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Amnistia: domani si riunisce tavolo Unione con Mastella
Dire, 21 giugno 2006
È fissata per domani alle 18 la prima riunione del tavolo tecnico sull’amnistia, dal quale dovrebbe scaturire una proposta legislativa da sottoporre anche alla Cdl visto che la Costituzione prevede una maggioranza qualificata per l’approvazione di provvedimenti di clemenza quali l’amnistia o l’indulto. Alla riunione, cui parteciperanno i capigruppo e i responsabili Giustizia dei partiti dell’Unione, sarà presente il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Amnistia: è utile ma a delle condizioni, di Angelo Miele
L’Avanti, 21 giugno 2006
Da sempre l’esplicazione della potestà punitiva dello Stato si accompagna a momenti d’indulgenza verso i contravventori della legge penale e, come da tradizione, si estrinseca nei noti istituti dell’amnistia, dell’indulto e della grazia: l’amnistia opera prima che venga accertata la colpevolezza dell’imputato perché toglie al giudice il potere di procedere nell’accertamento, mentre l’indulto e la grazia operano ad accertamento esaurito perché agiscono sulla pena inflitta. Sia amnistia che indulto possono essere sottoposti a condizioni oggettive (ad esempio adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato) o soggettive (ad esempio cause ostative quali la presenza di precedenti penali o lo stato di latitanza); e possono essere esclusi per alcune specie di reati, in ragione dell’allarme sociale che suscitano. Per le stesse ragioni o per la presenza nel condannato di precedenti condanne, l’indulto, può essere concesso in misura diversa e può essere revocato se il soggetto che ne ha usufruito commetta nei cinque mesi successivi un nuovo reato (anche la grazia può essere condizionata e, comunque come per l’indulto, è sempre revocabile per la commissione di un nuovo reato che il beneficiario commetta, dopo la concessione). Questi istituti in passato operavano periodicamente ed arbitrariamente (ad esempio, per la nascita di un principe) ovvero per mantenere il consenso popolare all’esercizio del potere, specie quando, come nel periodo fascista, questo difettava una legittimazione popolare. Per la Costituzione, che li ha conservati, gli istituti in questione, trovando un limite nel fondamentale principio di uguaglianza, possono essere emanati soltanto se sono correlati a situazioni di eccezionalità scaturenti da fatti obiettivi, non altrimenti ovviabili. Ma l’esperienza maturata (almeno fino al 1990, data dell’ultimo provvedimento) sta a dimostrare che sia amnistia che indulto, lungi dal corrispondere a situazioni no altrimenti fronteggiabili hanno avuto, ad onta delle giustificazioni ufficiali che li accompagnavano, un ruolo di tampone - spesso ad effetto precario - di situazioni derivanti dall’anomalo funzionamento della giustizia penale, al quale in verità non si è tentato seriamente di porre rimedio. In altre parole l’amnistia e l’indulto sono stati utilizzati per far fronte a situazioni apparentemente precarie ma che, stante il loro periodico ripresentarsi, indice di difetti strutturali, erano croniche: il sovraffollamento delle carceri - nonostante il nuovo ordinamento penitenziario, che nel 1975 aveva introdotto misure alternative alla detenzione - nonché il sovraccarico degli uffici giudiziari in continuo affanno - nonostante che solo una minima parte dei reati commessi entra all’input del lavoro dei magistrati. Sono passati sedici anni dall’ultima amnistia, ma ciò non perché siano cessati l’anomalo funzionamento della giustizia o la incivile situazione carceraria: tutt’altro! Quanto perché nel marzo del 1992, quando infuriava il giustizialismo più accanito, il Parlamento stabilì che l’amnistia e l’indulto dovessero essere deliberati a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna camera, il che ovviamente ne ha reso, se non impossibile, certamente difficilissima l’attuazione. Anche perché le forze politiche stentano a tenere una posizione chiara in ordine ad appelli, anche assai autorevoli (si pensi a quello di Papa Giovanni Paolo II), per alleviare le condizioni in qualche misura disumane, dei detenuti: i politici temendo l’accusa di voler favorire quelli di loro coinvolti in accertamenti giudiziari, ovvero temendo l’accusa di rimettere in circolazione soggetti pericolosi e, quindi, di mettere, a repentaglio, più di quanto non sia già, la sicurezza sociale, si sono dichiarati contrari alla concessione di tali benefici; non sena dire dei cosiddetti giustizialisti, che ne sono pregiudizialmente contrari. Non manca peraltro, chi individua il fondamento di un auspicato provvedimento indulgenziale nella esigenza di ristabilire un clima di serenità nel paese, una specie di pace sociale dopo i turbati rapporti politici e sociali dell’ultimo decennio del secolo scorso, seguiti alla cosiddetta rivoluzione giudiziaria dei pubblici ministeri, segnatamente di quelli milanesi. A mio avviso, se l’amnistia e l’indulto debbono essere considerati costituzionalmente