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Agrigento: s’impicca in cella, era in carcere da pochi giorni
La Sicilia, 10 dicembre 2006
Roberto Di Gati, 42 anni, di Racalmuto, fratello del boss agrigentino Maurizio Di Gati, fermato dalla Mobile di Agrigento lunedì scorso, si è tolto la vita venerdì sera nel carcere di contrada Petrusa dov’era detenuto. Roberto Di Gati si è impiccato annodando le lenzuola della sua cella. L’uomo, incensurato, era stato arrestato nel corso di un blitz che ha permesso di assicurare alla Giustizia i presunti componenti della famiglia mafiosa di Racalmuto. Era stata la Dda di Palermo a emettere nei suoi confronti un decreto di fermo temendo una fuga dell’uomo e di altri 6 presunti fiancheggiatori di Maurizio Di Gati durante la latitanza. Il provvedimento di fermo venne convalidato per tutti gli indagati dal Gip del Tribunale di Agrigento Luigi Patronaggio un paio di giorni dopo, aprendo le porte del carcere non solo a Roberto Di Gati, ma tra gli altri anche al fratello Beniamino, tutte persone ritenute a stretto contatto con il boss la cui latitanza cessò due domeniche fa. Il suicidio del detenuto ha lasciato di stucco gli stessi inquirenti che senza perdere tempo sono piombati a Petrusa per fare il punto della situazione. A prendere atto del suicidio sono stati due magistrati della Dda giunti appositamente da Palermo per valutare ogni aspetto della vicenda. Ad una prima ricognizione sul luogo teatro dell’episodio pare non siano stati rinvenuti bigliettini con su scritti messaggi rivolti ad alcuno. Un insano gesto consumato dunque nel silenzio, scoperto dalle guardie penitenziarie durante la tradizionale conta in programma intorno alle 16.15. A essere ascoltati dai magistrati sono stati alcuni componenti il personale della casa circondariale, ma poco pare sia emerso. L’indagine su quanto accaduto è scattata come da prassi, visto anche lo spessore del personaggio. Lunedì i funerali a Racalmuto. Napoli: Mancino (Csm); camorra scatenata, dico sì all’esercito
Il Mattino, 10 dicembre 2006
È un grido d’allarme accorato quello di Nicola Mancino. Il vicepresidente del Csm guarda con preoccupazione alla prepotente azione della camorra, chiede al governo di fare presto per l’ordine pubblico e il rilancio economico e non esclude il ricorso all’esercito per presidiare il territorio. Ma soprattutto chiede che venga mobilitata la società civile. Per questo giudica "importantissimi" gli appelli di Giorgio Napolitano e del Cardinale Sepe: "Solo così Napoli potrà vivere una nuova primavera".
Napoli è ancora in prima pagina. Non per l’impegno del governo ma per l’ennesimo omicidio: quello del figlio di un boss pentito. L’ottantaseiesimo dell’anno. "La violenza a Napoli cresce e certo non può cessare dalla sera alla mattina. Si registrano omicidi in numero crescente e inquietante mentre la camorra controlla aree sempre più vaste del territorio".
Come fermarla? "Resto dell’idea che senza la mobilitazione e la collaborazione della popolazione difficilmente registreremo un’inversione di tendenza. Abbiamo bisogno di convincere - e questa è compito delle istituzioni - che la lotta alla camorra è la principale condizione per risolvere ogni altro problema: il degrado, i bisogni individuali e collettivi, la legalità, la trasparenza. Deve diventare patrimonio di ciascun cittadino che deve convincersi di dover essere parte attiva".
Mai come oggi - grazie all’impegno di Napolitano - lo Stato ha acceso i suoi riflettori su Napoli. Eppure nulla cambia. "La presenza continua del Capo dello Stato è molto positiva. Serve a stimolare un ritorno di orgoglio per battersi per estirpare mali storici e difficoltà presenti".
