggio 2006

 

Sarà l’inserto, redatto dai detenuti che frequentano il corso "Agricoltura e Ambiente" presso il Carcere di Cavadonna, l’oggetto di un incontro con la stampa previsto per domani, alle ore 9, nella sala conferenze " Costanza Bruno" della Provincia Regionale di Siracusa. Nell’incontro si farà il punto della situazione circa le iniziative dell’Istituto "Principe di Napoli", dove funziona una sezione distaccata Agricoltura ed Ambiente. Verrà inoltre presentata l’opera teatrale "L’umbriaco, lu giganti e l’unbrugghiuni", libero adattamento in siciliano di Liddo Schiavo dal dramma satiresco "il ciclope" di Euripide. Nell’opera viene rivalutata in chiave antropologica la figura di Polifemo. Attesi all’incontro l’assessore provinciale alla Pubblica Istruzione, Tati Sgarlata, il dirigente scolastico, Laura La China, direttrice del carcere di Cavadonna, dottoressa Ianì, il regista Emanuele Schiavo, l’insegnante presso il carcere di Cavadonna, Angela Di Paola, il responsabile del giornale scolastico, prof. La Sita e prof.ssa Dotto. Quest’anno, è stato assegnato il premio speciale al concorso Sogeas sulla tutela ambientale all’attività della scuola nel campo della comunicazione e del sociale a testimonianza del rilevante contributo offerto negli anni dall’istituto.

Lucera: i detenuti vanno in scena dentro il carcere

 

Lucera Web, 24 maggio 2006

 

Erano in undici a succedersi sul palco, ma rappresentavano un’idea, un intento e un obiettivo comune agli altri 170 che condividono la stessa casa, per un tempo più o meno lungo, e che li hanno applauditi a lungo. Erano i detenuti del carcere di Lucera che, per il terzo anno consecutivo, sono tornati in scena nei locali della casa circondariale per mostrare a giornalisti, educatori, politici e ai loro compagni di cella le proprie abilità artistiche. Musicisti, attori, cantanti, ma anche attrezzisti e scenografi, con l’ausilio di Enzo Nardacchione, e perfino autori, i detenuti hanno riscosso un grande successo nelle loro perfomance che hanno spaziato dal repertorio classico a quello romanesco e partenopeo. Hanno messo in scena la loro faccia, il loro impegno e la loro singola storia, prima ancora che scene di "Natale in casa Cupiello", il "Venditore di almanacchi", oppure canzoni intramontabili come "Vecchio Frac", "Chitarra Romana", "Guaglione" e "Tammurriata Nera", tradendo emozione e quasi imbarazzo iniziale, che si è sciolto durante l’ora e mezza di rappresentazione. Struggente poi una canzone dal titolo "Tu Fiore spezzato", scritta, cantata e musicata da uno di loro e dedicata al fratello scomparso.

Il motivo dominante di quest’anno era infatti "La musica conduce verso il viale della libertà", sfociato in due laboratori di musica e teatro animato da volontari esterni alla struttura. Un grande viale alberato, in effetti, molto simile a quello della villa comunale, faceva da sfondo al piccolo palco che ha ospitato artisti neanche troppo improvvisati, ma condotti quasi per mano dai registi Pasquale Ieluzzi, Ernesto Faeta e Marino Scioscia. Lo spettacolo è stato arricchito anche dalle qualità canore di Lucia D’Apollonio e dalla elegante leggiadria della ballerina Tonia Petrillo.

"Non c’è bisogno di pietismo - ha detto all’inizio dello spettacolo l’operatrice del carcere Ada Zuppa, che ha coordinato le attività assieme a Lina D’Aloia - perché vogliamo mostrare una realtà che opera in maniera attiva, favorendo il ritorno della fiducia in se stessi e nel mondo esterno".

Sono state due ore di riflessione e di divertimento, nelle quali il "mondo" è andato in carcere a prendere atto che, nel caso di Lucera, in mezzo alla città c’è un’isola quasi avulsa da tutto il resto, ma pulsante di vita e di qualità umane che invece sono state sopraffate da fattori negativi più forti.

