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Giustizia: suicidi e denunce, ma nelle carceri non cambia nulla
Il Resto del Carlino, 13 giugno 2005
E siamo di nuovo a sparlare di carceri. Di queste nostre prigioni dove ci si suicida, dove ogni tanto si inscenano rivolte e ci si appella ai magistrati e al governo perché qualcosa, in mezzo a tanto cinico abbandono, venga migliorato. Perché è anche dalle strutture carcerarie che si misura la civiltà e la moralità di un paese, non solo dai dibattiti sulla procreazione assistita. E purtroppo le prigioni italiane sono fra le peggiori d’Europa, appena più accettabili di quelle turche, che a dire la verità sono un’offesa grave alla dignità dell’uomo. Amnesty International, già da qualche anno insiste nel denunciare l’Italia per sistemi di detenzione inaccettabili: anni fa parlò addirittura di torture, di numeri altissimi di suicidi, di uso improprio del carcere. Ma da allora a oggi sono mutate solo piccole cose: qualche costruzione più moderna in mezzo a tanti conventi medievali, e una maggior attenzione - quasi impercettibile - al meccanismo di recupero che dovrebbe contrassegnare il nostro sistema carcerario. Ora finalmente, dopo tanto discutere e tanto criticare, anche il ministro guardasigilli Castelli sembra essersi reso conto che il problema esiste, pur se con qualche ironia che gli ha fatto commentare come il tema dell’affollamento sia ricorrente come l’anticiclone dell’Azzorre. In realtà siamo arrivati a una fase critica di enormi proporzioni che rischia davvero di portare le carceri al collasso. Viene da chiedersi come mai, vista la lentezza spaventosa della giustizia, ci siano decine di detenuti in locali costruiti per accoglierne al massimo quattro. Colpa di quelli che sono in attesa di giudizio, dice qualcuno, colpa soprattutto delle infornate di extracomunitari che finiscono dentro a mesi per piccolo spaccio, mentre quelli che mandano a battere donne e bambini o fiancheggiano il terrorismo islamico, trovano sempre il modo di uscire e sparire. Abbiamo una legge amministrata così, che ci volete fare? Qualche detenuto, fin troppo celebre grazie alle cronache, ha lanciato appelli disperati, chiedendo la scarcerazione per sé, ma anche condizioni più umane per i suoi colleghi galeotti. Il che è tutto dire. E allora, siamo alla soluzione? Ma per carità, ci vorranno ancora tanti suicidi, tante denunce di Amnesty e tanti processi inevasi per trovare la civiltà della detenzione. Giustizia: Castelli; politica non è ancora di quelle molto severe
Agi, 13 giugno 2005
"A fronte di 60mila detenuti, ne abbiamo circa 100mila condannati a pene detentive che sono in libertà, quindi l’indultino ce lo abbiamo permanente". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, a margine di un convegno sulla riforma giudiziaria a Lodi, parlando del problema del sovraffollamento delle carceri, e ai problemi ad esso connessi. Secondo il ministro la situazione delle carceri non è gravissima "ma allarmante sì. È meglio preoccuparsi prima che piangere dopo. Noi però ci siamo sempre preoccupati, guardiamo anche al rovescio della medaglia. Al di là dei malaugurati casi di errori giudiziari, una persona che è in carcere qualcosa ha combinato e ha dato fastidio ai cittadini e in carcere dà meno fastidio. Ricordo che se avessimo la percentuale di detenuti che hanno gli Stati Uniti, dovremmo avere 400mila detenuti. La nostra è una politica di sicurezza che non è ancora di quelle molto severe". Giustizia: Castelli; emergenza carceri? espelleremo più stranieri
La Padania, 13 giugno 2005
