Rassegna stampa 17 luglio

 

Indulto: Brutti; speriamo di chiudere entro primi di agosto

 

Agenzia Radicale, 17 luglio 2006

 

"In questi giorni stiamo chiudendo sull’indulto con fatica, con problemi, ma spero che riusciremo ad arrivare ad un provvedimento di clemenza prima dei primi di agosto": lo ha annunciato il senatore diessino Massimo Brutti, che oggi è intervenuto all’assemblea della Ucpi durante la quale si è fatto il punto sullo sciopero di sette giorni organizzato dagli avvocati penalisti per protestare contro il disegno di legge del Governo che blocca i decreti attuativi della riforma dell’ordinamento giudiziario e il pacchetto Bersani sulle liberalizzazioni.

Brutti ha spiegato che in questo modo il provvedimento "riuscirebbe ad agire sul sovraffollamento delle carceri proprio in uno dei momenti di massimo bisogno, ad agosto, quando con il caldo si abbassa ulteriormente la soglia di vivibilità per i detenuti". "L’approvazione a larga maggioranza in commissione Giustizia del testo base di un indulto di tre anni è un risultato straordinario per alleggerire la drammatica condizione delle carceri italiane ma è ancora insufficiente". Lo afferma in una nota Francesco Forgione, deputato di Rifondazione Comunista e capogruppo della Commissione Giustizia alla Camera. "Ci siamo battuti e continueremo a batterci perché a settembre l’attivitá parlamentare riparta dall’amnistia - continua Forgione - anche in previsione delle riforma del codice penale che deve ridefinire il rapporto tra il carcere e le pene per giungere ad una ampia depenalizzazione di reati minori e alla definizione di pene alternative al carcere".

Giustizia: nelle carceri due metri quadrati di spazio a detenuto

 

Liberazione, 17 luglio 2006

 

 

Qualche giorno fa un amico egiziano mi ha detto: "Se per qualche motivo dovessi finire in carcere almeno vorrei finire in una delle vostre". Lo diceva perché non conosce i penitenziari italiani, che seppure, forse, migliori di quelli del paese del raìs, senza dubbio non ci fanno fare una bella figura: sovraffollati fino all’inverosimile, senza doccia né acqua calda e con violazioni al regolamento penitenziario all’ordine del giorno.

Sono più di 61mila i detenuti rinchiusi nelle 207 carceri dello Stivale a fronte di una capienza regolamentare di circa 42mila, praticamente circa 20mila persone non dovrebbero essere lì. È una fotografia agghiacciante, scattata in maniera decisa dall’associazione Antigone nel rapporto presentato ieri alla camera. Mentre torna a riaccendersi la speranza di migliaia di detenuti per un provvedimento di amnistia.

Lo scorso 16 giugno l’Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione ha visitato trenta carceri contemporaneamente: l’89% dei detenuti non ha la doccia in cella, il 69% è senza acqua calda, il 29% non può accendere le luci dall’interno della cella, il 60% non ha il bidet, il 12% vive in carceri dove nelle celle il bagno è vicino al letto e non in un vano separato. "La differenza con gli altri rapporti è che questa volta abbiamo cercato di entrare nelle celle e vedere come vi si vive - racconta Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - e abbiamo visto situazioni, come quello di Poggioreale, in cui in 36 metri quadrati vivono anche 18 persone. Se pensiamo che a livello internazionale alcuni paesi sono stati richiamati perché lasciavano tre metri a individuo... noi ne diamo anche di meno".

E in carcere si muore. Nella casa circondariale di Padova, ci sono 215 detenuti per una capienza di 98. I letti a castello sono a tre piani e qualcuno raggiunge i quattro. Una situazione a dir poco imbarazzante ma ben diffusa, visto che qualche mese fa a Genova un detenuto è morto proprio dopo essere caduto dal terzo piano di un letto a castello.

Un terzo dei detenuti delle nostre carceri è straniero, un quinto attende ancora il giudizio di primo grado. E proprio questo dato risulta ancora più inquietante. "Di coloro che attendono il giudizio - spiega Vittorio Antonini, dell’associazione Papillon, le statistiche ministeriali dicono che ogni hanno la metà viene giudicato innocente. Questo vuol dire che decine di migliaia di persone che sono oggi nei nostri penitenziari non sono colpevoli".

Ieri Antigone con il rapporto ha anche presentato alcune proposte, tra cui quella del difensore civico, dell’introduzione del reato di tortura o del codice di condotta etico per gli appartenenti alle forze dell’ordine. Di queste, due sono ormai già parte del percorso parlamentare, come assicura Francesco Forgione, deputato Prc: "Il disegno di tipicizzazione della tortura è già stato calendarizzato in commissione giustizia - spiega - e quello del difensore civico in commissione affari costituzionali". Per l’amnistia il percorso sarà più lungo probabilmente, ma l’intenzione è quella di non arenarsi. "Siamo ovviamente favorevoli, stiamo aspettando le proposte del tavolo tecnico", spiega Forgione, bisognerà trovare dei terreni comuni tra maggioranza e opposizione. Proprio per questo motivo Antigone sull’amnistia non ha forzato la mano: "Non abbiamo presentato una nostra proposta solo perché non vogliamo ingolfare il parlamento. Siamo consapevoli del lavoro che una decisione di tale tipo richiede".

Difensore civico, reato di tortura: sono iniziative che devono rientrare in un disegno più ampio di ridefinizione della giustizia. "Per questo - sottolinea Mauro Palma, vicepresidente del comitato europeo contro la tortura - c’è la necessità di affrontare il problema carcere nell’ottica del ripensamento del sistema penale". Per questo Antigone chiede l’abrogazione della "ex Cirielli" sulla recidiva e della legge Pecorella sulla legittima difesa. Una richiesta che trova sponda in parlamento: "Siamo consapevoli della necessità di una riforma strutturale del codice penale", conclude Forgioni.

Vallanzasca: due ore di permesso per incontrare la mamma

 

Il Giornale, 17 luglio 2006

 

"Uno dovrebbe conoscerla mia mamma. Piccolina, minuta, tutta bianca coi capelli color neve...". Stropicciava quegli occhi blu che facevano impazzire le donne ma che diventavano più duri del ghiaccio quando premeva il grilletto uccidendo, il "bel René". Parlava di lei. Marie, la sua mamma ormai vecchia e malandata, ma anche la donna, forse l’unica, che mai lo ha abbandonato nella sua esistenza. Prima di duro di periferia, poi di boss tragico e spietato, infine di ergastolano senza speranza. Marie così gracile eppure forte come una leonessa.

