Rassegna stampa 31 maggio

 

Palermo: Pagliarelli, notti da incubo nel braccio dei pentiti

 

Panorama, 31 maggio 2005

 

Dopo i colloqui facili dei boss soggetti al 41 bis, nel mirino dei magistrati finiscono 11 agenti del carcere. L’accusa: minacce e lesioni. Contro gli ex collaboratori. "Un giorno, in piena notte, tre agenti sono entrati nella mia cella mentre ero sdraiato sulla branda. Hanno cominciato a picchiarmi con calci e pugni. Nel lato destro della fronte porto ancora la cicatrice di un calcio. Mi dicevano: "Infame, sbirro, perché non ti fai i cazzi tuoi?". Vito Truglio, mafioso di Castelvetrano, in provincia di Trapani, si copre il volto con le mani: è il 28 febbraio 2003, da un’ora è nella sala magistrati del carcere di Termini Imerese, dove è rinchiuso. Prosegue il racconto: "Ho perso conoscenza e mi sono svegliato la mattina successiva, sdraiato sul pavimento. Non avevo nemmeno la forza di alzarmi, ma ho sentito un agente chiedere a un altro: "Ma non era morto?". Quello ha risposto: "A me sembrava di sì, altrimenti un altro calcio gliel’avrei dato".

La storia di Truglio, condannato per associazione mafiosa, si riferisce ai mesi passati nel reparto Eolo del carcere Pagliarelli di Palermo. È uno degli 11 detenuti che, secondo i pm Nino Di Matteo e Fabrizio Vanorio, avrebbe subito insulti e violenze fisiche da parte di nove agenti del Gom, il reparto di polizia penitenziaria in servizio all’Eolo. Martedì il gup ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio. Il processo comincerà a ottobre.

Gli agenti sono accusati di abuso di potere, omissioni e offese. I due magistrati nell’ordinanza parlano di un "regime carcerario arbitrario": "percosse", "minacce di morte o di lesioni fisiche", "ingiurie", "privazioni e misure di rigore non previste dal regime penitenziario". Un inferno. Il Pagliarelli è di nuovo nella bufera dopo il caso dei colloqui facili: i boss passavano informazioni ai loro familiari per comandare i clan dal carcere. Uno scandalo che ha convinto il Dipartimento di amministrazione penitenziaria ad aprire un’inchiesta.

Adesso è sotto accusa l’Eolo, il settore che ospita soprattutto nuovi e vecchi collaboratori di giustizia. Le loro accuse sono state raccolte dagli uomini del comando provinciale dei carabinieri di Palermo, guidati dal colonnello Gianmarco Sottili. Racconti di violenza, verbali sconvolgenti e mai pubblicati. Come quello di Truglio. Quando decidono di trasferirlo, ricorda il carcerato, a prelevarlo arrivò uno dei presunti autori del raid: "Mi disse che, se avessi riferito a qualcuno delle violenze subite quella notte, avrebbe fatto uccidere mia moglie e io avrei fatto una brutta fine in qualsiasi carcere".

Il detenuto Ivan Quinto viene interrogato il 28 novembre 2002. È stato un collaboratore di giustizia dal 1993 al 1998. Nell’autunno 2000 arriva al Pagliarelli, per due mesi. "Sono stato percosso almeno un paio di volte con pugni e calci allo stomaco. Gli agenti stavano attenti solo a non colpirmi al viso. Avevo una sigla: Ec34. Mi chiamavano quasi sempre così. Anche sulla cella c’era scritto Ec34. La cosa mi sconvolse: non mi era mai successo".

In effetti, l’uso della sigla per riferirsi a un carcerato è vietato dall’articolo 1 dell’ordinamento penitenziario. All’Eolo, invece, era la regola, hanno detto tutti gli interrogati. Lo ha confermato il comandante dei Gom del Pagliarelli, anche lui indagato.

Quinto racconta la prima aggressione: "Ero stato chiamato da un agente perché avevo un processo a Matera. Nel magazzino mi avevano detto che dovevo usare gli zaini dell’amministrazione, mentre io volevo viaggiare con i miei bagagli. Era nata una discussione: mi avevano fatto spogliare ed ero stato picchiato da un agente leccese, da altri due che non ricordo e da un napoletano armato di un bastone che minacciava di infilarmi nell’ano". Aggiunge: "Avevo minacciato di denunciarli. Loro, allora, mi avevano picchiato più forte".

Afferma di essere stato aggredito un’altra volta: "Sono stato schiaffeggiato da un agente napoletano davanti alla mia cella". Quinto allora aveva perso la calma. Aveva insultato gli agenti e rotto un termosifone. "Mi hanno portato fuori dal magazzino. Sono stato denudato, malmenato e poi rinchiuso in un’altra cella". Quinto dice di aver protestato con la direttrice per i pestaggi: "Lei mi ha intimato di non dire più queste assurdità, altrimenti mi avrebbe denunciato per calunnia. La dottoressa diceva che in un reparto per collaboratori non poteva accadere che i detenuti venissero picchiati". L’11 luglio 2000 all’Eolo arriva un detenuto importante. Si chiama Calogero Pulci, è un vero uomo d’onore, ex autista e consigliori di un fedelissimo di Giuseppe "Piddu" Madonia, boss di Caltanissetta. In carcere Pulci comincia a collaborare: le sue dichiarazioni contribuiscono a sviluppare diverse indagini di mafia.

Pulci riferisce di insulti e angherie. Fino a quando, esasperato, tenta il suicidio: "Non mi facevano comprare nulla, non mi consentivano nemmeno di parlare dalla finestra. Ero in isolamento senza nessun provvedimento che lo giustificasse". Decide di farla finita. È la sera del 16 novembre 2000: gli agenti sono appena passati per la conta. Sale su uno sgabello, prende la cintura dell’accappatoio: ne lega un’estremità a una finestra, l’altra la stringe attorno al collo. Sta per lanciarsi ma alcuni agenti sentono il tonfo dello sgabello. Riescono a salvarlo. Nonostante questo, Pulci riferisce di altre offese: "Infame, ammàzzati!", "Ma perché non ti uccidi?".

