Rassegna stampa 1 ottobre

 

Una lunga catena di suicidi e dilagano le malattie infettive

 

Il Gazzettino, 1 ottobre 2005

 

Sei nuovi casi nel solo mese di agosto: due suicidi, un decesso per malattia, uno per overdose, uno per omicidio, uno per cause ancora da accertare. Non ha mai pagine bianche, il diario delle morti dietro le sbarre. Con storie diverse ma egualmente tragiche. Come quella di L.M., 39 anni, morto il 2 agosto in cella a Secondigliano: era sieropositivo, detenuto da sette anni; è stato il terzo morto nel carcere napoletano in pochi mesi. O come quella di M.M., 21 anni, suicidatosi l’11 agosto nel carcere di Foggia impiccandosi con la cintura dell’accappatoio alla grata della finestra del bagno della sua cella; era finito in prigione venti giorni prima con l’accusa di estorsione e piccolo spaccio di cocaina, si era sempre dichiarato innocente, qualche giorno prima il tribunale della libertà di Bari aveva rigettato il ricorso difensivo.

L’ultimo episodio (per ora) della serie è del 23 settembre scorso: un detenuto polacco di 40 anni si è tolto la vita impiccandosi con la cintura dell’accappatoio in una cella del carcere di Civitavecchia, dove era detenuto da tre mesi per scontare una condanna per omicidio colposo e omissione di soccorso. Da rilevare che il carcere di borgata Aurelia della cittadina laziale è uno dei penitenziari italiani in cui si registra il maggior numero di suicidi e tentati suicidi.

Non sono episodi isolati. Nel 2004, complessivamente, nelle carceri italiane si sono registrati 52 suicidi, 1.100 tentati suicidi, 6.450 scioperi della fame, 4.850 episodi di autolesionismo. A questo si sommano le vistose carenze sanitarie: dall’inizio di giugno, almeno otto detenuti sono morti per malattie, spesso non adeguatamente curate o diagnosticate, due sono morti per overdose, uno per cause non accertate. Il 7,5 per cento dei detenuti sono sieropositivi, il 38 per cento positivi al test per l’epatite C, e il 50 per cento a quello dell’epatite B, mentre il 7 per cento presenta l’infezione in atto, e il 18 per cento risulta positivo al test della tubercolosi.

Sono dati risultanti da una serie di studi coordinati dall’infettivologo Giovanni Rezza, direttore del centro operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità, e condotti in collaborazione con il Ministero di grazia e giustizia. In particolare, quelli relativi all’Hiv e alle epatiti si giustificano in gran parte con l’alta concentrazione tra i detenuti tossicodipendenti, e con l’abitudine diffusa a farsi tatuaggi non utilizzando aghi sterili. Ma in generale, la diffusione delle malattie infettive si collega anche con il sovraffollamento delle carceri: per fare un esempio significativo, a Rebibbia attualmente 40 detenuti non hanno un posto letto assegnato, e dormono tutti assieme su materassi stesi a terra nelle stanze adibite alle attività comuni.

È in aumento anche il fenomeno della tossicodipendenza: sono 15.558, pari al 28 per cento, i tossici che affollano le carceri italiane. Meno diffuso l’alcolismo, che coinvolge 1.335 detenuti, il 2 e mezzo per cento. Infine, la lentezza dei processi complica la situazione. Il 36 per cento dei detenuti in Italia è in attesa di giudizio; il 57 per cento di loro sono imputati giudicabili, il 30 per cento appellanti e il 12 per cento ricorrenti.

A fronte di tutto questo, diminuiscono le ore di assistenza infermieristica nelle carceri, e non solo quella: assistenti sociali, educatori e psicologi continuano a essere sotto organico. Gli assistenti sociali sono 1.223 rispetto ai 1.630 previsti dalla pianta organica (uno ogni 48 detenuti); gli educatori 551 anziché 1.376 (uno ogni 107 detenuti): gli psicologi 400 (uno ogni 148 detenuti) con una media di appena due ore per istituto.

