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Stato etico e "stanze del buco" di Andrea Boraschi e Luigi Manconi
L’Unità, 3 luglio 3006
Forse l’aspetto polemico della questione è troppo acuto e ingombrante per cominciare a discuterne con serenità. Perché quel giro chiassoso di battute, smentite, prese di distanza a cui stiamo assistendo rischia di diventare una consuetudine, in queste prime settimane di lavoro del governo Prodi; e, tuttavia, fatte salve le precisazioni venute dal ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, che ha chiarito come le sue dichiarazioni non impegnino il governo; appurato che la questione non è nel programma dell’Unione; ascoltate le voci e, più spesso, le urla levatesi dal centrodestra; archiviati i rimbrotti del premier e le perplessità di molti esponenti del centrosinistra: ecco, accertato tutto ciò, il tema della somministrazione controllata di eroina (o, più prosaicamente e sciattamente, quello delle "stanze del buco") rimane lì. Aperto e disponibile al confronto e al ragionamento, purché lo si voglia. Allora, in maniera semplice, finanche didascalica, ricordiamo quali sono i termini della questione; e riassumiamo le ragioni (le buone ragioni) che molti conoscono, che da anni si vanno ripetendo, per riportare la discussione al suo dato pragmatico: ovvero il merito delle politiche pubbliche, di bene collettivo e di tutela della vita e della salute di chi vive la dipendenza dall’eroina. L’obiezione principale che viene mossa alle politiche di somministrazione controllata è, per così dire, di carattere ideologico: e si riassume in quella formula, "eroina di stato", da più parti brandita per prevenire ogni discussione nel merito. Ma, come sovente accade, si tratta di un’obiezione che rinvia, non tanto a questioni di etica pubblica, quanto al profilo morale dell’autorità statuale stessa: all’idea di uno stato etico, dunque. E quell’idea ha poco a che spartire con le radici e le qualità di una democrazia liberale; la quale democrazia prevede che all’autorità pubblica sia affidato il compito di promuovere le condizioni di una buona convivenza: e non, invece, l’ardua responsabilità di decidere cosa è "bene" e cosa è "male". Insomma, dietro quella formula ("eroina di stato"), si nasconde l’idea di un’autorità centrale titolare dell’indirizzo etico dello sviluppo sociale. Il cittadino dunque non è libero di decidere della propria condotta in tutti quei casi in cui essa può ricadere nella sfera di ciò che il senso comune definisce "immorale". D’altronde, è facile comprendere come mai questa deriva illiberale si dimostri particolarmente vigorosa quando si parla di droghe: l’eroina, nell’immaginario di molti, non è una sostanza, non è un’elaborazione chimica di un alcaloide, non è un narcotico euforizzante; è, piuttosto, una cosmogonia di rappresentazioni maligne e peccaminose. La figura dell’eroinomane prescinde dal dato clinico e tossicologico, persino da quello sociologico: coincide con l’oleografia di un reietto, di un dannato che ha perduto ogni decoro. Eroinomane (e ancor più "drogato", termine che per molti ha un suono prossimo all’oscenità) è colui che, a causa dell’abuso di una sostanza, si è fatto estraneo al tessuto sociale e ha perso la sua respectability, poiché incapace di rappresentare se stesso al di fuori, o nonostante, il suo "male". Ma se si abbandona questa interpretazione moralistico-autoritaria, l’eroina torna a essere un derivato dalla morfina, il cui impiego è legato innanzitutto al "principio del piacere"; e il cui abuso è strettamente connesso a un mercato illegale e criminale, che produce profitti illeciti quanto emarginazione, delitto, sofferenza e morte. La sperimentazione più avanzata di somministrazione controllata di eroina è quella in corso in Svizzera, da oltre un decennio. I risultati sono sotto gli occhi di chiunque voglia prenderli in considerazione, senza pregiudizi di sorta. Zurigo era, sino a non molti anni addietro, uno dei centri nevralgici del consumo di eroina in Europa; e la Svizzera deteneva il record europeo di morti per overdose. Alla fine degli anni 80 si contavano circa 850 nuovi assuntori ogni anno; oggi si attestano sulle 150 unità. Nella città capitale dell’omonimo cantone, il numero di eroinomani, da quando esiste l’eroina del servizio sanitario nazionale (gestita dai municipi), è calato dell’82%; oggi rimangono solo tre centri di "drop in", che assistono complessivamente 260 utenti. Si