"La speranza non deve morire - ha aggiunto Zuppa durante la presentazione dei momenti dello spettacolo - perché qui ognuno vive col suo passato, ma ha bisogno di proiettarsi verso il futuro per una migliore valorizzazione della vita". All’appuntamento si sono presentati anche gli assessori regionale e provinciale alle politiche sociali Elena Gentile e Michele Del Carmine e, in rappresentanza del Comune, l’omologo assessore Giuseppe De Sabato e il presidente della relativa commissione consiliare Michele Barisciani. Proprio l’amministratore regionale ha annunciato importanti novità a supporto delle politiche per i detenuti e le rispettive famiglie.

La casa circondariale di Lucera, diretta da Davide Di Florio, ospita attualmente 180 detenuti, 50 in più della sua capienza ordinaria, ma in realtà è una comunità di circa 400 persone tra agenti di polizia penitenziaria, impiegati, educatori e volontari che giornalmente offrono "un valore aggiunto alla loro permanenza - ha dichiarato il direttore - che potrebbe diventare un bagaglio importante alla fine della loro detenzione".

Non a caso, alla fine della rappresentazione, a tre detenuti è stato consegnato ufficialmente l’attestato della patente europea per il computer, un riconoscimento di alto valore tecnico conseguito all’interno del carcere, uno dei pochi in Italia a offrire questa possibilità.

"Crediamo fermamente nell’importanza del valore educativo inculcato in carcere - ha concluso Di Florio ringraziando tutti i presenti - perché il tempo qui non vada perso inutilmente ma possa costituire un’offerta di arricchimento tecnico e morale per il futuro di ciascuno di loro".

Istat: in Italia povertà e disuguaglianze sono sempre alte

 

Corriere della Sera, 24 maggio 2006

 

In Italia la povertà è ben presente e negli ultimi otto anni non è calata. Inoltre la nazione si trova tra i Paesi europei dove esiste il maggiore divario tra ricchi e poveri: in pratica i redditi sono male distribuiti. Lo segnala l’Istat nel Rapporto annuale 2005 sullo stato dell’economia nazionale. Circa 4,2 milioni di lavoratori guadagna meno di 780 euro al mese.

L’ufficio di statistica segnala che gli indigenti in Italia sono 7,6 milioni, pari all’11,7% della popolazione, in pratica 2,6 milioni di famiglie. L’emergenza riguarda soprattutto il Sud, dove una famiglia su quattro è povera e dove le persone povere nell’ultimo anno sono aumentate di circa 900 mila unità. La povertà interessa per lo più i nuclei con tre o più figli minori, le famiglie dove il capofamiglia è pensionato o donna, anziana o sola.

I redditi più bassi riguardano il 28,2% delle donne contro il 12,3% degli uomini; il 36% dei giovani con meno di 25 anni; il 32% di chi ha un basso titolo di studio; il 21% delle persone che lavorano nel settore privato; il 40% dei lavoratori a tempo determinato. Oltre il 50% dei lavoratori a basso reddito opera nell’agricoltura, nella caccia e pesca.

Nel 2003 il reddito medio per famiglia è stato di 24.950 euro, pari a circa 2.080 euro al mese. Ma una famiglia su due ha un reddito mensile netto inferiore a 1.670 euro. Al Sud di solito c’è un solo percettore di reddito, mentre al nord due o più.

L’indice di concentrazione dei redditi colloca l’Italia, insieme a Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia, tra i Paesi europei a maggiore diseguaglianza tra ricchi e poveri. Il 20% delle famiglie più agiate detengono il 40% delle ricchezze italiane. Inoltre il nostro Paese si colloca tra quelli a minore mobilità sociale. Risulta infatti difficile passare da una classe sociale all’altra. Le donne hanno una probabilità maggiore di quella maschile di permanere nella classe di origine: è il caso delle figlie della classe operaia agricola e della borghesia. L’incidenza sul reddito delle spese per l’abitazione è del 9,2% per le famiglie più ricche e del 30,7% per quelle più povere.

Nel 2004 il 25% delle famiglie ha comprato meno pane e pasta mentre oltre il 30% meno carne, frutta e verdura; il 37,2% ha ridotto l’acquisto di pesce; il 41,9% ha speso meno per l’abbigliamento e le scarpe. Il 15% ha optato per alimenti di qualità più bassa. Nel Mezzogiorno il 13,5% delle famiglie (contro una media nazionale del 7%) ha dichiarato di non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni. Al Sud il 21% delle famiglie non riesce a riscaldare adeguatamente la casa. Un terzo delle famiglie dichiara di arrivare con molta difficoltà a fine mese, il 27,5% non riesce a far fronte a una spesa imprevista di mille euro e solo il 26% è riuscita a mettere da parte dei risparmi nell’ultimo anno.