Il "bel René" è Renato Vallanzasca, uno detenuti numeri uno d’Italia. Sante il bandito scappava in bicicletta, lui rombando su auto rubate, facendosi largo a colpi di mitra. Fu il rapinatore assassino protagonista delle cronache nere degli anni ‘70-80. Ma di mamma ce n’è una sola, si sa. E di fronte a lei, anche il cattivo con la faccia d’angelo si scioglie.

Già da un paio d’anni l’ex boss della Comasina chiedeva con insistenza il trasferimento dal carcere di Voghera a quello di Milano per poter essere più vicino alla sua "vecchina". Ha 89 anni ed è malata. Lo scorso anno, il 1° maggio, René, 56 anni di cui 36 trascorsi (tra un’evasione e l’altra) dietro le sbarre, era riuscito a coronare il suo desiderio: una breve visita a casa di Marie nell’appartamento antico di via Porpora a Milano. Ieri l’abbraccio si è finalmente ripetuto. Stavolta però nell’ospedale dove la donna è ricoverata ormai da mesi. Una visita di due ore. Ottenuta con grande fatica. Già il 15 giugno dell’anno scorso Vallanzasca si era presentato di persona al Tribunale di sorveglianza chiedendo ancora di uscire di cella.

Per farle visita. Ma i giudici risposero picche. Il suo avvocato, Alessandro Bonalume, non si è arreso. E stavolta, malgrado il parere contrario della Procura generale, il Tribunale di Sorveglianza ha detto sì. Persino Marie dal suo letto d’ospedale aveva supplicato, rivolgendosi all’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Chiedendo la grazia per quel suo figlio "maledetto" ma amato.

Il sostituto procuratore generale, Gustavo Cioppa, nonostante tutto, aveva chiesto di respingere la domanda di permesso per Vallanzasca, facendo presente che non erano ravvisabili i motivi di particolare urgenza. Ma il tribunale ha evidentemente voluto andare incontro al desiderio dell’anziana donna. "Al permesso che gli fu recentemente negato - aggiunge l’avvocato - il signor Vallanzasca ha fatto ricorso, perché le motivazioni addotte a quell’opposizione non gli sembravano giuste. D’altronde una donna novantenne con gravi patologie non deve necessariamente essere a rischio per destare allarme. Ritengo che il Tribunale di sorveglianza, composto da magistrati competenti, abbia dimostrato di avere anche un cuore e una coscienza".

René ieri è uscito, dunque, dal carcere di Voghera e, sotto stretta sorveglianza, ha raggiunto la clinica dove sua mamma è ricoverata. Lo scorso anno l’incontro tra i due era avvenuto senza problemi. Avevano pranzato insieme, con loro anche la compagna dell’ex boss, Antonella. "Renato - ha ribadito lei più volte - non è più il bandito Vallanzasca, è un uomo che la lunga detenzione ha completamente cambiato.

In lui non c’è più alcuna pericolosità. Ecco perché sono convinta che una eventuale concessione della grazia renderebbe solo giustizia a una profonda trasformazione umana in un soggetto che ha abbandonato ogni forma di violenza".

Lo stesso Achille Serra, il prefetto di Roma che da commissario di polizia per anni diede la caccia al "bel René" adesso si dice contento. "Non certo per lui - chiarisce -. Le mie domande al Dap di avvicinarlo a casa - puntualizza Serra - non erano certo richieste in suo favore, ma una sorta di dovere morale verso quell’anziana donna che ha seguito il figlio, fino a quando ha potuto, in tutte le carceri e in tutti i processi".

Cuneo: lavoro in carcere; lettera del presidente della Provincia

 

Targato CN, 17 luglio 2006

 

Pubblichiamo la lettera-appello che il presidente della provincia on. Raffaele Costa ha inviato agli organi di informazione, ai direttori delle quattro carceri della Granda, ai sindaci delle relative città, parlamentari e consiglieri regionali eletti in provincia di Cuneo.

"Non lavorare stanca. È questo il segnale che arriva dai circa mille detenuti delle quattro carceri presenti sul territorio cuneese che chiedono con insistenza di accedere a qualche forma lavorativa all’interno della struttura carceraria. Da tempo la Provincia di Cuneo ha sviluppato un’azione volta a far sì che i circa mille detenuti nelle carceri della Granda abbiano la possibilità concreta di svolgere un lavoro all’interno dell’istituto penitenziario.

Ciò per molteplici ragioni: per far sì che il recupero del detenuto possa avvenire concretamente attraverso il lavoro; per far sì che venga vinto l’ozio permanente che regna sovrano un molte carceri; per procurare all’interessato - ed eventualmente alla sua famiglia - un reddito minimo e per far sì che, quando libero, lo stesso possa più facilmente reinserirsi nella società. Per fare in modo che siano favorite le attività lavorative nelle carceri ho preso contatto con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia che mi ha fatto pervenire un dossier molto documentato, con indicate analiticamente le condizioni di favore praticate alle ditte esterne che affidano lavorazioni ad uno o più detenuti (le citate condizioni sono anche riportate dal periodico "La rondine" edito dalla Casa di reclusione di Fossano). Mi rivolgo, pertanto, alle aziende della provincia di Cuneo interessate e sensibili al tema nella speranza che sia possibile aprire un dialogo destinato a favorire, beneficiando anche delle condizioni favorevoli in materia, il lavoro nelle carceri. Ovviamente, contiamo di

incrementare la collaborazione con le direzioni, valide e attente, degli istituti di pena della Granda che hanno sempre dimostrato interesse ad un proficuo impegno da parte di chi sta espiando localmente la pena detentiva. Chi fosse interessato all’iniziativa (industriali, artigiani, commercianti…) potrà mettersi in contatto con l’Assessorato alle Politiche sociali della Provincia (telefoni 0171.445896 oppure 0171.445864)".

Libri: Onorevoli Wanted, di Peter Gomez e Marco Travaglio

 

Affari Italiani, 17 luglio 2006

 

Le "quote marron" - si legge nell’introduzione al libro "Onorevoli Wanted" di Peter Gomez e Marco Travaglio, e sul perché di quel colore è superfluo dare indicazioni - Il nuovo Parlamento (italiano ed europeo) conta già 25 condannati definitivi, 8 condannati in primo grado, 17 imputati, 19 indagati, 10 prescritti, più un pugno di "miracolati" dall’immunità, da leggi vergogna e - secondo gli autori - anche da giudici distratti. Il totale è di 82, di cui 65 di centrodestra e 17 di centrosinistra. Il primo contribuente alle "quote marron" - è sempre la nota introduttiva che viene citata - è Forza Italia, con 29 eletti; seguono An con 14, Udc con 10, Lega Nord con 8, e in fondo Dc, Psi e Movimento per l’autonomia con 1 ciascuno.