Secondo il procuratore generale Galgano, stante questo quadro normativo, non ci si può illudere che le cose cambino. "Galgano pone un problema serio. Sicuramente occorrono delle riforme. Bisogna accelerare i tempi dei processi, approntare nuove norme per i procedimenti, assicurare la certezza della pena. L’ultima riunione del Consiglio Superiore della Magistratura, dopo la visita della settima commissione, ha deciso il trasferimento di un discreto numero di magistrati che contribuirà a garantire tempi giusti dei processi. Ma Napoli non può aspettare i tempi lunghi della politica e delle riforme. E sono convinto che non servano leggi particolari: la norma deve essere di carattere generale per non tornare al nefasto periodo della divisione del territorio".
È un fatto che il boss di Torre del Greco è uscito per la somma dell’amnistia del ‘90 e dell’indulto e che il boss di Santa Lucia ha goduto di una lettura garantista del cumulo di pene in appello. C’è un problema nell’amministrazione della giustizia? "Dico solo che la giustizia deve accelerare i suoi tempi. Perché chi può godere dell’indulto non debba attendere tempi biblici e perché chi deve essere condannato non goda dell’indiretto indulto della prescrizione".
Napoli non può attendere i tempi lunghi delle riforme ma intanto iniziative annunciate con clamore non sono state ancora realizzate se è vero che - come sostengono i sindacati - i mille agenti promessi dal ministro Amato non si sono visti. "Questa doglianza del sindacato mi inquieta. Napoli sicuramente non ha bisogno di annunci ma di vedere che gli impegni presi sono mantenuti, che le parole diventano fatti".
Insomma, in attesa delle riforme, cosa serve? "Napoli ha bisogno di credere in se stessa ma ha diritto di pretendere che le amministrazioni siano efficienti e trasparenti, che la risposta del governo sia tempestiva, che la magistratura faccia il suo lavoro. Al di là degli annunci. E ha bisogno, come tutto il Mezzogiorno, di una politica di sostegno alle attività produttive. Le condizioni economiche del Paese sono quelle che sono ma la Finanziaria prevede misure per lo sviluppo: il governo faccia presto e risponda in maniera adeguata. E contrasti il più duramente possibile la camorra per riconquistare il controllo del territorio".
La camorra è diversa dalla mafia... "Sì, la mafia siciliana ha una organizzazione politica verticale che mantiene un suo ordine. La camorra invece vive di una perenne lotta tra piccoli clan armati".
Appunto. Questa specificità non richiede leggi ad hoc, una sorta di federalismo legislativo? "Più che leggi ad hoc, si possono concordare deleghe più corpose alle amministrazioni locali, utilizzando quel che già c’è nel titolo quinto della Costituzione. C’è bisogno di un’intesa tra governo centrale e amministrazione locale per provvedimenti che possono essere assunti e decisi a Napoli senza attendere il benestare di Roma. Ma, attenzione, il federalismo presuppone amministrazioni locali efficienti. Insomma, non bisogna immaginare che la sola distribuzione dei poteri sia una soluzione".
Se l’urgenza è riconquistare il controllo del territorio, l’esercito può essere la soluzione? "Da ministro dell’Interno ho registrato un’esperienza più che positiva in Sicilia. Certo, il problema oggi va valutato anche alla luce della riforma delle Forze armate perché abbiamo un esercito professionale diverso da quello degli anni Novanta, quando i Vespri siciliani dettero un notevole apporto nel presidio del territorio. Ma Napoli ha diritto di avere la garanzia di quel controllo anche se lo Stato avesse difficoltà a tener fede all’impegno di rafforzare la presenza delle forze dell’ordine".
Insomma, secondo lei meglio l’Esercito del nulla? "Personalmente dico di sì. Anche se registro opinioni contrarie".
Ha evocato più volte la necessità di amministrazioni efficienti. Quelle napoletane non lo sono? "Trovo molto impegno nell’amministrazione cittadina. Penso che Iervolino si batta con coraggio e determinazione. Ma non basta l’impegno individuale o la volontà. C’è bisogno di ricreare un clima".
