Rassegna stampa 17 agosto

 

Indulto: usciti in 16 mila, ma il reinserimento spesso è difficile

 

Ansa, 17 agosto 2006

 

Sono 15.849 (ma con altri 624 in uscita presto diventeranno 16.473) gli ex detenuti che sino a Ferragosto hanno beneficiato dell’indulto: circa 10.500 sono italiani e 5.000 stranieri. L’ultima rilevazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) dimostra come l’atto di clemenza, in vigore dal 29 luglio scorso, abbia fatto uscire dalle sovraffollate carceri italiane un numero maggiore di detenuti rispetto a quelli inizialmente stimati in 15 mila. Il bilancio complessivo degli ex detenuti usciti per effetto dell’indulto si avrà agli inizi di settembre, ma è prevedibile che il numero si aggirerà sui 17 mila.

Le previsioni sono state sforate perché, sulla base dalla scelta discrezionale dei magistrati, l’indulto è stato applicato anche a situazioni "miste", vale a dire a favore di persone che avevano una condanna definitiva e allo stesso tempo una misura cautelare provvisoria.

Al momento al Dap non è stato rilevato il numero delle persone che dopo aver beneficiato dell’indulto sono tornate a delinquere e quindi sono tornate in carcere.

A tenere il conto sono stati, in questo periodo, i senatori della Lega Nord, secondo i quali, fino all’11 agosto, a rientrare in carcere sono stati in 92.

Il pericolo ritenuto piu’ immediato - vista anche la coincidenza con lo stato di allerta attivato dopo la scoperta del piano attentati a Londra - è la possibilità che grazie all’indulto alcuni sospetti terroristi o fiancheggiatori filo-islamici ritornassero liberi perché condannati per reati di minore gravità come, ad esempio, la falsificazione di documenti. Dal 29 luglio il ministero della Giustizia ha inviato a prefetture e questure gli elenchi dei detenuti extracomunitari per la valutazione dei provvedimenti amministrativi di loro competenza. Tra questi - ha riferito il ministro dell’Interno Giuliano Amato nella conferenza stampa di lunedì scorso - sono sei gli immigrati ‘ritenuti pericolosi perché collegati a cellule del terrorismo internazionale espulsi dal Viminale dall’inizio di questo mese.

Con l’indulto le sovraffollate carceri italiane torneranno a respirare (all’inizio di giugno i detenuti erano 61.353 contro una ricettività di 45.490 posti) ma - viene fatto notare in ambienti dell’Amministrazione penitenziaria - si tratterà di un respiro di breve durata: con la Bossi-Fini ci sono infatti nuovi e continui ingressi. In un anno, per effetto della legge sull’immigrazione, le carceri si sono riempite di 12.800 detenuti stranieri, di cui - rileva il Dap - 10.800 per la mancata violazione dell’ordine di espulsione. Questi ultimi, dopo 40-60 giorni, tornano in libertà perché il magistrato solitamente ritiene non necessaria l’esigenza della misura cautelare.

Ma a segnalare le difficoltà che i beneficiari dell’indulto spesso incontrano sono spesso gli stessi ex detenuti. "Mi avete messo fuori ma non ho né una casa né un lavoro. Devo mangiare e quindi sono tornato a fare quello che sapevo fare prima, cioè spacciare la droga". Ha spiegato così, un beneficiario dell’indulto che dopo pochi giorni è stato riarrestato in flagranza, i motivi che lo hanno riportato a commettere un reato. La spiegazione l’ha data quando è comparso davanti al giudice monocratico di Bologna, davanti al quale compiano le persone arrestate il giorno prima per i reati "meno gravi".

Ma, in pratica, più o meno tutti i giorni davanti al giudice monocratico di Bologna, alle udienze di convalida compare almeno una persona uscita da pochi giorni dal carcere grazie all’indulto. Inevitabile per loro, quindi, il ritorno in carcere. In quasi tutti i casi chi viene arrestato ha commesso lo stesso reato che lo aveva già portato in carcere prima dell’indulto.

