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Bombe anarchici: Sappe a madre Lonzi, rispetto per suo dolore
Ansa, 5 marzo 2005
"Ho il massimo rispetto per il dolore della signora Maria Ciuffi, mamma di Marcello Lonzi, il detenuto di 29 anni morto l’11 luglio 2003 nel carcere di Livorno, alla memoria del quale sono state rivendicate le azioni terroristiche contro i Carabinieri di Genova e Milano". Così Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) ha risposto a Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi, un detenuto di 29 anni morto l’11 luglio 2003 nel carcere di Livorno, che ieri si era chiesta se Martinelli avesse "visto le foto del figlio morto". "Nella mie dichiarazioni alla stampa - ha precisato in una nota Martinelli - mi sono limitato ad osservare che la magistratura livornese, il 10 dicembre scorso, ha archiviato il caso come morte naturale. E che il competente Gip Rinaldo Merani, rispondendo ai quesiti posti dalla difesa della madre del giovane, scrisse nella sua ordinanza che non vi era alcun elemento per ritenere che la morte del detenuto fosse addebitabile a una condotta non regolamentare della struttura carceraria". "È tutto qui - ha proseguito il segretario - e non è una difesa a prescindere del Corpo di Polizia Penitenziaria, ma la semplice constatazione degli sviluppi giudiziari che sono emersi. E rinnovo alla signora Maria Ciuffi il mio più sincero rispetto per il suo dolore". La Spezia: gli animi del carcere in una mostra d’arte…
Contatto Radio, 5 marzo 2005
Al Centro Allende della Spezia fino al 6 marzo elaborati artistici dei detenuti. Il titolo dell’iniziativa è "Un colpo a regola d’arte" La Spezia - Fino a Domenica 6 marzo sarà possibile visitare, presso il centro culturale Alliende di La Spezia, la mostra organizzata dall’istituto Einaudi "Un colpo a regola d’arte". In esposizione elaborati effettuati dai detenuti del carcere Villa Andreino inscritti al diploma per operatore grafico pubblicitario dell’Istituto professionale per il turismo Luigi Einaudi della Spezia. Ogni opera riassume con un’immagine ed una riflessione scritta la vita dell’autore. I visitatori della mostra interessati ad eventuali approfondimenti sono invitati a mandare e-mail all’indirizzo andreino@einaudilaspezia.it. Gli organizzatori contano molto sull’invio di e-mail con commenti, suggestioni, suggerimenti .Si verrebbe così a creare un contatto tra i detenuti e la società civile. Qui sotto trovate il link all’intervista con Daniela Paita insegnante di comunicazione visiva e disegno dell’istituto Einaudi. Viterbo: la carenza di personale mette a rischio la sicurezza
Tuscia Web, 5 marzo 2005
"La carenza di personale in organico rischia di compromettere i livelli di sicurezza e le condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria che operano nel carcere di Mammagialla, a Viterbo. La Regione Lazio può e deve farsi carico di questa situazione, intervenendo presso il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e del Ministero della Giustizia, per sollecitare una risposta concreta ai problemi che sono stati denunciati dagli agenti e che sono la conseguenza di una politica di tagli delle risorse e del personale anche in servizi delicati ed essenziali". È quanto afferma Giuseppe Parroncini, consigliere regionale Ds, il quale si è incontrato, questa mattina, con gli agenti di polizia penitenziaria davanti ai cancelli di Mammagialla, dove si è svolta una manifestazione di protesta indetta da tutte le sigle sindacali: Sappe, Osapp, Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Fsa. "La situazione, all’interno del carcere, si è gravemente deteriorata per ciò che riguarda la sicurezza degli operatori, la cui preoccupazione è salita dopo la scoperta di un pacco bomba, così come sono peggiorate le condizioni di vita della stessa popolazione carceraria. Nell’ultimo mese, si sono verificati due casi di suicidio. È recente una tentata evasione. Un dato è eclatante: attualmente, sono disponibili appena 111 agenti, a fronte dei 166 posti di servizio da coprire, nonostante il lavoro sia aumentato, a causa degli innumerevoli piantonamenti dei detenuti in regime di 41 bis ricoverati