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Comunità di Sant’Egidio: un provvedimento di clemenza subito
Comunicato stampa, 2 gennaio 2006
Appello della Comunità di Sant’Egidio, di cappellani del carcere, di volontari
La condizione di vita nelle carceri italiane mette a dura prova il rispetto profondo della dignità umana. Il sovraffollamento, la carenza di fondi sufficienti, rendono difficile l’impegno del personale carcerario, diventano occasione di violenza e di disperazione, sono spesso una pena aggiuntiva - fatta di invivibilità - alla pena da scontare per chi è detenuto. Una parte consistente della popolazione carceraria non è mai stata condannata per il crimine di cui è accusata, ma è in attesa di giudizio. Molti sono in cattive condizioni di salute e moltissimi sono persone tossicodipendenti e alcol dipendenti. Moltissimi sono immigrati. Molti meno di quelli che ne avrebbero diritto possono accedere alle misure alternative alla detenzione. La certezza della pena non ha nulla da perdere da un provvedimento di clemenza, quando l’intero sistema giudiziario italiano è affetto da lentezza cronica e solo un processo su dieci arriva al suo termine, e spesso arrivano a sentenza e vengono colpiti quanti non possono permettersi una adeguata e costosa difesa legale. Giovanni Paolo II ha chiesto in maniera accorata al Parlamento italiano un provvedimento di clemenza e la richiesta è stata rinnovata, a Natale, dai vertici della Chiesa italiana, interpretando un sentimento diffuso e una necessità per il paese. Durante il Grande Giubileo del 2000 e nella sua visita nella sede più alta della democrazia in Italia il magistero di Giovanni Paolo II e la sua richiesta sono stati onorati con interminabili applausi e devozioni, e sono stati ignorati e disattesi da altri interessi e dal prevalere di interessi di parte, nei singoli e nei gruppi, fino ad oggi. La responsabilità di questo ricade in maniera proporzionale su governo e parlamento secondo autorità e possibilità non esercitata per cambiare le cose. Un provvedimento di clemenza, un indulto non sono, da soli, la risposta al sovraffollamento e alla trasformazione silenziosa della pena da riabilitativa in punitiva. Ma sono il minimo necessario per riavviare un ripensamento profondo del sistema delle pene e della giustizia in Italia. Per limitare i danni di nuovi inutili ingressi in carceri già invivibili, come previsto dalla nuova legislazione e dal cumulo della recidività per reati diversi: che sposta la pena dal reato al reo "recidivo", riducendo ulteriormente la possibilità di riscatto e provocando un effetto dirompente, a scoppio ritardato, su vite che cercano di allontanarsi a fatica dalla devianza. Per ridurre il tasso di gesti disperati e di autolesionismo sempre più frequenti in carcere. Per umanizzare nei limiti del possibile, e subito, la condizione carceraria in Italia. Un provvedimento di clemenza non mette in libertà "i delinquenti". La clemenza non rende meno certa la pena. Aiuta il paese a prendere tempo e a iniziare una strada intelligente che sa affrontare i problemi sociali per quello che sono, senza scorciatoie, sostenendo chi è più debole, impedendo la nascita di ghetti sociali, favorendo l’integrazione e non l’ulteriore emarginazione di chi è più a rischio e meno fortunato. Come cappellani e volontari che condividono quotidianamente le condizioni di vita di tutti i detenuti e di tutti quelli che lavorano in carcere, chiediamo con forza e responsabilità un’iniziativa parlamentare straordinaria che metta fine a una situazione inaccettabile.