Nell’Unione svettano Ds e Margherita (6 più 6), seguiti a distanza da Udeur e Rifondazione (2 più 2) e Rosa nel pugno (1). Vince la classifica dei delitti preferiti dai parlamentari la corruzione (18 casi), tallonata da finanziamento illecito (16), truffa (10), abuso d’ufficio e falso (9), associazione mafiosa (8), bancarotta fraudolenta e turbativa d’asta (7), associazione per delinquere, falso in bilancio e resistenza a pubblico ufficiale (6), attentato alla Costituzione e all’unità dello Stato e costituzione di struttura paramilitare fuorilegge (5), concussione, favoreggiamento e frode fiscale (4), diffamazione, abuso edilizio e lesioni (3), e via di seguito fino a banda armata, corruzione giudiziaria, peculato, estorsione, favoreggiamento mafioso.

Lombardia: Maiolo; ecco le priorità nell’assistenza ai detenuti

 

Redattore Sociale, 17 luglio 2006

 

A un anno e mezzo dall’entrata in vigore delle "Disposizioni per la tutela delle persone in esecuzione penale" (legge regionale n. 8 del 14 febbraio 2005), Antonella Maiolo, sottosegretario alla Presidenza della Regione Lombardia con delega ai Diritti del cittadino e alle Pari opportunità, presenta la relazione sulle iniziative avviate in attuazione della legge e sui risultati raggiunti.

Tutela della salute, formazione e lavoro, preparazione al reinserimento nella vita sociale i principali interventi effettuati dall’amministrazione regionale, spesso in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria, a favore della cosiddetta "popolazione carceraria".

"Con questa legge - spiega Antonella Maiolo - la Regione Lombardia ha percorso una strada completamente nuova, ottenendo ottimi risultati. Il nostro obiettivo è quello di sviluppare e rendere più sistematica la collaborazione tra servizi territoriali pubblici e privati, in particolare con la neuropsichiatria, i consultori e il mondo delle imprese e della cooperazione sociale, oltre che potenziare i servizi di prima accoglienza e promuovere progetti sui temi della legalità, sicurezza e attenzione alle vittime di reati". A fine 2005, erano 8.653 i detenuti nelle carceri lombarde, di cui 3.711 stranieri, su un totale nazionale di 59.523, con un trend decisamente in aumento

Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria e farmaceutica a favore dei detenuti, è stato definito un provvedimento in base al quale si stabilisce che l’assistenza medico-generica all’interno degli istituti penitenziari è assicurata dall’amministrazione penitenziaria stessa; l’assistenza specialistica viene invece garantita dalle Aziende ospedaliere e quella farmaceutica è a carico del Servizio sanitario regionale, per un massimo di 4 milioni di euro all’anno (nel 2005 ne sono stati spesi circa 2,5 milioni). L’accordo ha previsto pure l’apertura, presso l’Azienda ospedaliera San Paolo, di un reparto di medicina con 20 posti di ricovero ordinario e 2 di day hospital, che nel 2005 hanno contribuito a sostenere 636 ricoveri e 160 interventi in day hospital.

Dal luglio 2005, sono a carico della direzione generale Sanità le prestazioni odontoiatriche e di laboratorio per i detenuti di San Vittore, Opera, Bollate e per i minori del Beccarla. Complessivamente sono stati effettuati 1.061 ricoveri in 37 strutture ospedaliere e 236 interventi in day hospital; 82.437 invece, le prestazioni ambulatoriali per 6.536 assistiti. Per quanto riguarda l’attività di prevenzione e profilassi delle malattie infettive, la Regione attraverso le Asl svolge attività di sopralluogo ogni sei mesi in tutti gli istituti penitenziari. L’intervento regionale riguarda anche l’assistenza extra-ospedaliera alle persone affette da Hiv che possono essere accolte in case alloggio per malati di Aids. Nel 2005 l’assessorato alla Famiglia e solidarietà sociale ha dato vita a una serie di progetti per il reinserimento sociale dei detenuti, oltre ad un tavolo permanente che ha permesso la formazione di 26 educatori, denominati "agenti di rete", con il compito di supportare gli educatori penitenziari e di tenere collegamenti con il territorio in collaborare con gli sportelli informativi.

Attività di formazione e lavoro, alfabetizzazione, orientamento e accompagnamento al lavoro, interne ed esterne agli istituti penitenziari, sono state realizzate dall’assessorato alla Formazione, istruzione e lavoro, coinvolgendo 634 detenuti. Grazie alla collaborazione di 93 cooperative, invece, l’assessorato all’Industria, piccola media impresa e cooperazione ha creato nel 2005 opportunità di lavoro per 387 detenuti, contro i 319 del 2004. Infine, sono stati 130 gli interventi di housing sociale nel 2005, soluzioni abitative temporanee per il raggiungimento dell’autonomia da parte dei soggetti svantaggiati e in affidamento sociale.

Rovigo: il mondo dei detenuti, tra parole e musica

 

Il Gazzettino, 17 luglio 2006

 

"Il carcere in piazza" ha raccontato venerdì sera al pubblico di piazza Vittorio Emanuele II la realtà "dietro le sbarre" vista dai volontari che danno assistenza ai detenuti. "Non siamo buonisti, il danno prodotto va riparato. Ma bisogna maturare le coscienze all’accoglienza e al reinserimento", ha spiegato Daniela De Robert, la giornalista del Tg2 volontaria nel carcere romano di Rebibbia, sul palco del listòn insieme agli attori Sara Piffer e Andrea Bagno, che hanno letto i "frammenti di vita prigioniera" raccolti dalla De Robert nel libro "Sembrano proprio come noi", e le testimonianze di alcuni detenuti nella casa circondariale di via Verdi. Negli spazi tra le righe ha suonato la musica di Alberto Cantone: il cantautore trevigiano, accompagnato da Gianantonio Rossi (chitarra e fiati), Nicola Casellato (violino) e Iseo Pin (percussioni), ha interpretato le canzoni di De Andrè e alcuni brani tratti dal proprio cd di debutto "Angeli e ribelli", mischiando speranze e pagine di vita amara. Secondo l’altalena di stati d’animo vissuta dietro le sbarre.

"Nessuno di noi è qui per sminuire il dolore delle vittime dei reati - ha affermato Livio Ferrari, direttore del Centro francescano d’ascolto e responsabile dei volontari che operano nel carcere di Rovigo - Non dobbiamo dimenticare, però, che quasi il 65% dei detenuti è in carcere per l’applicazione di due leggi che sono contro la dignità della persona". Ferrari ha spiegato che gli istituti di pena si svuoterebbero di quasi il 65% dei detenuti se non fosse in vigore il reato di clandestinità previsto dalla Bossi-Fini - "La popolazione nelle carceri italiane è di circa 62mila persone, e di questi sono 9.175 gli stranieri arrestati solo per non avere il permesso di soggiorno" - e se le pene applicate ai tossicodipendenti non fossero state inasprite dalla legge Fini-Giovanardi.