Cremona: far rivivere il Comitato Carcere e Territorio

 

Welfare Cremona, 24 maggio 2006

 

L’Assessore alle Politiche Sociali, Anna Rozza, ha risposto in Consiglio Provinciale all’interrogazione di Attilio Galmozzi (Rifondazione Comunista) che, partendo da un’analisi generale delle carceri definita insostenibile, si concentrava su Cà del Ferro. La Provincia non ha competenze dirette, la sollecitazione di Galmozzi consentiva, come ha spiegato l’assessore, di testimoniare l’impegno profuso utilizzando il bando regionale della legge 8 per progetti finalizzati a migliorare la qualità della vita nel carcere e l’integrazione esterna di ex o detenuti in semi libertà. Due i progetti all’attivo: "due enormi fatiche burocratiche". 45 mila euro nel 2005 al progetto di risocializzazione "dentro le mura", che è stato accolto includendo anche recupero strutturale e messa a norma alla 626 degli spazi collettivi, e 10.800 euro nel 2006 per attività di animazione.

Determinante poi il supporto della Provincia al progetto finanziato dalla Regione per 200 mila euro, per aprire una casa alloggio Caritas per detenuti a San Savino. La Provincia fa parte anche del Comitato Carcere e Territorio del Comune di Cremona. "Luogo di dialogo con scuola, formazione professionale ecc.. che devo tornare a riappropriarsi della propria missione - ha detto Rozza - e ha invocato un’azione di sollecito".

È quindi passata ai numeri di Cà del Ferro. Anno 2005. Media detenuti circa 300. Nessun suicidio nel 2005, 31 episodi di autolesionismo. L’Asl, tramite il Sert assicura assistenza continua ai tossicodipendenti con colloqui psicosociali, per far affiorare le ragioni alla radice, trattamenti farmacologici mirati. Nel 2005 sono 205 i tossici, forte il turn over: 38 detenuti non avevano requisiti tossicodipendenza, dunque non sono stati sottoposti a programmi finalizzati, 47 a trattamenti farmacologici, 158 seguiti con interventi psicosociali. 10 i sieropositivi, sono attivi in convenzione con reparto malattie infettive due infettivologi. Sono inoltre a disposizione 1 chirurgo, 1 odontoiatra e 1 cardiologo, sono in organico 10 infermieri. Su 315 detenuti 51,7% sono stranieri (i più presenti marocchini, albanesi e rumeni). Le cause di detenzione: 218 droga; 95 furti; 93 rapina; 40 violenza sessuale; 20 estorsione. "Dietro questi numeri c’è una tragedia - ha concluso Rozza - che è quella sollevata dall’interrogazione di Galmozzi: è un carcere sovraffollato, c’è 1 solo educatore che viene una volta al mese da Napoli, non si fa prevenzione, ci sono servizi che tra di loro non si raccordano. Anzitutto, occorre far rivivere il Comitato Carcere e Territorio".

"Questi dati - ha concluso Galmozzi - rivelano una condizione pesante, che un’amministrazione pubblica non può ignorare. Occorre investire in progettualità e professionalità". E ha lanciato la proposta di riunire in carcere la commissione Cultura e Servizi Sociali della Provincia e verificare la disponibilità dell’analoga commissione comunale. "Per cercare di creare una rete di risposte per supportare servizi e attività di prevenzione che mancano e sono una priorità".

Enna: don Ciotti entra nel carcere per parlare di usura

 

Vivi Enna, 24 maggio 2006

 

Don Luigi Ciotti entra per la prima volta in un carcere per parlare di usura con i detenuti della casa circondariale di Enna che hanno partecipato al Progetto "Livatino-Grassi: La scuola contro il racket e l’usura" della "Fondazione Progetto Legalità in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le altre vittime della mafia", giovedì 25 maggio.

Il progetto nato per far riflettere sull’incidenza e sulle conseguenze sociali dei fenomeni del racket e dell’usura nasce in collaborazione con l’assessorato regionale alla Pubblica Istruzione, l’ufficio scolastico regionale del Miur, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Al percorso scolastico - rivolto a tutte le scuole d’Italia di ogni ordine e grado, compresi gli istituti carcerari e le scuole per adulti - hanno sinora partecipato oltre 800 classi di tutta Italia. Obiettivo è stimolare le scuole a parlare di usura e racket con tutte le componenti del territorio: associazioni antiracket e antiusura, di categoria, rappresentanti delle Forze dell’ordine, magistratura, società civile e terzo settore, giornalisti, docenti universitari.