Mario Marazziti Comunità di Sant’Egidio Stefania Tallei Comunità di Sant’Egidio Padre Vittorio Trani Cappellano del carcere di Regina Coeli, Roma Gruppo VoReCo Volontari di Regina Coeli Don Sandro Spriano Cappellano del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso Roma Antonio Salvati Volontario in carcere I Sacerdoti Volontari di Regina Coeli Marina Ceccarelli Comunità di Sant’Egidio Don Alberto Barin Cappellano del carcere di Milano San Vittore Don Luigi Melesi Cappellano del carcere di Milano San Vittore Daniela Sironi Comunità di Sant’Egidio Don Giuseppe Chironna Cappellano del carcere di Altamura (Bari) Don Dino Liberatori Cappellano del carcere di Arezzo Franco Avella Comunità di Sant’Egidio Padre Antonio Manca Cappellano del carcere di Alghero Alessandro Tornesello Volontario in carcere Carlo Santoro Volontario in carcere Ezio Savasta Comunità di Sant’Egidio Padre Maurizio Sierna Cappellano del carcere di Augusta (Siracusa) Padre Giovanni Crisci Cappellano del carcere di Avellino Don Giuseppe Insana Cappellano del carcere di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) Paolo Ciani Comunità di Sant’Egidio Padre Nunzio Del Mastro Cappellano del carcere di Bari Don Adriano Santus Cappellano del carcere di Brescia "Canton Mombello" Letizia Quintas Comunità di Sant’Egidio Federico Biserna Volontario in carcere Don Silvano Brambilla Cappellano del carcere di Busto Arsizio (Varese) Don Michele Quattrocchi Cappellano del carcere di Caltanissetta Emanuela Puccetti Comunità di Sant’Egidio Don Crescenzo De Marco Cappellano del carcere di Cassino (Frosinone) Federico Ciancio Volontario in carcere Guglielmo Tuccimei Comunità di Sant’Egidio Paolo Lizzi Volontario in carcere Anna Ruocco Comunità di Sant’Egidio Don Andrea Verrillo Cappellano del carcere di Cerinola (CE) Padre Carlo de Angelis Cappellano del carcere di Lauro (AV) Don Carmine Basile Cappellano volontario nel carcere di Poggioreale, Napoli Annarita Pescetelli Volontaria in carcere, Roma Don Antonio Oriente Cappellano PA Napoli Padre Paolo Auricchio Cappellano IPM Nisida Padre Giovanni Di Talia Cappellano del carcere di Ariano Irpino (AV) Suor Maria Lidia, Carmela Schettino Volontaria in carcere Giuliana Osella Comunità di Sant’Egidio Padre Salvatore D’Alessandro Cappellano del carcere di Benevento Don Carlo Serra Cappellano del carcere di Vercelli Don Tullio Mengon Cappellano del carcere di Poggioreale ,Napoli Fabio De Grossi Comunità di Sant’Egidio Don Ferruccio Brunod Cappellano del carcere di Aosta Alessandro Caradossi Volontario in carcere Don Bartolomeo Venturino Cappellano del carcere di Alba, Cuneo Don Francesco Bernardi Cappellano del carcere di Cuneo Don Franco Esposito Cappellano del carcere di Poggioreale Napoli Don Gigi Calemme Cappellano volontario carcere di Poggioreale Napoli Don Bruno Oliviero Cappellano del carcere di Poggioreale Napoli Don Bruno Beggiato Cappellano del carcere di Biella Don Andrea Gallo: non c’è un "buon anno" senza l'amnistia
Secolo XIX, 2 gennaio 2006
La Roma dei Cesari, dei Papi, da martedì 27 dicembre si è arricchita di un nuovo monumento, eretto in quest’ultimo decennio, all’ipocrisia della stragrande maggioranza dei parlamentari. Quasi tutti, vergognosamente latitanti. Si trattava di parlare finalmente degli "straccioni", ospitati in condizioni disumane d’illegalità. Basterebbe citare il sovraffollamento crescente delle carceri, con conseguenze scontate. Inoltre, nel Paese, si attende la riforma della Giustizia, stracarica di faldoni impolverati. Poteva essere un segnale positivo, in vista della campagna elettorale e un nuovo messaggio agli italiani per un rinnovamento della politica. Invece la distanza tra cittadini e istituzioni si allarga vertiginosamente. In questa circostanza, non obbedirei mai al mio dovere di prete se vi dicessi: "Buon anno", senza darvi disturbo. Vi voglio invece infastidire con le parole del vescovo, don Tonino Bello: "Non posso sopportare l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine del calendario. Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la carriera, il potere, la ricerca di facili consensi, la vostra cinica indifferenza, le vostre ideologie, i vostri pregiudizi, la vostra arroganza, diventa l’idolo della vostra vita". Quando si tratta di approvare privilegi, l’aula di Montecitorio è sempre affollata. Le carceri italiane, nel frattempo, si gonfiano di disperazione e di dolore. Onorevoli, quanti di voi hanno visitato questi Istituti di pena? Il garantismo da salotto continua ad eclissarsi al momento di decidere. L’inevitabile polemica del giorno dopo è stata addirittura avvilente, dalla sinistra alla destra, passando per il centro. C’è stato un unico commento serio, viene dal comitato dei detenuti del carcere di Rebibbia in Roma: "Nessuna delusione! Non ci aspettavamo nulla!". Mi chiedo se questa è una società civile. Già nel 1862 Dostoevskij affermava: "Una società si può considerare civile dalla condizione umana delle sue carceri". Sono certo che anche elettori di centrodestra siano rimasti delusi dall’indifferenza disumana che rivela la diserzione di massa dei deputati (130 presenti, 500 assenti) nella seduta parlamentare con all’ordine del giorno la questione dell’amnistia. La XIV legislatura si chiude senza aver risposto a oltre cento richiami dell’Unione europea sulla situazione disastrata dei diritti umani delle patrie galere. È vero, l’amnistia rivela un fallimento dello Stato di diritto. Niente certezza della pena, si grida da più parti. Ma possiamo allora "urlare": niente recupero del condannato, lunghezza dei processi, uno Stato incapace di risolvere il crescente disagio sociale, una delle cause della microcriminalità, il fallimento delle politiche di accoglienza e di integrazione dei migranti. Mi chiedo: in una situazione così allarmante, non è difficile riconoscere l’unico rimedio urgente ed efficace, quali sono l’amnistia e l’indulto. Solamente così, si potrà affrontare una nuova riforma. È un passaggio obbligatorio, per ragioni umanitarie, giuridiche, sociali e politiche. Onorevoli, con il vostro disimpegno lasciate che le paure ingigantiscano e i cittadini vengano annebbiati dal terrore di vedere in libertà i devianti. Sono certo che il volontariato, il terzo settore, sarebbero pronti per l’accoglienza, per collaborare con politiche sociali. Riflettiamo tutti sulle conseguenze del rifiuto di questo atto di clemenza, richiesto insistentemente da Giovanni Paolo II nel 2003, in quell’aula osannante. Avevate partorito un indultino. Altrettanto non posso esprimere serenamente i miei auguri ai parlamentari e ai membri del governo che si stanno preparando, in questi prossimi giorni, ad approvare col voto di fiducia, un nuovo decreto sulla tossicodipendenza, all’insegna di una ennesima tolleranza zero. La convocazione è fissata per il 18 gennaio, quando certamente l’aula sarà al gran completo. È impensabile affrontare così frettolosamente e superficialmente un tema così delicato, che investe la vita di migliaia di giovani. Quante vittime abbiamo lasciato per la strada, in questi ultimi 30 anni? Onorevoli, volete incarcerarci tutti? Rimango dalla parte degli ultimi: detenuti, migranti, tossici, disagiati, senza fissa dimora, zingari, senza lavoro. Con tutti coloro che soffrono per mancanza di futuro. Ricordate: sono soprattutto le nuove e le nuovissime generazioni.