La colpa di Natale D’Ambrosio sarebbe stata invece quella di aver tirato una briciola di pane a un agente. "Sono stato condotto in un magazzino da cinque uomini della polizia penitenziaria: a picchiare era uno solo. Gli altri guardavano senza dire nulla". Altri detenuti hanno raccontato di perquisizioni arbitrarie, privazioni di alimenti ed effetti personali, limitazioni all’uso dei servizi igienici. Di minacce: "Sei nel braccio della morte", "ti faccio scoppiare", "ti strangolo con il tuo intestino".

Tutte accuse che gli agenti, alcuni ancora in servizio al Pagliarelli, negano con decisione. Ai magistrati hanno ripetuto di essere vittime di un complotto. Di aver sempre trattato bene ogni carcerato. Ma molti detenuti dell’Eolo raccontano storie simili. Solo un paio di loro hanno difeso gli uomini del Gom, parlando di una manovra orchestrata per ottenere benefici. Tesi sostenuta soprattutto da Gianni Melluso, il pentito che accusò ingiustamente Enzo Tortora. Ma è una teoria che non convince gli investigatori: molti degli accusatori sono liberi o quasi, si chiedono, quali vantaggi potrebbero avere? Nel processo che comincerà a ottobre bisognerà chiarire anche questo. Al carcerato Vincenzo Cavallaro, del resto, un agente siciliano continuava a domandare: "Come va con i magistrati?" Aggiungendo: "Ci vediamo in tribunale".

 

Gom: un reparto d’élite spesso sotto accusa

 

Il Gom (Gruppo operativo mobile) della polizia penitenziaria è nato nel 1997 e dipende dal Dipartimento di amministrazione penitenziaria. Tra agenti e funzionari ci lavorano circa 700 persone. I compiti del Gom: custodia di detenuti di spicco della criminalità organizzata (specie quelli soggetti al 41 bis); trasferimenti di collaboratori di giustizia o di detenuti pericolosi; assicurare l’ordine nelle carceri e durante i grandi processi.

Il Gruppo operativo mobile è stato spesso al centro di polemiche. Nell’aprile 2000 decine di agenti furono accusati (nove di questi sono stati condannati in primo grado) di pestaggi contro i detenuti nel carcere di San Sabastiano a Sassari. Gli uomini del Gom sono accusati anche di violenze nella caserma di Bolzaneto, durante il G8 di Genova. Il 12 ottobre prossimo comincerà il processo per 15 fra dirigenti e agenti per reati tra cui abuso d’ufficio e violenza privata.

Intervista a don Luigi Ciotti: l’Associazione "Libera" compie 10 anni

 

Famiglia Cristiana, 31 maggio 2005

 

Grazie anche alla coraggiosa azione del sacerdote, è stato possibile confiscare quasi 5.000 immobili, molti dei quali sono Roma. Ma la criminalità organizzata è ancora forte.

Togliere beni, terreni, case, soldi alla criminalità organizzata e alle varie mafie che inquinano la vita degli italiani. Poi far restituire il maltolto allo Stato, alle associazioni, ai cittadini. È stata la grande scommessa di Libera, l’associazione fondata nel 1995 da don Luigi Ciotti. Con una raccolta di firme (oltre un milione), Libera è stata promotrice della legge 109 del 1996, che regola il riutilizzo a fini di sviluppo economico e sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali.

Fino a oggi, i beni immobili confiscati sono quasi 5.000. Di questi, ne sono già stati destinati alla collettività circa 2.500. I procedimenti di assegnazione spesso sono lenti e complicati. Ci sono ipoteche, contratti di affitto e altri ostacoli. "Almeno nel 10 per cento dei casi di confisca si tratta di beni ipotecati oppure occupati legalmente", spiega Carlo Pappagallo, vice capo di Gabinetto del sindaco di Roma, Veltroni.

Per superare queste difficoltà e snellire le procedure si sta discutendo alla Commissione giustizia della Camera un disegno di legge delega governativo per riordinare tutta la materia.

Ma, nonostante i problemi, i risultati sono tangibili. La Coop distribuisce nei propri supermercati i prodotti dei terreni sottratti alle mafie, dove oggi lavorano decine di giovani in cooperative sociali. Sono pasta, olio, vino, legumi, passate di pomodoro, marmellate, messi in vendita con il marchio di "qualità nella legalità"-Libera Terra. Le confische vengono fatte non solo al Sud (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia), ma ovunque le mafie hanno investito i loro denari. Dopo le regioni meridionali, quelle in cui si fanno più confische sono la Lombardia e il Lazio. Qui funziona meglio la collaborazione tra Regione, Demanio, Prefettura, Comuni e Magistratura per l’assegnazione dei beni confiscati. I risultati si vedono.

Da poche settimane la sede nazionale di Libera a Roma ha traslocato in via Quattro Novembre 98, tra piazza Venezia e il Quirinale, dove occupa uno stabile di sei piani confiscato al boss Michele Zaza. Sempre a Roma, il 21 aprile, è stata inaugurata in via di Porta Ardeatina la Casa del jazz, uno spazio con auditorium, sale di registrazione, biblioteca e archivio di audiovisivi, ospitati in un’elegante villa costruita tra gli anni Trenta e Quaranta, confiscata a Enrico Nicoletti, tesoriere della "banda della Magliana". Qui è esposta anche una lunga lapide con i 639 nomi delle vittime della mafia. Dal 2002, nel quartiere Prati, opera la Casa del volontariato, uno spazio di 250 metri quadri dove c’era un bisca clandestina. Il Comune di Roma l’ha acquisito e ha vinto la scommessa decisiva. Quella di credere nella forza della legalità.

Quest’anno, a settembre, don Luigi Ciotti compirà sessant’anni. Da quando nel 1972 fu ordinato prete dal cardinale Michele Pellegrino, questo sacerdote bellunese cresciuto a Torino non si è mai fermato. Dopo aver dato vita al Gruppo Abele, che sostiene le persone in difficoltà, nel 1995 don Ciotti ha fondato Libera, di cui è presidente.

 

Don Luigi, in un articolo sulla rivista Narcomafie, per il decennale di Libera, lei ha scritto che vi sentite "più stanchi e preoccupati, ma non meno determinati". Perché?

"Perché le mafie sono ancora tra noi. Hanno nuove strategie, nuovi affari, nuovi mercati. C’è un forte ritorno dell’usura e delle estorsioni, c’è una capacità di penetrazione nelle "grandi opere", come gli appalti per il ponte sullo Stretto di Messina. Si dice che negli ultimi 10 anni la mafia è stata silenziosa, ma qualcuno mi deve spiegare perché in questi stessi 10 anni abbiamo avuto 2.270 vittime, tra le quali 37 giovani e bambini. Cosa nostra non ha fatto azioni eclatanti, ma la camorra, la ‘ndrangheta e la Sacra corona unita hanno continuato ad ammazzare".