presso gli ospedali", dice Parroncini, il quale, dopo aver preso nota dei problemi sollevati, ha anche predisposto una interrogazione rivolta al presidente della giunta regionale e all’assessore agli Affari Istituzionali. "La stessa Direzione dell’Istituto di Viterbo ha informato gli organi superiori sulle difficoltà a garantire, per la scarsa dotazione di personale, i più elementari livelli di sicurezza. Bisogna dare una risposta urgente ad una situazione che diventa ogni giorno più drammatica", sottolinea il consigliere regionale. I Ds attiveranno anche i propri rappresentanti in Parlamento per chiedere un intervento presso il Ministero competente. Nuoro: a Badu ‘e Carros consegna dei libri raccolti dal Comune
L’Unione Sarda, 5 marzo 2005
Marcello Fois ci crede davvero. "La letteratura è una delle condizioni per salvarsi la vita. Sono sicuro che un libro letto al momento giusto avrebbe evitato a tanti di finire qua dentro". Di libri da leggere, purtroppo in ritardo per i tanti di cui sopra, adesso a Badu ‘e carros ce ne sono seicento: dai romanzi di Marcello Atzeni all’ultimo di Bianca Pitzorno, dall’imprescindibile saggio sul carro agricolo di Santulussurgiu al modaiolo Codice da Vinci, al catalogo sui gioielli sardi. Seicento libri che i nuoresi hanno voluto donare alla biblioteca del carcere di Nuoro, miracolosa risposta all’invito del Comune che sotto Natale lanciò l’iniziativa LiberaMente, un pensiero per i detenuti a ogni acquisto fatto in libreria. I nuoresi, si sa, leggono molto, e lo spirito di solidarietà del periodo natalizio ha fatto il resto. Ieri mattina, nella cappella-ghiacciaia di Badu ‘e Carros, la consegna ufficiale durante una conferenza di venti minuti, abbastanza comunque per raccontare com’è diverso l’ambiente qua dentro rispetto a qualche anno fa. I libri accatastati su due tavoli, davanti all’altare il sindaco Mario Zidda e l’assessore ai Servizi sociali Graziano Pintori, il direttore del penitenziario Paolo Sanna, Marcello Fois che fa da padrino all’iniziativa, e il cappellano don Giuseppe Meloni che ora finalmente ha l’aria più rilassata (lui che è finito pure in tribunale per aver detto il fatto suo a un direttore). "Vent’anni che sono in carcere - fa i conti il sacerdote - e mai ho visto tanta solidarietà e vicinanza da parte della città". Saranno una cinquantina i detenuti arrivati in cappella. Nei banchi delle donne c’è Francesca Loche, l’insegnante di Gavoi che due anni fa uccise la vecchia zia: attorno a lei solo ragazze, giovanissime. Gli uomini stanno dall’altra parte, e all’ultimo banco c’è Daniele Brilla seduto accanto a Marcello Cadinu. Ieri era giorno di colloquio con le famiglie: in tanti, per questo, non sono venuti su in cappella, mentre altri hanno disertato la cerimonia in segno di protesta per il sovraffollamento. I problemi ci sono, certo, tanto più in un carcere dove dal 2000 a oggi sono passati ventuno dirigenti, segno che la poltrona tanto comoda non doveva essere. Paolo Sanna è direttore da otto mesi. "È la serenità che dev’essere recuperata, e senza dubbio - sottolinea il dirigente - una delle condizioni è quella di garantire un raccordo tra il carcere e l’esterno. Sarà questo il nostro lavoro". Anche l’impegno del Comune, assicurano il sindaco e l’assessore Pintori. E quest’idea dei libri donati dai cittadini dimostra che si può fare, altroché. "Sono fiero della città che rappresento perché - spiega il primo cittadino - vedere questi tavoli pieni di libri ci fa sperare che lo scambio col carcere possa diventare concreto". Marcello Fois legge un brano di un libro di Sergio Atzeni, "Racconti con colonna sonora", (quello del ragazzo che va a trovare la mamma in carcere). Nei suoi romanzi ha raccontato la morte, il sangue, la prigione, l’orrore, senza giudicare mai. "Gli scrittore e i giornalisti dovrebbero sforzarsi di raccontare di più e giudicare meno", avverte. Mica per nulla, in "Meglio morti", ci ha messo una citazione di Pascal: "Ci sono solo due specie di uomini: gli uni, giusti, che si credono peccatori, gli altri, peccatori, che si credono giusti". Nuoro: ma la biblioteca è chiusa per la catalogazione
L’Unione Sarda, 5 marzo 2005