Don Andrea Gallo, sacerdote genovese, è fondatore della Comunità di san Benedetto al Porto e autore di diversi libri. Giustizia: Sappe chiede spray urticanti contro le aggressioni
Ansa, 2 gennaio 2006
Due agenti di Polizia Penitenziaria sono stati aggrediti nel carcere di Marassi da due detenuti italiani. Medicati all’infermeria e trasportati al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Martino di Genova, hanno riportato contusioni guaribili in 7 giorni. È solo l’ultimo degli episodi di violenza che si ripetono all’interno degli istituti di detenzione che Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) definisce "un’aggressione violenta e ingiustificata, un episodio gravissimo che evidenzia i rischi degli agenti che lavorano nelle sezioni detentive. Avevamo denunciato - prosegue - questa situazione durante la celebrazione della Festa della Polizia Penitenziaria a Palazzo San Giorgio. Gli agenti prestano servizio disarmati, senza alcun mezzo di coercizione e di contrasto alle aggressioni che, in rapporto ad uno storico sovraffollamento, sono sempre più all’ordine del giorno. Per questa ragione è necessario dotarli di strumenti di difesa come le bombolette di spray urticante, in uso a numerosi Comandi di Polizia Municipale italiani". A questo proposito il Sappe si appella al ministro della Giustizia, Castelli, ed al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Tinebra, perché "non si può pensare che per difendersi in caso di aggressioni un agente di Polizia Penitenziaria debba ricorrere alle mani o ai calci". Brescia: appello dei volontari, per il carcere serve una svolta
Brescia Oggi, 2 gennaio 2006
Grande delusione dei carcerati bresciani in trepida attesa di un atto di clemenza da parte del Parlamento. Amnistia o indulto, estinzione del reato o della pena sono distinzioni giuridiche sconosciute ai detenuti di Canton Mombello e Verziano che sperano, invece, in una concreta riduzione della pena a prescindere dalla veste normativa che potrebbe assumere. Decisamente più disilluso Alessandro Zucchelli, volontario nei due penitenziari dove affianca un educatore ogni lunedì e mercoledì, per un totale di circa nove ore. Zucchelli ricorda il fallimento della richiesta di papa Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo e la sconfitta successiva. "Neanche la morte di Wojtyla ha accelerato una riflessione in tal senso". "Ho parlato con 10 detenuti proprio ieri - racconta il volontario - e mi pare che ormai tutti nutrano ben poche speranze, anche se magari non sono al corrente della discussione avvenuta martedì mattina a Montecitorio". Zucchelli comunque insiste sulla necessità di iniziare a ragionare in modo più ampio e organico sul concetto di "funzione rieducativa della pena" e soprattutto sulle strade da percorrere per garantire a chi beneficia di misure alternative al carcere un reinserimento effettivo nel tessuto sociale. Senza questi presupposti l’amnistia da sola servirebbe a poco. Ne è convinto Zucchelli che riporta comunque i timori anche di molti detenuti, consapevoli che l’essere abbandonati a se stessi riapre le porte del carcere in un battibaleno. Al contrario, in presenza di un’organizzazione adeguata a partire da maggiori risorse umane in ambito penitenziario, i numeri danno ragione ai sostenitori della nota e controversa "legge Gozzini". Con l’applicazione di misure alternative al carcere i fallimenti non raggiungono il 5 per mille. Dello stesso parere don Adriano Santus cappellano negli istituti penitenziari cittadini, che ribadisce la mancanza di un discorso rieducativo. "Non si tratta di approvare un’amnistia solo per tamponare il fenomeno del sovraffollamento, ma è necessario ripensare il sistema penitenziario nel suo insieme". La vera scommessa sono le misure alternative impossibili per numerosi carcerati dopo l’approvazione della nuova legge, meglio nota come ex Cirielli. La normativa oggetto di furiosi scontri parlamentari non ammette numerosi