Manca una struttura che sia in grado di dare una mano a chi esce del carcere per evitargli di commettere nuovamente reati, spiega il Procuratore aggiunto di Bologna, Luigi Persico, un magistrato di lungo corso: "Il mero provvedimento dell’indulto senza una organizzazione di soccorso - spiega il magistrato - mette in una condizione difficile chi ne ha beneficiato". Persico ricorda quello che può essere, in piccolo, un esempio per aiutare chi è uscito con l’indulto, ma che ora non c’è più: "A Bologna per almeno 50 anni ha operato una antica e meritoria istituzione, il patronato per i liberati dal carcere. Una istituzione che funzionava. Ma ora non c’è più".

Indulto: usciti in 16 mila, ne rientra uno ogni ventiquattro ore

 

Il Cittadino, 17 agosto 2006

 

Sono 15.849 (ma con altri 624 in uscita presto diventeranno 16.473) gli ex detenuti che sino a Ferragosto hanno beneficiato dell’indulto: circa 10.500 sono italiani e 5.000 stranieri. L’ultima rilevazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) dimostra come l’atto di clemenza, in vigore dal 29 luglio scorso, abbia fatto uscire dalle sovraffollate carceri italiane un numero maggiore di detenuti rispetto a quelli inizialmente stimati in 15 mila.

Il bilancio complessivo si avrà agli inizi di settembre. Le previsioni sono state sforate perché, sulla base dalla scelta discrezionale dei magistrati, l’indulto è stato applicato anche a situazioni "miste", vale a dire a favore di persone che avevano una condanna definitiva e allo stesso tempo una misura cautelare provvisoria. Secondo i senatori della Lega Nord fino all’11 agosto erano già rientrati in carcere 92 persone che erano appena state liberate. In quasi tutti i casi chi viene arrestato ha commesso lo stesso reato che lo aveva già portato in carcere prima dell’indulto.

Il ritmo finora è più o meno di una persona al giorno. Con l’indulto le sovraffollate carceri italiane torneranno a respirare (all’inizio di giugno i detenuti erano 61.353 contro una ricettività di 45.490 posti) ma si tratterà di un respiro di breve durata: con la "Bossi-Fini" ci sono infatti nuovi e continui ingressi. In un anno, per effetto della legge sull’immigrazione, le carceri si sono riempite di 12.800 detenuti stranieri, di cui - rileva il Dap - 10.800 per la mancata violazione dell’ordine di espulsione. Questi ultimi, dopo 40-60 giorni, tornano in libertà perché il magistrato solitamente ritiene non necessaria l’esigenza della misura cautelare.

Indulto: Castelli; alla fine sconti di pena per 300mila condannati

 

Il Giornale, 17 agosto 2006

 

L’ingegnere acustico Roberto Castelli, come lo chiamavano ironicamente i magistrati quando era ministro della Giustizia, oggi attacca: "Non credo che l’opinione pubblica abbia ben compreso i meccanismi dell’indulto".

 

Che cosa la gente non ha capito?

"Non è chiaro che l’indulto è una bomba a orologeria. Il provvedimento di clemenza riguarda gli illeciti compiuti fino al 2 maggio 2006, fino a ieri. Quindi anche moltissimi illeciti non ancora scoperti".

 

Ma che verranno perseguiti nei prossimi anni…

"Questo è il punto. Moltissime pene, da quelle pecuniarie a quelle detentive meno gravi, di fatto non verranno scontate. E questo effetto si allungherà come un elastico nei prossimi sette, otto, dieci anni. Fino alla prescrizione dei processi attualmente pendenti".

 

Insomma, ai quindicimila detenuti già usciti vanno sommati quelli che non entreranno mai in cella? "Esatto. E qui le cifre sono impressionanti".

 

Da dove cominciamo?

"Dai processi penali pendenti che erano, quando ho lasciato il ministero, circa cinque milioni. Togliamo pure un milione di dibattimenti che andranno tranquillamente in prescrizione e immaginiamo che su quattro milioni di procedimenti la metà si chiuda con la condanna di almeno un imputato. Ragionevole?".