Per almeno qualche mese i detenuti del carcere di Badu ‘e Carros non potranno leggere i libri regalati dai nuoresi. Il problema è la catalogazione, sicché i seicento volumi finiranno in coda ai seimila romanzi e saggi che gli operatori della Biblioteca Satta stanno numerando già dal dicembre scorso. "Abbiamo fatto una convenzione - spiega l’educatrice Adriana Arru -, l’ultima catalogazione risaliva a metà degli anni Ottanta". Il servizio prestiti per i detenuti ha quindi funzionato fino allo scorso novembre, mesi ormai senza leggere un libro che non sia uno fatto passare col pacco arrivato da casa, ovviamente con autorizzazione. "Cosa leggono? Molti romanzi, ma soprattutto libri utili per la scuola: qui ci sono diversi corsi, compreso quello delle 150 ore", spiega l’educatrice. Un peccato la biblioteca con gli scaffali vuoti. Graziano Pintori è preoccupato. "Non vorrei che si perdesse troppo tempo visto che - spiega l’assessore ai Servizi sociali del Comune - ai volumi che dovevano essere catalogati si aggiungono anche questi donati dai cittadini nuoresi. I libri sono tra i pochi spazi di libertà che si possono conquistare in carcere". Ora i seicento volumi, arrivati dentro scatole di cartone o buste enormi a bordo di due auto della polizia penitenziaria, verranno rimpacchettati e portati alla Biblioteca Satta. Quando sarà sarà, ma da leggere ce n’è per tutti i gusti: Niffoi, Todde, Carlotto, lo stesso Fois, le poesie di Mereu e di Montanaru, la Bibbia, una copia del Giorno del Giudizio, Achille Campanile, Baricco. Ci sono i duecento volumi spediti dal Premio Dessì che si riconoscono per via della ics segnata a penna sulle copertine. E tanti best seller, manuali, cataloghi, libri di fotografie. Libri, concerti (recentemente a Badu ‘e Carros si sono esibiti Paolo Fresu e gli Istentales), corsi. Il direttore Paolo Sanna una svolta la sta dando. "Ma perché tutto abbia un senso - sottolinea - è necessario migliorare l’efficienza della burocrazia che, ad esempio, per un detenuto significa poter andare in permesso senza dover attendere oltre il dovuto". Nuoro: celle sovraffollate, la protesta del sindacato…
L’Unione Sarda, 5 marzo 2005
Altri venticinque detenuti che si aggiungono ai trenta arrivati poco più di quindici giorni fa. Una situazione definita "vergognosa" dal sindacato. "Si è intervenuto ancora una volta pesantemente - scrive Sandro Fronteddu, di Cgil-Funzione pubblica - sulla qualità del lavoro e della vivibilità senza alcun preavviso e coinvolgimento dei soggetti su cui poggiano queste decisioni". Il sindacalista chiede quindi l’intervento del prefetto, e l’interessamento del presidente della Provincia, del sindaco di Nuoro, dei consiglieri regionali e dei parlamentari nuoresi. "Se già i precedenti arrivi - è scritto nella nota - mettevano in discussione l’organizzazione del lavoro e, quale conseguenza logica, producevano un evidente scadimento della qualità della vita nella struttura carceraria, la situazione è stata aggravata dagli ultimi inserimenti. Non possiamo così nascondere la crescente preoccupazione che registriamo tra il personale, effetto di una situazione di crisi che ben lontana dal risolversi si aggrava ormai quotidianamente. In questo modo i lavoratori, come i detenuti, si trovano a vivere una realtà di diritti negati, che certo non può fare onore a una società che si definisce civile". Rieti: comitato di solidarietà dona computer al carcere
Il Messaggero, 5 marzo 2005
Un altro computer completo di monitor è stato donato ai detenuti della Casa circondariale di Rieti dal Comitato di solidarietà e reinserimento che lo scorso anno era costituito dalla Caritas diocesana, dalla Sezione femminile della Croce Rossa italiana, dal Gruppo di volontariato vincenziano e dal Movimento Cristiano lavoratori. Il secondo computer sarà utilizzato dai detenuti per alcuni servizi che loro stessi gestiscono, come il soppravvitto, cioè gli ordinativi e la relativa contabilizzazione nei conti personali, degli alimenti che possono acquistare in più di quelli già distribuiti dall’amministrazione penitenziaria. Sulmona: suicidio; Gallo aveva tentato già di impiccarsi
Il Mattino, 5 marzo 2005
