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Giustizia: "Famiglia Cristiana" boccia la legge sulla legittima difesa
Ansa, 1 aprile 2006
"Una resa fallimentare dello Stato di fronte all’illegalità che viene contrastata con altrettanta illegalità". Famiglia cristiana boccia la legge sulla legittima difesa voluta dalla Cdl e soprattutto dalla Lega, e sottolinea che "legiferare così è un alibi per non affrontare le vere difese dalla micro e macrocriminalità". "Di certo - afferma il direttore don Antonio Sciortino rispondendo a una lettera indignata di un lettore che teme le conseguenze della nascita del "cittadino armato" - i cittadini hanno diritto alla sicurezza, ma non è per la strada di simili leggi che verrà garantita: questa legge è una risposta sbagliata alla paura vera della gente" ed è "una legge che offende la cultura, la morale e il diritto". Secondo don Sciortino la legge approvata a fine gennaio "è antigiuridica" sia perché "teorizza la difesa preventiva" sia perché mette "sullo stesso piano vita e beni materiali". Inoltre "cambia e snatura il concetto di difesa" che secondo la cultura classica e moderna, non può far conseguire l’uccisione. Il direttore del popolare settimanale dei paolini nega poi che la legge abbia un potere deterrente, visto che i ladri in casa, sapendo di correre un rischio in più diventeranno soltanto "più violenti" e tutto diventerà "più insicuro e ingiusto". "In ogni caso - sottolinea don Sciortino - la nuova legge trasmette un messaggio nefasto: induce ad armarsi e a farsi giustizia da sé; insegna che, dopo tutto, è alla forza delle armi che bisogna ricorrere non solo per difendere la vita, ma anche i beni patrimoniali". Giustizia: Provenzano è morto, la mafia ha creato un fantasma...
La Repubblica, 1 aprile 2006
"Per me è morto. Ed è morto anche da molti anni". Parla l’avvocato dell’imprendibile Bernardo Provenzano. Nel suo studio romano di piazzale Clodio, proprio davanti agli uffici giudiziari di Roma, Salvatore Traina lancia a sorpresa quella che lui stesso definisce "più di una sensazione", racconta che "fatti concreti non ne può rivelare ma solo perché legato al segreto professionale", aggiunge che il capo dei capi della mafia siciliana "per moltissimo tempo ha vissuto probabilmente anche fuori dall’Italia". Difensore di fiducia dell’uomo più ricercato d’Europa dal 1985, l’avvocato Traina in questa intervista per la prima volta mette decisamente in dubbio l’esistenza in vita del boss di Corleone, un uomo in fuga dal 18 settembre 1963.
E allora avvocato, dopo quarantatre anni di latitanza, oggi lei ci dice che non c’è più, che il capo dei capi della Cosa Nostra sarebbe morto... "Ci sono cose che io non posso riferire e quindi è difficile spiegarle, ma ci provo: la mia convinzione è fondata su elementi solidi".
E quando sarebbe morto Bernardo Provenzano? "Da anni, diversi anni".
Mi scusi, ma se soltanto alla fine del 2003 il boss si è fatto ricoverare prima in una clinica nel paese di La Ciotat e poi in un ospedale pubblico a Marsiglia, come è possibile che sia morto da diversi anni? "E chi l’ha detto che quell’uomo fosse davvero Bernardo Provenzano? Gli inquirenti sostengono che hanno adesso anche il suo Dna. Io penso invece che non abbiamo proprio niente. Loro da alcuni frammenti di prostata di un uomo operato in Francia sono risaliti al Dna di qualcuno, qualcuno che dicono sia Bernardo Provenzano. Un procedimento al contrario. Per avere la certezza che quell’uomo fosse il mio cliente avrebbero dovuto avere il suo Dna e poi confrontarlo con quell’altro trovato alla clinica. Il fatto è che il Dna di Provenzano gli inquirenti non ce l’hanno mai avuto".
Lei mi ha appena detto che naturalmente non può violare il segreto professionale, però mi può dire se la famiglia del boss conosce la verità, se la moglie e i due figli sono al corrente della sua morte? "Di quello che sa la famiglia di Bernardo Provenzano non posso dire una sola parola".
Mi aiuti a capire meglio: quando e perché, secondo lei, Provenzano sarebbe morto? "Posso fare un ragionamento, senza entrare nei particolari. Posso portare almeno tre elementi concreti a sostegno di quello che sto dicendo".