 

Arbitrario.

"Ma ragionevole. Anzi, prudente. E lo dico da ex Guardasigilli".

 

Dunque arriveremmo a due milioni di condanne, da qui al 2014?

"Esatto. Togliamo pure i reati coperti dalla condizionale, quelli esclusi dall’indulto e le condanne sopra i sei anni".

 

Perché sopra i sei anni?

"Perché quelle non avranno conseguenze pratiche, almeno nei primi anni, rispetto al nostro ragionamento".

 

Le altre?

"Tutti i pregiudicati con condanne fino a sei anni di fatto non andranno in galera. Perché da sei anni scenderanno automaticamente a tre e a questo punto otterranno l’affidamento in prova ai servizi sociali, evitando il carcere".

 

Sullo scivolo dell’indulto viaggerà un esercito di scippatori, ladri, rapinatori, spacciatori e via elencando?

"Esatto. I calcoli diventano necessariamente incerti".

 

Azzardi.

"Certo non parliamo più di quindicimila o ventimila detenuti. Altro che: qui parliamo di duecento, trecentomila persone che schiveranno la cella da qui al 2013 o 2014, diciamo per sette anni e mezzo calcolando i tempi medi della prescrizione. Più, a voler essere pignoli, tutti quelli che comunque non ci andrebbero perché colpiti da sanzioni lievi, leggere, poco più che simboliche. Comunque anche loro se la caveranno senza danni. Senza un graffio".

 

In totale?

"Prevedo un milione di fortunati. E all’interno di questo insieme il sottoinsieme dei graziati che non andranno in cella. Appunto duecento-trecento mila, forse di più. Se vogliamo essere precisi dobbiamo cancellare la parola indulto".

 

Lei che termine preferisce?

"Sanatoria. O se proprio si è conservatori indulto permanente. A proposito, lo sa che già oggi l’indulto ha cambiato o sta cambiando la vita di moltissime persone".

 

Oltre ai sedicimila detenuti che stanno lasciando le carceri?

"Ci sono almeno quindicimila persone con condanne molto basse, in detenzione domiciliare o in prova ai servizi sociali. Per loro la pena è già estinta. E poi non dobbiamo dimenticare le settantamila condanne definitive non ancora eseguite".

 

Condanne in stand by?

"Sì, se le piace questa espressione. Tutti questi faldoni aspettano in coda il loro turno nei tribunali di sorveglianza. Io quando ero ministro avevo lanciato una battuta paradossale ai magistrati: "Fate piano, senza fretta, perché altrimenti non sappiamo dove mettere i nuovi detenuti". Adesso però quel problema non c’è o è molto ridimensionato. Molti non pagheranno il conto con la giustizia. E pochissimi avranno la sventura di entrare in carcere".

Indulto: muore dopo 15 giorni di libertà, si sospetta overdose

 

Il Gazzettino, 17 agosto 2006

 

Scarcerata grazie all’indulto, è morta due settimane dopo davanti al policlinico San Matteo di Pavia. La polizia sospetta un’overdose da stupefacenti. La vittima è Maria Fassoni, 37 anni, nata a Udine, un’infanzia trascorsa a Forni di Sopra, dove la famiglia ha vissuto fino al 1973. Sulla morte della donna, stroncata da un arresto cardiocircolatorio, sta indagando la Squadra Mobile di Pavia, che l’altro ieri si è rivolta ai colleghi di Udine per rintracciare la famiglia Fassoni, che adesso vive in Emilia Romagna. Il decesso risale a domenica sera. Alcuni passanti l’hanno vista barcollare sul marciapiede di via Negri, poco distante dal pronto soccorso, accasciarsi e perdere conoscenza. Inutili i soccorsi del personale sanitario. Per far chiarezza sulle cause del decesso, la Procura ha disposto l’autopsia, che sarà eseguita questo pomeriggio. Al medico legale, come avviene in questi casi, è stato chiesto anche l’esame tossicologico.