Un evento unico con la partecipazione di Don Ciotti ad una trasmissione televisiva che sarà registrata dentro la casa circondariale e andrà in onda su EnTv. La presenza di don Ciotti, riconosciuto a livello nazionale per le sue qualità umane e di intermediazione con la parte debole della società, vuole essere un ulteriore motivo di riflessione e rilancio del tema posto dalle scuole carcerarie di Enna.

L’Obiettivo del Progetto Legalità promosso dalla Fondazione presieduta dal magistrato della DDA di Palermo Massimo Russo e partecipata da una folta delegazione di magistrati siciliani che hanno deciso di scommettere sulla scuola e sui luoghi di educazione - come le carceri - che ha visto impegnati i detenuti studenti della scuola carceraria di Enna, è finalizzato non solo a far comprendere le tante facce del fenomeno dell’usura quale reato penale, ma anche a creare i presupposti perché si sviluppi una cultura di consapevolezza del danno che l’"accettazione" dell’usura arreca al sistema della convivenza civile. I detenuti, guidati, dagli insegnanti della scuola elementare e media De Amicis, dirigente scolastico Maria Belato, e coadiuvati dagli insegnanti dei corsi professionali Anfe regionale e dal cappellano Don Giacomo Zangara, hanno partecipato attraverso elaborati anonimi, questionari intervista e la visione di film sul tema, ad un percorso di riflessione sullo stile di vita corretto che renda l’uomo personalmente responsabile rispetto alle possibili devianze. Un cammino tecnico e finanziario che non ha avuto come obiettivo il risvolto giudiziario piuttosto ha voluto porre l’accento sugli aspetti educativi della gestione di un bilancio familiare e aziendale che eviti il ricorso all’usura.

"Il nostro progetto legalità rivolto ai detenuti ha presentato fin dall’inizio motivi di equivoco e di diffidenza - dice Salvatore Salerno, da anni docente di scuola speciale carceraria e referente del progetto - Non abbiamo mai pensato che l’unico obiettivo fosse quello di criminalizzare l’usuraio, a sua volta spesso usurato da una catena criminale infinita, ma piuttosto sollecitare le istituzioni e le banche a rivedere il modo di erogazione del credito legale e soprattutto fare acquisire ai detenuti una consapevolezza alla difesa rispetto alle insidie della stessa società legale fornendo gli strumenti tecnici per la gestione di una qualsiasi impresa economica che deve prevedere sin dall’avvio un piano economico certo di rientro rispetto all’investimento. Il nostro lavoro è una goccia nel mare che sicuramente sarà colto, anche se silenziosamente, dai tanti detenuti che hanno partecipato al progetto".

"La presenza di Don Ciotti, sacerdote che si pone a difesa degli emarginati costituisce un’importante testimonianza di come il Vangelo si può incarnare nella storia di ogni giorno - dice Don Giacomo - Sono fiducioso che i nostri fratelli detenuti coglieranno il seme che a suo tempo porterà i suoi germogli".

Come sottolinea Massimo Russo - presidente della Fondazione Progetto Legalità - "è stata entusiastica la risposta delle scuole di tutta Italia al progetto, ma è proprio dalle carceri che ci vengono alcune tra le sollecitazioni più interessanti: il lavoro svolto da questi giovani e adulti dimostra come ci sia bisogno di parlare del fenomeno, di non darlo "per scontato", di affrontare insieme un percorso che porti verso la collaborazione e la costruzione di una consapevolezza tra ciò che divide la frontiera della legalità e dell’illegalità: il motto del progetto è "non barattare diritti con favori": ed è proprio questo che ci auguriamo che abbiano colto gli studenti di Enna che hanno preso parte all’iniziativa, ed è questo la leva che ci dimostra che il progetto deve proseguire e seminare nuovi entusiasmi".