E c’è infine, problema nel problema, la situazione di alcune decine di bambini, figli di madre detenute, che per questo si trovano in carcere. Il Movimento diritti civili si sta battendo per una legge che preveda gli arresti domiciliari per le donne detenute con bambini da assistere fino ai 10 anni di età, alzando il limite attuale che è di 3 anni.

Giustizia: carceri del nord-est ai primi posti della lista nera

 

Il Gazzettino, 1 ottobre 2005

 

Mai così piene da dieci anni a questa parte: nelle 207 carceri italiane, in questa estate appena andata in archivio, si è arrivatI a sfiorare le 60mila presenze; per la precisione, 59.649. Dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, non di qualche associazione. Dati ufficiali, dunque. E da cui si ricava che in sei regioni è stata superata la soglia della tollerabilità, vale a dire che ci sono più carcerati che posti disponibili.

Per il Nordest, un primato poco invidiabile: tutte e tre le regioni che lo compongono rientrano nella lista nera. Anche qui, i numeri: in Veneto 2.858 detenuti a fronte di una tollerabilità di 1.785; in Friuli Venezia Giulia, 854 a fronte di 530; in Trentino-Alto Adige, 416 a fronte di 318. All’interno di questo quadro ci sono situazioni-limite. Come quella denunciata da Antigone (associazione in primo piano nell’occuparsi del problema dei detenuti) per il carcere veronese di Montorio, incluso nell’elenco delle cosiddette prigioni fuorilegge: 784 detenuti a fronte di 564 posti, fino a tre carcerati in celle singole, niente acqua né doccia; in compenso c’è il mediatore culturale.

Belluno entra ed esce periodicamente dal fuoco delle polemiche. Nell’agosto scorso è stata attaccata dal Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, il cui segretario provinciale Nicodemo Adamo ha denunciato l’affollamento della struttura e la mancata osservanza delle regole prestabilite per ospitare i transessuali in celle singole. A stretto giro di polemica ha risposto Immacolata Mannarella, direttrice del carcere bellunese di Baldenich: "La nostra casa circondariale non esula dalla realtà delle carceri italiane. Essa rientra nella situazione ordinaria della gestione di una prigione in condizioni di affollamento. In tutte le strutture di pena del nostro Paese si registra un alto indice di detenuti. E a Belluno queste situazioni non si vivono in maniera peggiore che in altre realtà carcerarie". Come dire, mal comune mezzo gaudio.

Ci sono tensioni forti pure a Rovigo, dove mesi fa le guardie penitenziarie avevano minacciato lo sciopero della fame e l’auto consegna per protesta contro le condizioni di sovraffollamento della casa circondariale di via Verdi, un centinaio di reclusi a fronte di una settantina di posti. All’epoca, la protesta era partita dalla situazione della sezione femminile, con 24 detenute ammassate in quattro celle, e con letti a castello a tre piani. Alla fine si era trovato l’ennesimo accomodamento, ma del tutto precario: a Rovigo, la protesta delle guardie penitenziarie è un copione che si ripete da anni, una vera e propria telenovela delle sbarre.

Il Nordest che scoppia è peraltro solo la punta d’iceberg di una situazione giudicata da molti, ministro Castelli compreso, prossima al collasso, al punto da promuovere un pubblico appello indirizzato al presidente della Camera Pierferdinando Casini per denunciare che "il sovraffollamento, la mancanza di assistenza sanitaria, la fatiscenza delle strutture e la mancanza del lavoro nel carcere comportano una quotidiana violazione del divieto di pene disumane o degradanti", e per chiedere al Parlamento di approvare entro i prossimi quattro mesi, cioè nell’ultimo scorcio utile di legislatura prima del voto della primavera 2006, due provvedimenti: quello sul garante per le persone private della libertà personale, e quello sulle misure a favore delle madri detenute.