Le carceri italiane scoppiano, mai la popolazione di detenuti è stata tanto alta: 59.012 detenuti, di cui 19.176 stranieri. Un’emergenza, quello del sovraffollamento (la capacità massima "teorica" del sistema italiano è circa 45mila reclusi) che crea una seri di problemi a catena: dalla diffusione di malattie, alle impossibili condizioni di vita dietro le sbarre. Un’emergenza sulla quale il ministro della Giustizia Castelli ha detto che il governo è pronto un intervento urgente. Ad iniziare da quei 19mila stranieri che dividono la cella con gli italiani. Allo studio del ministero della Giustizia c’è l’ipotesi di innalzare da due a tre anni il limite della condanna che un immigrato può scontare nel proprio Paese, in base alla legge Bossi-Fini. In particolare, gli esperti del ministero devono ancora valutare se in questa soglia siano compresi reati gravi e se, quindi, il provvedimento possa dare una "via di scampo" a criminali violenti. "È una proposta che io sto studiando - ha detto il ministro a margine di un convegno a Lodi sull’ordinamento giudiziario -. Adesso vedremo che cosa ne pensano le forze politiche, anche perché bisogna verificare che in questi casi non rientrino anche fattispecie di reato che sono particolarmente sensibili. Questa verifica non l’ho ancora fatta, - ha proseguito - però, è chiaro che non possiamo prendere misure che poi vadano a urtare la sensibilità dell’opinione pubblica". Castelli ha spiegato che l’attuale soglia dei due anni era stata scelta "perché si trattava di reati non gravi e, quindi, c’era comunque un equilibrio tra esigenze di giustizia e di sovraffollamento. Devo dire - ha proseguito - che funziona. Ne abbiamo mandati via ormai quasi 2.500. È stata la misura che ci ha consentito di rimanere al di sotto del limite che giudichiamo tollerabile". Il ministro ha quindi spiegato che la proposta, una volta valutata ed eventualmente approvata, riguarderebbe circa 1.500 immigrati. Anche i medici penitenziari, attraverso la loro associazione di categoria (Amapi) invocano misure urgenti per "decongestionare" le carceri del Paese. Una richiesta che dev’essere accolta prima della stagione estiva "che acuirà - dice di Francesco Ceraudo, presidente dell’Amapi - tutti i problemi della popolazione detenuta". Un decongesionamento che può avvenire utilizzando "benefici di legge perché almeno i malati di Aids, i cardiopatici e i depressi gravi vengano messi in libertà in aderenza anche alle recenti sentenze della Corte di Cassazione". Le cifre della situazione carceraria italiana, dice l’Amapi, "somigliano sempre più a quelle di un bollettino di guerra: 20.000 tossicodipendenti, 8.600 affetti da epatite virale cronica, 4.000 sieropositivi per Hiv e 6.500 disturbati mentali, mentre nel 2004 si sono verificati 52 suicidi (oltre a 30 nei primi mesi del 2005), 1.110 tentativi di suicidio, 6.450 scioperi della fame, 4.850 episodi di autolesionismo". L’elevazione della soglia a tre anni per scontare la pena nel paese di provenienza dell’immigrato è ancora allo studio, perché "bisogna verificare che in questa fattispecie non rientrino anche i reati che siano particolarmente sensibili". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, a margine di un convegno sulla riforma giudiziaria a Lodi. Il provvedimento, allo studio del ministero, sarebbe indirizzato a contribuire alla soluzione del sovraffollamento delle carceri. "Questa verifica - ha proseguito Castelli - non l’ho ancora fatta, però è chiaro che non possiamo prendere delle misure che vadano a urtare la sensibilità dell’opinione pubblica. Noi avevamo scelto i due anni perché erano tutti reati non gravi, quindi c’era equilibrio tra esigenza di giustizia e esigenza di sovraffollamento. Devo dire che funziona, ne abbiamo mandati via ormai quasi 2.500". Il ministro Castelli ha sottolineato che la misura ha consentito di "stare al di sotto del limite che giudichiamo tollerabile. Con l’elevazione a tre anni ci sono altri 1.500 detenuti che ricadrebbero in questa fattispecie, per poter essere poi espulsi. È una proposta - ha concluso Castelli - che sto elaborando. Vedremo cosa ne pensano le forze politiche". Giustizia: Cisl; l’ex-Cirielli porterà ad un vero disastro
Ansa, 13 giugno 2005