Il suicidio di Nunzio Gallo trova una spiegazione. Al di là delle dichiarazioni ufficiali. Non era la prima volta che il giovane ventottenne di Torre Annunziata, collaboratore di giustizia dal febbraio del 2003, cercava di togliersi la vita nel carcere di Sulmona. Ci aveva già provato la scorsa settimana, come si evincerebbe da più fonti: il fascicolo in possesso del Servizio centrale di protezione; le relazioni trasmesse al pm Giuseppe Amodeo della Dda di Napoli; la cartella sanitaria del carcere. Così, sia l’inchiesta a Sulmona del pm Aura Scarsella che l’indagine amministrativa disposta dal provveditore abruzzese del Dap, Aldo Fabozzi, hanno accertato che Nunzio Gallo non era già riuscito a suicidarsi solo per un errore di calcolo: il cordoncino con cui aveva provato ad impiccarsi era troppo lungo, i piedi toccavano terra impedendo il soffocamento. E gli agenti penitenziari erano riusciti ad intervenire in tempo. Sentito dagli psicologi che lo seguivano e dal direttore del carcere Giacinto Siciliano, il giovane si era giustificato: "Non volevo veramente ammazzarmi. Era solo un gesto dimostrativo, per far ascoltare la mia richiesta". Nunzio Gallo non era un detenuto facile da gestire. Rapinatore già a 15 anni, una famiglia di collaboratori di giustizia, si era aggrappato alla ragazza che aspetta un figlio da lui. Ma la lontananza del carcere di Sulmona, con la difficoltà nei collegamenti da Napoli, rendevano non agevole alla giovane in gravidanza le visite a Nunzio. E lui aveva protestato, chiedendo di tornare in Campania, dopo 4 mesi a Sulmona. Aveva spiegato il direttore del carcere Giacinto Siciliano: "Gallo è stato qui in periodi alterni, negli ultimi due anni. Va e viene". Ma la richiesta di tornare in Campania non era di facile accoglimento al Servizio centrale di protezione, per motivi di sicurezza. Il giovane, però, non sentiva ragioni: chiedeva comprensione. Sabato scorso ne aveva discusso con il direttore e avrebbe dovuto parlare a telefono con la sua ragazza per spiegarle le sue difficoltà. Un colloquio che non deve essergli apparso facile da affrontare: il timore di perdere la sua donna, la sensazione di isolamento e di disperazione lo hanno portato all’estrema decisione. Stavolta in maniera risoluta. Eppure, due giorni fa, il direttore Siciliano aveva parlato di un detenuto "tranquillo, che non dava motivo di preoccupazioni". Invece, Nunzio Gallo aveva cercato più volte di attirare l’attenzione su di sé, anche con piccoli gesti autolesionistici. Nel reparto "collaboratori di giustizia", dove sono rinchiusi altri 14 pentiti, gli agenti lo tenevano d’occhio. Non abbastanza, da impedire che spezzettasse una t-shirt, ricavandone lacci da stringersi attorno al collo. Uccidendosi. Oggi, l’autopsia all’ospedale di Sulmona. Cagliari: 15 volontari passano le domeniche con i detenuti
L’Unione Sarda, 5 marzo 2005
Almeno quindici oltre le sbarre: non sono detenuti né agenti di polizia penitenziaria, ma volontari che ogni domenica bussano al cancello del carcere minorile di Quartucciu. "In due ore di socializzazione incontriamo tanti ragazzi, consapevoli di aver sbagliato, ma anche pronti a recuperare il tempo perduto". Rinunciano a fare le ore piccole il sabato perché tutte le domeniche si ritrovano alle 10 per un appuntamento fisso, dove il ritardo non è ammesso. Del resto non possono mancare perché è impossibile avvisare gli amici che vanno a trovare. Sono i volontari dell’associazione "Oltre le sbarre", una ventina di ragazzi che alternandosi decidono di trascorrere due ore diverse in compagnia dei giovani che scontano una pena all’interno dell’Istituto penitenziario minorile di Quartucciu. Il carcere è un’istituzione totale per definizione, cioè chiusa. Per questo non si può arrivare in ritardo. Le pratiche di sicurezza sono svolte in contemporanea, i cancelli con le grosse sbarre verdi si aprono un’unica volta, e allo stesso modo si richiudono, si entra insieme e si esce insieme alle 12. "L’associazione è stata fondata nel 1996 da don Ettore Cannavera e dall’allora direttore dell’Ipm, Sandro Marilotti - precisa l’attuale presidente, Daniela Puddu -: entrambi avevano una visione "aperta" del carcere. Visione che è tuttora