Sta di fatto che ad essere disattese, prima ancora che le leggi, sono le pur elementari norme del regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario, che prevedeva semplicemente bagni decenti, acqua calda, docce e cucine. Si deve a una ricognizione sul campo a opera di Antigone la constatazione che questo regolamento viene sistematicamente ignorato. Come a Poggioreale, il carcere di Napoli, dove in una cella vivono 18 detenuti con un solo bagno. Come l’Ucciardone di Palermo, dove i servizi igienici sono accanto alle brande e le docce funzionano quando vogliono. Come Rebibbia a Roma, dove non c’è acqua calda, dove impianti idraulico ed elettrico sono da rifare, e dove un’unica cucina serve l’intero istituto di pena (1.650 detenuti a fronte di una capienza di 1.188).

Ma sono i numeri complessivi del rapporto di Antigone a dare un’idea precisa di come si vive oggi nelle carceri italiane: l’89 per cento dei detenuti non ha doccia in cella, il 70 per cento non ha acqua calda, il 60 per cento delle detenute non ha il bidet, il 13 per cento vive in celle dove il bagno è accanto al letto, il 29 per cento non può accendere la luce in cella. Tutto questo a fronte di quanto previsto dal regolamento del 2000, varato dall’allora direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Alessandro Margara, che avrebbe dovuto essere attuato entro il 2005. Invece...

È una situazione che allarma anche l’Ucpi, l’Unione delle Camere Penali, dalla quale è partita in questi giorni la proposta a tutte le associazioni e a tutti i soggetti che si occupano delle tematiche carcerarie di dare vita a un osservatorio permanente in grado di monitorare costantemente l’evolversi della situazione, e di individuare iniziative a sostegno dei diritti dei detenuti. Anche l’Ucpi punta il dito contro la mancata attuazione del nuovo regolamento carcerario: "A cinque anni di distanza nulla è cambiato, anzi la saturazione è drammaticamente peggiorata". E ricordando che dei 60mila detenuti attuali un terzo è in attesa di giudizio, l’Unione denuncia l’esistenza di "una condizione di evidente illegalità, in cui i detenuti sono privati di ogni minima tutela, esposti alle malattie, alla promiscuità, al sovraffollamento, all’assenza di condizioni igieniche minime".

Nel frattempoo prosegue l’iter della legge ex-Cirielli che, se approvata, provocherebbe in breve tempo un aumento di circa 20mila detenuti, portando il sistema al collasso definitivo; e lo stesso accadrebbe se passasse la proposta di governo tesa a inasprire la legge sulla droga. Ma la situazione è divenuta intollerabile anche per chi nel carcere lavora, dagli agenti agli educatori agli infermieri: "Il sistema penitenziario italiano è diventato come il Titanic, sull’orlo del naufragio", segnala Sergio Segio, animatore dell’associazione "Dirittiglobali", che ha lanciato una campagna di sensibilizzazione, partendo nei giorni scorsi dall’ingresso di San Vittore a Milano. Sperando che, a differenza del Titanic, si smetta di ascoltare l’orchestrina per aprire gli occhi davanti alla realtà.

Giustizia: un po’ di buon senso contro le cattive riforme

 

La Stampa, 1 ottobre 2005

 

La giustizia non è di questo mondo, certo. Eppure, quella divina e quella italiana possiedono qualcosa in comune: entrambe hanno tempi inaccettabili. Così, con una battuta, si potrebbe cercare di esorcizzare un sentimento di sfiducia che sembra diffondersi sempre più. Da una parte, chiunque abbia la ventura di imbattersi nel sistema giudiziario del nostro Paese, è costretto ad ammettere che le sue reali disfunzioni, tante volte denunciate, permangono, o forse si aggravano, nonostante le ripetute riforme. Dall’altra, il cittadino osserva, con un certo scoramento, un furibondo scontro tra l’attuale maggioranza di governo e i magistrati, su questioni che sembrano non riguardarlo affatto, ma coinvolgono solo gli interessi di un ristretto gruppo di potere.