Cominciamo dal primo, avvocato Traina… "Lo cercano ormai dappertutto, lo cercano da anni intensamente ma non lo trovano. Questo vorrà pur dire qualcosa, no? Ci sono i migliori investigatori italiani che gli danno la caccia con tutti i più sofisticati congegni e non riescono a prenderlo mai. È credibile? È possibile?"
Passiamo al secondo elemento... "Voglio raccontare una vicenda che è accaduta pochi mesi fa. Lo sa chi c’era fino all’anno scorso ai primi due posti di quella lista del ministero degli Interni sui 30 latitanti più pericolosi? Al primo posto Bernardo Provenzano, al secondo Andrea Ghira. Un gruppo di bravi giornalisti del Tg3, quelli della redazione di Chi l’ha visto, hanno scoperto che le autorità italiane già sapevano da tempo che Ghira era morto. Eppure stava sempre in quella lista".
Vuole dire che è così anche per Provenzano? C’è qualcuno che sa, tra magistrati o poliziotti o carabinieri, che il boss di Corleone non è più tra noi? "Questo bisognerebbe chiederlo a loro".
Avvocato Traina, va bene che non può parlare per via del segreto, ma qualcosa in più ce la dica… "E arrivo al terzo elemento concreto. Io sono il suo avvocato da sempre, ho tutte le vecchie cause del mio cliente. Ma da anni e anni ogni volta che notificano qualcosa a Provenzano e in ogni processo dove è imputato, accanto al suo nome compare sempre quello del difensore di ufficio di turno. Non c’è un solo mafioso o un solo capo di Cosa Nostra che è assistito dal difensore di ufficio di turno. Vorrà pur dire qualcosa anche questo".
Ma avvocato, ci sono pentiti che hanno rivelato come si muove il boss per le campagne, cosa mangia, hanno sequestrato decine di quei famigerati "pizzini", i bigliettini attraverso i quali lui comunica con i suoi compari. Fa tante cose per essere un morto... "Tutto quello che sappiamo di Bernardo Provenzano proviene solo e soltanto da voci dall’interno dell’organizzazione criminale. Solo da lì. E da lì evidentemente hanno tutto l’interesse a fare inseguire un fantasma e coprire i veri capi, lasciarli indisturbati. Nessuno l’ha mai descritto, nessuno che abbia raccontato veramente quale è il suo aspetto".
Torniamo alla morte di Provenzano. Da quanto, lei si è - diciamo - convinto che è morto? "Da qualche anno". Ed è sepolto in Sicilia? "Questo non lo so, però io credo che lui negli ultimi tempi non sia mai stato in Sicilia e neanche in Italia".
E dove? "Chi lo sa. Certo è che per un mafioso e soprattutto per un capo mafia non è possibile governare il proprio territorio e i propri affari stando lontani. È in contrasto proprio con certe regole. Io credo che abbiano scaricato tutto sulle sue spalle per proteggere ben altri personaggi di quell’organizzazione potentissima che è la mafia siciliana. È un’organizzazione spietata e terribile che non è a dimensione di Bernardo Provenzano. Lui ha sempre avuto una dimensione ben più modesta".
Mi hanno detto che stasera lei sarà alla presentazione a Roma del film di Marco Amenta, "Il fantasma di Corleone". L’ha già visto? "Sì, l’ho già visto".