Torniamo al punto di partenza. "Sì. La popolazione va mobilitata, come accadde in Sicilia. Sarebbe difficile contrastare la camorra se ci fosse una sorta di assuefazione, che temo. Il rischio più grande è che vinca la convinzione che non ci sia nulla da fare e che conviene ritirarsi nel proprio privato. Gli appelli convergenti di Napolitano e del Cardinal Sepe, istituzioni diverse ma concordi in questo impegno, sono importantissimi perché vogliono scuotere le coscienze del cittadino. Quando il cittadino si accorgerà che le istituzioni fanno sul serio e vogliono estirpare questo male e si mobiliterà, Napoli potrà avere una nuova primavera". Catanzaro: Ipm; consegna dei brevetti di "assistente bagnanti"
Quotidiano di Calabria, 10 dicembre 2006
Rosario Priore, capo dipartimento Giustizia minorile, parteciperà giovedì prossimo a Catanzaro alla cerimonia di consegna dei brevetti di "Assistente Bagnanti" ai partecipanti al corso svoltosi nell’Istituto penale per i minorenni "S. Paternostro". Alla manifestazione parteciperanno il direttore generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento, Serenella Pesarin, il vice presidente della federazione italiana nuoto Paolo Colica e quello regionale Daniele Paonessa e il direttore del Centro per la giustizia minorile della Calabria e della Basilicata Angelo Meli. "Sono cinque - è detto in un comunicato - gli agenti di polizia penitenziaria e tre i ragazzi ristretti che hanno superato gli esami finali del corso, tenutisi nella Piscina Comunale di Catanzaro. Il progetto, denominato "Torno a Galla", è stato realizzato dalla Federazione Italiana Nuoto all’interno dell’Ipm di Catanzaro durante lo scorso periodo estivo. Proposta dalla Direzione dell’Istituto, l’iniziativa si è caratterizzata quale progetto sperimentale e pilota, in quanto realizzato in deroga alle norme federali che prevedevano l’impossibilità di conseguire il brevetto di "Assistente Bagnanti" a tutti coloro che hanno subito una condanna passata in giudicato". Caltagirone (CT): il sindaco dona un presepe ai detenuti
La Sicilia, 10 dicembre 2006
Il sindaco Francesco Pignataro e l’assessore ai Servizi sociali Cristina Navarra doneranno domani, al direttore del carcere di Caltagirone Antonio Mazzeo, un presepe di ceramica che sarà allestito nella sala utilizzata per gli incontri dei detenuti con i familiari. "Si tratta - sottolinea Pignataro - di un dono piccolo, ma significativo, perché il presepe è custode di valori irrinunciabili a cui la nostra comunità è fortemente legata. In un momento come l’attuale, caratterizzato, secondo quanto ci giunge dalle cronache, da un decremento dell’appeal del presepe presso la grande distribuzione, dalla città della ceramica parte un messaggio forte e in controtendenza, nel segno della tradizione e della salvaguardia di ciò che il presepe rappresenta". "Donando un presepe alla struttura carceraria - afferma l’assessore Navarra - intendiamo contribuire, anche fra i detenuti, alla riscoperta dei valori più genuini del Natale". Immigrazione: De Palma (Prc): i Cpt dovrebbero indignare tutti
Apcom, 10 dicembre 2006
"Nemmeno a Maurizio Gasparri e agli esponenti della Lega augurerei di essere rinchiusi in un cpt". Lo afferma Michele De Palma, responsabile Movimenti della segreteria nazionale del Prc. "Condivido l’iniziativa dei compagni Francesco Caruso e Heidi Giuliani", sottolinea il dirigente nazionale di Rifondazione in riferimento alla protesta dei due parlamentari del Prc in due cpt in Calabria. "Mi indigna l’idea che si possa augurare la reclusione in un cpt soprattutto all’indomani di un ennesimo suicidio in un centro di permanenza temporanea, quello di un cittadino bulgaro a Lamezia Terme - continua De Palma - Ci indigna la stessa esistenza dei cpt, luogo moderno di sopraffazione dei diritti civili che dovrebbe smuovere l’umana pietà di tutti al di là degli schieramenti politici. Continueremo la nostra battaglia per l’abrogazione dei cpt e per fare in modo che questo governo di centrosinistra non sia più responsabile di morte e violazioni di diritti". Immigrazione: Caruso (Prc); vogliamo garanzie su chiusura Cpt
La Repubblica, 10 dicembre 2006