Cerca di reagire a questo clima di sfiducia e di rassegnazione, più che di rivolta, una lunga lettera che due magistrati molto impegnati nella vita pubblica, Gian Carlo Caselli e Livio Pepino, inviano proprio "a un cittadino che non crede alla giustizia". Si tratta di un pamphlet dalle caratteristiche insolite: conserva, infatti, la carica di passione e di denuncia tipica di questo genere letterario, ma si distingue per un tono argomentativo pacato, che tende a sollecitare più la ragione del lettore che il suo cuore. Il procuratore generale di Torino e l’ex presidente di "Magistratura democratica" non nascondono ipocritamente la loro appartenenza al mondo di riferimento della cultura di sinistra, ma sostengono che l’imparzialità del giudice, il suo disinteresse personale, l’estraneità agli interessi in conflitto non derivino dalla sua apoliticità o dalla sua indifferenza.

Una condizione, peraltro, impossibile. Il rischio vero per la sua professionalità è costituito non dalle sue idee, ma dalle sue "appartenenze": "Nuocciono la partecipazione alla gestione del potere, i legami affaristici, il coinvolgimento in conflitti personali e di gruppo". L’utilità fondamentale del libro e il merito maggiore degli autori risiedono nell’affrontare e smascherare i principali luoghi comuni della generica e qualunquistica critica alla nostra giustizia, senza negare le insufficienze, il malfunzionamento complessivo del sistema.

Caselli e Pepino, oltre alla demolizione del mito del giudice apolitico, si dedicano all’analisi di altri seducenti ma ingannevoli slogan della polemica politica e giornalistica sull’argomento: dall’imperativo "applicare le leggi, non interpretarle", all’allarmante "governo dei giudici", al sentenzioso "la giustizia si amministra in nome del popolo". Svelati i pretesti, Caselli e Pepino non negano le cause vere della crisi della giustizia con gli effetti universalmente noti: la lunghezza dei procedimenti, l’eccessiva disparità di giudizio che indebolisce la certezza del diritto, l’uso non sempre giustificato della custodia cautelare, l’insufficiente formazione dei magistrati, la tentazione corporativa del Csm. Vengono avanzate anche proposte correttive che, saggiamente, non sono spacciate per "riforme", visto che il termine, dopo le ultime esperienze legislative, non pare aver rispettato la sua accezione migliorativa. Il libro si chiude con la citazione di un decalogo deontologico canadese, di cui vorrei citare solo un comandamento: "Non abbandonare il senso comune". Forse basterebbe.

Giustizia: Rutelli; con ex-Cirielli governo difende interesse di pochi

 

Ansa, 1 ottobre 2005

 

"Scandalo". Usa questa parola in Aula alla Camera Francesco Rutelli per definire il provvedimento sui termini della prescrizione, detto "ex-Cirielli". Parlando durante il dibattito che segue l’intervento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, Rutelli osserva: "Quante decine di migliaia di provvedimenti di scarcerazione ci saranno, quante decine di migliaia di procedimenti verranno cancellati? Volete darci queste cifre? Vi rendete conto che la stanchezza degli elettori e l’insofferenza verso questo governo nascono dall’evidenza di questo squilibrio? Un esecutivo deciso nel difendere l’interesse di pochi, incapace nel governo del Paese".

Giustizia: l'Unione chiede impegni precisi contro emergenza-carcere

 

Ansa, 1 ottobre 2005

 

Una mozione sottoscritta da esponenti di tutti i partiti dell’Unione alla Camera chiede al governo una lunga serie misure per affrontare l’emergenza nelle carceri. Il documento, che ha per prima firmataria Marcella Lucidi dei Ds, sottolinea il "sovraffollamento insostenibile" nelle carceri italiane, dove la "popolazione detenuta" è "oggi stimata in 60.000 presenze" mentre le strutture penitenziarie, sarebbero "capaci di ospitarne in condizioni critiche circa 43.000". La mozione sollecita quindi una serie di misure. "Autorizzare l’assunzione degli educatori, degli assistenti sociali, dei contabili, degli psicologi e delle altre figure professionali, per i quali sono state pressoché perfezionate le procedure dei concorsi banditi quasi tre anni fa. Adeguare la pianta organica del corpo di polizia penitenziaria con la sistemazione degli ex agenti ausiliari che hanno prestato servizio di leva. Assicurare nell’ambito della legge finanziaria 2006 la regolazione dei debiti contratti dalle direzioni degli istituti per la manutenzione delle strutture, per le forniture ordinarie e per il pagamento delle trasferte al personale preposto al trasporto dei detenuti. Procedere, nell’ambito del riordino delle carriere delle forze di polizia, ad eliminare ogni sperequazione a danno dei ruoli del corpo di polizia penitenziaria. La mozione è sottoscritta, fra gli altri, anche da Stefano Cusumano (Popolari-Udeur), Giuseppe Fanfani (Margherita), Giuliano Pisapia (Prc), Maura Cossutta (Pdci), Enrico Buemi (Sdi), Paolo Cento (Verdi) e Carla Mazzuca Poggiolini (Repubblicani europei).