è drasticamente ridotto il numero di morti: la sostanza distribuita gratuitamente nelle "shooting rooms" è "pulita", non è tagliata con sostanze velenose e ha una concentrazione di principi attivi sotto controllo dell’azienda farmaceutica che la produce, e viene somministrata in condizioni igieniche protette. Il progetto è inquadrato in una politica generale di "riduzione del danno", per offrire ai tossicodipendenti un luogo sicuro e pulito per il consumo. Si tratta di un servizio disponibile solo per fruitori "certi e determinati": ovvero, si tratta di individui che, in ragione della loro condizione di dipendenza, consumerebbero comunque quelle sostanze, ma in condizioni non protette e alimentando il mercato illegale. Lo spaccio fra i consumatori è severamente vietato e la somministrazione o l’iniezione dell’eroina è consentita solo a personale sanitario. È cambiato anche il profilo sociale degli eroinomani, a Zurigo e nella Svizzera tutta; anni addietro erano molti, vivevano in condizioni di marginalità, povertà, delinquenza ed erano dediti frequentemente allo spaccio, alla prostituzione, al furto. Oggi sono pochi e non più giovani, nella maggior parte dei casi perfettamente integrati nel tessuto sociale: hanno un lavoro, una famiglia, una casa, godono di discreta salute (compatibilmente - è ovvio - con la condizione di tossicomania). Alcuni di loro (circa un 10%) abbandonano l’eroina per il metadone, che nella confederazione elvetica si vende in farmacia dietro ricetta medica. Il tasso di microcriminalità si è ridotto del 70%; e il risparmio complessivo, rispetto alle spese di giustizia e polizia, è di circa 4,5 milioni di franchi. Questi sono i dati, questi sono i fatti. Se ne potrà cominciare a discutere, prima o poi? Post scriptum. In questa rubrica, il 7 maggio scorso, ci occupammo di un detenuto, recluso nel carcere di Pisa, che pesava oltre 270 chili. Le sue condizioni di salute risultavano gravissime e l’istituto di pena non era in grado di garantirgli cure adeguate. Rischiava di morire in carcere. C’è una buona notizia: alcuni giorni fa ha ottenuto, finalmente, gli arresti domiciliari. Enna: progetti per il reinserimento sociale dei detenuti
Vivi Enna, 3 luglio 3006
Il carcere e i detenuti: una realtà complessa che necessita di nuove sperimentazioni per rendere efficace il sistema di esecuzione penale. Le Associazioni Ades, Centro don Milani e La Tenda, operando in rete, sono impegnate da molti anni nell’attuazione della legge Gozzini e con essa l’ammissione alle misure alternative di quei detenuti che hanno diritto a beneficiarne. Sono stati stipulati, e sono in corso di riaggiornamento, alcuni protocolli tra queste organizzazioni e le istituzioni, quali il Ministero di Giustizia (con l’Uepe e il Servizio Sociale dei Minori) e il Tribunale di Enna, con l’obiettivo di favorire e intraprendere percorsi di riabilitazione e di reinserimento sociale dei detenuti, rendendo così sostenibile un sistema penale incentrato sul recupero e sul reinserimento sociale del carcerato, anziché asserragliato sulla reclusione, sulla semplice punizione, sulla vendetta. Queste Associazioni si propongono di agire come ponte fra dentro e fuori, adoperandosi nella facilitazione all’accesso alle misure alternative, quali la semilibertà, l’affidamento, ecc.. e consentire ai detenuti di avviarsi in processi di riabilitazione, di rieducazione, di riconciliazione sociale con la comunità, precedentemente danneggiata e offesa. Tutti quelli che ci hanno provato, fin dal lontano 1994, ce l’hanno fatta a reinserirsi socialmente ed a ricostruirsi un futuro. Oggi i detenuti avviati sono tre, un locale, Salvatore, e due africani, Kays e Amor, due giovani emigrati da una terra povera e senza futuro, ma con tanta voglia e volontà di riscatto. Essi trascorrono le giornate nei diversi luoghi di servizio delle associazioni, inseriti nelle iniziative proposte e avviate a favore dei disabili, delle famiglie in difficoltà, dei minori, dei giovani e degli anziani. Sono coinvolti nella gestione ambientale degli spazi, con la cura e il mantenimento del verde, con la pulizia e manutenzione dei luoghi, nella creazione di un orto, con la variegata produzione di ortaggi, farinacei, fiori, spezie. Un’esperienza interessante, questa, che fuga luoghi comuni sul rifiuto del lavoro e della fatica da parte dei detenuti. È proprio questo coinvolgimento attivo che li aiuta nel recupero della dignità e della