Maria Fassoni aveva passato gli ultimi sei mesi in carcere a San Vittore. Il primo agosto l’indulto le aveva restituito la libertà ed era tornata a vivere a Belgioioso. Sulle circostanze del suo decesso la polizia ha molti dubbi. In borsetta la donna aveva due siringhe e sulle braccia i segni di recenti iniezioni. Questo lascia supporre che avesse ricominciato ad assumere stupefacenti. Si cerca di risalire ai suoi ultimi contatti e alle sue frequentazioni per capire se domenica sera è arrivata vicino al policlinico di Pavia da sola o se l’abbia accompagnata qualcuno che poi si è allontanato senza prestarle soccorso. Le poche testimonianze finora raccolte, escluderebbero quest’ultima ipotesi.

Indulto: Luigi Pagano; ora c’è più spazio, ma per quanto?

 

Panorama, 17 agosto 2006

 

Cosa cambia nel mondo delle carceri con l’indulto? In teoria molto, perché almeno per qualche tempo si risolve il problema principale, il sovraffollamento. In pratica c’è il rischio che resti un palliativo in mancanza di misure adeguate a evitare il ritorno a una situazione di emergenza.

"L’indulto è un’occasione irripetibile, se si collega alle riflessioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla necessità di ridurre i tempi dei processi e di rivedere il sistema delle pene" dice il capo del Provveditorato regionale per la Lombardia dell’amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano.

Come direttore ha guidato il carcere di San Vittore a Milano dal 1989 al 2004, ha gestito il delicato passaggio di Mani pulite, quando dal 1992 al 1996 più di 600 imprenditori, manager e uomini politici andarono ad aggiungersi alle centinaia di detenuti che affollavano le celle di San Vittore. Nato nel 1879 come "carcere modello" destinato ad accogliere 800 detenuti, nel 1992 l’istituto milanese costò al governo italiano una censura della Commissione europea contro la tortura, perché ce n’erano 2.200 e nel 2004 raggiunse la cifra record di 2.400 reclusi.

"Con l’indulto" spiega Pagano nel suo ufficio a quattro passi dal carcere "a San Vittore si è passati da 1.300 a poco più di 1.000 detenuti, forse il numero diminuirà ancora quando sarà verificata la posizione giuridica di quelli che potrebbero ancora usufruirne".

San Vittore è una casa circondariale, che ospita i detenuti in attesa di giudizio e ha una sezione di reclusione dove si scontano le condanne. A Bollate, che come l’altro istituto milanese di Opera è solo casa di reclusione, invece, la popolazione carceraria è stata dimezzata. Ne hanno fatto le spese la squadra di calcio dei detenuti, falcidiata dall’uscita dei "graziati" dalla legge del 27 luglio scorso, e la cooperativa Abc che gestisce la mensa del suo reparto e offre servizi di catering all’esterno per matrimoni, eventi e sfilate. Ha perso due cuochi su cinque, ma uno è stato già sostituito.

Dalle carceri italiane, grazie all’indulto, usciranno 15.470 detenuti; in Lombardia ne beneficeranno 2.173 (1.328 italiani e 845 stranieri). "È facile comprendere che con tali cifre la qualità della vita in carcere, per quanto possibile, potrà solo migliorare". dice Pagano.

"Anzitutto ci sarà più spazio per i detenuti, non ci saranno affollamenti come quelli che negli anni di Mani pulite ci portarono ad ammassare 16 persone in una cella, facendo ricorso a letti a castello e addirittura ai materassi per terra. L’assistenza sanitaria sarà migliore, perché i medici avranno meno pazienti da gestire e anche il lavoro della polizia penitenziaria, che ha lavorato con grande impegno per far uscire al più presto chi aveva diritto, sarà semplificato e quindi più efficiente. Potremo avere più operatori sociali al lavoro da noi in carcere per assistere i detenuti".