legittimi solo in quanto strumenti di giustizia - cioè, solo quali atti politici attraverso cui si fronteggiano situazioni generalizzate di ingiustizia causate dall’anomalo funzionamento (per cause varie) della istituzione - deve ritenersene oggi plausibile la concessione. Invero, per il permanente e deprimente conto in rosso della giustizia penale che punisce solo il 20-30 per cento dei reati che si commettono nel nostro paese, non essendo in grado di punirli tutti, non appare giusto che solo pochi paghino il fio del reato commesso, oltretutto perché il principio di uguaglianza ne uscirebbe con le ossa rotte. E sarebbe uno smacco per il sistema democratico che ha il suo fulcro proprio in tale principio. Ma, se l’amnistia e l’indulto si giustificano, in questo contesto storico, per la ragione appena detta, non per questo si può eludere la necessità che essi siano previsti in modo tale da salvaguardare le imprescindibili esigenze della sicurezza sociale (esclusione di reati particolarmente pericolosi, criminali incalliti, misura dell’indulto, etc.). Inoltre, il rimedio/tampone deve essere provvisorio, nel senso che ad essi debba seguire immediatamente l’impegno di tutta la classe politica al rinnovamento della giustizia, sia nelle strutture sostanziali e processuali che in quelle ordinamentali. Infatti, urge rivedere il sistema sanzionatorio penale, ancora marcato dalla ideologia fascista; urge rivedere anche il sistema processuale, benché rinnovato nel 1988 è diventato irriconoscibile per gli interventi manipolativi sia della Corte costituzionale e della giurisprudenza comune, che da un legislatore schizofrenico, mostratosi più attento a tamponare vicende contingenti che non a configurare un modello di processo che dia piene garanzie, in linea con quello previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Soprattutto urge adeguare l’assetto giudiziario ai valori e alle direttive della Costituzione, posto che quello attuale è ancora di stampo monarchico, vale a dire a struttura burocratica comprensiva di soggetti dell’accusa e di soggetti della giurisdizione, il che rende, da una parte inadeguato il perseguimento dei reati e dei rei, e dall’altra non realizzata la garanzia della terzietà del giudice. Amnistia: se la giustizia perde credibilità, di Ferdinando Cionti
L’Avanti, 21 giugno 2006
Qualunque discorso sull’amnistia non può che partire dalla premessa che il ricorso alla stessa è sempre e comunque una dichiarazione di resa dello Stato, una sua sconfitta: se lo Stato impone solennemente, con legge, una regola la cui violazione è tanto grave da essere sanzionata penalmente, può scegliere tra due linee di condotta o la sua applicazione o - mutate le circostanze o la loro valutazione - la sua abrogazione. Ma nel momento in cui, pur tenendo ferma la legge e, quindi, riconfermando la sua validità, ne sospende temporaneamente l’applicazione, praticamente cancellando i reati commessi o eventualmente commessi in un certo periodo di tempo, perde credibilità perché sorgono dubbi sulla gravità di comportamenti che evidentemente possono anche non essere sanzionati senza gravi conseguenze, e perde autorevolezza perché ha minacciato invano. Detto questo, va rilevato anche che lo Stato non è una istituzione perfetta e che la realtà, solo molto parzialmente e grossolanamente classificabile, non è mai prevedibile nei suoi sviluppi futuri, cosicché può verificarsi il caso che debba assumersi un provvedimento, come appunto l’amnistia, che pur restando teoricamente incoerente - per le più diverse ragioni che vanno da circostanze eccezionali che di fatto attenuano la gravità di certi reati per un certo periodo di tempo, a necessità materialmente ineludibili (magari determinate anche colpevolmente in passato, ma comunque attualmente sussistenti, come ad esempio l’intollerabile affollamento delle carceri) - risulta praticamente opportuno, se non addirittura necessario. Chi giudica di quest’opportunità? Ovviamente lo stesso organo dello Stato che ha emesso la legge, con le stesse forme e modalità, se non altro perché essendo legittimato ad abrogarla, a maggior ragione deve poterne sospendere l’applicazione. Nel nostro caso, il Parlamento democraticamente eletto a maggioranza relativa. Sennonché nella nostra Italia, che anche in questo si differenzia da tutto il resto del mondo, non è così. O meglio, non è più così. Infatti, negli orribili anni di mani pulite, con la specifica e reale motivazione di impedire che l’allora maggioranza di "destra" deliberasse il famigerato colpo di spugna per i reati di finanziamento illecito dei partiti con connesse corruzione, concussione ecc. (reati di cui erano accusati quasi tutti i partiti, ma che non suscitavano particolari apprensioni nel Pci-Pds per i vincoli di comuni interessi che lo legavano alla magistratura); nonché con la generale, quanto falsa motivazione, che l’opportunità pratica di varare un’amnistia doveva essere oggettivamente sussistente, tanto essere riconosciuta anche dall’opposizione, e non affermata