E com’è il film sul suo cliente eccellente? "È fatto da un giovane di grande talento ma che vive fuori dalla nostra realtà, fuori dalla Sicilia". Giustizia: Pannella; Enzo Tortora merita una strada di Genova
Ansa, 1 aprile 2006
Con il sostegno di Marco Pannella, riprende la battaglia per intitolare una strada ad Enzo Tortora nella sua città natale, Genova. È stato lo stesso Pannella, oggi in visita a Genova, ad annunciare l’impegno dei compagni socialisti dello Sdi in consiglio ed in giunta comunale "a riprendere la battaglia per intitolare finalmente una piazza o una strada ad Enzo Tortora, cosa non ancora avvenuta per vari motivi, contrariamente a quanto accaduto in altre città come Milano o Roma". La questione è da tempo aperta. Inizialmente, alla richiesta di intitolare una via ad Enzo Tortora fu risposto che in base ai regolamenti comunali devono trascorrere dieci anni dalla morte. Un proposta successiva, di intitolare al presentatore la strada dove nacque e visse, si arenò per le difficoltà burocratiche sollevate dai residenti che avrebbero dovuto cambiare indirizzo. Per motivi toponomastici fu anche respinta la proposta di intitolare a Tortora il piazzale antistante il carcere di Marassi, scelto come simbolo per l’ingiusta detenzione. Perugia: carabiniere ferito nella notte a un controllo, è gravissimo
La Repubblica, 1 aprile 2006
Un carabiniere del comando di Perugia è rimasto gravemente ferito alla testa durante un’operazione di controllo. Era riuscito a fermare alcuni individui sospetti sui quali stava indagando. Le sue condizioni sono gravissime. Il vicebrigadiere, Giampaolo Sottosanti, 32 anni, sposato e padre di una bimba di due, è stato sottoposto a un intervento chirurgico all’ospedale Santa Maria di Perugia, dove è stato ricoverato nel reparto di rianimazione. È stato lo stesso Sottosanti a dare l’allarme, attorno alle 3 della scorsa notte, comunicando alla centrale operativa, di trovarsi in prossimità del cimitero di Ponte S. Giovanni - Perugia e di aver quindi bisogno di supporto. Due autoradio sono subito arrivate sul posto. I colleghi intervenuti hanno trovato il sottufficiale a bordo della vettura da lui utilizzata, con la pistola in pugno, ferito alla testa. Il militare è stato trasportato all’ospedale. Le indagini - informa una nota dell’Arma - sono orientate in ogni ambiente criminale cittadino e non. Milano: la vita di Sonya Caleffi nel carcere di San Vittore
Ansa, 1 aprile 2006
Lavora come telefonista nel carcere di San Vittore Sonya Caleffi, l’infermiera di 35 anni accusata di aver ucciso 12 pazienti all’ospedale Manzoni di Lecco. In un’intervista al settimanale "Grazia" la donna racconta la sua esperienza. "Non sono - spiega l’infermiera - un’assassina, a differenza di come sono stata descritta sui giornali quando è esploso il caso. Quella non sono io. La vera Sonya non è capace di fare del male a nessuno". Le giornate in carcere le trascorre così: "mi sveglio, faccio colazione, riordino la cella, leggo, ascolto musica. Nell’ora d’aria resto dentro. La mia giornata comincia quando vado al lavoro". Da qualche mese, infatti, risponde al call center della Telecom (progetto pilota all’interno del carcere) e racconta: "mi sento utile, una persona come tante altre, normale. È come se fossi fuori di qui, perché chi mi chiama non sa che siamo detenute a San Vittore, non sa chi sono io. Spesso ci scappano anche due chiacchiere. Ma, finito il mio turno, torno in cella. qui che arriva il peggio, perché mentre aspetto l’ora della terapia, non riesco a fare altro che pensare, pensare. Vedo me stessa, vedo dove mi trovo. Mi prende la paura di restare rinchiusa e piango". L’ormai ex fidanzato di Sonya, il medico con cui viveva, è scomparso subito dopo l’arresto. "Mi ha lasciata - dice Sonya Caleffi - senza una parola. Non un biglietto, una lettera, niente". Ma oggi, scrive il settimanale, la ragazza non è più sola e oltre ai genitori, che le stanno sempre vicino, ha anche un nuovo amore. "Lo conoscevo già da prima - racconta Sonya - mi viene sempre a trovare, si alterna con i miei. Anche lui è di Como come me. Gli ho scritto da San Vittore, ci siamo detti molte cose per lettera e non abbiamo più smesso. Adesso lo facciamo guardandoci negli occhi. Il futuro i progetti insieme. A volte facciamo finta di niente, come se non fossi qui". Milano: sì al trasferimento di San Vittore, altri usi per l’edificio