 

Ma in questi anni c’è stata anche una reazione decisa da parte dello Stato e della società civile nei confronti delle mafie che infestano il nostro Paese. Non si è fatto abbastanza?

"La magistratura e le forze dell’ordine hanno fatto un lavoro straordinario. Mi piace sottolineare che la confisca dei beni ai mafiosi e la loro distribuzione alla comunità hanno dato frutti soprattutto lì dove abbiamo incontrato bravi prefetti. Manifestazioni, cortei e fiaccolate ne abbiamo fatti tanti. Sono un segno importante, però c’è bisogno di una continuità, una coerenza e una credibilità di azione tutti i giorni nei nostri territori. Perciò dico: facciamo qualche convegno in meno e lavoriamo di più in mezzo alla gente. Bisogna avere coerenza tra il dire e il fare".

 

Qual è la difficoltà maggiore per chi vuole impegnarsi contro le mafie?

"La cosa più difficile è affrontare l’acqua dentro la quale nuota il pesce, cioè il mafioso. Paradossalmente potrei dire: chi se ne frega della mafia e dei mafiosi! Abbiamo visto che, se vuole, lo Stato li può trovare, arrestare, mettere in carcere. Il problema, ciò che mi fa paura, è la cultura mafiosa, la "mafiosità", il bacino d’acqua nel quale il pesce nuota. Noi dobbiamo svuotare questo bacino che è fatto di segmenti di politici, piccoli pezzi di istituzioni, alcuni imprenditori, di salotti bene che si mettono a discutere, ma poi non incidono".

 

E come si svuota questo bacino?

"Bisogna lavorare molto nelle scuole, con i giovani, nelle parrocchie, perché ci sia un cambiamento culturale, perché lo Stato dia come diritto ciò che la mafia dà come favore".

 

Che cosa prova quando vengono restituiti alla comunità o alle istituzioni dei beni appartenuti alla criminalità?

"Provo una grande gioia. Mi sembra un gesto concreto di giustizia. I mafiosi temono la confisca dei beni. La temono perché sottrae loro patrimoni, potere, immagine. Per i boss è come un enorme schiaffo vedere dei giovani che lavorano onestamente nelle loro terre. So che il grano, l’olio, le lenticchie coltivati sui terreni della mafia sono ancora piccole cose, ma sono il grande segno di un cambiamento in atto. Dieci anni fa tutto questo non c’era".

 

La Chiesa che ruolo ha in questo impegno? Fa abbastanza?

"Ci sono delle belle espressioni di Chiesa che sono cresciute negli anni. Ho trovato tanti bravi confratelli con i quali ho condiviso fatiche e speranze. Ne ho trovati anche molti soli, perciò abbiamo cominciato, con discrezione, a condividere la preghiera e la riflessione. Per l’impegno della Chiesa contro la mafia resta di esempio la voce chiara, forte, autorevole di Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993. Quelle parole misero in crisi alcuni personaggi, che infatti reagirono con gli attentati alle chiese di Roma e le uccisioni di don Diana e don Puglisi. Io credo sia sempre utile il lavoro silenzioso, ma a volte serve alzare il tono della voce. Ricordiamo che non si uccide solo con le armi, ma anche col silenzio, il non dire le cose, la rassegnazione, la delega... A volte bisogna parlare di più, con più forza. Il Papa fu un esempio davvero coraggioso".

 

Don Luigi, faccia un sogno: come sarà Libera tra dieci anni?

"Ma il mio sogno è che Libera sparisca! Spero che un giorno il problema che oggi ci fa stare insieme venga spazzato via definitivamente. Sogno che l’Italia sia liberata da questa anomalia che noi chiamiamo mafie".

L’Aquila: detenuto in 41 bis ha un figlio con l’inseminazione

 

Corriere della Sera, 31 maggio 2005

 

Dalla sua compagna aveva avuto un figlio con l’inseminazione artificiale mentre lui si trovava - e si trova tuttora - in carcere per scontare una condanna per reati di mafia e omicidio. E il bimbo, che adesso ha due anni, ha potuto oggi assistere al suo matrimonio, celebrato con rito civile in una stanzetta attigua a quella riservata ai colloqui.

Protagonista di queste insolite nozze dietro le sbarre è un 45enne detenuto nel supercarcere Le Costarelle dell’Aquila in regime di 41 bis, il regime penitenziario duro riservato ai mafiosi. Dopo sei rifiuti, l’uomo era riuscito tre anni fa ad ottenere dal ministero della Giustizia l’autorizzazione ad avere un figlio con le tecniche di procreazione assistita, unica possibilità di procreare visto che il regime carcerario speciale gli impediva qualunque contatto con l’esterno. E il tentativo aveva avuto successo. L’avvocato del detenuto, Alessia Bonanno, che già si era occupata dalle procedure per l’inseminazione, aveva chiesto già un anno fa il nulla osta per la celebrazione. Ma il via libera del Guardasigilli è arrivato solo recentemente. Oltre al figlio erano presenti due testimoni e un impiegato dell’anagrafe del Comune di L’Aquila. Al matrimonio non hanno però potuto partecipare i genitori dello sposo, ai quali è stato consentito di salutare il figlio solo alla fine del rito ma tramite videocitofono. È invece stata data ai due sposi la possibilità di arredare con fiori la stanza della cerimonia e di scattare delle foto. È stato quello l’ultimo momento di contatto tra i due freschi coniugi costretti a trascorrere la loro prima notte, e tutte quelle che verranno fino al momento della scarcerazione prevista per il 2016, lontani: lui in cella a L’Aquila, lei nella casa siciliana.