condivisa e portata avanti dall’attuale direttore, Giuseppe Zoccheddu". "Oltre le sbarre", non è un nome con una valenza solo metaforica, perché indica l’idea di giustizia che hanno i volontari, e corrisponde a una realtà cui i minori rei hanno diritto per legge, in determinati casi, affinché ci sia la rieducazione e il reinserimento nella società. "Per questo motivo la sede legale dell’associazione è a Serdiana, presso la Comunità La Collina, gestita da Ettore Cannavera, e che ospita i così detti giovani adulti, cioè i ragazzi dai 18 ai 25 anni, - continua Daniela Puddu ? e cui è offerta la possibilità di reinserirsi sulla strada giusta attraverso misure alternative alla detenzione". Ogni domenica almeno quindici volontari entrano all’Ipm usufruendo delle due ore, che comprendono sia il momento spirituale che l’ora d’aria. Animano la messa, e chiacchierano con i ragazzi. Il loro è un volontariato che non si vede. "In realtà svolgiamo anche altre attività, ma sempre concordate con la direzione - spiega la presidentessa dell’associazione - come festeggiare tutti i compleanni. In settimana siamo disponibili per le ripetizioni, e in generale per attività ricreative, ma se serve accompagnamo i ragazzi a casa per i permessi o in Collina. Capita di organizzare delle cene in cui si offrono cibi della tradizione sarda e della gastronomia di alcuni Paesi di nascita degli ospiti dell’Ipm". A Quartucciu cambiano spesso i flussi etnici e si alternano periodi in cui c’è una prevalenza italiana, ad altri in cui la presenza riguarda i giovani dell’Est europeo o del Magreb. "L’obiettivo principale per cui è stata formata l’associazione era la modifica del clima interno - spiega Daniela Puddu -: obiettivo raggiunto. Possiamo dire senza presunzione, che la presenza periodica di persone non appartenenti alle istituzioni può migliorare le dinamiche tipiche di queste strutture. In questo è fondamentale la collaborazione, sempre riscontrata, degli agenti di polizia penitenziaria". Durante le vacanze e le festività la solitudine si sente di più, e la consapevolezza dell’errore è più pesante. I volontari di "Oltre le sbarre" lo sanno bene, e anche in quei giorni sono presenti, per far trascorrere il tempo un po’ più in fretta. Napoli: volontari e cappellani in "missione" nelle sezioni
Il Mattino, 5 marzo 2005
Fra le esperienze che si svolgono in questi giorni a Scampia una è particolare sia per il luogo sia per il significato. Nel Centro Penitenziario che è sulla strada che costeggia il quartiere si sta vivendo la "missione". Chi scrive e vi partecipa avverte l’importanza di darne notizia anche a coloro che non sono mai entrati in un carcere. La comunità dei volontari, guidata dai cappellani, dal 28 febbraio al 5 marzo è presente in varie sezioni per incontrare i detenuti che liberamente scelgono di riunirsi nel tempo pomeridiano della "socialità" fuori dalle celle, in uno spazio dove possono parlare, ascoltare e pregare insieme. Fin qui nulla di eccezionale rispetto alla proposta religiosa che viene vissuta normalmente da ogni credente. La particolarità è rappresentata dal desiderio di incontrare, in un luogo dove si è privati della libertà, un messaggio che è suggerito come liberante, come una occasione di sperimentare, sulle orme di quanto vissuto dal Cristo Gesù con i suoi discepoli, il "passaggio" da una condizione di schiavitù alla pienezza di una dimensione di gioia e di libertà interiore. Questo era avvenuto nel cenacolo, durante la Pasqua degli ebrei nella cena prima che Gesù venisse arrestato, processato ed ucciso. All’Eucarestia si accompagna il gesto del perdono e della riconciliazione, di quella pace interiore che tutti andiamo cercando e che la forza dello Spirito può rinnovare ogni volta che si vuole cambiare, si vuole liberare il cuore ed il mondo dalle ragioni e dalle esperienze di male. Sul volto di Gennaro, di Toni, di Pino e degli altri c’era attenzione, comprensione e quel desiderio di non rimanere legati al senso di colpa che il proprio vissuto può far sentire, ma anche nella speranza che dall’esterno non permanga il giudizio e la condanna. Cagliari: detenuti sul palcoscenico e guardie in platea…