Nel carcere di Rovigo, a soffrire di problematiche legate alle tossicodipendenze è il 30% dei detenuti: la stessa percentuale registrata nelle statistiche sulla recidiva. Nella casa circondariale di via Verdi sono circa 115 i detenuti (di cui 80-85 nella sezione maschile, a fronte di una capienza di 45 posti) e 65 gli agenti di polizia penitenziaria che lavorano insieme a 6 operatori socio-sanitari, 6 amministrativi e 4 addetti ad altre mansioni. Da un recente sondaggio, svolto tra i dipendenti dalle associazioni Tangram e "Noi, associazione famiglie padovane contro l’emarginazione", emerge un quadro in cui gli eventi critici nel carcere di Rovigo sono legati soprattutto ai comportamenti aggressivi messi in atto dai detenuti sia verso se stessi (autolesionismo e tentato suicidio, vedi "bombole di gas scoppiate in faccia", impiccati, persone che minacciano di tagliarsi o farsi male) sia verso gli altri ("Mettersi in mezzo nelle liti tra i detenuti è la cosa più pericolosa", segnalano gli agenti). Ed è critica anche la situazione dei detenuti stranieri che tentano di accedere alle misure alternative come le attività lavorative esterne, consentite dall’organizzazione penitenziaria attraverso l’art.21.

Siracusa: un cortometraggio dei detenuti di Brucoli

 

La Sicilia, 17 luglio 2006

 

Un complesso e articolato progetto "Por Sicilia" da sette mesi ha animato e coinvolto due entità del nostro territorio: il 7° Istituto di istruzione secondaria superiore Ipsia "Calipso" di Siracusa e la Casa circondariale di Brucoli. "Il segreto del cortometraggio" è il titolo abnorme di questo speciale "laboratorio cinematografico" ideato e attuato dalla docente dell’Ipsia Rita Palermo presso la Casa di reclusione di Brucoli dove opera una Sezione dell’Ipsia di Siracusa. La finalità principale di questa interazione fra scuola e struttura territoriale è quella di ridisegnare una nuova immagine del carcere e del detenuto con finalità sempre più educative che punitive, per umanizzare la pena e restituire così alla società uomini nuovi, capaci di essere parte attiva nella crescita sociale e superare in questo modo la mentalità comune che considera il carcere "senza speranza".

- Perché avete creato questo filmato?

"Attraverso la realizzazione del cortometraggio - dice la prof. Rita Palermo - venti detenuti nella "Casa" di Brucoli sono stati nello stesso tempo allievi e attori protagonisti del filmato, scritto da uno di loro e montato da loro stessi, per accrescere il loro patrimonio culturale, ma sicuramente per avere un riscontro positivo sul piano umano e personale".

Coordinatore nella realizzazione del cortometraggio è stato il prof. Marco Landolina che è riuscito a concretizzare questo progetto sul cinema, con un testo cinematografico e con un linguaggio multimediale che, come ha spiegato, "rimane comunque una insostituibile forma di comunicazione e perché si rivolge ad una utenza con un certo livello di alfabetizzazione e una maggiore disponibilità di tempo". Altra figura basilare del progetto "Por Sicilia" è stata quella di Aldo Taranto, docente esperto, la cui collaborazione ha facilitato i processi di apprendimento degli allievi che sono poi sfociati nelle valutazioni degli esiti formativi; e il riscontro positivo si è avuto col filmato, reso possibile grazie alla disponibilità dalla direzione della casa circondariale di Brucoli.

 

Che fine farà questo cortometraggio?

"Il filmato - sottolinea la prof. Rita Palermo - è la storia di Totò che, a causa di un comportamento fuori dalla legalità, è costretto ad imbarcarsi su una grande nave, memoria storica e metafora del proprio vissuto, per un viaggio lungo e sofferto che lo possa restituire alla società civile, migliore e libero. Il cortometraggio parteciperà alla XII edizione del "Medium Festival" sul tema lavoro, identità e racconti dal carcere".

 

Quali emozioni avete provato in questo percorso di Brucoli?

"Tantissime e coinvolgenti. Non solo le abbiamo vissute noi docenti ma anche i detenuti ai quali abbiamo fornito il sostegno psicologico, spezzando, almeno in parte, la situazione di isolamento e la solitudine in cui si trovano. In questo senso, almeno, l’impegno sinergico della cultura è stato prezioso". "Dopo aver visionato il cortometraggio - conclude la responsabile del progetto - tutti i partecipanti sono stati motivati alla discussione e al dibattito".

Perugia: dopo un’evasione e un suicidio la rete degli intrighi

 

Il Messaggero, 17 luglio 2006

 

È un’onda lunga, che ripulisce ma sorprende anche chi non era preparato al suo arrivo. Gli effetti dell’evasione dal carcere di Capanne dell’assassino albanese Ilir Paja, 33 anni, un passato da violento e sfruttatore della prostituzione e come futuro la prospettiva di passare una trentina d’anni in una prigione tedesca, continuano a farsi sentire. E vengono amplificati da quelli di un’altra tragedia, avvenuta pochi giorni dopo la fuga del carcerato: il suicidio di un detenuto nel centro medico della prigione, centro medico rimasto ancora, inspiegabilmente, nella vecchia struttura di piazza Partigiani.

Per questo suicidio, dalle modalità e dalle motivazioni ancora poco chiare, sono partite due informazioni di garanzia: una nei confronti del responsabile del centro medico, l’altra nei confronti della direttrice del carcere che, in questo momento, è a disposizione del ministero. Ministero che ha disposto ed effettuato una seconda ispezione, ancora più puntuale, dopo quella partita nei giorni caldi, a ridosso dell’evasione dell’assassino albanese. Intanto continuano ad esserci dei punti ancora poco chiari sulla ricostruzione dell’evasione e spunta l’ipotesi di un complice che abbia aiutato Paja a scendere l’ultimo muro, quello esterno, alto quasi 9 metri.