Empoli: "Scendi in piazza", mercatino e testimonianze dal carcere

 

Comunicato stampa, 31 maggio 2005

 

Ospiti della giornata le ragazze della custodia attenuata femminile di Empoli ed alcune ex detenute. E sarà una festa anche quest’anno. La sesta edizione della manifestazione organizzata dalla società San Vincenzo de’ Paoli con il patrocinio del Comune di Impruneta, le associazioni del territorio, a Tavarnuzze, Scendi in piazza, in programma dal 1 al 12 giugno, ospiterà nella giornata di sabato 4 giugno, alcune ospiti della Casa Circondariale femminile a custodia attenuata di Empoli e nell’occasione, anche alcune ex detenute. L’argomento portante di questa sesta edizione di "Scendi in piazza è la famiglia". Si comincia al mattino, alle 10 con il mercatino delle associazioni, alle 16 testimonianze dal carcere su Carcere e famiglia. Saranno presenti anche operatori di varie esperienze di istituti penitenziari. A seguire, un rinfresco per concludere la festa e stare insieme.

Nella scorsa edizione, il tema trattato riguardava il reinserimento sociale.

Le ragazze del "Pozzale" avranno un’estate molto impegnativa. Questo è un primo appuntamento. A partire da mercoledì 22 giugno 2005, la custodia attenuata di Empoli, apre i cancelli del suo giardino al pubblico esterno. Si susseguiranno una serie di eventi musicali, teatro, confronto, giochi, sport. Due appuntamenti al mese, fino a settembre. Un progetto nato per rimettere al centro dell’attenzione della cittadinanza empolese questa realtà che riguarda tutti da vicino.

Catania: "Spenti nel nulla", ecco le poesie dei detenuti

 

La Sicilia, 31 maggio 2005

 

Nel suggestivo salone delle conferenze del Convitto Cutelli ha avuto luogo una affollatissima manifestazione letterario-culturale organizzata dall’Istituto Alberghiero di Catania per presentare il volume di poesie, Spenti nel nulla, composte dai detenuti delle carceri di Piazza Lanza e di Bicocca con la consulenza e supervisione del prof. Carmelo Salomone ed edito da Alethéia Antonello Longo Editore. Il preside dell’Alberghiero, prof. Lorenzo Zingale, ha rimarcato che questo volume è il risultato di un progetto voluto nell’ambito dell’offerta formativa del nostro Centro Territoriale Permanente per l’Educazione degli Adulti con l’impegno dei docenti della sezione di scuola carceraria di piazza Lanza, ed in particolare il prof. Salomone, "perché - ha aggiunto - abbiamo creduto di dover dare voce a chi, trovandosi in condizione di restrizione, non ha la possibilità di far sentire all’esterno i palpiti, la rabbia, l’anima, le emozioni del proprio vissuto".

Una riflessione del preside Antonio Marchese ha messo in evidenza l’umanità varia e complessa che anima gli scritti dei detenuti, i quali attraverso la poesia riescono a rivelare il fondo del loro cuore e della loro anima. L’avvocato Anna Ruggieri ha sottolineato "i motivi più ricorrenti nelle composizioni dei detenuti: il tempo, perché quello presente non passa mai e quello passato si rimpiange; la genitorialità, perché spesso si invoca la mamma e si pensa in maniera struggente ai figli. E ciascuno di questi insoliti poeti appare disperatamente solo nella sofferenza".

Gli interventi sono stati intervallati dalla lettura commossa di alcuni tra i testi più testi significativi proposti con intensa partecipazione dal curatore del volume prof. Salomone. La manifestazione si è conclusa con un buffet che i ragazzi dell’Alberghiero hanno avuto il piacere di offrire agli intervenuti in nome e per conto dei "detenuti-alunni" degli istituti penitenziari.

Taranto: semilibertà a ex sindaco condannato per mafia

 

Ansa, 31 maggio 2005

 

Il giudice di sorveglianza di Taranto, ha concesso la semilibertà all’ex sindaco ed ex deputato tarantino Giancarlo Cito. Stava scontando in carcere una condanna definitiva a quattro anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Cito uscirà in mattinata dalla casa circondariale di Taranto. Durante il giorno potrà lavorare nella sua emittente televisiva, Antenna Taranto 6, ora diventata Tbm, e dovrà tornare la sera in carcere per dormire.

Cagliari: segano un albero, condannanti a sei mesi di carcere

 

L’Unione Sarda, 31 maggio 2005

 

Quando la pattuglia dei vigili urbani li ha pizzicati con la motosega in funzione, si stavano accingendo a tagliare uno dei tanti eucalipti che crescono alla fine di via Dalmazia, verso l’uscita della città. Si preparavano a "far legna" anche se nei terreni e con gli alberi che, formalmente, appartengono alla ex Mineraria carbonifera sarda, la società nata per gestire le miniere e che detiene ancora una fetta consistente delle terre intorno a Carbonia.

Rinviati a giudizio per tentato furto e per aver provato a impossessarsi di legname senza autorizzazione, due operai di Carbonia, Massimiliano Pruna di 35 anni e Andrea Lugas di 37, sono stati ieri condannati in contumacia a sei mesi di reclusione e 154 euro di ammenda dal giudice del Tribunale monocratico Mariano Arca. I due operai non potranno usufruire della sospensione della pena. Erano recidivi, quindi niente condizionale.

Se non presenteranno appello oppure il loro legale non chiederà una pena alternativa alla detenzione, Pruna e Lugas rischiano seriamente di trascorrere sei mesi a Buoncammino non appena la sentenza passerà in giudicato. A scoprire i due operai verso le 10 del mattino del 6 marzo 2003 era stata una pattuglia della Polizia municipale nell’abituale giro di perlustrazione alla periferia delle città. Di fronte al giudice hanno dichiarato di aver visto gli imputati, armati di roncole e motosega, intenti non solo a raccogliere legna ma anche a recidere un eucalipto.

Dopo averli fermati, gli agenti hanno chiesto di poter vedere le autorizzazioni. Ne erano sprovvisti. A nulla è valso il tentativo di giustificarsi asserendo di non sapere di trovarsi in terreni privati. È stata la tesi proposta dall’avvocato Pietro Paolo Pitzalis. Il giudice ha invece accolto la richiesta di condanna del pm. Richiesta che, in origine, era addirittura più severa: il pubblico ministero aveva sollecitato un anno per entrambi. (a.s.)

Roma: l’arte di arrangiarsi della cucina "galeotta"...

 

Redattore Sociale, 31 maggio 2005

 

Doppia iniziativa alla Casa di reclusione di Rebibbia: una gara di cucina internazionale tra squadre di detenuti (organizzate per regioni di provenienza) e la presentazione del libro "Ricette d’evasione. L’arte di cucinare dietro le sbarre", scritto da una classe di detenuti con le ricette "galeotte".