L’Unione Sarda, 5 marzo 2005
Schiavizzati da un allevatore, gli animali organizzano una rivolta e mettono l’uomo sotto processo. L’asinello diventa presidente della Corte, il bue veste la toga del pubblico ministero, il fido cane da guardia non può che fare l’avvocato difensore e tutti gli altri animali si trasformano in testimoni dell’accusa. Alla fine, l’uomo viene giudicato colpevole dei peggiori crimini, condannato, ma lasciato libero con la promessa di cambiare vita. Il sogno, nemmeno troppo segreto, di chiunque stia scontando una pena. Ricorda un po’ la Fattoria degli Animali, il noto racconto scritto da George Orwell, ma il Processo all’Uomo del cagliaritano Giampaolo Loddo, recitato ieri pomeriggio in lingua sarda dai detenuti della seconda sezione maschile del carcere di Buoncammino, è una commedia esilarante che diverte e regala risate e spunti di riflessione. Un piccolo palcoscenico ricavato nel corridoio stretto del secondo braccio del carcere, circondato da porte blindate celle rimaste vuote per un pomeriggio speciale. Scenografia essenziale: solo qualche decorazione appesa ad una rete di protezione (come quella che usano i trapezisti): evita che qualcuno riesca a togliersi la vita gettandosi dal secondo piano. E ieri in platea c’erano gli altri detenuti della seconda sezione, pochi agenti, il direttore Gianfranco Pala e alcuni magistrati. In prima fila, il presidente del tribunale di sorveglianza Leonardo Bonsignore. Dodici detenuti-attori - alcuni anche condannati a lunghe pene detentive per omicidio ?hanno studiato le parti e provato per quattro mesi con due insegnanti della scuola media Manno (Laura Fadda e Mariolina Serra) e con gli educatori del carcere. A curare la regia lo stesso autore-attore Giampaolo Loddo (tra i protagonisti di Pesi Leggeri e Ballo a tre passi). Spesso citati nelle colonne della cronaca nera, gli attori di questa commedia dialettale hanno recitato un testo ricco di riferimenti alle vicende giudiziarie più comuni, culminato nella parodia agrodolce. Alla fine applausi per tutti gli attori: Marino Pintus (Monserrato), Giampaolo Cocco (Pirri), Vito Zara (Pabillonis), Antonio Atzeni (Nuoro), Luca Agus (Goni), Massimiliano Corda (Cagliari), Alberto Piras (Arzana), Cristiano Puddu (Siurgus), Cristian Busonera (Cagliari), Silvano Murgia (Uras), Stefano Desogus (Siurgus). "È stata un’esperienza positiva", ha commentato il direttore Pala, "ha permesso a molti ragazzi di lavorare assieme e fare qualcosa di nuovo. Abbiamo anche altre iniziative in collaborazione con la scuola e gli educatori". Lo spettacolo sarà replicato tra qualche giorno nell’altro braccio del carcere. Usa: dopo Abu Ghraib nuovi orrori nelle carceri irachene
Ansa, 5 marzo 2005
Nuovo orrore sull’Iraq. Dopo quella di Abu Ghraib, gli Stati Uniti hanno aperto un’altra indagine per un video che mostra torture, percosse e abusi di militari americani su prigionieri iracheni a Ramadi. Lo riferisce il New York Times. Per gli avvocati militari, il filmato mostra solo "comportamenti inappropriati", non vere e proprie azioni "criminali". Roma: storace in visita al carcere di Regina Coeli
Adnkronos, 5 marzo 2005
Un minuto di silenzio per Nicola Calipari e un applauso per la liberazione di Giuliana Sgrena. Padre Vittorio Trani, il cappellano del carcere di Regina Coeli, ha voluto far iniziare così l’incontro tra il governatore del Lazio, Francesco Storace, e i detenuti del penitenziario romano, che per l’occasione si sono esibiti in uno spettacolo musicale dal titolo Pasquino 2. Sofri: "La tv in carcere? Non bisogna giudicarla male"
Tg Com, 5 marzo 2005