Esplode la protesta contro i Cpt. I due deputati di Rifondazione comunista Francesco Caruso e Heidi Giuliani (mamma di Carlo ucciso durante il Gb di Genova), sono entrati stamani nel Cpt di Crotone per una ispezione ministeriale e sono rimasti all’interno della struttura rifiutandosi di uscire, chiedendo al governo "garanzie sulla volontà di chiudere le strutture presenti in Italia". Nel tardo pomeriggio, poi, Heidi Giuliani ha lasciato il centro per recarsi nel Cpt di Lamezia dove, in mattinata, un immigrato di nazionalità bulgara, di 40 anni, si era suicidato. "Penso che sia assolutamente un mio dovere - ha dichiarato la senatrice - venire a parlare e a fare presenza in queste situazioni. Situazioni che io non approvo e che considero assolutamente incivili, in quanto certi problemi vanno risolti all’origine, non incarcerando persone che fuggono da situazioni di fame e disperazione in mancanza di qualsiasi futuro". La Giuliani ha spiegato che molti degli ospiti del Cpt di Lamezia "non hanno mai commesso nessun reato. Sono persone - ha spiegato - che sono venute, magari senza documenti, in questo Paese e che chiedono solamente o di potere lavorare o di potere essere riconosciute o di potersi trovare a casa loro". La Giuliani ha denunciato che all’interno del Cpt di Lamezia ci "sono persone ammalate che avrebbero bisogno di cure. Ma chiedono soprattutto un riconoscimento dei loro diritti di cittadini liberi". Contemporaneamente un gruppo di militanti appartenenti alla "Rete antirazzista di Calabria e Campania" ha bloccato la statale 106 ionica nei pressi dell’ingresso del Cpt di Sant’Anna di Crotone. I manifestanti hanno costretto le auto ad incolonnarsi, per consegnare agli occupanti dei volantini con la spiegazione dei motivi della protesta. Il tutto, hanno detto gli attivisti delle reti antirazziste, in "un clima assolutamente pacifico, civile e democratico". La situazione è tornata alla normalità solo nel tardo pomeriggio. "Stiamo parlando con i ragazzi detenuti - ha detto Caruso - che scappano dalle guerre che noi portiamo nelle loro case. Poi arrivano qui e si trovano rinchiusi senza sapere neppure perché. Questi buchi neri della democrazia vanno chiusi", ha aggiunto il parlamentare, spiegando che l’iniziativa deve servire a sollecitare il Governo "perché affronti senza ambiguità questo problema, cominciando dall’abrogazione della legge Bossi-Fini". Caruso ha inoltre annunciato che la sua permanenza all’interno del Cpt di Crotone si prolungherà ancora. "L’idea è quella di fare in modo che questa protesta ad oltranza - ha spiegato l’esponente del Prc - porti il Governo a dare un segnale chiaro". Il centro di Crotone, il più grande d’Europa e che ospita anche un centro di prima accoglienza dove arrivano gli immigrati appena sbarcati per l’identificazione, è stata scelto da Caruso per la protesta perché, ha detto, "è il luogo simbolo delle deportazioni e delle carcerazioni amministrative". "Stiamo parlando con gli immigrati che sono rinchiusi qui - ha proseguito Caruso - ed emergono dei casi assurdi. C’è una donna incinta all’ottavo mese che, contrariamente a quanto prevede la legge, è in questo posto da più di 60 giorni". Sprezzante la reazione della Lega che della lotta all’immigrazione fa una bandiera: "Quei due restino pure nel Cpt dal momento che probabilmente quello è l’ambiente in cui si trovano più a proprio agio. Speriamo che ci restino". "Il gesto di Caruso dimostra ancora una volta che governo e maggioranza sono ostaggio di una sinistra estrema che invece di affrontare con serietà i problemi, non esita a fare demagogia anche sulla tragedia dell’immigrazione clandestina", ha detto il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa. "Ci auguriamo - ha concluso - che il governo sappia rispondere con fermezza e senza ambiguità a queste provocazioni". Libri: "Lager italiani", l’inferno dei Cpt secondo Marco Rovelli
Peace Reporter, 10 dicembre 2006