Giustizia: dall'Unione arrivano le proposte per le carceri in crisi

 

Ansa, 1 ottobre 2005

 

Autorizzare l’assunzione degli educatori, degli assistenti sociali, dei contabili, degli psicologi e delle altre figure professionali, per i quali sono state pressoché perfezionate le procedure dei concorsi banditi quasi tre anni fa; adeguare la pianta organica del Corpo di polizia penitenziaria con la sistemazione degli ex-agenti ausiliari che hanno prestato servizio di leva: sono questi alcuni dei principali impegni chiesti al Governo da una mozione dell’Unione sulla situazione nelle carceri italiane. Il documento, di cui è prima firmataria l’on. Marcella Lucidi, responsabile sicurezza Ds, è sottoscritto dagli on.li Giuseppe Fanfani, Giuliano Pisapia, Stefano Cusumano, Maura Cossutta, Enrico Buemi, Paolo Cento, Carla Mazzuca Poggiolini, Anna Finocchiaro, Francesco Bonito, Francesco Carboni, Marco Minniti e Beppe Lumia. Nella mozione si chiede anche "di assicurare, nell’ambito della legge finanziaria 2006, la regolazione dei debiti contratti dalle Direzioni degli istituti per la manutenzione delle strutture, per le forniture ordinarie e per il pagamento delle trasferte al personale preposto al trasporto dei detenuti; e di procedere, nell’ambito del riordino delle carriere delle Forze di polizia, ad eliminare ogni sperequazione a danno dei ruoli del Corpo di polizia penitenziaria". Nella mozione si ricorda, fra l’altro, come il numero elevato e in costante crescita dei detenuti, oggi stimati in 60.000, "produca un sovraffollamento insostenibile delle strutture penitenziarie, capaci di ospitarne in condizioni critiche circa 43.000, con effetti dirompenti sulle condizioni di vita dei reclusi e sulla sicurezza dei singoli operatori e delle strutture"; e come, inoltre, "le dotazioni organiche di educatori, assistenti sociali, contabili, psicologi e di altre figure professionali preposte al trattamento ed al reinserimento sociale risultano scoperte in percentuali comprese fra il 30 ed il 40 per cento".

Salute: defibrillatori e tutor per assistere i detenuti malati

 

Ansa, 1 ottobre 2005

 