benefici per i recidivi, categoria che raggiunge la soglia dell’82 per cento. Tipologia destinata ad aumentare in mancanza di seri percorsi di accompagnamento. "Del resto - sottolinea don Adriano - non è la quantità di tempo passata tra le sbarre a cambiare le persone , ma la qualità delle ore impiegate in qualche attività". L’ozio cui sono costretti i carcerati non giova a nessuno, tanto meno alle casse dello Stato visto che ogni detenuto costa ben 500 mila lire al giorno all’intera collettività. Nonostante le diserzioni degli onorevoli, la speranza è l’ultima a morire e rimane sempre all’orizzonte l’ipotesi dell’indulto. "Stavano già facendo i calcoli di quanti sarebbero usciti - confessa Angelo Canori presidente del Volca e segretario dell’associazione Carcere e Territorio ed è arrivata la doccia fredda dell’esito della discussione dell’altro ieri". Ma anche il presidente dell’associazione che raccoglie i volontari delle carceri non si fa troppe illusioni e ricorda con amarezza "l’indultino" di due anni fa. Talmente numerose le restrizioni previste, che molti detenuti hanno preferito non avanzare la richiesta: meglio dentro, che fuori con mille divieti. Anche Canori conferma che il vero nodo è creare le condizioni per un reale reinserimento, il solo volano per allontanare tante persone dal sottobosco della malavita. "Il mondo della cooperazione bresciana è una vera risorsa per favorire il transito dal carcere a situazioni più libere, ma nello stesso tempo protette". Lo stesso non si può dire per il mondo del profit. Angelo Canori denuncia la sordità di numerose associazioni di categoria con le quali nel 2000 fu firmato il protocollo "Progetto carcere", che sinora non ha dato alcun risultato. Le aspettative dei detenuti non sono riassumibili in un mero atto di clemenza, seppur atteso con forza, ma sconfinano nel terreno altrettanto minato di una riforma dell’ordinamento penitenziario. Giustizia: Nessuno Tocchi Caino; sono 60mila, in condizioni infami
Ansa, 2 gennaio 2006
Togliere "60mila detenuti dalla condizione infame e bestiale in cui sono nelle carceri" e "dare finalmente dignità" alle vittime della giustizia in Italia, "che non sono solo le vittime dei reati, il cui dolore va sempre considerato e stimato nella sua intera gravità". Vittime sono infatti anche quelle persone che devono essere giudicate, alle prese spesso con un meccanismo di giustizia che in Italia lascia a desiderare. È questo l’auspicio che esprime per il 2006 Sergio D’Elia, presidente dell’associazione "Nessuno tocchi Caino", da anni impegnata sul fronte della giustizia in Italia e più in generale sul fronte dei diritti umanitari e della opposizione alla pena di morte nel mondo. A proposito di quest’ultima, la speranza è che il nuovo anno "porti finalmente anche l’approvazione di una risoluzione delle Nazioni Unite per una moratoria universale delle esecuzioni capitali". D’Elia aggiunge che c’è anche da augurarsi che dall’Onu "giunga un segno di attenzione e di rispetto della dignità dei condannati a morte. Non tanto per quelli negli Usa, che sono più o meno sotto attenzione pubblica, ma per coloro che sono nei Paesi totalitari: penso a Cina, Iran, Vietnam, Corea del Nord. La pena capitale va bandita ovunque nel mondo, ma intanto ci sia rispetto della loro dignità di condannati a morte". Tornando ai problemi più di casa nostra, il presidente di "Nessuno tocchi Caino" sottolinea che in Italia ci sono 60mila persone "detenute in condizioni pietose e fuori dalle leggi. Scontano una pena supplementare, infame: quella della condizione bestiale in cui si trovano". Lecce: detenuto italiano di 34 anni si impicca in cella
Ansa, 2 gennaio 2006