personalità, tanto da proiettarli attivamente nelle attività di servizio che le associazioni svolgono: raccolta e distribuzione alimentare, raccolta, selezione e distribuzione di vestiario, supporto alle iniziative di animazione socio-culturale e sportiva, custodia e manutenzione dei beni strumentali, ecc.. Nel processo di recupero sociale i detenuti sono accompagnati sia dai volontari interni che quelli del servizio civile, e sono seguiti, altresì, dagli assistenti sociali del Ministero di Giustizia, che vigilano e verificano le tappe del percorso riabilitativo con incontri periodici. Il progetto Il Ponte, cha dette Associazioni hanno voluto elaborare e attuare, pone al centro l’essere umano, con le sue cadute ma anche con le sue rialzate, nella consapevolezza che la città, il suo habitat di vita, il grado di coesione e il livello della qualità sociale possono essere goduti da tutti e non solo da alcuni, solo se si manterrà alta la tensione e sarà concreto l’impegno ad essere città visibile degli esclusi. Roma: dopo il trasferimento di 15 detenuti da Rebibbia...
Associazione Papillon, 3 luglio 3006
Con il trasferimento punitivo di 15 detenuti impegnati nelle pacifiche proteste dei giorni scorsi, concretizzatesi in semplici battiture delle sbarre, la Direzione di Rebibbia N.C. - carcere con oltre 1.600 detenuti su una capienza massima prevista di circa 1.200 - ha dato un’ulteriore prova del fatto che certi funzionari concepiscono il carcere come una sorta di moderno feudo, all’interno del quale il Diritto è per così dire "piegato" alla volontà del Signorotto e della sua Corte di nani e ballerine. Per di più, la Direzione di Rebibbia sembra aver dedotto la presunta pericolosità dei 15 detenuti dal fatto che non si facessero rappresentare dall’associazione Papillon, associazione contro la quale da quattro anni quella stessa Direzione ha messo in campo di tutto per boicottarne il lavoro (dai classici tentativi di corruzione e infiltrazione, fino ai continui rifiuti di qualsiasi progetto culturale e formativo presentato dall’associazione e ai quotidiani ricatti e soprusi contro quegli associati che da più tempo si adoperano nell’istituto per la difesa dei Diritti e della Dignità dei Cittadini detenuti). Davanti all’arroganza e alla provocatoria azione della Direzione di Rebibbia N.C., che sembra lavorare per creare le condizioni idonee all’esplosione della situazione, l’Associazione Papillon chiede:
Per quanto ci compete, all’esterno del carcere la nostra Associazione denuncerà in tutte le sedi questa ennesima azione repressiva e provocatoria della Direzione di Rebibbia N.C. Chiediamo a tutti i detenuti delle carceri romane (e in primo luogo ai nostri associati di Rebibbia N.C.) di trovare le forme e i modi per esprimere pubblicamente la loro solidarietà ai detenuti trasferiti, consapevoli che ogni qualsivoglia divergenza tra noi detenuti sui tempi e i metodi della nostra battaglia di civiltà (che la Papillon ha aperto e condotto da quasi dieci anni) non deve assolutamente impedirci di essere al fianco dei nostri fratelli di detenzione quando sono colpiti vilmente dalla repressione. Noi detenuti, e con noi tutti gli ambiti istituzionali più sensibili alla drammatica realtà delle carceri, dobbiamo essere consapevoli che se tra i settori più reazionari dell’amministrazione (compresi i classici direttori "progressisti a parole e reazionari nei fatti") si afferma la linea della repressione persino contro le proteste pacifiche, la nostra battaglia per l’amnistia, l’indulto e le riforme richiederà a tutti uno sforzo supplementare di energie ed intelligenze per essere condotta fino in fondo, e soprattutto per essere vinta. Firenze: progetto "StranIdea-un'Idea per i detenuti stranieri"
Comunicato stampa, 3 luglio 3006
È partito "StranIdea-un’Idea per i detenuti stranieri delle carceri toscane", un progetto promosso e gestito dal Prap (Provveditorato regionale toscano dell’Amministrazione penitenziaria), che assicurerà 1905 ore di mediazione socio-linguistico-culturale alla maggior parte dei detenuti stranieri, presenti negli istituti di Sollicciano, Prato, Pisa, Livorno. L’intervento avrà luogo nei prossimi quattro mesi estivi, periodo difficile per la popolazione detenuta. 