Se Ilir Paja non fosse un cattivo vero, un uomo che non ha esitato a sparare alla testa ad un altro, in Germania, per chiudere un litigio e che sfruttava le donne, sarebbe quasi da protagonista di un film. Uno che è riuscito a passare con lenzuola e rampino attraverso tutte le maglie allargate di un super carcere "tecnologico" inaugurato in pompa magna ma, soprattutto, in fretta e furia. E che di superlativo, forse, ha solo avuto i tempi di costruzione e i costi. Con la grande fuga da Capanne, Paja non solo ha innescato una serie infinita di polemiche ma anche di veleni, mettendo il detonatore ad una situazione che sembra adesso diventare sempre più incandescente. E ha riproposto alcune domande, che erano finite impolverate sotto le carte della burocrazia: perché il centro medico del carcere è rimasto nella vecchia struttura di piazza Partigiani, quasi come se fosse una sorta di fortino, distogliendo, così, una trentina di persone dai turni e dal lavoro a Capanne, già di molto sotto-organico? Perché nessuno, in un anno, è riuscito a chiudere le porte di quella piccola struttura, dove, fra l’altro - e l’hanno sottolineato tutti i sindacati - non si facevano interventi così importanti da non poter essere eseguiti anche a Capanne?

Punti interrogativi che sono diventati macigni dopo che, a pochi giorni dall’evasione, un detenuto ricoverato nel centro medico si è suicidato. E sui motivi e i contorni in cui è maturato questo dramma è stata aperta un’inchiesta giudiziaria, affiancata, a sua volta, da una seconda indagine amministrativa partita dal ministero. I sindacati, almeno in un primo momento, sono stati abbastanza compatti (ad eccezione della posizione sfilacciata della Cisl) nella difesa del lavoro svolto dalla direttrice e dal personale. La linea messa in campo è stata questa: la struttura è stata inaugurata senza che tutte le misure di sicurezza fossero ancora pronte e senza il personale sufficiente. Questi problemi sono stati sottolineati più volte al ministero e non è successo niente. Ergo, qui è stato fatto il possibile e forse, anche l’impossibile, cercate le responsabilità della fuga fuori. Una linea difensiva che, però, è stata, almeno in parte, "frenata" dalle indagini.

Perché è partito un avviso di garanzia per una guardia. E perché la polizia, che aveva catturato Ilir Paja a gennaio e che adesso sta conducendo le indagini sull’evasione, vuole chiarire quelli che sono punti ancora oscuri sulla dinamica dell’evasione. È vero che Paja è un duro, un uomo senza scrupoli e, soprattutto, un uomo che non ha niente da perdere, con la prospettiva di arrivare alla vecchiaia in una prigione della Germania. È vero che ha avuto molto tempo per pensare, per guardarsi intorno, studiare i punti deboli di un carcere pieno di tecnologie installate ma che non funzionavano (ad esempio mancava l’allarme nella rete di protezione del cortile per l’ora d’aria, collaudato solo qualche giorno dopo la fuga). Ma è anche vero che per scavalcare un muro con lenzuola e rampino, (chi gli ha fornito quel ferro preso da un casolare non ancora bonificato dentro il perimetro del carcere), calarsi a terra, attraversare un grande cortile, risalire su un altro muro (con che cosa in questo caso, con una corda?) ci vogliono almeno venti minuti. Nessuno guardava? E come è possibile che un uomo faccia un salto di nove metri senza rompersi nulla? (Paja è stato visto poi camminare ad Agello). Qualcuno l’ha aiutato a scendere dal muro esterno? Chi?

Giustizia: i Sindacati Penitenziari; il Dap ormai è allo sbando

 

Agi, 17 luglio 2006

 

Definiscono "gravissima" la situazione di crisi in cui verserebbe l’amministrazione penitenziaria, sottolineando che il Dipartimento "ormai non riesce più a rispondere ai basilari principi costituzionali sulla pena e sulle sue finalità rieducative e risocializzanti". I sindacati Cgil Fp, Cisl Fp Penitenziario e Sag Unsa, in una nota congiunta, denunciano così le difficoltà del sistema carcerario italiano, ritenendo "compromessa, ormai, anche la situazione dell’area penale esterna, quella cioè che garantisce l’esecuzione delle misura alternative alla detenzione". Dai dati forniti dai tre sindacati, più di 50mila sono le persone attualmente in regime di alternatività al carcere: circa 32mila sono affidate in prova al servizio sociale, mentre sono 15mila le detenzioni domiciliari e 3.500 i detenuti semiliberi. "A questo abnorme aumento dei regimi alternativi, triplicati nel corso degli ultimi dieci anni - osservano i sindacati - ha corrisposto una diminuzione degli organici, delle risorse da destinare ai servizi sociali del territorio e una assoluta assenza di qualsivoglia strategia di rilancio delle misure alternative al carcere e delle professionalità addette.

A fronte di una dotazione organica prevista di 1.630 assistenti sociali, già di per sé sottodimensionata rispetto ai carichi di lavoro esistenti, sono poco più di mille le professionalità operanti attualmente negli Uffici di Esecuzione penale Esterna". Per queste, il carico di lavoro sarebbe ormai insostenibile: ogni assistente sociale dell’Uepe di Pescara segue 165 casi di persone in misure alternative al carcere, a Catanzaro 318, a Viterbo 104, a Pavia 95, a Milano 66, a Roma 73, a Napoli 74, 65 a Foggia, 90 a Firenze, 77 a Padova, 91 ad Udine, 66 a Siracusa.

Le organizzazioni sindacali, dunque, chiedono "un’immediata assunzione di responsabilità del ministro Mastella e del sottosegretario Manconi ai quali chiediamo un tempestivo incontro in sede politica". Nel frattempo, è stato indetto lo stato di agitazione del personale: se non arrivasse a breve la convocazione di un apposito tavolo di confronto a Via Arenula, i sindacati preannunciano la proclamazione di una manifestazione nazionale di protesta degli assistenti sociali della Giustizia e del personale tecnico-amministrativo che opera negli Uepe, non escludendo una contestuale giornata di sciopero nazionale.

Lombardia: 1 milione di euro per i detenuti tossicodipendenti

 

Adnkronos, 17 luglio 2006

 

Alle 13 Asl, sui cui territori si trovano i 16 istituti di pena della Lombardia, è stato assegnato dalla Giunta regionale, su proposta dell’assessore alla Famiglia e Solidarietà Sociale Gian Carlo Abelli, un milione di euro per proseguire e completare gli interventi che stanno realizzando a favore dei detenuti tossico e alcodipendenti, sia adulti che minori. Alla fine del 2005, su un totale di oltre 8.200 detenuti nelle carceri lombarde, erano circa 4.000 i tossico e alcoldipendenti, dei quali 751 in trattamento metadonico, 845 affetti da HIV, 945 con diagnosi psichiatrica e 457 con problemi correlati all’abuso di alcol. Questa la suddivisione del milione di euro tra le 13 ASL: Bergamo: 73.086; Brescia 63.452; Como 54.499; Cremona 28.270; Lecco 6.751; Lodi 14.161; Mantova 41.937; Milano Città 304.002; Milano 2 179.803; Milano 3 97.316; Pavia 75.614; Sondrio 8.924; Varese 51.579. Gli interventi della Regione a favore dei detenuti, che in Lombardia a fine 2005 sono 8.653, di cui 3.711 stranieri, su un totale nazionale di 59.523 (e il trend è in aumento), non riguardano solo l’assistenza per la tossicodipendenza.