Il Giornale, 1 aprile 2006
"Il progetto di spostamento del carcere di San Vittore è antico, e collegato a un altro progetto che sto portando avanti insieme al presidente della Regione e al sindaco di Milano". Lo ha detto Gaetano Pecorella, presidente della Commissione giustizia della Camera ed esponente azzurro, che ha preso parte all’iniziativa elettorale di Fi organizzata ieri ai giardini di via Palestro. "L’ipotesi è costruire una cittadella della giustizia che dovrebbe essere collocata in un’area molto ampia, non nel centro di Milano, per contenere il tribunale e tutti gli uffici giudiziari, degli avvocati, dei notai e dei Pm", ha spiegato. "In quella sede il carcere verrebbe utilizzato in funzione dei processi, con l’obiettivo di evitare i ritardi che oggi si verificano ogni giorno a causa della distanza tra tribunale, San Vittore, carceri fuori città". Secondo il presidente della Commissione giustizia, lo spostamento di San Vittore comporterebbe due conseguenze: "In primo luogo la chiusura di San Vittore come carcere e un suo utilizzo per altre finalità, in secondo luogo il tribunale sarebbe utilizzabile per scopi diversi, ad esempio come sede di convegni o musei". Fermo (AP): in 4 sotto processo per l’evasione di Ferragosto
Corriere Adriatico, 1 aprile 2006
Compariranno oggi in quattro davanti al Giudice per le udienze preliminari, Carla Moriconi, per l’evasione consumatasi il 15 agosto del 2003 nel carcere di Fermo. Si tratta dei due carcerati evasi, Skerdilajd Pashay e Rudzi Beceri, e dei due agenti della polizia penitenziaria, N.D. e L.B., accusati come previsto dall’articolo 386 del codice penale, di colpa del custode per la fuga dei due detenuti. Non è escluso che i due agenti, difesi dall’avvocato Francesco De Minicis, possano già oggi chiedere di patteggiare la pena, in quanto responsabili solo di colpa oggettiva e non volontaria. I due extracomunitari erano evasi dal carcere ed avevano fatto perdere le loro tracce in pochi istanti, dopo essere usciti nel cortile riservato ai detenuti, intorno alle 13, per la classica ora d’aria. Poi, senza che nessuno si accorgesse di nulla, avevano scavalcato il muro di cinta in un settore mal coperto dalla video sorveglianza e non munito di sentinella a causa dell’interruzione momentanea del camminamento. Dalla prima ricostruzione, emerse in seguito che i due detenuti avevano dapprima scavalcato il muretto interno del cortile, poi erano saliti sul tetto e da lì avevano superato il muro di cinta del carcere alto più di cinque metri. Solo alle quindici, al momento dell’appello dei detenuti, gli agenti della polizia penitenziaria si erano accorti dell’assenza di Pashay e Beciri. C’erano voluti mesi e mesi di ricerche da parte della Procura di Fermo e il coinvolgimento di una task force composta da carabinieri, polizia, Interpol e polizia spagnola, ma alla fine i due evasi erano caduti nella rete delle forze dell’ordine. La lunghissima caccia all’uomo si era conclusa in un venerdì pomeriggio di settembre a Barcellona dove era stato catturato Pashay, accusato anche di omicidio. Precedentemente era stato bloccato Beciri. Pashay, albanese di 23 anni, era nel mirino degli inquirenti da più di un mese, ma è stato localizzato solo negli ultimi giorni, dopodiché, l’altro ieri, è scattato il blitz e l’arresto del pericoloso evaso. In precedenza era stato catturato anche Beciri, compagno di evasione di Pashay. Il giovane kossovaro, dopo lunghe ricerche condotte in varie parti d’Italia e grazie all’ottimo lavoro delle forze dell’ordine, è stato identificato e poi arrestato a luglio in Puglia. La procura della Repubblica presso il tribunale di Fermo, che coordinava le indagini, d’accordo con le forze dell’ordine, ha deciso di tenere la notizia nascosta, per evitare che potessero essere compromesse le ricerche dell’altro evaso. Una scelta che alla fine si è rivelata vincente, visto che circa due mesi più tardi gli investigatori sono, prima arrivati sulle tracce di Pashay e poi lo hanno catturato con un blitz da manuale. Fermo (AP): Anna Finocchiaro visita carcere con candidati diessini
Corriere Adriatico, 1 aprile 2006