Un detenuto di Bitonto si è impiccato il 30 dicembre nella cella del carcere di borgo san Nicola, dove si trovava rinchiuso per una rapina compiuta nel Barese. Per togliersi la vita, Gaetano Maggio, 34 anni, avrebbe usato la cintura dei pantaloni. L’allarme è stato dato da un agente penitenziario, e con l’ambulanza del 118, il detenuto è stato trasportato in ospedale, il Vito Fazzi di Lecce, dove è però giunto cadavere. Della vicenda è stato informato il magistrato di turno, il sostituto Gianni Gagliotta. Lazio: l’Ass. Nieri; prioritario recupero sociale del detenuto
Asca, 2 gennaio 2006
"Il problema relativo alla questione delle carceri non riguarda la costruzione di nuovi edifici di detenzione, ma è prioritario capire come deve essere recuperato socialmente il detenuto". Lo ha detto l’assessore al bilancio della Regione Lazio Luigi Nieri al termine di una visita, nelle sezioni V, VI e nel centro clinico della casa circondariale di Regina Coeli. "Il governo dell’Unione - ha aggiunto Nieri - dovrà affrontare la questione delle carceri in maniera differente da com’è stato fatto dal centro-destra". Riferendosi al sovraffollamento nelle carceri, ed in particolare a quella di Regina Coeli dove si trovano recluse 180 persone con a disposizione sei sole docce e che condividono a gruppi di 6 celle di 10 metri quadrati l’una, Nieri ha detto che "è inutile tenere in detenzione persone che hanno compiuto reati legati alla tossicodipendenza e all’immigrazione". Descrivendo la situazione dei detenuti Regina Coeli che "vivono senza riscaldamento in ambienti dove tutto è deteriorato e vecchissimo" il componente italiano del Comitato europeo per la prevenzione della tortura Mauro Palma, che ha accompagnato Nieri insieme al presidente di Antigone Patrizio Gonnella, ha detto che "prima ancora di pensare a investimenti per la costruzione di nuovi istituti, bisogna pensare a investire fondi per rendere più vivibili le carceri esistenti". Cagliari: a Buoncammino difficile situazione per 30 detenute
Sardegna Oggi, 2 gennaio 2006
Visita della commissione Pari opportunità e della presidenza del consiglio provinciale nel carcere cagliaritano di Buoncammino. In particolare i consiglieri hanno incontrato 15 delle 30 detenute ospitate nelle celle. La situazione delle donne all’interno della struttura penitenziaria è più difficile rispetto a quella degli uomini, a causa dell’esiguità delle agenti di custodia. La commissione si è impegnata a promuovere altri incontri per essere da anello di congiunzione tra le famiglie delle detenute, soprattutto straniere, e le carcerate Ascoltare dalla voce delle detenute le condizioni di vita nel carcere, capire quali sono i problemi che quotidianamente devono affrontare per individuare le possibili linee di intervento da parte dell’amministrazione provinciale. Questo l’obiettivo della commissione Pari opportunità che, questa mattina, con il presidente del consiglio provinciale Roberto Pili e il vice-presidente Mauro Contini, si è recata presso il carcere di Buoncammino e ha incontrato 15 detenute, la maggior parte delle quali extracomunitarie. Delle 30 detenute attualmente ospitate a Buoncammino su una popolazione complessiva di 470 carcerati, 16 sono nigeriane, 8 sarde, 1 tedesca e le restanti nomadi, una delle quali, in attesa di giudizio, ha un bambino di 4 mesi. Dalle 10 alle 11 le detenute possono passeggiare in un angusto spazio all’aperto, alle 11.30 c’è il pranzo, dalle 16.30 alle 17.30 l’ora di socializzazione e alle 18.30 la cena. "Tutte le detenute – ha affermato Rita Corda presidente della commissione – hanno lamentato soprattutto la scarsa attività all’interno della struttura carceraria, la mancanza di lavoro e la poca importanza data ad attività di tipo socializzante. In un simile contesto – prosegue la Corda – è difficile portare avanti un discorso finalizzato al reinserimento e alla rieducazione". Il problema riguarda certamente anche la popolazione maschile che affolla il carcere, ma per le donne la situazione è ancora più difficile per la scarsità delle agenti di custodia, senza le quali non è possibile effettuare il minimo spostamento all’interno della struttura circondariale. "Un altro problema molto sentito – sottolinea la Corda - soprattutto dalle extracomunitarie, è la lontananza della famiglia d’origine". Diverse le tipologie di reato di cui sono accusate: per le extracomunitarie è per lo più l’istigazione alla prostituzione e la riduzione in stato di schiavitù di alcune loro connazionali, per le nomadi furto e furto aggravato, che in un caso ha portato a una condanna per omicidio, mentre per le sarde l’accusa più frequente è quella di spaccio di droga. Pili e Contini hanno chiesto che questa iniziativa della commissione non rimanga isolata e hanno manifestato, in tal senso, il loro impegno a portare il problema del sovraffollamento del carcere di Buoncammino all’attenzione dei lavori del consiglio. "Avremo altri incontri – conclude la Corda - con coloro che operano dentro il carcere, con gli educatori, per contribuire alla definizione di progetti di inserimento sociale delle detenute" e ha assicurato che la commissione Pari opportunità, d’intesa con l’assessore agli Affari generali Maria Carla Floris, lavorerà nella direzione del potenziamento del centro servizi per l’immigrazione che potrebbe funzionare da anello di congiunzione tra le detenute extracomunitarie e le loro famiglie. Varese: Provincia stanzia fondi per la formazione dei detenuti
Varese News, 2 gennaio 2006
La formazione per i detenuti è un tema a cui la Provincia di Varese ha da sempre posto molta attenzione. In particolare, grazie ai finanziamenti del Fondo Sociale Europeo, negli anni scorsi sono state attivate numerose iniziative all’interno delle case circondariali di Varese e Busto Arsizio, mirate a favorire il recupero di una positiva percezione del sé attraverso corsi di orientamento, riqualificazione professionale e inserimento lavorativo. Sulla scia di questa tradizione, quest’anno la Provincia ha ritenuto opportuno integrare i 95.000 euro provenienti dal Fondo Sociale Europeo destinati a questo tipo di attività con ulteriori risorse, 75.000 euro, che andranno a finanziare un particolare progetto di orientamento, formazione e accompagnamento al reinserimento sociale di detenuti a fine pena. "Rispetto agli anni scorsi anno i finanziamenti comunitari disponibili sono nettamente diminuiti, non solo per quanto riguarda le attività rivolte ai detenuti, ma per tutte le iniziative mirate all'integrazione sociale e lavorativa dei soggetti appartenenti alle categorie svantaggiate - ha commentato Andrea Pellicini, assessore al Lavoro, Formazione Professionale e Istruzione. - Come indicato dalle direttive regionali per l’utilizzo di tali risorse, abbiamo riservato alla formazione in carcere 95.000 Euro, più del 10% obbligatorio dell’importo totale assegnato. Le graduatorie che abbiamo pubblicato in questi giorni presentano gli otto corsi approvati, che saranno realizzati da diversi Enti di Formazione del territorio presso le case circondariali di Varese e Busto Arsizio. Le proposte sono varie e diversificate: vanno dalla "preparazione di prodotti da pizzeria" alla "informatica di base", dalla "coltivazione biologica" alla "lavorazione di legatoria e restauro della carta", per fare alcuni esempi. Certo, rispetto alle disponibilità avute in passato rimane un notevole scarto. La continuità e la completezza all’offerta sono state comunque garantite grazie all’intervento dell’Assessorato alle Politiche Sociali che, in attuazione di una sempre più attenta politica di welfare locale, ha finanziato con 75.000 euro un percorso di orientamento e riqualificazione professionale nei due istituti penitenziari. In questo modo, facendo convergere in modo coerente ed integrato su un unico obiettivo le diverse risorse impegnate nell’ambito dei servizi alla persona, la Provincia riesce ad assicurare un impegno finanziario considerevole e sempre più adeguato ai bisogni del territorio". "La scelta di finanziare questo progetto - ha spiegato Rienzo Azzi, Assessore alle Politiche Sociali rientra tra le linee di azione che da anni il mio assessorato persegue attraverso