Cucinare in un carcere non è facile. Mancano i mezzi e spesso anche gli ingredienti. Ma il cibo è per molti un modo per mantenere un legame forte con il fuori, con il proprio passato e con il proprio futuro di uomini liberi. Per questo, nonostante le limitazioni, difficilmente si rinuncia alle pietanze di casa, ingegnandosi a trovare il modo per aggirare gli ostacoli.

Ecco qualche trucco della cucina galeotta. "Per fare un forno avendo a disposizione solo dei fornelletti camping gas, si rovescia uno sgabello, di quelli in dotazione in ogni cella, si mette al centro il fornelletto con sopra il tegame e lo si copre con una coperta o un lenzuolo. Ed ancora: per fare la ricotta, si fa bollire del latte intero con dentro del limone tagliato a fette, un po’ di aceto e di sale; per fare una grattugia, si prende una scatola vuota di latta, come quella del tonno, e si fanno dei buchi con una punta e con questa si grattugia il pane o il formaggio; per tagliare gli ingredienti senza coltelli, se non quelli di plastica, si usa il coperchio di un barattolo di latta; quando mancano le uova crude (in alcune carceri non sono autorizzate) si prendono quelle sode (magari passate dalla cucina detenuti) e si scioglie il rosso in un po’ di latte tiepido.

Ma veniamo ai due appuntamenti. La gara internazionale e regionale di cucina, denominata "incontro tra i popoli", si svolgerà con squadre di detenuti che prepareranno i piatti tipici delle aree di provenienza. Nella giuria vi saranno esperti enogastronomici e noti chef.

Si tratta di una gara di cucina per favorire l’incontro tra diversità e per tenere vivo il legame con il fuori, con il proprio passato e il proprio futuro. "Incontro tra i popoli" è giunta ormai alla sua quinta edizione, ed è un modo per favorire la conoscenza e lo scambio tra culture, attraverso un elemento determinante come il cibo, in un contesto difficile come quello del carcere. Nell’ambito dell’iniziativa, promossa dall’Associazione Vic-Volontari in carcere insieme al Cidsi (Circolo Informazione Detenuti Stranieri in Italia), in collaborazione con la Direzione dell’Istituto, la casa editrice Cucina&Vini e l’associazione dei JRE, Jeunes Restaurateurs d’Europe (Giovani Ristoratori d’Europa), sarà presentato il libro "Ricette d’evasione. L’arte di cucinare dietro le sbarre", di Cucina&Vini Editrice.

Si tratta di un libro frutto del lavoro di un anno della classe per adulti (le cosiddette 150 ore) della Casa di Reclusione Rebibbia: un viaggio attraverso l’arte dell’arrangiarsi applicata alla cucina e i ricordi della vita libera che vagano attraverso i sapori. Testimonial della manifestazione sarà: l’attore bolognese Vito. La presentazione del libro avverrà mercoledì 8 giugno (ore 10) presso la Casa di reclusione Rebibbia. Alla giornata prenderanno parte varie autorità dell’amministrazione comunale capitolina, provinciale e regionale.

Amnesty International: la mappa dei diritti violati nel mondo

 

Peace Reporter, 31 maggio 2005

 

Dalle guerre urlate a quelle dimenticate, dalla tortura alle violenze sulle donne: anche il 2004 porta i segni di continue violazioni dei diritti umani. In questo tutti i continenti si assomigliano: dalla catastrofe umanitaria nel Darfur sottovalutata dalla comunità internazionale, all’instabilità e all’assenza di legge in Afghanistan; dagli abusi e gli stupri in Cecenia fino alla repressione religiosa e di opinione in Cina, paese record per le esecuzioni capitali. È quanto emerge dal rapporto annuale di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani in 194 paesi, presentato in contemporanea in diverse capitali.

Sudan: paese martoriato da decenni di guerra civile, nonostante la presenza massiccia di forze dell’Onu e dell’Unione africana (Ua) sul campo e il continuo invio di aiuti umanitari, vive in particolare nel Darfur una catastrofe umanitaria.

Repubblica Democratica del Congo (Rdc) e Uganda: i governi hanno deferito alla Corte penale internazionale (Icc) i crimini di guerra e contro l’umanità commessi nei conflitti armati. Tuttavia, l’Icc può indagare e perseguire solo un numero limitato di casi.

Nigeria: le donne continuano a essere vittime di violenze e discriminazioni anche in seno alla famiglia e alla comunità per via di una serie di leggi discriminatorie. Si moltiplicano stupri e altre violenze a sfondo sessuale, aggravati dalla totale mancanza di assistenza medica.

Stati Uniti: in nome della "guerra al terrorismo" sono state commesse torture, detenzioni arbitrarie e uccisioni illegali come nella base americana di Guantanamo a Cuba. Additata come principale responsabile l’amministrazione Bush, accusata di ambivalenza nei confronti di numerose istituzioni e di aver spinto i governi a schierare forze militari nella lotta al crimine e ai disordini sociali, minacciando di tagliare gli aiuti allo sviluppo. Prosegue, contro gli standard internazionali, la pratica della pena di morte applicata anche a minorenni al momento del reato.

Colombia: le donne restano il principale obiettivo nei conflitti, e le violenze su di loro sono usate per spargere il terrore, per vendicarsi di nemici e per accumulare "trofei di guerra". Secondo un rapporto dell’Onu le violenze hanno raggiunto livelli altissimi, piazzando l’America Latina al primo posto col 70 per cento dei crimini a sfondo sessuale.

Messico e Brasile: il disagio sociale e la facile disponibilità di armi hanno contribuito ad aumentare il tasso di criminalità, per combattere il quale i governi hanno emanato leggi che in alcuni casi hanno violato le garanzie costituzionali e i diritti umani.

Cina: resta il paese asiatico col più alto numero di esecuzioni capitali. La legislazione di sicurezza in vigore ha soffocato la libertà d’espressione tramite manipolazione dei mezzi di comunicazione, detenzioni arbitrarie e processi iniqui nei confronti di pacifisti, giornalisti, avvocati accusati di sovversione.

India: violazioni dei diritti umani accresciute dalla povertà permangono nelle zone interessate dal conflitto col Pakistan.

Afghanistan, Pakistan: in Afghanistan e in Pakistan centinaia di presunti simpatizzanti di al Qaida sono stati trattenuti arbitrariamente.