1237 sono le persone non di nazionalità italiana detenute nei 4 istituti, il 75% degli stranieri presenti nei 19 penitenziari toscani. A Sollicciano, dove la situazione è più critica, opereranno vari mediatori culturali che in 3 mesi avranno modo di prestare 1145 ore di attenzione ai detenuti stranieri. L’intervento sarà rivolto ancora più specificamente a detenuti tossico ed alcooldipendenti ed affetti da HIV. StranIdea continua Immintegra, il progetto appena concluso del PRAP toscano, che ha fornito per un anno intero mediatori linguistico-culturali a 11 istituti penitenziari e agli Uffici per l’esecuzione penale esterna. Immintegra è stato finanziato con la Cassa delle ammende ed è attualmente in corso una richiesta per un rifinanziamento che potrebbe però essere acquisito solo nel tardo autunno. StranIdea garantisce, per un periodo limitato e soltanto in 4 istituti, la prosecuzione dell’attività di mediazione, fondamentale per la corretta comprensione delle esigenze e dei problemi dei detenuti stranieri. L’intervento è importante per consentire anche di stemperare il clima di tensione interno dovuto al sovraffollamento ed alle condizioni di precarietà proprie della popolazione detenuta, in generale, e non italiana, in particolare. Le persone straniere in detenzione, inoltre, sono quelle più povere e che maggiormente soffrono di problemi di disagio psichico. A questo proposito, particolarmente atteso il finanziamento regionale per il progetto del PRAP Retintegrare, già sperimentato in sette istituti toscani, che destina risorse psicologiche mirate alle persone detenute in grave crisi personale o a rischio di suicidio. Sul Portale internet della Toscana sarà possibile seguire l’andamento e gli sviluppi di questi e di tutti gli altri progetti promossi e sostenuti dal sistema carcerario toscano.
Il Provveditore Regionale Massimo De Pascalis Teatro: Torino; "Malafestival" fuori e dentro il carcere
Ansa, 3 luglio 3006
Entra ed esce dal carcere il "Malafestival - Ars in Mala Causa", giunto quest’anno alla V Edizione, a cura della compagnia Servi di Scena: si svolgerà in tre sezioni distinte, prima ad Avigliana dal 20 al 23 luglio per trasferirsi poi a Torino, nella Casa Circondariale Lorusso e Cotugno dal 24 settembre al 5 ottobre e presso il Teatro Espace dal 6 all’8 ottobre. È una rassegna teatrale sulla marginalità e la devianza, che nel 2006 ha per tema il contagio. Come in passato continua a proporre spettacoli ed attività in carcere, che sfociano in esibizioni aperte al pubblico: nel 2006 alla Lorusso e Cotugno lavoreranno, con le detenute, l’inglese Candoco Dance Company e l’Associazione La Girandola. La tranche estiva si inaugura in piazza del Popolo ad Avigliana la sera del 20 luglio con il Teatro Nucleo, gruppo misto italo-argentino, in "Mascarò: memorie argentine a trent’ anni dal colpo di stato", piece corale in cui convergono tango, trampoli, pattini, fiaccole, valige, ampi mantelli e costumi sgargianti, per raccontare il Sudamerica dal ‘500 a oggi. Ospite d’eccezione del cartellone, venerdì 21 luglio, è la compagnia padovana Tam Teatro Musica fondata nel 1980 e diretta da Michele Sambin, con lo spettacolo-manifesto: "Se San Sebastiano sapesse", un assolo per violoncello e frecce, che rievoca ironicamente il martirio di San Sebastiano sostituendo gli archetti alle armi acuminate. Sabato 22 e domenica 23 luglio ancora intrattenimenti da grandi spazi con l’ensemble russo-tedesco Akhè in piazza Conte Rosso per "Plug’n’ play", un universo psichedelico strutturato come una matrioska. Droghe: Ferrero; regioni decideranno sulla sperimentazione
Ansa, 3 luglio 3006
"La riduzione del danno è prevista dal programma di governo, saranno le regioni a decidere le forme di sperimentazione da attuare": così il ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, interviene sulla polemica relativa alle "stanze del buco". Bisogna "evitare, afferma il ministro, di guardare il dito invece che la luna". Il punto, spiega, è "se si riesce ad affiancare i diversi metodi esistenti di lotta alle dipendenze: quello delle comunità terapeutiche a consumo zero è uno, quello della riduzione del danno è un altro, quello dell’uso controllato di metadone un altro ancora, e così via. Il problema è non fossilizzarsi su uno o sull’altro, ma utilizzare tutti i sistemi per contenere i danni e ridurre i disastri". Le narcosalas, continua, "non sono nel programma di governo, non le sto riproponendo, ma tanti sono gli strumenti da utilizzare e tante le forme su cui le Regioni potranno lavorare nella sperimentazione verificata di politiche di riduzione del danno". Droghe: le "stanze del buco" non incentivano i consumi...