per interesse di parte; su pressione, tanto cogente quanto interessata, della magistratura; venne varata in tutta fretta una riforma addirittura costituzionale, in virtù della quale "l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale" (art. 79 della Costituzione). Dunque, il Parlamento può fare il più, e cioè abrogare a maggioranza semplice una legge, ma non il meno, e cioè sospenderne temporaneamente l’applicazione, con la medesima maggioranza. Per l’amnistia e l’indulto occorre la maggioranza qualificata. E per rendersi conto di quanto debba essere qualificata, basterà ricordare che le leggi di revisione della Costituzione - di gran lunga più "importanti" di una legge ordinaria qual è quella che dispone un’amnistia - "sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione". Vale a dire che è molto più facile cambiare la legge fondamentale dello Stato che una delle sue centinaia di migliaia di leggi ordinarie. Insomma, una legge di amnistia e/o indulto è la più difficile da approvare. Anzi oserei dire che è pressoché impossibile approvarla. Infatti l’opportunità pratica di un provvedimento di legge non è un dato scientifico, oggettivamente accertabile e, quindi, presumibilmente accettabile da tutte le parti per l’impossibilità di negarne credibilmente l’esistenza. Viceversa, essa è, proprio per sua natura, intrinsecamente opinabile, con la conseguenza che l’opportunità sostenuta da una parte in relazione alla sua impostazione politica generale ed agli interessi che legittimamente rappresenta, quasi sempre, e proprio per gli stessi motivi, è negata dalla parte opposta. Con ciò non è che venga almeno evitato il maggior effetto negativo dell’amnistia - tanto vivacemente quanto ipocritamente ed interessatamente "urlato" dalla magistratura impegnata - e cioè la disapplicazione della legge, poiché i fatti che ne consiglierebbero l’adozione, vale a dire i giganteschi arretrati che inceppano la macchina della giustizia e l’affollamento delle carceri sono testardi, restano lì immutati ed imperterriti, per nulla commossi dalle invocazioni ad una giustizia perfetta e determinano la prescrizione di milioni di reati. Con lo stesso risultato pratico dell’amnistia. Ma con una differenza fondamentale: che non è il Parlamento eletto dal Popolo Sovrano a decidere ugualmente per tutti coloro che si trovano in una medesima condizione, ma il singolo magistrato, privo di qualsiasi legittimazione popolare a decidere quali processi portare avanti e quali no, quali reati punire e quali no, quali imputati sono meritevoli di perdono per gli stessi reati o magari anche per reati più gravi e quali no, magari anche per reati meno gravi. Insomma, l’arbitrio totale ed assoluto del singolo, in luogo della legge democraticamente deliberata. Un potere quasi divino che la magistratura ha conquistato ed ha tutto l’interesse a conservare. Amnistia: la detenzione è diventata umanamente indegna
L’Avanti, 21 giugno 2006
Al volgere della legislatura, e a maggior ragione con l’alternanza del governo, viene spontaneo fare una panoramica sulla situazione generale del paese, sui problemi della gente, sui programmi, sui conti. In questa ricognizione non può mancare l’esame delle condizioni di vita di quella parte di popolazione che vive reclusa dietro le sbarre, in espiazione di pena o in attesa di giudizio. È parte di noi, delle nostre famiglie, delle nostre vicende; non è fatta di esclusi o di espulsi. La società tiene giusto il castigo per chi ha sbagliato nel calpestare i diritti altrui e per ammonire; ma lo scopo ultimo della pena è quello di togliere il reo dalla via del delitto, recuperarlo, emendarlo. Al mondo del carcere, isola di sofferenza, la gente presta un’attenzione discontinua; a volte si turba nel sentire che le condizioni di vita, il disagio e il dolore, sono al limite del sopportabile, e chiede maggiore umanità e qualche gesto di clemenza; altre volte, pressata dall’allarme sociale dei quotidiani delitti si sente assediata dalla criminalità diffusa, e chiede rigore inflessibile. I dibattiti ricorrenti sull’amnistia e sull’indulto, che negli ultimi tempi hanno accompagnato speranze e disperazioni, ne raccolgono i sintomi. In Italia, il problema cruciale del sistema carcerario è il sovraffollamento, 60mila detenuti stipati in uno spazio sufficiente per 40mila. È un sovrappiù di sofferenza, rispetto alla privazione della libertà, che aggiunge qualcosa di ingiustamente crudele, sul piano della dignità umana. Più che redimere, genera semi di aggressività e di violenza. Quanto si è discusso, da Beccaria in poi, sulla filosofia del castigo, sulla giustificazione e sullo scopo, su quel che si paga e quel che si investe mettendo un uomo in ceppi; sull’equazione retributiva del taglione, occhio per occhio; sulla forza dissuasiva e intimidativa; sul ravvedimento e sull’emenda. Il rispetto della dignità umana è il primo ingrediente della riabilitazione che la pena insegue. Se manca la dignità della persona, se la punizione è "umanamente indegna", tutto si perverte e