Il sovraffollamento delle carceri ha raggiunto la cifra record di 60mila detenuti , "un dato mai registrato prima". "Ma tutto questo rischia di essere poca cosa rispetto a quanto potrebbe accadere", avverte il coordinamento nazionale penitenziario della Cisl, che prevede un "vero disastro" se verrà approvata la ex-Cirielli. Alcune parti del provvedimento, spiega il sindacato, annullano "del tutto gli effetti della legge Gozzini con gravissime ripercussioni sul sistema". Di qui l’auspicio che sia lo stesso ministro della Giustizia ad opporsi all’approvazione del disegno di legge. L’organizzazione accusa l’attuale governo, ma anche gli esecutivi precedenti di non aver "mai dimostrato vera attenzione all’emergenza carceraria:nessuna politica tesa a sviluppare le pene alternative al carcere, ma una sottovalutazione evidente del problema". E denuncia "il degrado delle strutture penitenziarie". Giustizia: sottosegr. Vitali; su ex-Cirielli la Cisl non sa di che parla
Ansa, 13 giugno 2005
"La Cisl non sa di cosa parla e si unisce al coro dei detrattori della cosiddetta Cirielli con argomenti pretestuosi e strumentali". Il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali, commenta così, in una nota, quanto sostenuto dal coordinamento nazionale penitenziario della CISL in merito alla cosiddetta ex Cirielli ed al problema del sovraffollamento delle carceri italiane. "Le carceri italiane soffrono per l’altissimo numero di detenuti in attesa di giudizio e di un altrettanto elevato numero di detenuti extracomunitari", ha detto il rappresentante del governo, aggiungendo che "la Cirielli, a regime, lascerebbe in carcere solo i definitivi e coloro che per i loro precedenti, (recidivi, delinquenti professionali e per tendenza), non hanno dato alcuna prova di resipiscenza. Tutto questo si basa su un concetto molto semplice - ha concluso il sottosegretario - secondo il quale, la pena deve avere valore rieducativo ma, accertata la reiterata e continua violazione della legge da parte di alcuni individui, se ne deve ricavare la inutilità e non rimetterli in libertà o fargli godere dei benefici della legge Gozzini". Giustizia: Taormina; affollamento per abuso custodia cautelare
Ansa, 13 giugno 2005
"Il record assoluto di detenuti non denota efficienza della repressione giudiziaria, ma abuso di custodia cautelare, cui bisogna reagire, non con l’apertura di nuovi locali carcerari, ma con una legge che renda eccezionale la presenza in carcere di imputati". Ne è convinto Carlo Taormina, vice presidente dei deputati di Forza Italia. Secondo Taormina questa misura dovrebbe essere accompagnata anche dalla scelta di attribuire il potere limitativo della libertà personale ad un organo collegiale e non a un giudice delle indagini preliminari "appiattito istituzionalmente sulla posizione dei pubblici ministeri". Per l’esponente di Forza Italia il sovraffollamento delle carceri ha anche una altra causa: "l’automatismo nella esecuzione delle pene, le quali spesso riguardano persone che si sono già reinserite nella società e in una vita corretta a distanza di anni dal momento della consumazione del reato ovvero persone che con opportune cautele si può evitare che entrino in carcere". Taormina propone "l’elevazione dell’affidamento in prova al servizio sociale per pene fino a cinque anni di reclusione"; una riforma che "ben potrebbe essere approvata in termini brevissimi e che contribuirebbe in maniera determinante alla eliminazione del sovraffollamento che raddoppia o triplica l’afflittività della detenzione". Giustizia: medici penitenziari; Castelli ossessionato dalla sicurezza
Ansa, 13 giugno 2005
I medici penitenziari "per l’ennesima volta denunciano la drammatica situazione in cui si vengono a trovare i 59 mila detenuti rinchiusi nelle carceri italiane" e chiedono di "intraprendere qualche iniziativa che serva a decongestionare le carceri che ormai costituiscono una miscela esplosiva" anche in vista della stagione estiva "che acuirà tutti i problemi della popolazione detenuta da un punto di vista logistico e psicologico". Un decongestionamento che può avvenire utilizzando "benefici di legge perché almeno i malati di Aids, i cardiopatici e i depressi gravi vengano messi in libertà in aderenza anche alle recenti sentenze della Corte di Cassazione". L’appello è di Francesco Ceraudo, presidente dell’Amapi, l’Associazione nazionale medici penitenziari, secondo il quale "i detenuti, dopo aver perso la libertà, rischiano di perdere anche la salute". Per l’Amapi "le preoccupanti condizioni di