Persone come Paola Villani, laureata in legge e servizi sociali, e socia della cooperativa Articolo 3, che prende nome dall’articolo della Costituzione per il quale "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge". Lavora a Bollate, un carcere dove, dice, "grazie all’impegno di Luigi Pagano e della direttrice Lucia Castellano si cerca di attuare al meglio lo spirito della riforma del 1975". I detenuti sono scelti uno per uno, non ci sono esponenti della criminalità organizzata, esiste un forte legame con gli enti locali e con il territorio milanese "che ha dimostrato di essere pronto a dare lavoro alle cooperative del carcere".

"L’indulto serve a decongestionare il sistema ed è utile per tutti: i detenuti, la polizia penitenziaria, noi operatori e il tribunale di sorveglianza che, liberato delle pratiche degli scarcerandi, potrà risolvere più velocemente le questioni in sospeso". Grazie al provvedimento c’è più lavoro per chi è rimasto in carcere e, spiega Paola Villani, "possiamo combattere meglio il fenomeno del carcere-ospedale, dove il detenuto vive la cella passivamente come il paziente di un ospedale, invece di partecipare a un’attività che serva a riavvicinarlo alla società.

Conviene a tutti investire sul carcere, perché mettere una persona "in pausa" significa andare contro lo spirito della legge. Sulla carta il nostro ordinamento penitenziario è eccezionale, ma tutti devono essere coinvolti per creare un sistema di diritto". "Il carcere deve essere usato come extrema ratio contro chi è un pericolo per la società, non come contenitore di disagi" sottolinea Pagano. "Invece nei nostri istituti ci sono malati psichici, tossicodipendenti e persone che dovrebbero essere altrove. C’è enorme spreco di risorse, una dispersione in mille rivoli che impedisce di realizzare i nostri compiti d’istituto".

Nello studio di Pagano campeggia una foto di Francesco Di Maggio, magistrato protagonista delle inchieste che negli anni Ottanta distrussero la mala milanese, morto a 49 anni quando avrebbe dovuto dirigere il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Per lui il problema non era "l’eccesso di detenuti, ma la scarsità delle carceri".

Pagano oggi non è d’accordo con il suo vecchio amico: "Negli ultimi vent’anni in Lombardia sono sorte molte nuove carceri. Il problema, e su questo sono schierato con il presidente Napolitano, è che bisogna rivedere il sistema delle pene. Il ricorso alle misure alternative al carcere è fondamentale per evitare di annullare gli effetti positivi di questo indulto".

E chiude ricordando che "anche l’articolo 27 della Costituzione, quando parla di pena, non cita il carcere. Ci sono mille modi per espiare una condanna e favorire il reinserimento nella società. Il carcere sta diventando una comunità di assistenza, mentre deve servire a prevenire la pericolosità. Non può essere considerato una spugna per risolvere tutti i problemi".

 

Via obbligata per i clandestini

 

"È un paradosso, ma un immigrato clandestino ha più servizi quando è in cella" spiega il provveditore alle carceri lombarde Luigi Pagano. "Ha diritto a un codice fiscale per lavorare, anche all’esterno perché la detenzione vale come permesso di soggiorno temporaneo, ha cibo, alloggio e assistenza sanitaria, anche quella del dentista".

Ma la legge è legge, e quindi con l’indulto centinaia di clandestini sono stati scarcerati. La loro destinazione naturale è il centro di accoglienza temporanea, ma per esempio quello di via Corelli a Milano è in perenne situazione di sovraffollamento. L’alternativa è imbarcarli su un aereo e riportarli al loro paese o a spese dello Stato o, per chi ne ha la possibilità, con un biglietto pagato di tasca propria.

L’ultima risorsa è il foglio di via, un documento che ordina al clandestino di abbandonare l’Italia entro cinque giorni. Misura che difficilmente sarà rispettata, come sanno benissimo tutti: dal clandestino che riceve il foglio di via all’agente che glielo consegna. Tornerà a vivere di espedienti e prima o poi sarà beccato dalla polizia che lo riporterà in carcere.