diviene un controsenso, un brutale esercizio che rincalza il puro dogma della forza, senza un orizzonte etico, e persino senza utilità. Un carcere così è fuorilegge. Non ci metto parole mie, lascio parlare la legge n. 354 del 1975, che dice come devono essere fatti gli edifici penitenziari, per "accogliere un numero non elevato di detenuti"; e come devono essere i locali di soggiorno e di pernottamento; e le attrezzature per le attività lavorative, scolastiche, ricreative, culturali; e poi il trattamento rieducativo "individualizzato"; e poi i contatti risocializzanti con il mondo esterno; e poi, e poi infinite cose che par di sognare, e che sono rimaste nel cassetto dei sogni; o per dirla più chiara nel cassonetto delle promesse tradite. È gravissimo che lo sappiamo tutti, parlamento e governo compresi, e che si neghi ripetutamente un gesto di clemenza pur minimo, una goccia d’acqua nell’arsura dei disperati. Amnistia: l’iter parlamentare; parlano Boato e Capezzone
L’Avanti, 21 giugno 2006
Riuscirà a partire prima della pausa estiva l’iter parlamentare del provvedimento di clemenza (più probabilmente un’amnistia, anche se qualcuno ha parlato anche di indulto) che il ministro Mastella ha promesso ai detenuti del Regina Coeli appena insediatosi a via Arenula? La domanda è tutt’altro che retorica, perché - a meno di tre settimane dalla discutibile uscita del Guardasigilli nel carcere romano, con il Generale Agosto che incalza e l’attenzione delle forze politiche che per il momento resta completamente assorbita dal referendum sulla devolution - il rischio è che il tema dell’amnistia venga messo nel dimenticatoio. Per capirci qualcosa in più proviamo a interrogare uno dei più grandi "sherpa" del nostro Parlamento, il deputato verde Marco Boato. "Credo che una volta passata la buriana del referendum confermativo - dice Boato - ci sia effettivamente la possibilità di incardinare il procedimento legislativo sull’amnistia. Altra cosa è la sua approvazione. Personalmente, in questo primissimo scorcio di legislatura, ho già presentato un ddl di amnistia, così come avevo fatto anche nelle due legislature precedenti. Il problema, come è facile capire, è tutto politico, poiché, essendo necessaria una maggioranza dei due terzi per l’approvazione, occorre che nelle aule di Camera e Senato si verifichi un’ampia (troppo a mio avviso) convergenza…". L’esponente verde lascia capire di non essere troppo ottimista sulla possibilità che si possa trovare un accordo che coinvolga il 66 per cento dei parlamentari e va alla radice del problema. "Da quando è stato cambiato l’articolo 79 della Costituzione che disciplina l’approvazione dei provvedimenti di clemenza - spiega Boato -, il quorum è passato addirittura dalla maggioranza semplice ai 2/3. Di fatto amnistia e indulto sono stati aboliti: l’ultimo provvedimento si è avuto nel 1990". "Non nego - ammette il deputato verde - che in passato si sia ecceduto nel ricorrere a questi particolari provvedimenti. Tanto è vero che nel mio disegno di legge propongo non un ritorno alla maggioranza semplice, bensì l’introduzione della maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati. Detto questo - continua Boato -, oggi l’amnistia è assolutamente necessaria. La situazione delle carceri è esplosiva e il sovraffollamento non permette che la pena della detenzione assolva alla sua funzione rieducativa del condannato, anzi, troppo spesso l’istituto penitenziario diventa un ambiente criminogeno". Boato, però, mette subito in chiaro che l’amnistia, da sola, non può bastare. "È assolutamente ovvio - precisa - che, accanto al provvedimento di clemenza, occorra attuare una buona riforma dell’ordinamento giudiziario. Ma la prima cosa da fare - insiste Boato - è cambiare l’articolo 79 della Costituzione attraverso l’iter previsto dall’articolo 138 della stessa Carta, altrimenti amnistie e indulti continueranno a restare solo dei ricordi". E in Parlamento c’è chi, come il deputato radicale Daniele Capezzone, per sostenere l’incardinamento del percorso del provvedimento di clemenza ricorre ad armi per così dire "non convenzionali". "Insieme a molti altri compagni - spiega il neo presidente della Commissione Attività produttive di Montecitorio - da ormai due settimane stiamo dando corpo a una protesta non-violenta (sciopero della fame e interruzione volontaria dei farmaci, ndr) per chiedere che venga al più presto calendarizzata la discussione parlamentare sull’amnistia: è un primissimo punto che magari potrà sembrare poco, ma intanto cominciamo da questo poco. Ai colleghi parlamentari che si dichiarano a favore del provvedimento di clemenza, dico che è inutile continuare a trattare l’argomento con dichiarazioni alle agenzie: lavoriamo insieme per mettere l’amnistia all’ordine del giorno". Il leader di Radicali Italiani sgombra subito il campo dagli equivoci e premette di non essere interessato all’approvazione di un provvedimento di clemenza per coronare una specie di sogno "buonista", "il punto - afferma Capezzone - è quello della