Ansa, 3 luglio 3006
Le stanze per l’iniezione sicura di droga non incentivano i consumi né cronicizzano il problema, e possono perfino aiutare il tossicodipendente se non si limitano a fornire siringhe pulite ma offrono assistenza psicosociale e servizi utili come docce, lavatrici o altro. Lo assicura Ambros Uchtenhagen,docente dell’Università di Zurigo e consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità, alla luce della valutazione degli esiti della sperimentazione fatta in Svizzera negli ultimi 15 anni. Quelle che vengono chiamate "stanze del buco", luoghi dove il tossicodipendente porta la sua dose che può assumere così in un luogo protetto, rientrano, ha spiegato Uchtenhaneg, nella strategia svizzera dei 4 pilastri, e in particolare nelle pratiche di riduzione dei danni, insieme alle macchine che distribuiscono siringhe sterili o farmaci, la disponibilità di siringhe nelle carceri, le vaccinazioni contro l’epatite B, gli appartamenti con assistenza sociale, i centri a soglia bassa. Gli effetti di questa politica, ha detto l’esperto, sono stati assolutamente positivi: è diminuita di più del 50% la mortalità per overdose (da circa 420 nel 1991 a poco più di 200 nel 2005); sono diminuiti i comportamenti ad alto rischio; si è ridotta l’incidenza di nuovi casi di Hiv ed è migliorato lo stato generale di salute dei tossicodipendenti. Droghe: interventi mirati per i tossicodipendenti detenuti
Ansa, 3 luglio 3006
Superamento della contrapposizione tra comunità e servizi pubblici, interventi mirati per i tossicodipendenti in carcere, tanta prevenzione: sono tra le cose urgenti da fare per il sottosegretario alla salute, Antonio Gaglione, intervenuto oggi al convegno della Fict sulla cocaina. Bisogna, ha detto Gaglione, superare "l’approccio di tipo puramente poliziesco o al massimo medicale al problema droga" e costruire una "efficace rete di servizi sociosanitari e riabilitativi". È necessaria inoltre, ha aggiunto, una "chiara ripartizione delle competenze tra Stato ed enti locali", che "verrà a mancare se malauguratamente dovesse passare la proposta referendaria". Gli obiettivi della strategia del governo in tema di lotta alle tossicodipendenze, ha detto ancora il sottosegretario, sono quello di "razionalizzare il sistema dell’integrazione tra pubblico e privato sociale, con una chiara definizione di responsabilità, metodologie operative, canali di finanziamento". Poi, sono "indispensabili" interventi mirati per i tossicodipendenti in carcere: "migliorare l’assistenza e prevedere forme di detenzione alternative in presenza di un percorso di recupero, con un’attenzione particolare alle madri e ai bambini". "Ma lo sforzo più grande - ha concluso - va fatto sulla prevenzione. La strada da percorrere deve passare attraverso un potenziamento dei servizi territoriali e una rivalutazione del ruolo delle comunità". Giustizia: Cirielli; Mastella non dice come affronta problemi
Ansa, 3 luglio 3006
"Il ministro Mastella dimostra grande capacità nel parlare di tutto senza dire niente. Tutte le tematiche e le emergenze della questione giustizia sono analizzate dal neo Ministro senza concretamente dire come intende risolverle". Così Edmondo Cirielli (An), segretario della commissione Giustizia della Camera. "Nell’affrontare, poi, le questioni attinenti le categorie del mondo della giustizia, quali avvocati o magistrati - aggiunge Cirielli - l’equilibrismo del ministro Mastella appare, come al solito, proverbiale. È grave, invece, e significativa dal punto di vista politico, l’assenza di ogni riferimento al tema della sicurezza e della considerazione delle vittime dei reati. Al contrario, si ribadisce una generale volontà buonista non meglio precisata nella direzione di provvedimenti clemenziali ed un attacco quasi ideologico all’importante riforma del centro destra in materia di irrigidimento dell’istituto della recidiva". Terni: "Terre di confine culturale"; 2 uscite per l’integrazione
Il Tempo, 3 luglio 3006