Indonesia, Thailandia, Sri Lanka, Nepal: i conflitti armati hanno fornito il pretesto per abusi di diritti politici e civili da parte delle forze armate, uccisioni indiscriminate e sparizioni.

Europa e Asia centrale Razzismo e discriminazione si sono manifestati in molte forme in tutta l’Europa sia nei confronti dei rom che delle popolazioni musulmane. Casi di intolleranza e mancata assistenza verso i primi sono emersi in Bulgaria, Romania, Slovacchia e Repubblica Ceca. In Uzbekistan, cittadini musulmani hanno subito detenzioni arbitrarie per terrorismo dopo processi iniqui.

Russia - Cecenia: mentre è ancora forte l’eco della tragedia nella scuola di Beslan compiuta dai ribelli ceceni, le forze russe sono accusate di gravi lesioni ai diritti dei ceceni nella "pressoché totale impunità".

Iraq: dall’inizio del conflitto centinaia di migliaia di civili sono stati uccisi dalle forze guidate dagli Usa e da gruppi armati. Questi ultimi spesso li hanno presi in ostaggio a scopo politico o di estorsione.

Territori occupati e Israele: nell’ultimo anno del lungo conflitto le vittime palestinesi sono state 700 - di cui 150 bambini - e 109 quelle israeliane. Nonostante la sentenza contraria della Corte Internazionale di Giustizia, Israele ha continuato la costruzione di un muro lungo 600 km che accerchia e isola città e villaggi palestinesi.

Iran, Libia, Siria: è stato registrato scarso rispetto per le norme internazionali sui diritti umani (come anche in Tunisia, Algeria, Yemen) con arresti, torture e maltrattamenti. La Lega Araba, inoltre, ha adottato una revisione della Carta Araba dei diritti umani, che prevede esecuzioni capitali anche per i minorenni.

Qualcosa si muove? Amnesty non manca di sottolineare alcuni aspetti positivi, pronunciamenti da parte dei massimi esponenti giudiziari di Usa e Gran Bretagna, che si spera abbiano una qualche influenza sull’operato dei governi. La Corte Suprema statunitense ha infatti condannato l’operato dell’amministrazione Bush riguardo alla detenzione senza possibilità di avere un regolare processo per tanti cittadini afgani e iracheni nel carcere della base militare di Guantanamo. I giudici hanno tenuto a sottolineare che i detenuti ricadono come tutti sotto la tutela della legge. Senza limitazione dei diritti.

Dello stesso tenore inoltre la mozione approvata dalla Camera dei Lord britannica, che ha definito discriminatoria la detenzione senza processo, come aveva invece permesso il governo Blair nel periodo della seconda guerra in Iraq. Altrettanto importante infine la condanna a 640 anni di carcere pronunciata dal Tribunale di Madrid nei confronti dell’ex militare argentino Adolfo Scilingo, accusato di crimini contro l’umanità, detenzione illegale e torture. L’Audiencia Nacional lo ha riconosciuto responsabile della morte di 30 persone gettate dall’aereo nei due "voli della morte" in cui ammise di aver partecipato. I desaparesidos vennero legati mani e piedi e gettati in volo nel Rio della Plata.

Indagine Eurispes: bullismo in crescita, 800 nuovi casi nel 2004

 

Corriere Adriatico, 31 maggio 2005

 

Quasi ottocento i casi di devianza minorile nella nostra regione in tutto il 2004. Ma quali sono le cause che scatenano la delinquenza in età giovanile? Campanello d’allarme è sicuramente il bullismo che può configurarsi come fenomeno che preannuncia comportamenti devianti nell’età adolescenziale ma anche nell’età adulta. C’è infatti una stretta relazione tra questo fenomeno e i comportamenti criminali o comunque violenti in età adulta. Il bullo acquisisce infatti modalità relazionali contrastanti con le regole sociali, caratterizzate da forte aggressività e dal bisogno di dominare sugli altri, quest’atteggiamento può dunque diventare trasversale ai vari contesti di vita perché il soggetto tenderà a riproporre lo stesso stile comportamentale in tutte le situazioni.

Con il termine bullismo si intende un’oppressione, fisica o psicologica, perpetuata nel tempo da una persona o da un gruppo di persone più potente nei confronti di un’altra persona percepita più debole. Gli episodi di bullismo avvengono principalmente nell’ambito della scuola, all’interno della struttura scolastica e soprattutto nei luoghi meno sorvegliati dal personale e nei tragitti casa-scuola. Alla base della maggior parte dei comportamenti di sopraffazione c’è un abuso di potere e il desiderio di intimidire e dominare, si tratta solitamente di prevaricazioni frequenti e ripetute.

Nella maggioranza dei casi coinvolge un gruppetto di due o tre bambini che compiono azioni di prevaricazione nei confronti di una sola vittima. Si può in genere parlare di delinquenza minorile dai tredici anni in poi ma bisogna sottolineare che se la delinquenza esplode a quell’età certamente è stata lungamente preparata nell’animo del minore. La scuola, palestra di apprendimento per la vita, nasconde, nel suo tessuto di relazioni tra coetanei, una cultura di violenza poco presa in considerazione dagli adulti.

Infatti le sfide più grandi che i ragazzi e le ragazze devono affrontare non sono tanto le interrogazioni o gli esami, ma i processi di inserimento nel gruppo dei coetanei e l’intreccio di relazioni con gli adulti e gli insegnanti. Il bisogno di essere accolti e valorizzati, spesso deve essere pagato a caro prezzo da chi, per la prima volta, accede agli spazi di vita di una scuola. Chi non è disposto ad accettarne le richieste o non condivide i principi di prepotenza su cui spesso si regge, diventa bersaglio di persecuzione e anche di violenza che può diventare grave.

Proprio per tale ragione, come si riporta in una nota dell’Ansa dello scorso 21 maggio, la Cassazione ha stabilito il carcere e non la semplice comunità per gli studenti-bulli indiziati di gravi violenze. "Come istituto stiamo affrontando argomenti che non trovano molto spazio nell’opinione pubblica - ha spiegato Camillo Di Monte, presidente dell’Eurispes Marche - ma che in realtà costituiscono tematiche sociali che non dovrebbero essere sottovalutate. I dati sulla delinquenza minorile devono infatti sollecitare delle riflessioni su come si muove la società e, in particolar modo, sul comportamento dei genitori che, nel caso della devianza minorile, sono i principali responsabili. Va inoltre sottolineato l’alto spirito di emulazione che preadolescenti e adolescenti sentono nei confronti degli adulti e di quanti li circondano. In tal senso influisce in larga misura anche la televisione e tutto quanto di violento ostenta con molta gratuità e frequenza". La devianza minorile vede spesso coinvolti giovani che appartengono a famiglie benestanti e colte ma che purtroppo si rivelano disattente e indifferenti.