Roma: un carico di sementi in dono ai detenuti di Rebibbia

 

Vita, 24 maggio 2006

 

Semi di fagioli, piante di limoni, piantine di pomodori, cetrioli, melanzane, insalate, angurie saranno piantati negli oltre mille metri quadrati dell’orto del carcere di Rebibbia. La donazione è stata effettuata dalla Confederazione Italiana Agricoltura (CIA) di Roma, su proposta del Garante Regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni e in accordo con la direzione di Rebibbia Nuovo Complesso. A sua volta, il Garante aveva raccolto le istanze in tal senso giunte da diversi detenuti delle sezioni G-12, G-11, G-9.

I prodotti ottenuti dalle coltivazioni dell’orto del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso saranno, successivamente, destinati ai bisogni di altri detenuti nella struttura carceraria che non fanno colloqui o non hanno risorse economiche. "La donazione si inserisce nella prospettiva di avvio di un corso di formazione professionale per coltivazioni agricole e manutenzione del verde pubblico, che si svolgerà all’interno del carcere - ha detto il Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - La formazione che i detenuti riceveranno è un concreto investimento in un settore lavorativo di cui la società civile ha effettivo bisogno".

Il Progetto ideato dalla Cia, dal Garante dei diritti dei detenuti e dalla direzione del carcere, si svolgerà in sinergia con l’azienda agraria presente all’interno della struttura carceraria, da tempo presente sul mercato, che nelle fasi di avviamento del corso di formazione fungerà da punto di riferimento. "Il progetto che abbiamo messo a punto - ha detto il presidente provinciale Cia Massimo Biagetti - prevede che i terreni, dopo essere stati analizzati, saranno coltivati dai detenuti con le metodiche e con la professionalità acquisite durante il corso che ci apprestiamo a svolgere e di cui le piante che abbiamo donato sono solo il primo elemento".

Livorno: ci sarà un nuovo campo di calcio per i detenuti

 

Redattore Sociale, 24 maggio 2006

 

Un nuovo campo di calcio, ma non solo. Uno spazio per fare teatro, aprire il carcere alla cittadinanza: sarà questa la nuova veste dell’area che sorge all’interno della casa circondariale "Le Sughere", a Livorno. Un progetto caldeggiato da tempo dai detenuti, accolto dalla giunta municipale che nel mese scorso ha approvato un protocollo d’intesa da sottoscrivere insieme alla provincia e alla casa circondariale. "Sigleremo l’intesa a fine mese - precisa Alfio Baldi, assessore alle politiche sociali presso il comune di Livorno -. Si tratta di risistemare un’area già esistente e di adattarla a spazio polivalente. Concorreremo al progetto con un contributo di 60mila euro destinato alla progettazione dell’opera, alla direzione tecnica dei lavori e alla posa in opera del manto sintetico di copertura del campo". La Provincia, da parte sua, interverrà con un contributo economico di 25mila euro destinato alla preparazione del sottofondo in cemento. La direzione della Casa Circondariale, oltre che a farsi carico dei lavori di adeguamento, si impegnerà nella programmazione di tutte le attività che si terranno nell’area, aperte anche alla cittadinanza. "L’area attrezzata non ospiterà solo un campo di calcio e le attività sportive dei detenuti - precisa Baldi -, vuole diventare anche luogo di incontro tra detenuti e liberi cittadini.

Qui si terranno iniziative di scambio con tutte le componenti del territorio, competizioni sportive incrociate e manifestazioni di vario tipo con persone che operano in ambito sociale e culturale. L’intento, in sostanza, è far sì che lo spazio possa davvero riuscire ad accogliere la cittadinanza, per farla assistere alle iniziative, teatrali e non solo, organizzate dall’istituto. Bisogna cercare in modo concreto di ridurre le distanze che separano il penitenziario dalla città, in modo che il carcere sia percepito come un quartiere speciale della città".

Secondo i dati al 31 dicembre 2005, elaborati dall’Osservatorio della Fondazione Michelucci, la casa circondariale livornese ospita 385 detenuti - a fronte di una capienza regolamentare di 237 persone - di cui 34 sono donne e 155 di origine straniera. Nel mese di giugno la Fondazione Michelucci presenterà il nuovo rapporto dell’Osservatorio, che aggiornerà la fotografia delle strutture carcerarie toscane.