Uscire dal carcere per imparare, ma anche insegnare, ad accettare le uguaglianze e anche le diversità, quali risorse di una convivenza civile. È questo il senso del progetto "Terre di confine culturale", in fase di attuazione nel carcere di Chieti (e che si inserisce in un’iniziativa nazionale dell’istituto superiore di Studi penitenziari rivolta a soli otto carceri italiane), che prevederà due uscite-premio per due gruppi di detenuti (sei-sette per volta). "L’obiettivo del progetto, rivolto a detenuti stranieri e tossicodipendenti, consiste nell’offrire un’opportunità di cambiamento nel comportamento individuale e negli atteggiamenti culturali rispetto alla coesistenza di diverse etnie sul territorio - spiega la direttrice della Casa circondariale di Chieti Maria Lucia Avantaggiato - La novità dell’obiettivo è nell’abbandonare concetti diventati quasi luogo comune quali quello della formale integrazione, e nello stimolare invece la riflessione sulle terre di confine culturale, ovvero sugli ambiti in cui è possibile ipotizzare come realistica una connessione umana, reputata possibile se ciascuno divenga consapevole sia delle uguaglianze che delle diversità, riconosca e accetti le une e le altre quali utili risorse di convivenza civile". La prima uscita è prevista per oggi quando i detenuti fotograferanno momenti di vita quotidiana già dalla prima sosta al mercato della frutta e del pesce come luogo di gestione familiare della spesa e di incontro umano. Seconda sosta alla cattedrale di San Giustino di Chieti, per elaborare il tema del culto e della religione, dove per le ore 12 è previsto l’incontro con l’arcivescovo monsignor Bruno Forte. Alle 13 partenza per Pescara dove i detenuti pranzeranno presso la pineta Davalos per poi visitare il lago della pineta stessa. Sarà questa l’occasione per osservare il rapporto uomo - natura, i giochi dei bambini, le attività ricreative degli anziani. Nel pomeriggio visita al canile municipale di Chieti, luogo in cui si svolgerà presto un altro progetto del carcere di Chieti in collaborazione con il Comune, per riflettere sul comportamento umano nel rapporto con il mondo animale. Il rientro in istituto è previsto per le 18. Insieme ai detenuti in permesso premio, l’iniziativa vedrà la partecipazione del personale della polizia penitenziaria, del direttore dell’istituto oltre che dei formatori e conduttori dei laboratori interni di mediazione, narrazione, di fotografia e di musica. Collaboreranno anche i volontari della Caritas Diocesana che metteranno a disposizione il mezzo di trasporto e il pranzo al sacco. La seconda uscita è prevista per l’8 luglio quando i detenuti visiteranno anche la sede del Municipio di Chieti. Ha assicurato in questo caso la sua presenza il sindaco Francesco Ricci. Libri: a Minori (Sa) è protagonista la cucina "galeotta"
Adnkronos, 3 luglio 3006
Con il successo di "Avanzi di galera", libro di Roberto Tucci ed Emilia Patruno in cui i detenuti di San Vittore raccontano la vita in carcere attraverso le abitudini alimentari, si è conclusa la quinta edizione del premio di Letteratura Enogastronomica "Minori, Costa d’Amalfi". La scelta di raccontare soluzioni creative, cibo e riti galeotti ha colpito la giuria presieduta da Tullio Gregory e composta da Gualtiero Marchesi, Luca Maroni, Maria Concetta Mattei, Lidia Ravera, Giuseppe Liuccio, Ezio Falcone, Giuseppe Lembo e Andrea Reale che ha assegnato al libro il primo premio. Organizzato dalla Gustaminori Corporation e la cooperativa Le Muse e sostenuto da regione Campania e provincia di Salerno, il premio ha riconosciuto il valore del volume che propone uno spaccato sociale inedito: in carcere si mangia chiusi in cella, a orari prestabiliti e quello che si cucina spesso si deve recuperare, reinventandolo attraverso l’arte di arrangiarsi. Nascono così le ricette e i racconti raccolti in un volume che sfiora il documentario per poi perdersi nella letteratura, premiato da Andrea Annunziata, sottosegretario ai Trasporti, che ha sottolineato come iniziative quali il premio Letteratura Enogastronomica "contribuiscono a rilanciare il Meridione d’Italia. Il Governo, con la sua azione politica concentrata su più fronti, lavorerà in questa direzione e siamo sicuri - ha aggiunto Annunziata - di riuscire dove altri hanno fallito". Sassari: fa troppo caldo, lascia i domiciliari per il carcere