Dal febbraio dello scorso anno è in vigore in Lombardia una legge, la n. 8 "Disposizioni per la tutela delle persone in esecuzione penale", relativa a quelle attività (tutela della salute, formazione e lavoro, preparazione al reinserimento nella società dopo l’uscita dal carcere ) che possono essere svolte dentro i penitenziari con il supporto dell’amministrazione regionale. A questo proposito il sottosegretario alla Presidenza della Regione, con delega ai diritti del cittadino e alle pari opportunità, Antonella Maiolo, ha presentato una relazione sulle iniziativa avviate in attuazione della legge n. 8 e sui risultati ottenuti. "Regione Lombardia - ha spiegato Antonella Maiolo - con questa legge ha percorso una strada completamente nuova, ottenendo ottimi risultati. Il nostro obiettivo è quindi quello di sviluppare e rendere più sistematica la collaborazione tra servizi territoriali pubblici e privati, in particolare con la neuropsichiatria, i consultori e il mondo delle imprese e della cooperazione sociale oltre che potenziare i servizi di prima accoglienza e promuovere progetti sui temi della legalità, sicurezza e attenzione alle vittime di reati".

Sanità: Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria e farmaceutica agli adulti detenuti nelle carceri lombarde e ai minori del Beccaria, in accordo con l’Amministrazione penitenziaria è stato definito un provvedimento che stabilisce che l’assistenza medico-generica all’interno degli istituti penitenziari è assicurata dall’Amministrazione penitenziaria stessa; l’assistenza specialistica viene invece garantita dalle Aziende ospedaliere e quella farmaceutica è a carico del Servizio sanitario regionale per un massimo di 4 milioni di euro all’anno (nel 2005 ne sono stati spesi circa 2,5 milioni). Sempre in base a questo accordo, l’Azienda ospedaliera San Paolo di Milano ha aperto un reparto di medicina con 20 posti di ricovero ordinario e 2 di day hospital. Nel 2005 sono stati effettuati 636 ricoveri e 160 interventi in day hospital. La direzione generale sanità, dal luglio 2005, si è impegnata a farsi carico delle prestazioni odontoiatriche e di laboratorio per i detenuti di San Vittore, Opera, Bollate e i minori del Beccarla. Complessivamente sono stati effettuati 1.061 ricoveri in 37 strutture ospedaliere e 236 interventi in day hospital, 82.437 prestazioni ambulatoriali per 6.536 assistiti. La spesa a carico della Regione è stata di 2,5 milioni di euro. Per quanto riguarda l’attività di prevenzione e profilassi delle malattie infettive, la Regione attraverso le Asl svolge attività di sopralluogo ogni sei mesi in tutti gli istituti penitenziari. L’intervento regionale riguarda anche l’assistenza extra- ospedaliera alle persone affette da Aids che possono essere accolte in case alloggio per malati di Aids.

Famiglia e solidarietà: Nel 2005 l’assessorato alla Famiglia e Solidarietà Sociale ha dato vita a una serie di progetti per l’assistenza ai detenuti per il loro reinserimento sociale, oltre ad un tavolo permanente che ha permesso tra l’altro la formazione di 26 educatori, denominati "agenti di rete", con il compito di supportare sia gli educatori penitenziari sia di collaborare con gli sportelli informativi di tenere collegamenti con il territorio. I fondi stanziati nel 2005 sono stati di circa 5 milioni di euro.

Formazione, istruzione, lavoro: L’assessorato alla Formazione, Istruzione e Lavoro ha realizzato, nel 2005, attività di formazione e lavoro, alfabetizzazione, orientamento e accompagnamento al lavoro, interne ed esterne agli istituti penitenziari, coinvolgendo 634 detenuti. Per queste attività sono stati destinati circa 2 milioni di euro.

Industria, piccola media impresa, cooperazione: L’assessorato all’Industria, Piccola media Impresa e Cooperazione, nel 2005, ha creato, grazie alla collaborazione di 93 cooperative, opportunità di lavoro per 387 detenuti contro i 319 del 2004.

Casa: Gli interventi di housing sociale (soluzioni abitative temporanee per il raggiungimento dell’autonomia da parte dei soggetti svantaggiati e in affidamento sociale) nel corso del 2005 sono stati 130. Inoltre, sono in corso di realizzazione, grazie all’accordo con il Comune di Pieve Emanuele, 40 alloggi in edilizia convenzionata per gli agenti di polizia penitenziaria.

Giustizia: nelle carceri sono rinchiusi troppi malati di mente

 

Agi, 17 luglio 2006

 

Se scoppiano le carceri italiane ciò è dovuto alla 180, la legge Basaglia, con cui si sono distrutti i manicomi e vi chi stava dentro, senza creare strutture sanitarie alternative: sono circa 20 mila, su 60 mila detenuti complessivi, i malati psichiatrici più o meno gravi bisognosi di cure ad hoc, segno questo della psichiatrizzazione della pena.

È questa l’opinione del Presidente di Antigone, Patrizio Gonnella e del criminologo Francesco Bruno, in merito alla presa di posizione, su l’Unità, del sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi che risponde a Massimo Fagioli che sul settimanale Left ha sostenuto che le galere hanno sostituito le istituzioni abolite dalla legge Basaglia.

"Sono d’accordo con l’analisi di Fagioli e Manconi - attacca Gonnella - il fenomeno della psichiatrizzazione della pena è del tutto evidente: non solo nelle carceri stanno malati psichiatrici gravi ma i farmaci più usati sono gli psicofarmaci che vengono somministrati in larga scala. L’elemento custodiale prevale su quello terapeutico". Concorda il criminologo Bruno: "si sono e io dico giustamente distrutti i manicomi ma non si sono costruite le strutture alternative: si diceva purtroppo si dice ancora che la malattia mentale non c’è, non esiste".

E distruggendo i manicomi "si sono distrutti - osserva Bruno - anche coloro che vi stavano dentro tanto la malattia mentale non c’è, non esiste". Il risultato è sotto gli occhi di tutti: "nelle carceri ci sono persone che necessitano di ben altro, di esser curate", nota Bruno e ricorda come "sono state fatte commissioni ministeriali di indagine per verificare impatto e consistenza della malattia mentale nelle carceri che non hanno prodotto nulla: dove e a chi sono finiti quei soldi? E quelli che si sono risparmiati con la chiusura dei manicomi?