legalità, dell’Italia primatista di condanne davanti alle corti internazionali di giustizia e un’eventuale amnistia deve essere interpretata come premessa necessaria per una riforma di tutto il settore giustizia nel nostro Paese, con tre urgenze. La prima è quella di un cambiamento profondo della carcerazione preventiva; la seconda si sostanzia nelle depenalizzazioni di molti reati minori e infine l’abolizione dell’attuale legge sulla droga introdotta nella scorsa legislatura, con l’introduzione di una normativa finalmente moderna e anti-proibizionista". "Mi auguro - conclude Capezzone - che prevalga il buon senso e in Parlamento quanto prima si discuta l’amnistia. Dopodiché ciascun deputato e senatore si assumerà le sue responsabilità scegliendo di votare a favore o contro, però diamoci una possibilità…". Televisione: telecamere 2 mesi in carcere per girare reality
Ansa, 21 giugno 2006
Due mesi di riprese, con telecamere nelle celle, lungo i passeggi, in cortile e in sala colloqui: il primo reality sul carcere che Maurizio Costanzo realizzerà in autunno racconterà la vita quotidiana dei detenuti di Viterbo e quella degli agenti di polizia penitenziaria. L’idea di Costanzo è piaciuta a Giovanni Tinebra, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che lo scorso 25 maggio ha messo nero su bianco il suo placet indicando i nomi dei due poliziotti penitenziari che assieme ai detenuti saranno i protagonisti di "Altrove". Sono il vicecommissario Marco Santoro e l’ispettore Vincenzo Lo Cascio: 35 anni, il primo laureato in giurisprudenza, il secondo il psicologia. Saranno microfonati e a contatto, giorno e notte, con una cinquantina di detenuti che entreranno a far parte del reality. Su circa 400 detenuti nel carcere di Viterbo, circa la metà ha chiesto di partecipare ad Altrove. Anche loro sono stati scelti, scartando quelli che si sono macchiati di reati di sangue o che sono stati condannati per pedofilia. Protagonisti del reality ("meglio chiamarlo documentario sulla vita del carcere", dicono al Dap) saranno uomini in cella per droga, truffa, scippo o furto. Chi lo vorrà sarà microfonato, come nel Grande Fratello. Nel reality appariranno anche il direttore del carcere Pierpaolo D’Andria, e l’educatore Fabio Vanni. Le riprese inizieranno il prossimo settembre. Ad andare in onda, su Italia 1, sarà però una sintesi della giornata trascorsa. Da alcuni anni al Dap, Santoro e Lo Cascio si danno da fare in iniziative per il recupero dei detenuti: sono loro gli autori del progetto Argo (che ha dato la possibilità ad alcuni detenuti di adottare in carcere i cani abbandonati), dell’iniziativa "Un libro, una voce" (la lettura di novelle o romanzi affidata a detenuti e incisa su nastri per i non vedenti), e dei progetti di recupero ambientale attraverso il lavoro dei detenuti. Per due mesi torneranno a rivivere i ritmi quotidiani della vita del carcere. Sotto la luce dei riflettori. Volontariato: Messina presidente della Conferenza Nazionale
Redattore Sociale, 21 giugno 2006
Il Consiglio direttivo della Conferenza nazionale volontariato giustizia (Cnvg) ha nominato Claudio Messina presidente, in seguito alle dimissioni di Stefano Anastasia, chiamato a dirigere la segreteria dell’on. Manconi, sottosegretario alla Giustizia. Claudio Messina sarà affiancato da Patrizia Costantini, nominata vice presidente. Claudio Messina ha una lunga esperienza di assistente volontario penitenziario, fa parte della San Vincenzo de Paoli, di cui è delegato nazionale per il settore carcere e devianza. Opera attivamente nel carcere di Porto Azzurro ed ha promosso diverse iniziative e campagne volte al sostegno e al reinserimento dei detenuti, cui la San Vincenzo ha dedicato due giornate nazionali. "Dobbiamo riaffermare con forza la centralità della persona umana, in un clima rasserenato di legalità e con una interpretazione costruttiva del diritto penale, come vuole l’art. 27 della Costituzione. Un atto di clemenza s’impone nell’immediato per alleggerire la situazione delle carceri che non è esagerato definire scandalosa. Contestualmente è indispensabile avviare politiche volte alla prevenzione del crimine, all’abbattimento della recidiva, non certo con l’inasprimento delle pene, ma con l’intensificazione di percorsi riabilitativi e riparativi", ha affermato Messina dopo l’elezione. Patrizia Costantini, vice presidente, è dirigente regionale dell’Arci Umbria, fondatrice di Arci Solidarietà Ora d’Aria, associazione di volontariato che si occupa di marginalità, con particolare attenzione al mondo della detenzione. È coordinatrice di tutti i progetti relativi agli istituti di pena dell’Umbria e Referente regionale della Cnvg Umbria. La Conferenza nazionale volontariato giustizia riunisce le organizzazioni operanti nel campo della tutela dei diritti, della giustizia e delle carceri; ne fanno parte 9 Associazioni nazionali (Antigone, Arci Ora d’Aria, Fivol, Seac., Papa Giovanni XXIII, San Vincenzo de Paoli, Comitato per il Telefono Azzurro, Caritas Italiana, Libera) e 18 Conferenze Regionali estese su tutto il territorio nazionale. Genova: la polizia penitenziaria è sul piede di guerra