Ansa, 3 luglio 3006
È evaso per tornare in carcere: ha lasciato la sua casa in Sardegna dove era agli arresti domiciliari, ha preso il traghetto e si è consegnato al penitenziario di Marassi a Genova. Non sopportava il caldo di Sassari e, soprattutto, non sopportava la compagnia di suo nonno. La prova del suo racconto mostrata ai carabinieri è il biglietto del viaggio in nave. A.M, 30 anni, ha dichiarato ai militari dell’Arma: "Ho visto la partita della nazionale con l’aria condizionata, sarei venuto prima, ma il traghetto ha avuto un ritardo". L’uomo non vedeva l’ora di tornare dietro le sbarre. Con in spalla uno zainetto contenente la biancheria intima, non è neanche passato a salutare la sorella che abita vicino il carcere. A.M. è stato così accompagnato nella camera di sicurezza del comando provinciale di Genova, dove è in attesa di un processo per direttissima, con l’accusa di evasione. La madre di Vallanzasca: sto morendo, fatemi vedere Renato
Quotidiano Nazionale, 3 luglio 3006
Il corpo è quasi spento, ma gli occhi sono vivi e Maria Vallanzasca, proprio l’altro giorno, li ha puntati su un foglio di carta. "Ho scritto al presidente della Repubblica e al ministro di Grazia e Giustizia per sapere se mio figlio può avere un domani. Ho quasi novant’anni, il fisico è debole e sempre più stanco, ma la mente è ancora attenta. E allora dico: se debbo morire dannata morirò dannata, ma prima di andarmene per sempre vorrei conoscere il futuro di Renato. Posso sperare o debbo rassegnarmi? Chiedo una risposta, perché ormai questo lungo silenzio è insopportabile". Renato è quello delle rapine, degli spari, delle love story e delle evasioni. Il bel René di una volta, sagoma sfuggente e mito in nero di un’Italia lontana. Le condanne lo hanno spinto indietro, nella penombra di una cella, 36 anni fa e da allora, il nome del protagonista di tante storie di mala è tornato alla ribalta sulla scia di una serie di processi e in altre mille pagina di cronaca delle prigioni: rivolte, fughe, rientri. Adesso Maria Vallanzasca, come dice un’amica, "porta in giro i suoi resti di madre". Pesa trenta chili, non è autosufficiente, è ricoverata per un ictus, una crisi sincopale e per una ferita alla testa, "ma lo sguardo fresco e attento come quello di una bimba chiede e implora. Maria ha occhi grandi e profondi, esagerati rispetto al fisico minuto, e li muove tutt’intorno in continuazione. È il suo modo di fare domande". Dal presidente Giorgio Napolitano e dal ministro Clemente Mastella vorrebbe una risposta alla domanda di grazia presentata un anno fa e comunque chiede una parola sull’eventuale spiraglio di una misura alternativa. "So poco di lei, ma spero che sia talmente umano e buono da tendere una mano a me, povera vecchia che ormai vive di speranza... Se possibile almeno mi risponda sia in bene sia in male. La mia condizione di salute peggiora di giorno in giorno, vorrei vedere mio figlio libero prima di morire, mi sembra che trentasei anni di separazione siano troppi sia per me che per lui", scrive al presidente della Repubblica in un passaggio di una lettera scritta a mano e quasi in stampatello su un foglio a righe. E a Mastella, con una calligrafia dai caratteri rotondi e incerti : "Sono la madre di Renato Vallanzasca, evito retoriche inutili per il poco tempo a me rimasto e a Lei per il duro lavoro e alte responsabilità che dovrà affrontare....Sono prossima a lasciare questa vita non so se può immaginare come è stata perché 36 anni di calvario credo che solo la mamma di tutte le mamme può capire". Due lettere, in un impasto di angoscia e di speranza sulla sorte di quel figlio "che ha commesso tanti gravi errori, ma che adesso è una