Un tempo nei manicomi c’erano dai 50 ai 60 mila ricoverati, oggi tutto il sistema psichiatrico riceve appena 15 mila pazienti: mi chiedo che fine hanno fatto i 60 mila messi fuori dai manicomi". Insomma, "se ci fossero adeguate strutture sanitarie ed ambulatoriali - spiega Bruno - da domani potrebbero esser messi in libertà la metà dei detenuti perché oltre i malati psichiatrici ci sono tossicodipendenti e malati di Aids, cardiopatici etc.: bisogna mettere al primo posto il diritto alla salute e alla cura poi quando si aprono serie e reali prospettive di vita allora si può proporre la punizione". Su settimanale Left, Fagioli ha lanciato la sua analisi e provocazione.

"Sono per l’abolizione dei manicomi - sostiene lo psichiatra dell’Analisi Collettiva - ma non sono per l’abolizione della psichiatria e della cura della malattia mentale: sono per l’amnistia e per la liberazione di tanti detenuti con una pena superiore ai tre anni. Poi penso, ma le pene superiori sono per delitti gravi: e i delitti gravi non sono dei malati di mente?". Ed ancora, "penso ad una favola: se dicessi - aggiunge Fagioli - alla sinistra di ricordarsi non di Basaglia, ma di Mariotti che nel 1968 istituì i servizi di igiene mentale e cominciare a fare un progetto di legge che abolisce le carceri?". Interessante, per Manconi, è l’approccio scientifico di Fagioli alla questione carcere che "avrebbe, nella maggior parte dei casi, sostituito i manicomi aboliti dalla 180 la riforma Basaglia: le galere sarebbero piene - spiega Manconi - di casi psichiatrici, persone cioè che andrebbero curate, ancora prima di essere punite".

E, "sullo sfondo di questo ragionamento si scorge quella che Fagioli riconosce come un’utopia - continua Manconi - l’abolizione del carcere in quanto istituzione: insomma il carcere serve a punire o a riabilitare? Quali effetti produce la detenzione sulla persona? Ed in quali casi - prosegue - vi si dovrebbe ricorrere?". Per Manconi, "il carcere quale principale politica penale è profondamente sbagliata: la detenzione quindi va ridotta ai minimi termini riservata ad alcune fattispecie di reato e prevista solo per quei casi in cui la libertà del reo è una minaccia per la società: esistono forme di sanzione più efficaci, alternative al carcere, rispetto alle quali - osserva a il sottosegretario - si è realizzato e sperimentato poco".

Dunque, se c’è un’emergenza carceri a ciò si è arrivati per politiche sbagliate. "Oggi soprattutto le case circondariali sono simili agli istituti psichiatrici di 30-40 anni fa - afferma Gonnella - tanto che il confine tra istituto penale ed istituto psichiatrico è molto labile". Quindi, "andrebbe minimizzato il sistema penale - puntualizza Gonnella - riservandolo ai reati più gravi, quando la persona è realmente pericolosa per se e gli altri". E Bruno avverte: "il carcere deve esser finalizzato alla riabilitazione ma prima deve esser messo il diritto alla salute e alla cura".

Calabria: proposta di legge per ufficio regionale del garante

 

Giornale di Calabria, 17 luglio 2006

 

L’istituzione dell’"Ufficio del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale" è al centro di un progetto di legge presentato dal capogruppo di Rifondazione comunista alla Regione, Damiano Guagliardi. L’iniziativa, che procede parallelamente con la campagna popolare per l’amnistia generalizzata promossa dall’associazione Onlus "Yairaiha" e vuole evidenziare la grave situazione in cui versa il sistema penitenziario italiano, è stata illustrata nel corso di una conferenza stampa. Per il capogruppo di Rifondazione comunista siamo dinanzi ad "una crisi strutturale, a causa del ricorso sempre più diffuso alla legislazione penale, sia dall’assenza da oltre quindici anni di provvedimenti di amnistia e indulto".

Guagliardi, inoltre, ha parlato di "criticità soprattutto del sistema carcerario calabrese che richiede interventi strutturali diretti in via prioritaria a migliorare la condizione di vita dei detenuti e di lavoro degli agenti di custodia, e di tutto il personale penitenziario in genere". Per l’esponente di Rifondazione comunista, che sull’argomento proporrà una mozione nella prossima seduta del Consiglio regionale, "é necessario disincentivare il carcere come pena esclusiva per i fatti di minore rilevanza sociale, con pene e misure cautelari alternative e sviluppando le attività di recupero e di reinserimento che offrano al recluso concrete opportunità di lavoro e di formazione orientate ad un vero processo di reintegro sociale".

Sandra Berardi, animatrice dell’iniziativa di "Yairaiha", ha reso noto il programma dell’associazione che "nei giorni scorsi - ha detto - ha avuto modo di incontrare molti parenti di detenuti nei pressi delle carceri, in attesa di effettuare le visite settimanali. Vi invito - ha aggiunto rivolgendosi ai giornalisti - di dedicare la vostra attenzione a quelle madri, sorelle, mogli in attesa sotto il sole cocente o sotto la pioggia battente in attesa di parlare con i propri cari dentro il carcere con i figli. Una situazione incivile ed angosciante indegna di un Paese democratico e tollerante". Nei prossimi giorni, l’associazione distribuirà in Calabria migliaia di cartoline precompilate ed indirizzate al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ed al ministro della Giustizia, Clemente Mastella, per sollecitare la rapida approvazione dei provvedimenti di amnistia e indulto.

Treviso: proselitismo in carcere per i Testimoni di Geova

 

Il Gazzettino, 17 luglio 2006

 

La nuova frontiera dell’evangelizzazione svolta dai Testimoni di Geova passa per il carcere. La novità è emersa l’altro ieri all’assemblea generale del movimento, presso la sala di Canizzano, in via delle Maleviste. Oltre tremila i partecipanti al raduno che ha visto l’allestimento speciale di un maxi tendone, in aggiunta al tempio costruito con le offerte e il lavoro volontario dei fedeli. L’esperienza di evangelizzazione tra i detenuti ha coinvolto, in primis, Padova e Venezia, con risultati molto buoni e potrebbe essere esportata, come sottolinea Mario Martella, che all’interno del movimento religioso svolge la funzione di ministro per il culto nelle carceri. Qualche tempo fa un detenuto padovano ha deciso di battezzarsi mentre attualmente un altro, Giuseppe Castoro, sta compiendo il cammino preparatorio.