Comunicato stampa, 21 giugno 2006
Polizia Penitenziaria di Marassi sul piede di guerra. È quello che emerge dalla riunione con i Baschi Azzurri del penitenziario della Valbisagno che il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo della Categoria con oltre 12mila iscritti, ha tenuto ieri 20 giugno a Genova. "È stata una riunione molto importante, tempestosa e a tratti molto accesa, alla quale hanno partecipato tantissimi colleghi stufi della situazione che si vive a Marassi", spiegano Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe, Gian Piero Salaris, vice segretario regionale, e Antonio Martucci, responsabile sindacale di Marassi. "Ci hanno chiesto di portare in tutte le sedi ministeriali competenti la frustrazione dei poliziotti penitenziari di Marassi che, sotto organico di oltre 100 unità in una struttura sovraffollata con quasi 700 detenuti a fronte di 450 posti di capienza regolamentare, si sentono oggi pesantemente mortificati anche nella dignità professionale per la mancanza di adeguati provvedimenti disciplinari ai detenuti presenti che si rendono responsabili di comportamenti offensivi e oltraggiosi nei confronti dei poliziotti in servizio. E la responsabilità di questo andazzo è da imputare alla metodologia di lavoro impostata dalla Direzione e dall’attuale Comandante di Reparto, troppo sensibili al fascino trattamentale e rieducativo piuttosto che al prioritario aspetto di ordine e sicurezza della struttura e della detenzione". "La situazione è esplosiva" aggiunge il Sappe, che ha ricevuto un mandato chiaro e preciso dai Baschi Azzurri di Marassi. "Organizzare a settembre una grande manifestazione di protesta per ridare dignità ad un Corpo che, oggi, si sente abbandonato proprio dai suoi vertici più diretti. Dalla riunione è emerso, chiaro e netto, che le attività trattamentali che vengono svolte all’interno dell’istituto di Marassi risultano superiori alle possibilità strutturali e alle risorse umane e soprattutto contrasta il principio stabilito dall’ art. 1 dell’ordinamento penitenziario. Noi riteniamo che le attività trattamentali (campo sportivo, scuole, teatro interno ed esterno, confessioni religiose ecc.ecc.) non possano gravare solo ed esclusivamente sul personale in servizio nel reparto detentivo in cui i detenuti sono ristretti , poiché i colleghi, allo stato, non riescono a garantire neanche i livelli minimi di sicurezza e non riescono a garantire la presenza nei piani detentivi nell’arco delle 24 ore". "Ma soprattutto" concludono i sindacalisti del Sappe, che esprimo un giudizio senza appello: "che l’ordine e la sicurezza dei reparti detentivi e l’incolumità dei poliziotti in servizio a Marassi, allo stato attuale, è compromessa per mancanza di una azione efficace dell’amministrazione diretta a prevenire e reprimere i comportamenti dei detenuti posti in essere contro le regole vigenti all’interno del penitenziario. Vediamo una popolazione detenuta che nell’ultimo periodo aggredisce, insulta, pretende immediatamente da quel collega che si trova da solo a garantire e rappresentare lo Stato nel piano detentivo la soluzione del suo problema. Per questo un numero elevatissimo di colleghi è impegnato quotidianamente ad assolvere nell’immediato alle molteplici richieste avanzate dai reclusi fuori dai reparti. Dalla riunione con il Personale, i Baschi Azzurri di Marassi dicono basta. Ora la misura è davvero colma! Bisogna cambiare pagina". Napoli: convegno a Nisida sul "Progetto Lavoro" di Fiat Auto
Comunicato Stampa, 21 giugno 2006
Per il giorno 26 giugno 2006, presso il Centro Europeo di Studi sulla Devianza e sulla Criminalità minorile di Nisida - Napoli, è programmato un Seminario sul tema "Dall’esclusione alla cittadinanza - L’esperienza del modello Jonathan e il contributo delle imprese Indesit company e Fiat Auto". Promotori dell’iniziativa sono l’Associazione Jonathan Onlus, il Dipartimento Giustizia Minorile-Centro Giustizia Minorile per la Campania,il Ministero del Lavoro, l’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Campania,l’Assessorato agli Affari Sociali del Comune di Napoli, la Fiat Auto, l’Indesit Company, l’Agenzia per il lavoro Worknet. Il Seminario, articolato secondo il programma che si allega, sarà introdotto dal Sindaco Rosa Russo Jervolino e dal Dirigente del Centro Giustizia Minorile Sandro Forlani. Autorevole e significativa la partecipazione di numerosi Manager del mondo imprenditoriale interessati direttamente all’iniziativa ormai positivamente sviluppata di inserimento di ragazzi dell’area penale all’interno delle realtà industriali dell’Indesit e della Fiat Auto; del mondo istituzionale di Regione, Comune, Ministero della Giustizia-Direzione Generale dell’Attuazione dei Provvedimenti Giudiziari del Dipartimento Giustizia Minorile (dr.ssa Serenella Pesarin) e Direzione Generale Mercato del lavoro del Ministero del Lavoro (dr. Alfredo Ferrante), dell’associazionismo del privato sociale e dello stesso mondo dell’imprenditoria (Unione Industriali di Napoli), coinvolti a vario livello nei progetti di inclusione sociale di minori delle fasce deboli ed in difficoltà. I rappresentanti della Stampa e di altri mezzi di comunicazione audio visiva, per la partecipazione all’iniziativa, possono accreditarsi preventivamente presso la segreteria organizzativa dell’Associazione Jonathan Onlus (tel. 081.8445904, fax 081.5198677, e mail jonathan@yahoo.it), o presso questo Centro (tel. 081.7448111,fax: 081.7448250 - e mail: cgm.napoli.dgm@giustizia.it). Pistoia: lettera aperta al nuovo Ministro da una "amica di Caino"