"Ecco qui un fascio di racconti e di nomi che non si fanno cancellare. Si imprimono nella fragile superficie delle pagine e da lì sprofondano in chi ha cuore di leggerle". Un libro come un’ascia. Nella prefazione al volume "Lager italiani" di Marco Rovelli, Erri De Luca suggerisce che occorre avere cuore per leggere le storie che l’autore racconta. È vero. Ma non solo. Se, prendendo ancora a prestito parole altrui, Kafka ci dice che "un libro deve essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi", per leggere le ventitré testimonianze di migranti reclusi nei Cpt italiani, occorre avere polmoni. Perché gli uomini e le donne cui Rovelli dà voce raccontano storie che tolgono il fiato. La storia di Montassar, marocchino, picchiato a sangue per giorni nel Cpt (poi chiuso) gestito da don Cesare Lodeserto a Lecce. La storia di Samir, tunisino, che appena uscito di prigione viene "accompagnato" da due poliziotti nel centro di via Corelli a Milano per farsi altri due mesi di detenzione. La storia di Abdelali, marocchino, prelevato a Genova gravemente ammalato e spedito al Cpt di Brindisi, dal quale esce poche settimane prima di morire. Lager a pieno titolo. È solo leggendo queste storie che si può capire la scelta di un titolo brutale, che proietta la memoria direttamente all’universo concentrazionario nazista. Associare il centro di permanenza temporanea al lager espone enormemente al rischio di essere accusati di illegittimità, di usurpazione, di sensazionalismo. Ma quando è proprio un ebreo come Moni Ovadia a ricacciare in gola il disagio che tale titolo aveva inizialmente provocato in lui, affermando nella postfazione che "il titolo è pienamente legittimo e corrisponde con coerenza a un’opera che ha un intrinseco valore narrativo e una rilevanza morale indiscutibile", allora solo il pregiudizio, l’indifferenza o l’ipocrisia possono condizionarne la lettura. "Lager italiani" parla di un’Italia a malapena conosciuta, distante e nemica di quello Stato civile e democratico in cui crediamo di vivere. È l’Italia che rinchiude i migranti irregolari in ex caserme militari o in capannoni industriali dismessi, privandoli di ogni diritto, sottoponendoli a umiliazioni e pestaggi, togliendo loro ogni dignità di esseri umani. Una moderna Storia della colonna infame. I ventitré diversi destini che la lente di Rovelli fa emergere in tutta la loro drammaticità sono raccontati - citando il titolo della prima parte del volume - "all’altezza degli occhi". E non tanto per un tentativo di riconsegnare agli immigrati detenuti la dignità usurpata da quelle guardie carcerarie che pretesero di far loro abbassare gli occhi mentre gli parlavano, quanto per la prospettiva narrativa che l’autore adotta nel ritrarre uno spaccato di desolazione e ingiustizia. L’interesse tutto umano per il misero stato in cui versano, loro malgrado, questi individui, consente al narratore di prestare loro la sua voce e al contempo di prendere la loro in prestito. Ogni storia si intesse con l’altra a comporre un unico dramma umano, una moderna Storia della colonna infame - per citare ancora De Luca - popolata di persone innocenti che finiscono dentro un recinto senza aver commesso alcun reato. Il buco nero del diritto. Il libro è accompagnato da una sezione che traccia un quadro della cornice giuridica entro la quale si situano i Cpt, ne racconta la genesi e ne descrive le condizioni. In ultimo, vi è un’appendice in cui Rovelli, insegnante di Storia e Filosofia nei licei, oltre che cantante dei Les Anarchistes, fornisce una dettagliata riflessione storico-filosofica che parte dai lavori del filosofo Giorgio Agamben per spiegare i concetti di campo e biopolitica. Il campo è il luogo dove il diritto viene sospeso, e dove gli individui perdono la loro identità diventando non-persone. La biopolitica è la presa in carico della vita del corpo dell’uomo e delle popolazioni da parte del potere. In questo i Cpt sono un buco nero nel nostro Stato di diritto. "I Cpt - spiega l’autore - sono l’emergenza di una logica che sorregge la biopolitica. Questa logica è il proporre una crisi perpetua, un allarme sociale che identifica il migrante come criminale, giustificando misure straordinarie nei suoi confronti. Inoltre, essendo la cittadinanza un requisito indispensabile in uno stato-nazione, il Cpt svela anche la finzione dei diritti universali. Poiché se non si è cittadini, nello stato-nazione, non si hanno diritti".
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