Adriano Sofri parla del rapporto con la televisione, ma soprattutto del valore che il piccolo schermo ha dietro le sbarre di una prigione. "Sulla tv in galera bisogna dare un giudizio larghissimamente positivo e non avere un atteggiamento snob - ha detto Sofri -. Le persone in galera chiedono alla tv di simulare un’altra vita". In un’intervista al Grande Talk, programma di Rai educational e Sat 2000, spiega il suo punto di vista. "La tv in carcere è un po’ come il riscaldamento: non si spegne mai. Se uno sente Gerry Scotti e prova a rispondere alle domande del quiz ha l’impressione di esistere anche lui". "La deprecazione della tv come macchina avvilente e mortificante in carcere non va bene - ha affermato Sofri -. I detenuti ammucchiati nelle celle devono decidere ogni giorno come usare il telecomando e gran parte delle insofferenze è dovuta a questioni che riguardano i palinsesti televisivi". Sofri racconta della sua esperienza personale in cella "dove delle persone senza spazio si trovano a dover decidere se guardare ‘Amici’ o una partita di pallacanestro. La tv non è mai spenta: io stesso tengo sempre radio o tv accesi se non altro per attutire i rumori ambientali". Civitavecchia: la polizia penitenziaria scende in piazza
Il Messaggero, 5 marzo 2005
Le guardie carcerarie scendono in piazza. Ieri davanti al carcere di Mammagialla hanno manifestato tutto il loro disagio per le condizioni in cui sono costrette a lavorare. Una protesta partita dal 18 febbraio, appoggiata da tutte le sigle sindacali Ccil, Cisl e Uil e anche dagli Autonomi, ma alla quale non è giunta nessuna risposta. "Stiamo lavorando in situazioni disumane - lamentano i manifestanti in una condizione in cui non è più possibile garantire la sicurezza e l’ordine dell’istituto". Il problema fondamentale è la mancanza di personale. Per garantire il livello minimo di sicurezza le guardie necessarie per il carcere di Viterbo dovrebbero essere 166 per un totale di 600 detenuti, ad oggi il personale in organico è di 111 agenti, quindi ben 55 in meno rispetto al minimo che dovrebbe essere garantito. "Con gli ultimi tagli alla Finanziaria aggiunge un’altra guardia con cartelli in mano è stata eliminata anche la cooperativa che provvedeva alle pulizie, i carcerati devono quindi provvedere da soli a questa mansione, ma le guardie devono supervisionare con un aggravio di lavoro. Per non parlare dei detenuti in regime di 41 bis ricoverati presso gli ospedali, anche lì è stata dimezzata la sorveglianza". "È una protesta commenta Giuseppe Fraticello, segretario provinciale della Funzione pubblica della Cgil che vogliamo far partire da Viterbo per arrivare in sede nazionale. Quello delle carceri è un problema generale che deve essere affrontato al vertice e ci deve essere un coinvolgimento di tutte le parti interessate". A Mammagialla gli agenti si prestano a straordinari su straordinari, non essendoci poi i soldi per pagare queste prestazioni extra, le ore lavorate in più vanno messe in recupero ed ecco che ci si trova con il cane che si morde la coda. I turni si fanno sempre più pressanti anche a scapito di un servizio efficiente. Viene apprezzato l’impegno del direttore del carcere, "ma è rimasto solo e inascoltato e anche lui non sa più cosa fare" commentano i poliziotti. Il consigliere regionale Ds Giuseppe Parroncini è intervenuto sull’argomento: "La Regione può e deve farsi carico di questa situazione, intervenendo presso il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e del ministero di Giustizia, per sollecitare una risposta concreta ai problemi che sono stati denunciati dagli agenti e che sono la conseguenza di una politica di tagli delle risorse e del personale anche in servizi delicati ed essenziali". E in questa situazione non si può fare a meno di fare riferimento ai due suicidi nell’ultimo mese e alla recente tentata evasione. Sulmona: il medico infastidito dalle richieste di chiusura
Il Messaggero, 5 marzo 2005
Si va smorzando il clamore sul suicidio di Nunzio Gallo nel Supercarcere di Sulmona. L’autopsia, prevista per ieri, sembra che verrà eseguita oggi dal dott. Ildo Polidori; il dubitativo è legato alla difficoltà di raggiungere i familiari che, come è noto, sono in località segreta perché sotto protezione. Il dott. Fabio Federico, medico dell’Istituto, è infastidito dalle richieste di chiusura del carcere che sistematicamente fioriscono in queste circostanze. È stato particolarmente caustico quando ha detto che nella struttura sulmonese sono presenti oltre un centinaio di detenuti con pene lunghissime e con grossi problemi psichiatrici, "gente che viene seguita quotidianamente – ha aggiunto - e non certo abbandonata a se stessa in una cella…". Fabio Federico non è stato tenero con quanti definiscono il Supercarcere una struttura al limite della legalità. "Non c’è un serial killer nel carcere di Via Lamaccio – ha detto – non c’è un criminale, ci sono solo tante persone che si occupano di quanti stanno pagando il loro debito con la Giustizia". Per quanto riguarda il suicidio prende sempre più consistenza l’ipotesi che facevamo ieri di un tentativo, finito in tragedia, di sostenere una richiesta fatta da Nunzio Gallo che tardava ad essere soddisfatta. Agrigento: dibattito sulle misure alternative al carcere