Spoleto: racconti dei detenuti come testi per spettacolo musicale

 

Il Messaggero, 31 maggio 2005

 

Racconti d’infanzia dei detenuti della scuola elementare e media della sezione della casa di reclusione di Maiano, nonché da quelli della prima e terza A della Manzoni, che diventano testi per uno spettacolo musicale in cui ad essere protagonista è l’orchestra giovanile della scuola Pianciani-Manzoni. Nasce così l’edizione di 2005 di "Concertando", lo spettacolo musicale andato in scena al "Teatro Caio Melisso" ed inserito nel cartellone di "Musica Maggio", il quale è stato realizzato con la collaborazione del Teatro Lirico Sperimentale ed il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio. I giovani musicisti della Pianciani, sotto la direzione del maestro Francesco Seri, hanno accompagnato il soprano Tania Bussi eseguendo musiche di Jacob De Haan.

Rovigo: Donadi (Ds); carcere inadeguato, serve più personale

 

Il Gazzettino, 31 maggio 2005

 

Allarme carcere a Rovigo. A lanciarlo è il senatore dell’Ulivo Massimo Donadi, che ieri mattina ha visitato la struttura di via Verdi per rendersi conto delle problematiche che da mesi lo affliggono: "La situazione di inadeguatezza perdura da troppo tempo e questo nonostante l’annuncio della costruzione del nuovo carcere. Anzi, paradossalmente la situazione rischia di aggravarsi ulteriormente perché con l’avvio dell’iter che dovrà portare alla nuova struttura si sono bloccati tutti i fondi destinati alle manutenzioni straordinarie. Tutti gli interventi devono essere affrontati con la normale gestione del carcere". Le emergenze poste in risalto dal senatore si riferiscono alla dotazione organica del personale: "Insufficiente. Attualmente i poliziotti in servizio sono 61 sui 66 della pianta organica, quindi cinque in meno. Ma le difficoltà sono aumentate dal fatto che i detenuti sono 120, mentre il numero previsto dovrebbe essere di 80. Questo causa una perenne insufficienza di personale. Inoltre le stesse condizioni dei detenuti sono al limite, tre o quattro in celle di tre metri quadrati per tre. Non sono situazioni degne di un Paese civile".

Donadi lamenta anche che spesso "in carcere il medico è presente solo per 5 ore al giorno, e anche gli infermieri non ci sono sempre. Nel caso di un’urgenza medica bisogna sperare che ci siano poliziotti sufficienti per organizzare il servizio di scorta". Fra i punti di criticità anche gli interventi di manutenzione che vengono rimandati: "Il rischio di un black-out esiste. In alcuni uffici sarebbero opportune delle riparazioni. Purtroppo l’amministrazione centrale dovrebbe investire meglio le sue risorse. Invece di acquistare 5 Bmw serie 5 per i suoi dirigenti poteva destinare i fondi alle strutture più bisognose". Il senatore intende tenere alta l’attenzione: "Ne parlerò con gli altri parlamentari polesani, potrei anche proporre un’interrogazione parlamentare. Il fattore tempo a questo punto diventa determinante. Quanto occorre aspettare per il nuovo carcere? Un’attesa troppo lunga potrebbe essere controproducente". Donadi chiede di fare presto: "So che Comune e Provincia stanno facendo il possibile, occorre insistere, anche sul tema della nuova questura. Anche in via Donatoni ci sono situazioni da correggere: necessità di nuovi spazi, fondi che faticano ad arrivare perfino per la benzina delle volanti. Il tema della sicurezza deve essere inserito fra le priorità". Alberto Garbellini

Roma: garante detenuti dona 5 aule scolastiche a Casal del Marmo

 

Roma One, 31 maggio 2005

 

I nuovi spazi sono stati donati alla struttura dal Garante regionale dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni che afferma: "Il Dipartimento di Giustizia Minorile ha fondi insufficienti per la gestione degli Istituti Minorili, che per le comunità". Arrivano 5 sorrisi a Casal del Marmo, firmati dal Garante regionale dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Da oggi gli oltre sessanta detenuti del carcere romano minorile potranno utilizzare cinque nuove aule scolastiche attrezzate di tutto punto per lo svolgimento dell’attività didattica.

L’Ufficio del Garante ha donato all’Istituto penale, cinquanta banchi con piano in faggio, cento sedie dello stesso materiale e cinque lavagne di ardesia. I nuovi materiali sono stati consegnati oggi dallo stesso Garante nel corso di una cerimonia davanti ai 64 giovani detenuti nella struttura (41 ragazzi e 23 ragazze) e ai loro docenti. Fra gli ospiti, oltre al direttore della struttura Maria Laura Grifoni, anche il Direttore del Centro Giustizia Minorile per il Lazio e Abruzzo Donatella Caponetti. "L’attività scolastica - ha detto Marroni - necessita di supporti adeguati soprattutto quando è svolta in una carcere per minori. Non potevo non farmi carico della situazione anche in relazione al fatto che il Dipartimento di Giustizia Minorile ha fondi insufficienti sia per la gestione degli Istituti penali Minorili, che per le comunità di accoglimento di minori in misure alternative alla detenzione". L’idea di regalare arredi e materiale scolastico si è sviluppata in seguito alle visite compiute nei mesi scorsi a Casal del Marmo dai collaboratori dell’Ufficio del Garante. In primo luogo si era pensato ad avere aule didattiche in piena efficienza e di sostituire mobili e arredi scolastici da tempo usurati presenti nella palazzina delle attività dell’istituto. La direttrice della struttura, Maria Laura Grifoni, ha ringraziato il Garante "per aver colto questa esigenza. Un ambiente idoneo significa anche attività che si svolgono in maniera produttiva. I ragazzi hanno capito, e il segno della loro partecipazione è stato il disegno di una rosa che una ragazza nomade ha regalato al Garante". Per il Direttore del centro di Giustizia Minorile di Lazio e Abruzzo, Donatella Caponetti, a Casal del Marmo "ci sono, per la stragrande maggioranza, ragazzi che arrivano da altri Paesi e molti sono minori ‘stranieri non accompagnati’. Tutti manifestano bisogni di ogni tipo, a cominciare da quelli di imparare la lingua e di confrontarsi con un adulto che sia un punto di riferimento valido".