sovraffollamento (cifra mai raggiunta nella storia del nostro Paese) creano un clima di difficile convivenza in una promiscuità assoluta: si registrano limiti di violazione dei diritti umani, cameroni strapieni, letti a castello, materassi per terra, mancano le più elementari condizioni di igiene". Le cifre della situazione carceraria italiana, dice l’Amapi, somigliano sempre più a quelle di un bollettino di guerra: 20.000 tossicodipendenti, 21.500 extracomunitari, 8.600 affetti da epatite virale cronica, 4.000 sieropositivi per Hiv e 6.500 disturbati mentali, mentre nel 2004 si sono verificati 52 suicidi (oltre a 30 nei primi mesi del 2005), 1.110 tentativi di suicidio, 6.450 scioperi della fame, 4.850 episodi di autolesionismo". "Nelle condizioni terribili in cui versano in questo momento le carceri, bisogna chiedersi come mai il numero dei suicidi non sia molto più rilevante", aggiunge Ceraudo secondo il quale "le istituzioni sono lontane anni luce dal problema-carcere". "Il ministro della giustizia Castelli spiega - risulta soltanto ossessionato dalla sicurezza e non ha mai dedicato attenzione ai problemi del Personale con particolare riferimento ai medici e agli infermieri penitenziari abbandonati in una terra di nessuno senza alcuna prospettiva". Giustizia: sugli appalti Castelli fa la vittima e minaccia i giornalisti
Quotidiano di Calabria, 13 giugno 2005
"È in atto una campagna selvaggia che l’Espresso ha fatto contro di me e che mira anche a metterci in difficoltà". A Lodi per un convegno sulla riforma giudiziaria il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, commenta così l’inchiesta avviata dalla Procura di Roma e ripresa dal settimanale a proposito di alcuni appalti di edilizia carceraria e che vede indagato, tra gli altri, anche un ex consulente dello stesso ministro. "Prima o poi bisognerà dire le cose come stanno - ha sottolineato Castelli - perché vedo una fortissima volontà di mettere i bastoni tra le ruote a questo governo e al sottoscritto: poi se qualcuno ha aiutato ne pagherà le conseguenze ma - si domanda Castelli - certi giornalisti dove sono andati a prendere le notizie? Solo in Procura? Non ne sono sicuro. Se andiamo a vedere la storia di tutti i giornalisti ci sono cose interessanti da scoprire e un giorno o l’altro aprirò il libro". Poi Castelli è tornato a parlare del problema del sovraffollamento. "A fronte di 60 mila detenuti nelle carceri italiane - ha detto il ministro - ve ne sono circa 100 mila condannati a pene detentive che sono in libertà per cui nel nostro paese abbiamo un indultino permanente". "La situazione delle carceri non è gravissima - ha sottolineato Castelli - ma allarmante sì, quindi meglio preoccuparsi prima piuttosto che piangere dopo anche se noi ce ne siamo sempre preoccupati. Bisogna però anche guardare al rovescio della medaglia e al di là di malaugurati casi di errori giudiziari, le persone che sono in carcere qualcosa hanno combinato ed ora danno meno fastidio ai cittadini. Se avessimo la stessa percentuale che hanno gli Stati Uniti avremmo 400 mila detenuti ma la nostra - ha detto ancora Castelli - è una politica della sicurezza che non è ancora molto severa". Il ministro della Giustizia si è soffermato sull’ipotesi di elevare la soglia da due a tre anni per le condanne da potersi scontare all’estero soprattutto per cittadini extracomunitari. "È ancora allo studio - ha precisato - in attesa di un parte da parte del mondo politico. "È una proposta che io sto elaborando - ha detto - e vedremo cosa ne pensano le forze politiche, però bisogna verificare che in questi casi non rientrino anche fattispecie di reato che siano particolarmente sensibili o gravi". "Questa verifica non l’ho ancora fatta - ha concluso Castelli - però è chiaro che non possiamo prendere misure che vadano ad urtare la sensibilità dell’opinione pubblica". Giustizia: record di detenuti, rispunta l’ipotesi amnistia-indulto
Il Messaggero, 13 giugno 2005