il coordinamento del Comitato Carcere e Territorio, un tavolo di lavoro a cui partecipano istituzioni pubbliche e organizzazioni del privato sociale e che ha lo scopo di programmare e condividere gli interventi sul territorio a favore delle persone detenute. In particolare, attraverso il programma operativo 2005 "Area Marginalità ed Immigrati", ci siamo posti l’obiettivo di favorire la realizzazione di servizi coordinati di orientamento, formazione e accompagnamento al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti a fine pena, oltre che di consolidare e valorizzare la rete esistente fra i principali soggetti che operano in questo settore. Le attività finanziate, che vedono la Fondazione Enaip Lombardia come Ente capofila saranno realizzate in collaborazione con l’Agenzia Formativa della Provincia di Varese, il Consorzio Cooperative Sociali di Cardano al Campo e il Consorzio Sol.Co. di Varese e saranno svolte in entrambe le Case circondariali. A Varese il percorso è iniziato lo scorso 5 dicembre e prevede un corso di formazione intervento per la manutenzione elettrica della durata complessiva di 290 ore. A Busto Arsizio invece la formazione partirà il prossimo gennaio e sarà articolata in due diversi corsi di 100 ore ciascuno: il primo nel settore della ristorazione collettiva e il secondo in ambito grafico-informatico". La graduatoria degli 8 corsi finanziati attraverso il dispositivo provinciale è consultabile sul sito www.provincia.va.it nelle pagine dedicate alla Formazione Professionale. Roma: Paolo Cento; al Centro Clinico 28 detenuti gravi
Ansa, 2 gennaio 2006
"Nel centro clinico di Regina Coeli abbiamo riscontrato la presenza di 28 detenuti di cui, almeno la metà, in gravissime condizioni fisiche a cui dovrebbe essere sospesa la pena per poter consentire una cura sanitaria adeguata". Lo afferma il deputato verde Paolo Cento, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera che ieri ha visitato il carcere. "L’amnistia e l’ indulto - ha proseguito Cento - sono una necessità umanitaria, anche per affrontare l’emergenza sanitaria, che costringe nei penitenziari centinaia di detenuti malati terminali". Spagna: i detenuti potranno scegliere celle "no smoking"
Ansa, 2 gennaio 2006
Cella fumatori o non fumatori? Con l’entrata in vigore della nuova legge antifumo, il primo gennaio, anche i detenuti delle carceri spagnole potranno scegliere. Come spiega il quotidiano spagnolo El Mundo, la Direzione degli Istituti penitenziari ha diffuso una circolare nella quale si garantisce ai detenuti il diritto ad essere rinchiusi in celle per non fumatori, se così lo desiderano: inoltre, i futuri ospiti delle patrie galere verranno classificati come fumatori, non fumatori o non fumatori che tollerano il fumo passivo. Fonti sindacali ritengono improbabile che nelle affollate carceri spagnole esistano celle sufficienti per poter garantire un trattamento differenziato tra i detenuti. Il divieto di fumo verrà inoltre esteso ai "locali chiusi in comune" (infermerie, sale mensa, laboratori), mentre la sigaretta sarà autorizzata nel cortile e in particolari zone per fumatori all’interno delle strutture carcerarie. Quanto al personale carcerario, se la passerà peggio: niente sigarette in ufficio o sala riunioni, per i funzionari sarà possibile fumare solo negli spazi in cui possono farlo anche i loro sorvegliati. Infine, sarà possibile fumare nei parlatori e "se così lo desiderano" le parti in causa, nelle salette "vis à vis" dove è possibile mantenere relazioni sessuali. I fumatori in Spagna sono il 31% della popolazione, in media fumano 12,4 sigarette al giorno e l’età media di inizio sono i 13 anni. Basta entrare in un qualsiasi bar o ristorante del Paese per rendersi conto di quanto si fuma in Spagna: a volte una nuvola densa e impenetrabile ci accoglierà ed è quasi caratteristica dei bar spagnoli come se fosse la nebbia di Londra.
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