Pianosa: 92enne sta annegando, salvato da un semilibero

 

Elba Oggi, 31 maggio 2005

 

Una storia davvero inusuale, e per molti versi, quella accaduta oggi nell’Isola di Pianosa che era stata raggiunta dalla famiglia di Renato Catalucci un novantaduenne di Follonica che aveva viaggiato con i gitanti giornalieri caricati a Piombino sulla motobarca "Ulisse".

Una volta arrivati nell’Isola Piatta, intorno a mezzogiorno, mentre l’anziano con la consorte si fermavano nei pressi del mare, a Cala Giovanna gli altri due parenti, un figlio ed un nipote della coppia, partivano per una escursione organizzata. Ma la temperatura esterna decisamente elevata e la buona dimestichezza con l’acqua del Signor Catalucci (che aveva antiche esperienze da sub) lo hanno spinto a prendere un bagno che ha avuto conseguenze drammatiche.

Di lì a poco infatti, richiamato dalle urla di altri bagnanti, lo scorgeva galleggiare inanimato un detenuto in semilibertà che sconta la pena a Porto Azzurro e che fa parte della Cooperativa S. Giacomo che opera a Pianosa, il kosovaro Johnny Osmani di 33 anni, che si gettava prontamente in acqua, recuperava il Catalucci e lo riportava sulla spiaggia. Ma l’anziano non dava segni di vita, era cianotico, non respirava, non si sentiva il suo battito cardiaco. Interveniva a quel punto un altro operatore della "S. Giacomo", il quarantaseienne coordinatore Giacomo Zirano, un ex-detenuto che proprio a Pianosa due anni fa aveva seguito un corso di primo soccorso, e che applicandone le metodiche ha continuato per 5/6 minuti a rianimare il Catalucci, finché non si ristabilivano le spontanee pulsazioni cardiache del vetusto nuotatore (che probabilmente aveva patito una grave congestione).

Intanto attorno al luogo dove si stava cercando di rianimare il follonichese erano confluite molte persone e lo Zirano chiedeva se tra di loro ci fosse qualche medico, si presentava un signore che era proprio il nipote del Catalucci che aveva partecipato all’escursione, e che solo avvicinandosi si rendeva conto che ad avere bisogno di aiuto era suo zio. Nel frattempo l’emergenza era stata segnalata dal responsabile del Presidio degli Agenti di Custodia dell’isola al servizio 118 e appena 20 minuti dopo l’elicottero Pegaso2 partito da Marina di Grosseto atterrava a Pianosa.

La vittima dell’incidente veniva stabilizzata, preparata per il volo e trasportata all’Ospedale di Pisa dove resta ricoverata nel reparto rianimazione. Il "Codice 3" assegnato al Sig. Catalucci, la sua avanzata età, la gravità del malore che lo ha colpito fanno essere più che cauti nella speranza che possa superare la grave crisi, certamente sono stati in molti a darsi da fare per salvarlo.

La Spezia: braccato nel bosco l’albanese fuggito dal carcere

 

Secolo XIX, 31 maggio 2005

 

Continua la caccia a Ervin Shahaj, l’albanese di 30 anni evaso domenica pomeriggio dal carcere di Villa Andreini. Ieri le forze dell’ordine, con l’ausilio dell’elicottero dei carabinieri, hanno setacciato per tutto il giorno i boschi sulla collina del Felettino e di Isola alla ricerca del fuggiasco, ma senza esito. Gli agenti della polizia penitenziaria lo hanno intercettato per due volte domenica, a mezzanotte, nella boscaglia dietro le carceri. Uno di loro ha esploso tre colpi in aria, ma l’albanese è riuscito a scappare. Era stata una testimone che abita nella zona dietro il carcere a lanciare la segnalazione. "L’ho visto balzare fuori da una betoniera - ha raccontato al Secolo XIX - e saltare giù da un muro alto tre metri. È agile come un gatto". Il ministero ha aperto un’inchiesta: pare fosse disattivato l’allarme antiscavalcamento.

Sanremo: detenuto marocchino ustionato, è tentato omicidio

 

Secolo XIX, 31 maggio 2005

 

Sono sempre molto gravi le condizioni del marocchino che sabato notte si è presentato nella sede della Croce verde con ustioni al volto, alle braccia e a buona parte del tronco. Sulle circostanze del misterioso episodio prende corpo l’ipotesi più inquietante: quella che il nordafricano sia stato vittima di un’atroce vendetta. L’uomo - Xahab Bonezoueri, di 30 anni, che era in regime di semi libertà - prima di essere trasferito all’ospedale di Bordighera e subito dopo al centro ustionati del San Martino di Genova ha continuato a sostenere la tesi dell’incidente, di essersi bruciato con l’alcol accendendo un fuoco. I soccorritori hanno sospettato anche un caso di autolesionismo. Ma dalle prime indagini degli inquirenti sembra appunto emergere una vicenda completamente diversa e molto più grave.

Il marocchino, che era finito in carcere per un episodio di droga, sarebbe stato aggredito da un gruppetto di nordafricani che probabilmente avevano intenzione di chiudere un vecchio conto in sospeso. La procura avrebbe aperto un fascicolo contro ignoti per tentato omicidio. "Stiamo valutando alcuni indizi raccolti poche ore dopo la vicenda. Siamo in attesa che le condizioni dell’extracomunitario migliorino per poterlo interrogare, sempre che voglia collaborare e che ci fornisca gli elementi per risalire agli eventuali responsabili", dicono gli inquirenti. Saranno sentiti anche i militi della pubblica assistenza che hanno prestato al marocchino le prime cure, sabato notte poco prima dell’una, quando Bonezoueri si è presentato nella sede "con il volto e le braccia che ancora fumavano". Le indagini si stanno comunque indirizzando verso gli ambienti dello spaccio e non è detto che gli autori del gesto siano di Ventimiglia. È più probabile, invece, che i motivi della vendetta siano da ricercare a Sanremo.

 

 

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