Nel pomeriggio di ieri l’onorevole Anna Finocchiaro, componente della direzione nazionale dei Ds e responsabile della Giustizia del partito, accompagnata da Francesco Verducci, candidato de L’Ulivo alla Camera dei Deputati, Claudio Brignocchi, candidato Ds al Senato, e Giuseppe Buondonno, candidato de L’Unione a sindaco di Fermo, ha visitato il carcere di Fermo. Accolti dalla nuova direttrice, dottoressa Eleonora Consoli, l’on. Finocchiaro, Verducci, Brignocchi e Buondonno hanno visitato le strutture della casa circondariale. Al termine della visita Francesco Verducci ha affermato: Abbiamo voluto portare all’attenzione della pubblica opinione la condizione di disagio che, insieme con i detenuti, vivono tutti coloro che lavorano negli istituti penitenziari o che seguono i detenuti nei percorsi di reinserimento. Nel corso dell’incontro abbiamo condiviso la necessità di favorire un rapporto positivo e sicuro fra carcere e società. Dopo la visita, l’on. Anna Finocchiaro, insieme con Verducci, Brignocchi e Buondonno, ha partecipato all’incontro sul tema Per una giustizia equa, rapida, per tutti che si è svolto presso l’auditorium San Martino. Immigrazione: semilibertà per i clandestini, la Caritas plaude
Ansa, 1 aprile 2006
La sentenza della Cassazione sulla concessione delle pene alternative al carcere agli immigrati irregolari "è molto importante. Sblocca finalmente una serie di progetti" d’iniziativa delle organizzazioni umanitarie, finora negati, che hanno come destinatari gli stessi stranieri. Ad apprendere con soddisfazione la sentenza della Cassazione è don Giancarlo Perego, responsabile dell’area nazionale dell’organizzazione che si occupa anche di immigrazione. "Questa sentenza non mi sembra la prima - precisa don Perego - È comunque una sentenza molto importante che apre nuove possibilità per gli immigrati in carcere. Può diventare un modello per la giurisprudenza. Il ricorso a pene alternative per gli immigrati permette di costruire percorsi di recupero significativi. Va ricordato che il 30% dei detenuti è immigrato e che il 60% degli immigrati in carcere non ha alcuna residenza, non hanno riferimenti familiari né risorse. Le organizzazioni di volontariato e le comunità sono quindi le uniche realtà alternative a cui possono far riferimento". "Finora - prosegue - tutti i progetti presentati in tal senso agli istituti di detenzione sono stati negati. La sentenza sblocca questa situazione. Il ricorso ai servizi sociali è una buona prassi, davvero importante per gli immigrati che fra i detenuti sono i meno tutelati in assoluto". Droghe: 27% dei 15enni ha sperimentato sostanze; il 2% pesanti
Redattore Sociale, 1 aprile 2006
Indagine sugli stili di vita degli adolescenti italiani: intervistati oltre 4.300 ragazzi e ragazze tra gli 11 ed i 15 anni. Il 2% ha provato droghe pesanti, il 2,6% la cocaina. Salute, alimentazione, stili di vita: indaga in questi ambiti l’indagine "I determinanti sociali che influenzano le abitudini alimentari e l’attività fisica degli adolescenti" presentata oggi a Firenze, nel corso della giornata italiana del primo Forum internazionale Oms/Hbsc (Health behaviour in school-aged children) che proseguirà anche il 10 e l’11 marzo. Sono stati intervistati 4386 ragazzi e ragazze italiane di 11, 13 e 15 anni, che hanno compilato un questionario con domande sul contesto familiare (status sociale ed economico, qualità delle relazioni in famiglia) e scolastico (relazioni con gli insegnanti, con gli amici, fenomeni di bullismo), stili di vita (abitudini alimentari, movimento e tempo libero), comportamenti a rischio (fumo, alcol, consumo di sostanze, salute sessuale), e lo stato di salute (percezione della propria salute, autostima, valutazione della propria immagine corporea). Ne è emerso che mentre sono pochissimi gli undicenni e i tredicenni che fumano, i quindicenni sono il 16% del totale, una percentuale molto simile a quella degli adulti. Ci sono più giovani maschi fumatori al sud e più femmine fumatrici nel centro Italia, mentre al nord le due parti si equivalgono. A 11 anni già il 12% dei ragazzi beve alcolici almeno una volta alla settimana, e a 15 anni il 37%: si tratta delle percentuali più alte d’Europa. I maschi, in ogni età e in ogni area geografica, bevono alcolici più frequentemente delle coetanee. Un quinto degli adolescenti quindicenni dichiara di aver avuto rapporti sessuali