Defibrillatori in ogni carcere d’Italia e poi un tutor con il compito di controllare che i detenuti malati di Aids o con l’epatite virale C seguano le cure prescritte dal medico. Sono alcune delle iniziative per tutelare la salute di chi sta dietro le sbarre di cui si è parlato, tra l’altro, oggi a Milano al sesto congresso nazionale organizzato dalla Società di Medicina e Sanità Penitenziaria (Simps) in programma fino al primo ottobre e che quest’anno è stato dedicato a "La metamorfosi della medicina penitenziaria: l’etica nelle cure". Ad aprire il convegno, al quale hanno anche partecipato il Provveditore Regionale del’Amministrazione Penitenziaria Luigi Pagano, il Sottosegretario Regionale con delega ai diritti dei cittadini Antonella Maiolo e l’infettivologo Mauro Moroni, è stato Giulio Starnini, presidente della Società. Starnini, tra i vari argomenti, ha illustrato alcuni degli interventi avviati nel 2005 dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria nel campo dell’assistenza sanitaria. Tra questi, oltre all’assistenza specialistica attraverso la telemedicina già partita nei centri più piccoli (in futuro entrerà anche nei carceri milanesi di Opera e San Vittore), quello dedicato alla prevenzione di improvvisi arresti cardiaci e alla terapia anti Hiv in carcere. Così entro la fine dell’anno sarà concluso il progetto di dotare tutti gli istituti penitenziari di uno o più defibrillatori portatili semiautomatici che possono essere utilizzati anche dagli agenti di polizia penitenziaria opportunamente formati. "In realtà - ha spiegato Starnini a margine del convegno - in una serie di carceri i defibrillatori sono già arrivati e la formazione è già stata fatta". Ma entro la fine dell’anno termineranno la fornitura delle apparecchiature e l’addestramento delle guardie carcerarie. Starnini, per sottolineare l’importanza dell’iniziativa, ha sottolineato che la mortalità e le malattie cardiovascolari tra detenuti e polizia penitenziaria sono 10 volte superiori rispetto alla media in quanto "negli istituti penitenziari ci sono molti più fattori di rischio". Oltre a ciò chi è malato di Aids o ha l’epatite virale C presto sarà affiancato da un ‘tutor’: si tratta di un infermiere che lavora all’interno dell’istituto con il compito di controllare che i detenuti seguano le terapie prescritte. "Questi carcerati saranno in sostanza sotto osservazione - ha proseguito il presidente della Società - affinchè assumano i farmaci come quelli antiretrovirali o l’interferone e la ribavirina e non li gettino per ottenere benefici di legge". Questo progetto, che fa parte di uno più ampio chiamato Iceberg e che sarà operativo entro la fine dell’anno, è stato al centro di un incontro che si è tenuto questo mattina tra i rappresentanti della Società e i direttori e gli infettivologi degli Istituti del Nord Italia. Infine, al tutor si affiancherà un’altra figura, quella del peer educator, un ex detenuto sieropositivo che, insieme ai medici, farà educazione sanitaria dietro le sbarre a chi, come molti stranieri, ignora l’abc della prevenzione delle malattie infettive. Anche questa iniziativa, in corso di sperimentazione in 5 carceri fra cui San Vittore a Milano e Regina Coeli a Roma, fa parte di "Iceberg", il piano lanciato all’inizio di quest’anno in Lombardia che sta già dando buoni risultati.

Giustizia: Manconi (Ds); suicidi in carcere, Castelli elude verità numeri

 

Adnkronos, 1 ottobre 2005

 

"Ho dichiarato che il ministro della giustizia in una sede pubblica e solenne ha fatto affermazioni non rispondenti al vero". Così Luigi Manconi, responsabile Diritti Civili della Direzione Nazionale Ds, replica alle affermazioni di Castelli sul tema dei suicidi all’interno delle carceri. "La sua sola risposta, in una patetica manifestazione di spirito di patate, è stata un poco onorevole darsela a gambe. Il che - conclude Manconi - dimostra una sola cosa: riconosce inequivocabilmente che sui dati (le cifre sui suicidi in carcere) ho ragione io. Come volevasi dimostrare".

Roma: contributi alle coop. che aiutano detenuti ed ex

 

Redattore Sociale, 1 ottobre 2005

 

La Commissione Sicurezza e Integrazione Sociale della Regione Lazio ha approvato all’unanimità il bando per l’assegnazione di contributi alle cooperative sociali impegnate a favorire l’attività di ex detenuti, detenuti, guardie carcerarie.

I fondi stanziati sono 450.000 euro e sono destinati all’acquisizione di attrezzature, strumentazioni utili per i progetti di inserimento lavorativo. A tal proposito è previsto un incontro con il garante dei detenuti Angiolo Marroni, che si terrà il 6 ottobre prossimo alle ore 11. La presidente della Commissione Sicurezza, Luisa Laurelli, ha dichiarato: "È necessario implementare gli interventi della Regione per migliorare la vita nelle carceri penalizzate da una situazione di grave sovraffollamento e da una serie di difficoltà per garantire la tutela della salute. L’aumento di suicidi, la difficoltà nel reinserimento sociale e lavorativo, dentro e fuori il carcere, richiedono la massima attenzione da parte delle Istituzioni tutte, a partire da quelle statali".