Ristretti Orizzonti, 6 giugno 2006
Avrei dovuto scriverla al Suo predecessore questa lettera, all’uomo che ha definito "amici di Caino" la molto molto esigua schiera di invisibili operatori penitenziari (educatori, psicologi, assistenti sociali), ai quali sembrerebbe demandato il compito di estirpare la gramigna -dopo averla individuata- dal giardino fiorito della nostra civile società. Quelli che debbono valutare se gli Izzo e le Eriche siano pronti per uscire. Pentiti. Redenti. Cambiati. Cresciuti. Socialmente non più pericolosi. Ma questo immane improbo impegno quotidiano catturava tutta la mia attenzione ed esauriva tutte le mie energie. Adesso però, forte di una necessaria pausa fuori dalle sbarre, ho riflettuto che vale forse la pena di investire sul futuro. Voglio allora porre pubblicamente una domanda, non solo e non tanto ai miei colleghi, ma agli insegnanti, agli assistenti volontari, ai religiosi, agli istruttori dei corsi, ai vari cittadini "di buona volontà", ed anche a tanti pubblici amministratori, che entrano quotidianamente in carcere per dare il loro contributo: quando varcate i cancelli, quando chiedete una informazione, mentre svolgete il vostro compito, mentre attendete che un cancello sia aperto, quando aspettate una autorizzazione, quando cercate di comprendere qual è "la regola" (si capisce infatti subito che le regole del fuori lì non valgono…), non avvertite un certo non so che di vagamente inquietante, un diffuso, inspiegabile, apparentemente immotivato sentimento di "soggezione" che vi accompagna? Sì, lo so, dopo un po’ ci si abitua, risponderanno i veterani, si capisce come funziona, si conoscono le persone, le diffidenze cadono e ci si ammala persino di una sottile malattia, la "carcerite" la chiamiamo noi, un attaccamento strano, una nostalgia, un fascino, come il mal d’Africa: ci devi ritornare. E cominci a sentirti un po’ paladino, talvolta addirittura un po’ prescelto, trait d’union tra il male e il bene, cerchi di fare del tuo meglio nonostante tutto, apprendi pazienza tolleranza temperanza umiltà e prima o poi riconosci le ragioni di ognuno, di qua e di là dalle sbarre, una lezione di vita insomma, per la quale ringrazi Dio il fato la tua buona stella la tua caparbietà o il tuo kharma. Qualche volta ti sembra persino di aver guadagnato l’appartenenza. Ma quel vago (seppur dignitoso o anche bellicoso) strano sentimento di soggezione non ti lascia, sorridi ad ogni cancello per affrontarlo, per esorcizzarlo e talvolta per celarlo. La tua identità ne risulta leggermente compromessa, ma tu hai un compito e lavori per l’obiettivo, nulla o quasi ti può fermare, tu porti sollievo e passione, emozione e partecipazione, e sei pervaso da un bisogno antico che ogni giorno è costretto a riproporsi, il bisogno di Giustizia. Signor Ministro (e onorevoli miei colleghi sparsi e dispersi e persi nei luoghi più dimenticati e sconosciuti della nostra società e della nostra coscienza collettiva), lo ammetto - ebbene sì - il Ministro Castelli aveva ragione! Rischi di vedere la luce divina dove ancora alberga il buio. Magari lui - secondo il mio modesto parere - non aveva messo a fuoco il motivo, e non so quanto vedesse la passione (civile), la partecipazione (consapevole), la riflessione unita all’emozione, e forse soprattutto il bisogno di giustizia degli amici di Caino. Ma come si fa a distinguere il Bene dal Male e a restare coerente quando i parametri di riferimento condivisi sono scomparsi attorno a te? O sono addirittura ribaltati? E - ma questo è un altro capitolo - quando circa 500 educatori (operanti effettivamente negli istituti) ed ancor meno psicologi devono ascoltare osservare valutare e soprattutto "trattare" e sostenere i circa 60.000 detenuti delle carceri italiane, in condizioni di lavoro così lontane da ciò che di norma si considera "civile"? Cari colleghi, vi faccio una proposta: e se dichiarassimo pubblicamente la resa? Sarebbe senz’altro più onorevole. E forse persino più efficace. A chi giova il nostro quotidiano affanno? Noi, noi lo sappiamo che non è un problema di numeri, anche se quello è un capitolo significativo. È esemplificativo, ma non è il più significativo. Significativa è la soggezione. Arrendiamoci. Raccontiamola. E ricominciamo da lì. Un appello al signor Ministro della Giustizia. Esito, le parole mi mancano. Me ne viene in mente una, il coraggio.