completi. Al sud i maschi sfiorano il 40%. Sempre a 15 anni il 27% ha già sperimentato almeno una volta sostanze stupefacenti, il 2% in totale ha provato droghe pesanti, il 2,6% la cocaina. Il rapporto con i genitori diventa sempre più difficile con il crescere dell’età ed è problematica soprattutto la relazione con il padre. Nello stesso modo peggiora con il passar del tempo il rapporto con la scuola: i quindicenni a cui la scuola piace molto o abbastanza sono a mala pena il 50% e il "molto" raggiunge solo il 9%. A 15 anni diventa problematico anche il rapporto con gli insegnanti, che, secondo la "campana" dei ragazzi, trattano gli allievi con giustizia solo nel 48% dei casi. L’indagine segnala l’espandersi del fenomeno bullismo: il 35% degli undicenni denunciano di esserne stati vittime di recente (contro meno del 20% dei quindicenni). Diminuisce con l’età la percentuale dei giovanissimi che considerano "eccellente" la loro salute, 37% a 11 anni, 24% a 15 anni. Le ragazze di quindici anni sono insoddisfatte del proprio corpo (37%) più dei maschi (19%). C’è da dire che a 11 anni il 25,6% dei maschi e il 13,5% delle femmine sono sovrappeso, e il 5,5% dei maschi e l’1,5% delle femmine sono obesi. Questi numeri tendono a diminuire con l’età. I nostri adolescenti sono infine più "pigri" della media europea sia per numero medio di giorni in cui praticano almeno 60 minuti di attività fisica, sia per numero di ragazzi che affermano di praticare almeno 5 giorni la settimana almeno 60 minuti di attività fisica. Il livello di agiatezza della famiglia influisce nettamente sia sulla percezione della propria salute sia sui livelli di autostima dei giovanissimi. Giappone: confermata la condanna a morte per uomo di 71 anni
Agenzia Radicale, 1 aprile 2006
La Corte Suprema giapponese ha respinto l’appello del 71enne Kazutoshi Takahashi, condannato a morte per un duplice omicidio avvenuto a Yokohama. Takahashi era stato condannato per aver colpito e ucciso, il 20 giugno 1998, Jingen Yun, 65 anni, e la sua convivente Hatsuko Kobayashi, 60 anni, rubando 12 milioni di yen. La corte ha respinto l’appello dell’imputato, che ha ammesso il furto negando però di aver ucciso la coppia, da cui aveva preso in prestito i soldi. L’uomo ha detto di aver trovato i due già morti quando è arrivato sul luogo del delitto. La difesa ha sostenuto che Takahashi è stato costretto a confessare dagli investigatori. La corte distrettuale di Yokohama aveva condannato Takahashi nel settembre del 1995 determinando la sua colpevolezza solo su prove indiziarie. L’alta corte di Tokyo aveva confermato la condanna ad ottobre 2002. La pena di morte in Giappone è prevista per 13 reati ma, in pratica, viene applicata solo per l’omicidio. Il Governo mantiene il massimo riserbo sulle esecuzioni. I detenuti possono rimanere nel braccio della morte per decenni e di solito non sono informati sulla data della loro esecuzione fino al giorno dell’impiccagione. Poiché vengono avvertiti solo un’ora prima, non possono incontrare i parenti o presentare un appello finale. Familiari e avvocati sono generalmente informati dopo l’esecuzione, alla quale non possono assistere nemmeno gli avvocati. I detenuti sono rinchiusi in strette celle isolate e monitorati da telecamere 24 ore al giorno. Non è permesso che parlino tra di loro. Un recente sondaggio condotto su 79 condannati a morte ha mostrato che il 30% di loro non riceve visite. A dicembre 2005 erano 78 i detenuti condannati in via definitiva e in attesa di esecuzione. Usa: lascia morire di fame il cane, condannato a 1 anno di carcere
Ansa, 1 aprile 2006
Aveva lasciato morire di fame il suo cane, quando aveva portato sua figlia a Disney World in Florida: Jason Griffin, di Riverhead, nei pressi di New York, sconterà un anno di carcere per crudeltà verso gli animali. L’uomo ha ammesso di avere lasciato l’animale solo e senza né cibo né acqua in uno sgabuzzino in cantina, al momento di partire in vacanza con la figlia di sette anni. Fu il padrone di casa a scoprire, oltre una settimana dopo, il cane, ormai senza vita. Il caso ha suscitato proteste di animalisti in tutti gli Stati Uniti e in Canada: centinaia le lettere giunte al giudice, chiedendo il massimo della pena, che è stato comminato.
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