La Commissione ha poi effettuato l’audizione del Sindacato Italiano Lavoratori Polizia S.I.L.P. che ha denunciato la situazione a rischio per le infiltrazioni della camorra nel territorio del basso Lazio, in particolare nella provincia di Latina, sul litorale laziale, nelle province di Viterbo e Rieti.

I rappresentanti sindacali hanno chiesto l’intervento della Regione affinché solleciti il Ministero dell’Interno e le autorità competenti, a fornire di mezzi e personale le stazioni di P.S. nelle zone a più alto rischio criminalità. "Le dotazioni organiche sono ridotte al lumicino – è stato affermato - e non consentono l’effettuazione di servizi efficienti a tutela della garanzia della sicurezza dei cittadini".

Napoli: allarme della magistratura, penale a rischio di paralisi

 

Il Denaro, 1 ottobre 2005

 

Il Tribunale penale di Napoli è ormai prossimo alla paralisi. Per l’anno 2005 i fondi stanziati per il servizio di stenotipia che deve essere assicurato per le udienze dibattimentali sono in via di esaurimento ed il presidente del Tribunale ha limitato l’utilizzo di tale sistema di verbalizzazione ai soli processi con rito direttissimo ed esclusivamente per le udienze collegiali con imputati detenuti almeno in numero di tre". Lo si afferma in un documento della sezione distrettuale di Napoli dell’Associazione nazionale magistrati diffuso ieri.

L’attuale situazione degli uffici, afferma l’Anm "determinerà un sicuro arresto della stragrande maggioranza dei processi penali. La redazione dei verbali in forma riassuntiva - contemplata dal codice di procedura penale solamente quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o di limitata rilevanza, ovvero quando si verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici "consentirà ai giudici monocratici di trattare - si legge - solo in minima parte i numerosi processi fissati in ogni udienza e sicuramente costituirà un ragionevole impedimento per la celebrazione dei dibattimenti più delicati, dove maggiormente è sentita la necessità di un risposta celere del sistema giudiziario alla domanda di giustizia proveniente dai cittadini. Senza tralasciare, inoltre, che la verbalizzazione riassuntiva limita fortemente le garanzie difensive delle parti processuali essendo inidonea a registrare dichiarazioni o deposizioni dibattimentali nella loro interezza".

"Tale inconveniente - osserva l’Anm di Napoli - non può essere superato dal sistema di fono registrazione, che, pur previsto nel codice di rito, non è garantito nel Tribunale di Napoli per l’assenza del personale tecnico a ciò deputato". Più volte l’Associazione ha rappresentato i considerevoli disagi all’ordinario esercizio della giurisdizione che scaturiscono da mancanze di risorse, di mezzi e di personale amministrativo, "sollecitando l’intervento del ministro, cui spettano, per Costituzione, l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia". La giunta, "preso anche atto del documento redatto dai colleghi riuniti in assemblea presso il Nuovo Palazzo di Giustizia denunzia - prosegue la nota - la sostanziale paralisi dell’esercizio della giurisdizione penale nel Tribunale di Napoli che si verificherà a seguito della quasi completa sospensione del servizio di stenotipia, invitando il ministro della Giustizia, il presidente del Tribunale, ed il presidente della Corte di Appello ad attivarsi per scongiurare il pericolo".

Droghe: Prc propone legalizzazione della coltivazione di canapa

 

Ansa, 1 ottobre 2005

 