Trento: sciopero della fame dei detenuti di via Pilati

 

L’Adige, 24 maggio 2006

 

Centosettanta detenuti quando la capienza è di cento, escrementi in cucina, visite degli assistenti sociali del Sert ogni tre o quattro mesi, cucina che sforna piatti immangiabili, condizioni igieniche da far rizzare i capelli e strutture fatiscenti. La denuncia dei detenuti del carcere di via Pilati è peggio di un pugno nello stomaco. Con una lettera firmata da più di cinquanta ospiti della casa circondariale, si annuncia a partire da oggi uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni in cui sono costretti a vivere.

I detenuti assicurano allo sciopero della fame hanno aderito più di cento persone. Una manifestazione clamorosa cui i detenuti si sono sentiti spinti per ottenere il rispetto dei loro diritti. "Gli assistenti sociali del Sert e per l’alcologia - si legge nella lettera - vengono dentro ogni tre o quattro mesi per i colloqui con quei detenuti che hanno deciso di cambiare vita. 4 o 5 colloqui all’anno non portano nessun beneficio e dopo anni di carcere devi ripartire da zero". I detenuti si lamentano anche dei tempi lunghi nei giudizi degli educatori: "Chi potrebbe usufruire dei permessi premio non può accedervi a causa della lentezza degli educatori".

Lamentele anche per i tempi dell’assistenza medica: "Quando uno di noi sta male, prima di essere chiamato dal medico passa, come minimo, un’ora. In più, tantissime volte l’agente dice che il dottore non c’è e bisogna aspettare che arrivi". I detenuti descrivono anche una situazione impressionante per quanto riguarda l’assistenza odontoiatrica: "I tempi sono lunghissimi, ci sono detenuti che si sono segnati sei mesi fa ancora devono essere chiamati. Il dentista lavora in condizioni disastrose sia per mancanza di igiene che di strumenti. Non ci sono le macchine che aspirano sangue e saliva. Per mettere i punti, il dentista va a casaccio perché non vede dove prende. Spesso ci tolgono i denti anche se non è indispensabile, così, solo per risolvere il problema.

Noi non diamo la colpa di questa situazione al dentista, ma all’amministrazione carceraria". Forti le critiche al tribunale di sorveglianza: "La richiesta di liberazione anticipata sai quando la mandi, ma non sai quando ti risponderanno. I tempi d’attesa partono dai sei mesi, come minimo. Ci sono detenuti che hanno mandato la richiesta per i giorni di sconto e i giudici non si sono degnati di rispondere. Alla fine sono usciti senza ricevere lo sconto, anche se avevano tenuto un comportamento corretto per tutta la reclusione".

Ma non sono solo i tempi lunghi a non piacere ai detenuti: "I giudici della sorveglianza sono troppo severi. Forse anche perché manca personale e sono troppo carichi di lavoro. Non concedono mai i benefici ai detenuti, anche se sono previsti per legge. Pensano che noi abbiamo sbagliato che non cambieremo mai". La descrizione delle condizioni igieniche è terrificante: "Ci troviamo a vivere in condizioni che offendono la dignità umana, con docce fatiscenti e scrostate, passaggi sporchi dove i topi la fanno da padroni.

Il mangiare è immangiabile perché usano gli scarti. Manca il controllo igienico minimo in cucina. Ci sono escrementi ovunque, i fornelli causano numerosi infortuni. Gli impianti elettrici sono sempre guasti, gli stranieri non possono telefonare all’estero da più di un mese perché la registrazione è guasta". Desolante è la conclusione dei detenuti: "Abbiamo sbagliato, ma siamo persone anche noi. Non chiediamo molto, ma sull’igiene e sulla salute pensiamo che non si debba transigere. Gli agenti di custodia sono costretti a vivere come noi e a operare in maniera del tutto precaria. È per questo che a partire da mercoledì 24 maggio noi detenuti della casa circondariale di Trento inizieremo uno sciopero pacifico della fame ad oltranza". La speranza dei detenuti è che possa cambiare qualcosa anche grazie a prese di posizione della società civile.

Lodi: i volontari; tante idee che si possono concretizzare

 

Il Cittadino, 24 maggio 2006

 

I padri non possono abbracciare i loro figli. E per stringergli la mano devono salire fin sul bancone sdraiandovisi sopra. I padri sono quelli detenuti nel carcere di Lodi e il bancone è quello che funge da barriera tra chi sta dentro e chi sta fuori. In altre carceri, invece, come Bollate, Opera e San Vittore esiste una sala per i colloqui, si preparano gli agenti ad accogliere i bambini, perché le perquisizioni siano discrete, una sorta di gioco.