L’assemblea di Canizzano si è conclusa ieri, dopo tre giorni di preghiere, ascolto della Bibbia, momenti di condivisione e cerimonie religiose tra cui quella del Battesimo che ha coinvolto venti persone, di tutte le età. Il programma dal sapore antico poiché la cerimonia prevede l’immersione totale in acqua. "Abbiamo ricavato un’ampia vasca nella sala delle assemblee, così come accadeva nel rito cristiano antico, testimoniato dalla vasca presente ancora oggi a Roma presso Santa Maria Maggiore" spiega Martella, precisando che per i Testimoni di Geova si tratta solo di una cerimonia, non di un sacramento (in cui non credono). In sostanza l’immersione in acqua simboleggia la morte del vecchio "io" egoista e della volontà umana schiava del peccato, con la conseguente rinascita in Dio. "La liberazione è vicina" è il tema della terza e ultima assemblea trevigiana estiva, una delle 79 programmate in Italia; si colloca in un programma condotto a livello internazionale dal Movimento che nel nostro Paese conta 400 mila fedeli, di cui oltre 230 mila evangelizzatori distribuiti in 3 mila comunità. Nel Veneto gli appuntamenti sono stati 5: tre a Treviso e due nel veronese, per un totale di oltre 20 mila partecipanti. Ieri nel corso dell’assemblea prevista una drammatizzazione della Bibbia in costume, ideata dal trevigiano Claudio Giuliato, le conclusioni sono state affidate ad un cantico e alla preghiera comune.

Cremona: organizzato dall’Uisp il volley entra in carcere

 

Provincia di Cremona, 17 luglio 2006

 

Lo sport torna in carcere. Grazie alla collaborazione ormai consolidata tra Uisp e casa circondariale di via Cà de l Ferro si è disputato il torneo interno di pallavolo, che si è concluso con la cerimonia delle premiazioni. Nella palestra del penitenziario, alla presenza del vicesindaco Luigi Baldani, del presidente provinciale Uisp Goffredo Iachetti e del responsabile regionale del Progetto Carcere Alberto Saldi, sono stati consegnati i riconoscimenti ai vincitori dei due tornei. Nel torneo ordinario ha vinto la sezione E, davanti alla B e alla D, mentre nel torneo "protetti" la vittoria è andata alla sezione F1. Finito un torneo, ne parte un altro: è quello di calcio a sette, che proseguirà fino a settembre. Ma non è finita qui. A settembre dovrebbe partire il corso di scacchi per venti partecipanti, che porterà poi ad un torneo interno. I detenuti che seguiranno il corso otterranno un attestato che varrà poi per tutta l’attività Uisp nazionale. Ancora una volta è stata sottolineata l’importanza dell’attività fisica in carcere. Sia gli educatori, sia i responsabili della polizia Penitenziaria hanno sottolineato l’importanza per i detenuti di questa attività. Anche per questa ragione l’Uisp lancia una raccolta di attrezzatura sportiva. Attrezzatura dismessa da palestra, come cyclette e pesi, potrebbe essere molto preziosa per il carcere. Chi potesse dare un aiuto può portare l’attrezzatura all’Uisp di via Brescia oppure direttamente al carcere, telefonando allo 0372.4050505.

Droghe: bufera su "San Patrignano" e la "Comunità Incontro"

 

Corriere della Sera, 17 luglio 2006

 

È bufera sulle comunità terapeutiche di Andrea Muccioli e di don Pierino Gelmini. Tutto è cominciato con un’interrogazione parlamentare. Ed è esploso un caso con la risposta del ministro della Giustizia Clemente Mastella: "Verificherò che le due comunità siano in regola". È stato Luigi Cancrini, medico e deputato dei Comunisti italiani, a fare l’interrogazione: al ministro della Giustizia chiedeva notizie su San Patrignano e sulla Comunità Incontro. Questioni tecniche, di requisiti e di convenzioni. E Mastella non ha esitato: "Voglio verificare se le due comunità sono accreditate presso le Asl territoriali e hanno dunque una regolare convenzione con il sistema sanitario".

Non ce l’hanno la convenzione con il sistema sanitario le due comunità in questione. "Ma questo non è un problema con la legge attuale", dice Luigi Cancrini. E spiega: "La mia interrogazione era ben più delicata. Infatti sia San Patrignano sia le comunità di Don Gelmini non sono accreditate presso il sistema sanitario ma prendono i soldi pubblici dal ministero della Giustizia, visto che si offrono come luogo di detenzione alternativa per i tossicodipendenti. Qual è il problema? Che non passando attraverso il sistema sanitario non tengono nessuno standard di personale e di strutture per una comunità. A me questo non sembra corretto. E di questo ho chiesto conto al ministro".

Ma nessuno ha tenuto conto della realtà dell’interrogazione. La verità è che il bailamme politico si è scatenato a prescindere ed è passato attraverso una guerra di schieramenti. Ed è da destra che si è levato un coro di solidarietà per le due comunità terapeutiche che sono sicuramente le più grandi del nostro Paese. Loro, le due comunità, si sono indignate, profondamente.

Dalla comunità Incontro è stata non la voce di don Pierino, bensì quella del suo portavoce Aldo Curiotto a tuonare contro Clemente Mastella: "Il ministro prende per buona l’osservazione che la comunità Incontro ospiterebbe detenuti in convenzione senza l’iscrizione all’albo nazionale delle comunità terapeutiche, quando avrebbe potuto tranquillamente verificare che la normativa parla di iscrizione ad albi regionali, cosa con cui la comunità è perfettamente in regola".

Anche da San Patrignano l’indignazione tuona forte. Ma questa volta si scaglia contro Luigi Cancrini. "Vogliamo informare l’onorevole Cancrini, il quale finge di non saperlo o, cosa ancora peggiore, ignora realmente, che San Patrignano corrisponde in pieno alle richieste del nostro ordinamento giuridico in materia di pene alternative al carcere. Infatti l’iscrizione all’albo del ministero della Giustizia è subordinata a quella dell’albo regionale o provinciale del territorio sul quale si trova la comunità...". Non era questo il punto di Luigi Cancrini.

E forse è proprio per questo che sono scattate le barriere di difesa da parte del centrodestra, con An in prima fila. "Giù le mani da San Patrignano e dalla comunità Incontro" è l’altolà di Maurizio Gasparri, seguito a ruota da Alfredo Mantovano, ex sottosegretario all’Interno: "Questo governo capovolge la realtà: adesso vuole mandare gli ispettori in due realtà, quella di San Patrignano e della Comunità Incontro, che con sforzi enormi in questi anni hanno cercato di liberare dalla droga migliaia di giovani". Anche Carlo Giovanardi, ex ministro con la delega sulla droga, si scandalizza: "Sono affettuosamente solidale con Don Gelmini e con Andrea Muccioli e trovo incredibile che il ministro Mastella abbia detto che farà verifiche sui requisiti di queste due comunità".

 

 

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