Coltivare le pianticelle di cannabis per il proprio uso personale, per contribuire a sconfiggere il narcotraffico relativo alle droghe leggere: è la proposta lanciata da Paolo Ferrero, della segreteria nazionale Prc, nel corso di un convegno sulle tossicodipendenze organizzato a Pescara dalla Regione Abruzzo, al quale hanno partecipato esponenti dell’Unione, operatori sociali e rappresentanti degli enti locali. "Nel fallimento delle politiche del centrodestra - ha detto Ferrero - uno degli elementi fondamentali è l’aumento del numero di persone in carcere per reati legati alla droga". La proposta di Rifondazione, quindi, per battere il mercato illegale, è quella di affiancare alla depenalizzazione la possibilità di coltivare privatamente la canapa indiana. "Le due cose, insieme - aggiunge - possono aiutare a sconfiggere il narcotraffico". La proposta, spiega Ferrero, viene lanciata "all’interno del dibattito sulle tossicodipendenze in corso nell’Unione, in vista della discussione sul programma". "Sul versante della legalizzazione delle droghe leggere - aggiunge - la discussione è già avanzata; questa proposta è conseguente. Confido che all’interno della coalizione se ne possa discutere non in termini ideologici ma di utilità". "D’altronde - conclude - Paesi come l’Olanda dimostrano che dove c’è la legalizzazione delle droghe leggere si verifica una diminuzione del consumo di quelle pesanti".

Cagliari: dalla Regione progetti formativi per i detenuti

 

Ad Maiora Media, 1 ottobre 2005

 

Verrà costituita una commissione di esperti con il compito di analizzare e valutare il fabbisogno formativo specifico delle persone raggiunte da provvedimenti penali, con particolare attenzione ai minori a cui vi faranno parte i rappresentanti delle istituzioni interessate (Giustizia minorile, Giustizia adulti, Assessorato regionale del Lavoro, Associazioni di volontariato).

La novità è emersa ieri da un incontro tra l’Assessore regionale del Lavoro Maddalena Salerno e i funzionari dell’Assessorato del Lavoro con alcuni rappresentanti dell’amministrazione giudiziaria, fra i quali il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Cagliari Leonardo Bonsignore, il direttore dell’Istituto Penitenziario Minorile di Quartucciu Giuseppe Zoccheddu, i responsabili del Centro di Giustizia Minorile di Cagliari, l’avvocato Federico Palomba esperto in problematiche giudiziarie minorili e don Ettore Cannavera responsabile della Comunità La Collina di Serdiana.

L’incontro, convocato dall’Assessore Salerno, era finalizzato alla definizione di un programma integrato di interventi formativi e di inserimento lavorativo in favore di minori e adulti raggiunti da provvedimenti penali e in stato di detenzione o soggetti a misure alternative.

Roma: con l’Uisp Vivicittà arriva a Rebibbia Femminile

 

Comunicato stampa, 1 ottobre 2005

 

Ottobre non è il periodo in cui di solito si corre Vivicittà, la più importante manifestazione podistica targata Uisp di Roma. Ma quando si parla di Rebibbia la congenialità non è un elemento intrinseco. Vivicittà di ottobre, infatti, si correrà dentro le mura del Carcere femminile di Rebibbia, come era già successo per i detenuti maschi a giugno.

Si tratta di un appuntamento molto atteso dalle detenute, perché Vivicittà è un evento che riesce a portare aria fresca, divertimento, un pezzetto del mondo esterno, dunque, anche dentro un carcere.

Come gli altri anni, e come per l’edizione maschile, infatti, le detenute, circa una trentina, saranno accompagnate durante il percorso amatoriale di 4 km, da 10 atleti esterni. Ospite di lusso, anche questa volta, il 79enne maratoneta capitolino Sergio Agnoli, che nell’edizione maschile di giugno essendo infortunato era stato costretto a limitarsi a dare consigli a tutti i podisti prima della partenza e durante la corsa. Questa volta, nel pieno della forma, correrà insieme e forse più forte degli altri, nonostante l’età.

Presente all’evento il Presidente dell’Uisp di Roma Andrea Novelli ed il responsabile dell’Area Carcere dell’Uisp Roma Andrea Ciogli. Insieme a loro anche gli operatori Uisp che si occupano delle attività che le detenute svolgono all’interno del carcere. si tratta di Stefania Salerno, Andrea Ciogli e Monica Iozzo per il progetto "Giocare a Rebibbia"; Lorenzo Veltri che si occupa della Pallavolo e Rita De Angelis per il progetto "Ginnastica in Massima Sicurezza". L’appuntamento è dunque per mercoledì 3 ottobre alle ore 1500.

 

 

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