In alcuni casi le sale per gli incontri sono addirittura delle ludoteche e questo è quello che i volontari vorrebbero per la casa circondariale di via Cagnola. Il tema del rapporto tra genitori detenuti e figli verrà affrontato oggi pomeriggio, alle 18.30, nell’ex chiesetta della provincia, in via Fanfulla 14. La psicanalista Lella Ravasi Belloccio e Lia Sacerdote fondatrice insieme a Grazia Grena di "Bambini senza sbarre" apriranno con un dibattito su questi temi il primo di quattro giorni dedicati al carcere. L’iniziativa è organizzata dai volontari della struttura di Lodi, con la collaborazione del comune e il patrocinio della provincia.

"Quello che vogliamo fare a Lodi - spiega la Grena - è tutto un lavoro sui papà dentro il carcere, le mamme e i bambini che stanno fuori. Il problema per i detenuti è che non sanno come spiegare ai figli che hanno sbagliato e che quindi si trovano lì. Molti studi dicono che è molto meglio essere sinceri perché il segreto allontana i figli. A Lodi avevamo creato un gruppo di auto aiuto coi genitori detenuti che poi era sfociato in una festa dell’affettività: 10 figli compresi tra uno e 18 anni erano entrati in carcere. È stata un’esperienza commovente: ricordo una sedicenne che stava in questo salone tutto addobbato dai detenuti.

Appena è entrato suo papà gli è corsa incontro attaccandoglisi al collo e stringendolo in un forte abbraccio. Poi mi aveva mandato una lettera di ringraziamento. Sarebbe bello adesso ripartire con i gruppi di auto aiuto e coinvolgere diversi specialisti". Domani, alle 20, presso il cortile dell’archivio storico, in via Fissiraga 17, si svolgerà, invece, una cena a buffet organizzata dalla "Cooperativa Abc. La sapienza in tavola", composta da detenuti in permesso di lavoro.

Seguirà la presentazione del libro "Sembrano proprio come noi" di Daniele De Robert, giornalista Rai e volontaria presso il carcere di Rebibbia. La quota di partecipazione è di 15 euro, mentre l’iscrizione si effettua presso la libreria Sommaruga (telefono 0371.423129) o via mail a uominiliberi@virgilio.it. Sabato 27 maggio, a Lodi ci sarà l’incontro con l’ex presidente della corte costituzionale Valerio Onida, "un uomo dalla sensibilità unica - spiega Grena -, che una volta andato in pensione ha voluto incominciare a vedere il carcere dalla parte di chi sta dietro le sbarre ed è diventato volontario.

Insieme a lui interverrà Lucia Castellano, direttore del carcere sperimentale di Bollate". Gli interventi saranno preceduti, alle 21, dalla performance "Lasciatemi uscire almeno con le parole", a cura del gruppo carcere Mario Cuminetti. La quattro giorni si chiuderà poi domenica 28, alle 21, presso il teatrino dell’Informagiovani, in via Gorini 19. Sarà proiettato il film "Riccardo III. Noi siamo uomini solo uomini come voi" con i detenuti di Bollate e Bebo Storti che interverrà insieme al regista Bruno Bigoni e a Sergio Segio del gruppo Abele.

Immigrazione: mozione Pdci - Verdi per chiusura dei Cpt

 

Apcom, 24 maggio 2006

 

Il governo si impegni ad affrontare subito la questione immigrazione, chiudere i Centri di prima accoglienza temporanea, "come è scritto nel programma dell’Unione", introdurre il reato di tortura nel codice penale, migliorare le condizioni nelle carceri italiane. Sono questi alcuni dei punti contenuti in una mozione presentata oggi a Palazzo Madama dalla senatrice Manuela Palermi, presidente del gruppo "Insieme con l’Unione. Verdi-Pdci".

"Il Rapporto 2006 di Amnesty International - spiega la senatrice - boccia senza appello l’Italia. Il nostro Paese viene richiamato per l’assenza del reato di tortura, la mancanza di una legislazione adeguata sul diritto d’asilo, per le disumane norme della legge Bossi-Fini, e per la grave vicenda delle deportazioni forzate verso la Libia. Il governo - conclude Manuela Palermi - deve subito intervenire varando gli opportuni provvedimenti, al fine di riaprire una nuova stagione all’insegna dell’accoglienza e del rispetto reale e pieno dei diritti civili e umani".

 

 

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