Liliana Lupaioli, Educatrice Responsabile area pedagogica Casa circondariale di Pistoia Castrovillari: Pignataro (Pdci) su situazione casa circondariale
Asca, 21 giugno 2006
"La denuncia forte di questi giorni della Funzione Pubblica della Cgil, la successiva dichiarazione dello stato di agitazione del personale della polizia penitenziaria, i nostri reiterati inviti al Ministro della Giustizia, On. Mastella, e ai dirigenti degli uffici dipartimentali per ottenere un intervento immediato per risolvere la forte situazione di criticità della Casa Circondariale di Castrovillari, hanno prodotto effetti: l’organico femminile verrà aumentato di cinque unita"‘. Lo ha detto l’on. Fernando Pignataro (Pdci). "Si tratta di un primo risultato positivo - sottolinea Pignataro - che va incontro alle richieste di potenziare l’organico femminile della medesima sezione del Penitenziario del Pollino, che fosse adeguato alle esigenze logistiche e che garantisse alle lavoratrici l’esigibilità dei diritti, carichi di lavoro adeguati, sufficiente copertura dei turni, sicurezza e dignità sul posto di lavoro. Era, difatti, inaccettabile che l’inefficienza dell’Amministrazione penitenziaria pesasse sulle lavoratrici, sulla qualità del servizio, sulla popolazione detenuta". "Vigileremo affinché siano rispettati gli impegni presi dal Governo - conclude Pignataro - e dalla Direzione penitenziaria in tempi rapidi, per rispondere alle esigenze delle lavoratrici e della qualità del servizio". Rovigo: parlamentari in visita; tempi brevi per nuovo carcere
Il Gazzettino, 21 giugno 2006
I parlamentari Giuseppe Fini (Fi) e Luca Bellotti (An) visitano i detenuti del carcere di Rovigo ed incontrano il direttore Fabrizio Cacciabue. Un incontro interlocutorio a cui hanno partecipato anche il comandante della polizia penitenziaria, Umberto Zannarini e l’ex assessore comunale Nello Piscopo, che da Palazzo Nodari ha seguito da vicino l’iter burocratico per arrivare alla realizzazione del nuovo carcere che dovrà sorgere dietro la cittadella sanitaria. "La nostra visita al carcere - ha affermato Bellotti - è a testimonianza ed a rinnovo dell’impegno, già assunto nella passata legislatura, di seguire da vicino la soluzione dell’iter per la costruzione della nuova casa circondariale, cosi da garantire tempi celeri. Prima come deputato di maggioranza, ora come deputati dell’opposizione non smetteremo di fare presente al nuovo ministro la priorità di Rovigo". "Per garantire tempi celeri - ha aggiunto Fini - abbiamo già preso contatti con il Magistrato alle acque. Vogliamo essere aggiornati sullo stato dei lavori, anche in considerazione al fatto che i finanziamenti per l’opera sono già in atto". La difficoltà di reperire fondi e la necessità di incrementare il personale impiegato sono stati gli altri argomenti affrontati nel corso dell’incontro interlocutorio con il direttore e a cui i deputati polesani della Casa delle libertà hanno promesso sostegno. Immigrazione: Amato; la Bossi-Fini deve essere cambiata
Ansa, 21 giugno 2006
Il ministro dell’Interno Giuliano Amato è pronto a modificare la Bossi-Fini. Ieri nell’intervento alla commissione Affari costituzionali della Camera per illustrare gli indirizzi programmatici, ha spiegato quanto sia necessario rivedere il cardine della legge, che prevede che la domanda di permesso di soggiorno può essere accettata solo se il lavoratore è ancora nel suo Paese. Amato ha chiarito anche il suo punto di vista sui Cpt, Centri di permanenza temporanea, per i quali sarà insediata una commissione d’inchiesta, e sui permessi di soggiorno. I clandestini che entrano in Italia, ha argomentato, vanno espulsi ma "non trattati alla stregua di delinquenti. Bisogna convivere con il fenomeno inesorabile dell’immigrazione clandestina", ha esortato Amato, "la condizione di popolo emigrante per decenni ha contraddistinto anche gli italiani". Il clandestino, insomma, è vittima. "E tuttavia", ha ribadito, "non dobbiamo farlo entrare perché non possiamo consentire che le organizzazioni criminali colgano un segnale di luce verde in Europa e in Italia". Nei Cpt, il ministro ha chiesto di coniugare "sicurezza e vivibilità". "Non devono essere delle carceri", anche se i clandestini devono essere trattenuti perché spesso "si infiltrano anche i delinquenti". Ed "è ingenuo pensare che ci siano altri modi per accertare" la loro identità. Amato ha annunciato l’istituzione di una commissione, "formata per parte minoritaria da persone dell’amministrazione e per parte maggioritaria da esterni e che lavorano nel volontariato". I lavori dovrebbero durare sei mesi e poi il ministro tornerebbe in commissione a riferire.Quanto al rinnovo dei permessi, la prima cosa "è rendere valido quello in scadenza fino all’arrivo del nuovo. La Caritas Diocesana di Velletri-Segni e l’Associazione VOL.A.RE.
"La paura dell’altro" Incontro di sensibilizzazione sulla realtà carceraria Giovedì 29 giugno ore 17.30 Velletri, Sala Picara, Corso della Repubblica 347 (vicino alla Cattedrale San Clemente I)
Durante l’incontro interverranno:
Noi abbiamo paura della diversità: questo è già follia ed è anche un modo per difenderci da essa. Vorremmo creare distanze e porre confini precisi, ma non ci siamo riusciti del tutto: il confine, infatti, separa accomunando. (S. Mistura)
Casa di Accoglienza San Lorenzo Caritas Diocesana di Velletri-Segni Piazza I. Galli, 7 - 00049 Velletri 06/9630845 - casa_sanlorenzo@yahoo.it
VOL.A.RE. Viale Repubblica 269/2A 00040 Santa Maria delle Mole (Roma) 069309895 - asso.volare@virgilio.it
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