Indulto: Imperia; una conferenza permanente in Prefettura

 

Ansa, 17 agosto 2006

 

Il consolidamento di una rete di collegamenti tra le istituzioni interessate per favorire in modo sinergico il reinserimento degli ex detenuti, dopo la loro scarcerazione in base alla legge sull’indulto, è stato il principale argomento trattato stamani in Prefettura a Imperia, in una Conferenza Permanente alla quale hanno partecipato i rappresentanti di enti, istituzioni e associazioni presenti sul territorio. All’incontro hanno preso parte anche i direttori delle due case circondariali di Imperia e Sanremo e il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria.

Nella riunione sono state illustrate le iniziative promosse da Ministero di Grazia e Giustizia mediante lo stanziamento di fondi della Cassa delle Ammende (34.000 euro per la provincia di Imperia) destinati a finanziare progetti predisposti dalle amministrazioni comunali d’intesa con l’Asl e le associazioni di volontariato. È stato preso atto dei finanziamenti messi a disposizione dalla Regione Liguria, che per la provincia di Imperia ammontano a 31.000 euro, di cui 11.000 per il Comune capoluogo e 22.000 per Sanremo.

Cassazione: indulto non si applica a cumulo con pene ostative

 

Agi, 17 agosto 2006

 

Allerta dalla Corte di Cassazione: il beneficio dell’indulto va applicato soltanto alle condanne aventi i requisiti e non anche al cumulo giuridico di più pene quando tra queste ve ne sono di ostative. La Suprema Corte, con una sentenza (n. 28621) depositata oggi, rileva che la regola prevista all’articolo 174, secondo comma, del codice penale, secondo cui "nel concorso di più reati l’indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene, secondo le norme concernenti il concorso di reati", opera solo alla condizione che "tutte le pene siano condonabili, giacché nessuna causa di estinzione della pena può incidere su un cumulo che comprenda pene sulla quali la stessa causa non può esplicare i suoi effetti".

La prima sezione penale della Suprema Corte ha così rigettato il ricorso di un condannato contro un’ordinanza della Corte d’assise d’appello di Bologna, che, quale giudice dell’esecuzione, aveva respinto l’incidente di esecuzione promosso dall’uomo contro un provvedimento del procuratore generale di Bologna, il quale aveva determinato il cumulo giuridico in base all’articolo 78 del codice penale, previo scorporo delle pene coperte da condono.

Per gli alti giudici, è inoltre irrilevante il fatto che "l’applicazione di tale principio renda di fatto inoperante il riconoscimento dell’indulto, in quanto la pratica inoperatività dell’effetto estintivo dell’indulto deriva dal fatto che la pena, pur ridotta per la corretta applicazione del beneficio indulgenziale, entrando nel cumulo, porta la pena complessivamente determinata con calcolo aritmetico a livelli superiori a quelli previsti dal cumulo giuridico e lascia invariato il limite massimo, anche se il beneficio potrebbe operare giuridicamente ad altri eventuali fini".

Cassazione: detenuto troppo grasso? Non può stare in cella

 

Adnkronos, 17 agosto 2006

 

Il detenuto troppo grasso è a rischio "patologie" e "complicazioni" che non possono essere ignorate e che suggeriscono la necessità di una pena alternativa al carcere. Lo sottolinea la Corte di Cassazione in una sentenza con la quale ha accolto il ricorso di un detenuto di 39 anni di 210 chili di peso al quale il Tribunale di sorveglianza di Catania aveva negato la detenzione domiciliare, sostenendo che le patologie accusate non erano "incompatibili con il regime carcerario". Non l’ha pensata così la Prima sezione penale della Suprema Corte, che ha accolto il ricorso del detenuto, rinviando il caso al Tribunale di sorveglianza di Catania.