persona nuova, diversa, che vuole dimostrare di essere un bravo cittadino". Maria Vallanzasca ha più volte ribadito che "anch’io, come mamma, non so se sarei riuscita a perdonare, perché davanti a certi episodi non è facile concedere questo sentimento, ma mio figlio ha pagato il conto con venti anni di carcere in totale isolamento diurno e notturno, con altri sedici di detenzione, ma anche con le pallottole che porta nel corpo". E allora, dice la mamma del boss della Comasina degli anni Settanta "sarebbe forse stata più giusta la pena di morte rispetto a questa situazione che accompagna alla morte, tutti i giorni e lentamente, due persone: mio figlio e me. Capisco le famiglie delle vittime: ma accanto alla loro disgrazia c’è anche la mia. Sono vecchia e malandata, ma non me ne posso andare così. E allora chiedo almeno di sapere se per Renato esiste un domani. Non è giusto che io muoia senza avere una risposta". Così dice Maria Vallanzasca, ricoverata dopo una caduta in casa. In ospedale, al termine di una serie di accertamenti, hanno preferito trattenerla anche per l’inizio di una terapia riabilitativa. Da due mesi non sente la voce del figlio, rinchiuso nel supercarcere di Voghera. Si scambiano, però, lettere tenerissime di speranza e disperazione", racconta un’amica. Renato ha visto sua madre, l’ultima volta, il primo maggio di un anno fa. Aveva chiesto un permesso e la notizia giunse col citofono all’ora di pranzo. "Signora, c’è suo figlio", annunciò il direttore del carcere di Voghera. E furono abbracci e parole. "Mi baciava in continuazione le mani e ripeteva, mamma sei magrissima, hai le gambe come stecchini, devi mangiare". Poi, il distacco e, da allora, la nuova attesa. "Chiedo una risposta, un sì o un no. Renato ha commesso tanti errori, ha portato dolore in molte famiglie, ma adesso è un’altra persona e merita di riaffacciarsi alla vita. Per me, invece, la vita è vicina alla fine e ho diritto di sapere se mio figlio può avere un domani o se, invece, il suo domani è senza speranza". Fossano (Cn): completata ristrutturazione di ala del carcere
Targa CN, 3 luglio 3006
È stata presentatata la settimana scorsa la prima ala rinnovata del carcere di Fossano. Il rinnovamento riguarda non solo la tinteggiatura esterna dell’edificio, ma tutto l’intero impianto di riscaldamento e la ristrutturazione di tutto il 3° piano che ospita i detenuti. Sono state fatte ex-novo 11 celle con 4 posti letto e 1 cella con 2 posti per un totale di 46 posti, ogni detenuto avrà a disposizione un armadietto e due scomparti, un comodino ed una sedia, più un tavolo in comune. Sono state installate in tutti i bagni le docce, i lavandini (uno anche per ogni cella) e la "tazza" al posto della "turca", ma la novità più grande è che tutti i detenuti avranno l’acqua calda. Inoltre in ogni cella è stato installato un televisore a 20 pollici e un citofono per chiamare gli agenti in caso di necessità. È stato realizzato un sistema elettronico di chiusura centralizzata delle porte delle celle, che permette di aprirle e chiuderle a distanza. All’inaugurazione erano presenti il sindaco di Fossano Francesco Balocco, il provveditore regionale delle carceri Aldo Fabbrozzi, il neo-deputato delle Rosa nel Pugno Bruno Mellano e il consigliere provinciale Anna Mantini che sono stati accompagnati dal direttore Edoardo Torchio nella visita delle nuove parti ristrutturate. I lavori, iniziati nella primavera del 2005, hanno visto anche il rinnovamento dell’ala che ospita la caserma degli Agenti di Polizia Penitenziaria e dell’alloggio per il Comandante della Guardia e di quello per il Direttore del carcere e continueranno ora per il 2° piano non appena tutti i carcerati avranno fatto trasloco. Per l’intero intervento sono stati stanziati 7milioni di euro, ma ne mancherebbero ancora 500mila per risistemare alcuni particolari importanti per la rieducazione di questi ragazzi, come ad esempio i laboratori e gli impianti sportivi.
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