Agrigento, 5 marzo 2005
Nell’ambito del programma di interventi nella comunità, il Centro 3P (Padre Pino Pugliesi) - Osservatorio sociale cittadino di Licata, presieduto dal comboniano Gaspare Di Vincenzo (nella foto), ha organizzato un convegno sul tema "Volontariato e misure alternative al carcere nei percorsi di rieducazione". L’appuntamento, fissato per giovedì prossimo, alle 16,30, nella sala convegni del convento del Carmine, è stato indetto in collaborazione con il ministero della Giustizia - Dipartimento amministrazione penitenziaria e Centro servizio sociale adulti di Agrigento; con la Curia arcivescovile - Caritas diocesana di Agrigento e con il Comune di Licata. I lavori saranno aperti dai saluti del presidente del Centro 3 P, del sindaco di Licata, Angelo Biondi, e di don Giuseppe Sciandone, vicario foraneo. Quindi, seguiranno le relazioni ufficiali affidate a Rosanna La Rosa, Giudice di Sorveglianza del Tribunale di Agrigento, Marina Altavilla, direttrice della Cssa di Agrigento, Carmelo Piparo, responsabile del Sert di Licata, Mariella Lo Bello, della segreteria Cgil di Agrigento, don Vito Scilabra, direttore della Caritas diocesana, e Roberto Di Cara, coordinatore del progetto "Spezzare le catene" del Centro 3P. Ai lavori, che saranno coordinati da Antonino Ancona, interverranno anche il prefetto di Agrigento Bruno Pezzato, il questore, Nicola Zito; il presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati Giuseppe Grillo, il coordinatore del Distretto sanitario di Licata Giovanni Peritore, il dirigente dei Servizi sociali del Comune, Francesca Santamaria e lo psicoterapeuta Calogero Lo Piccolo. Chiaro lo scopo del convengo che attraverso le varie relazioni ed interventi mira ad individuare le forme migliori ed i percorsi necessari per favorire la rieducazione ed il reinserimento di coloro i quali sono chiamati a scontare qualche debito con la giustizia e con la società che li circonda. "La giustizia riparativa - scrive in una nota il ministero della Giustizia - può essere definita come un modello di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzione agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo. Uno strumento che va ad affinarsi e a rafforzare l’esecuzione penale esterna. La sfida è quella di cercare di sperare la logica del castigo muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come un conflitto che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise". Giustizia: oltre 56 mila i detenuti in Italia, 95.3% uomini
Ansa, 5 marzo 2005
Le carceri italiane ospitano 56.532 detenuti, il 95,3% sono uomini. La regione d’Italia che ha il maggior numero di carcerati è la Lombardia, seguita dalla Campania, dal Lazio e dalla Sicilia, quella che ha meno detenuti è la Valle D’Aosta. Sono le cifre emerse dal convegno organizzato a Genova, dalla Fondazione Auxilium, dalla Caritas di Genova e dalla Commissione diocesana giustizia e pace. Nel 2003, 8.179 minori sono entrati in un istituto di pena. La maggior parte, a Roma e Milano. I detenuti delle carceri liguri sfiorano i 1.500, il 93,8% dei quali uomini. La Liguria è la tredicesima regione italiana per numero di carcerati: la maggior parte dei reclusi ha un’età compresa tra i 25 e i 39 anni. Per quanto riguarda la Liguria, il carcere di Genova Marassi ospita 722 detenuti (contro una capienza di 459), quello della Spezia 201 (centro una capienza di 186) e quello di Sanremo 275 persone (contro una capienza di 209). Gli altri detenuti si trovano a Chiavari (72), Imperia (64) e Savona (38). Nel carcere femminile di Genova Pontedecimo si trovano 91 detenute.
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