A Giovanni P., il Tribunale di sorveglianza catanese, nel giugno 2005, aveva negato la richiesta di una pena alternativa a quella carceraria nonostante fosse stata esibita una relazione sanitaria con le patologie causate dall’eccessivo peso. Contro il no del Tribunale, la difesa del detenuto ha insistito con successo in Cassazione. La Suprema Corte, infatti, giudicando fondato il ricorso ha sottolineato che il tribunale in maniera "non congrua" non ha considerato la relazione sanitaria che spiegava come il detenuto "dato il suo peso corporeo (kg 210), le sue patologie e le sue complicazioni, rientra nella categoria dei soggetti ad alto rischio d’accidenti cerebro vascolari e che pertanto sarebbe auspicabile che lo stesso potesse godere di strumenti alternativi di pena rispetto alla detenzione". Del resto, annotano ancora gli ‘ermellini’ nella sentenza 25114, il Tribunale non ha nemmeno preso in considerazione "la perizia medico legale che si era pronunciata per l’incompatibilità delle condizioni di salute" del detenuto "con il regime di vita carcerario".

Cassazione: si può concedere permesso premio a ergastolano

 

Agi, 17 agosto 2006

 

Anche un ergastolano può beneficiare di un permesso premio. A stabilirlo è la Cassazione, che ha accolto il ricorso di un detenuto contro un’ordinanza del tribunale di sorveglianza di Caltanissetta, con cui era stata dichiarata inammissibile la domanda di concessione di un permesso premio, osservando che "le pene in esecuzione si riferivano a reati ostativi ai sensi del primo comma dell’articolo 4-bis Ordinamento Penitenziario, e che, comunque, la pericolosità sociale del condannato e il pericolo di fuga connesso con l’entità della pena (ergastolo) non consentivano la concessione del beneficio premiale".

Per la prima sezione penale della Suprema Corte, il tribunale aveva considerato ancora socialmente pericoloso il condannato, "facendo riferimento esclusivo ai reati commessi e ravvisando il pericolo di fuga, agganciandolo semplicemente all’entità della pena in corso di esecuzione, mentre, prima di pronunciarsi, avrebbe dovuto chiaramente svolgere gli accertamenti e le indagini del caso". I giudici di Piazza Cavour, dunque, annullando con rinvio l’ordinanza del tribunale, ribadiscono che "in sede di giudizio per l’ammissione del condannato ai benefici penitenziari, si deve avere esclusivo riguardo ai risultati del trattamento individualizzato di rieducazione e recupero del condannato, senza fare riferimento né alla gravità dei reati commessi, né alla pericolosità ritenuta dal giudice della cognizione, elementi ai quali può farsi ricorso solo come supporti sussidiari ai fini dello studio della personalità del condannato in relazione alla possibilità del suo reinserimento sociale".

Radicali: dove sono finiti i soldi della Cassa delle ammende?

 

Agenzia Radicale, 17 agosto 2006

 

Bruno Mellano (deputato Rosa nel Pugno, segretario Associazione Radicale Adelaide Aglietta): "Una delle conseguenze positive dell’indulto sarà quella di fare finalmente chiarezza sull’istituto della Cassa delle Ammende (CdA), gestito dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap) del Ministero della Giustizia, che dovrebbe finanziare i progetti di reinserimento dei detenuti.

Nella passata legislatura, grazie al lavoro della radicale Iolanda Casigliani, riuscimmo a disseppellire dal dimenticatoio questo fondo e a far sì che il ministro Castelli emanasse il Regolamento d’attuazione e comunicasse l’ammontare del fondo patrimoniale: 71 milioni di euro (ottobre 2003).

Da allora, è di nuovo calato il silenzio su: quanti e quali progetti sono stati finanziati dalla Cassa delle Ammende; dove sono i suoi bilanci preventivi e consuntivi; quanto è rimasto in Cassa, visto che oggi apprendo dai giornali che il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, ritiene che l’ammontare del fondo sia pari a circa 30 milioni di euro. Mi pare una cifra riduttiva, visto che la Cassa è continuamente implementata con i proventi del pagamento delle ammende e delle multe a seguito delle sentenze penali di condanna. Nel contesto venutosi a creare con la legge sull’indulto, i soldi della Cassa rappresentano una vera e propria manna nel deserto".

 

 

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