Di fronte al sovraffollamento-record delle carceri italiane (oltre 59mila detenuti), rispunta l’ipotesi amnistia-indulto. Su cui però l’accordo politico appare ben lontano, a cominciare dal fermo "no" della Lega. A riaprire la partita sono il presidente della Commissione Giustizia, Gaetano Pecorella (Fi), al quale i radicali fanno sapere di voler dare man forte non appena passata la bufera dei referendum. Pecorella punta a far scoprire le carte a tutti i gruppi, pronunciandosi con un sì o con un no sull’opportunità di proseguire l’iter del provvedimento. In questo modo sarà finalmente chiaro se esiste in parlamento la maggioranza dei due terzi necessaria per l’approvazione di un atto di clemenza. A mettere alle strette i gruppi Pecorella ci aveva già provato lo scorso aprile, all’indomani della morte di papa Wojtyla che al Parlamento chiese un atto di clemenza nei confronti dei detenuti. Nulla da fare. Il voto in Commissione non c’è mai stato, sia per la divisione in An (contrario La Russa, favorevoli Matteoli, Urso e Alemanno), sia per l’atteggiamento attendista della stessa Unione. Scettico sulla possibilità che si creino le condizioni per raggiungere il quorum necessario per l’amnistia è invece Giuliano Pisapia (Prc). A aprire un fronte polemico con il centrosinistra è invece il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali (Fi), che si dice "personalmente favorevole" all’amnistia o all’indulto per risolvere il problema del sovraffollamento-record. A sbarrare del tutto la strada è invece la Lega. "Piantiamola con questa storia dell’amnistia e dell’indulto: in un Paese civile i delinquenti stanno e restano in galera", dice Roberto Calderoli, che vede solo due alternative al sovraffollamento: "o si costruiscono nuove strutture oppure si inizia a rimandare a casa loro a scontare la loro pena tutti quelli che sono entrati irregolarmente nel nostro Paese solo per delinquere". Piano, quest’ultimo, che il Guardasigilli leghista Roberto Castelli vorrebbe mettere in atto modificando la "Bossi-Fini" così da innalzare da due a tre anni il limite della pena entro cui poter applicare le espulsioni. Questo consentirebbe di alleggerire le carceri di altri 1.500 detenuti stranieri. Cresce giorno dopo giorno la tensione nelle carceri, come sempre per sovraffollamento. Basti ricordare che in sei mesi già siamo a 30 suicidi. Non è la prima volta che si denuncia un regime di invivibilità e non è nemmeno la prima volta che ci si accorge di una perdurante disattenzione. Il ministro della Giustizia ha lanciato l’allarme ma sarebbe importante che lui in prima persona avviasse tutti i necessari provvedimenti tesi ad evitare che questo malessere diffuso si trasformi in una rivolta dalle non prevedibili conclusioni. Torno alla preoccupante cifra di 30 suicidi in sei mesi. Vorrei che chi di dovere si andasse a rileggere le cronache di quando scoppiarono nelle nostre carceri rivolte molto serie. In questa stagione complicata dell’Italia tutto questo non servirebbe. M.C. Giustizia: i sindacati a Castelli; "mancano 5.000 agenti"
Il Messaggero, 13 giugno 2005
Di fronte al sovraffollamento-record delle carceri italiane (oltre 59mila detenuti), rispunta l’ipotesi amnistia-indulto. Su cui però l’accordo politico appare ben lontano, a cominciare dal fermo "no" della Lega. A riaprire la partita sono il presidente della commissione Giustizia, Gaetano Pecorella (Fi), e i Radicali che promettono battaglia subito dopo il referendum. "Porrò di nuovo la questione - dice Pecorella - del voto di verifica su amnistia e indulto all’ufficio di presidenza della commissione. Ma devono essere a favore i gruppi". A mettere alle strette i gruppi Pecorella ci aveva già provato lo scorso aprile, dopo la morte di papa Wojtyla. Nulla da fare. Il voto non c’è mai stato, sia per la divisione in An (contrario La Russa, favorevoli Matteoli, Urso e Alemanno), sia per l’atteggiamento attendista della stessa Unione. Il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali (Fi), si dice "personalmente favorevole" all’amnistia o all’indulto. Ma alla clemenza, Vitali vuole "come giusto contrappeso la ex Cirielli", vale a dire la legge che introduce pene più severe per chi torna a delinquere e riduce i tempi di prescrizione dei reati (previsione, quest’ultima, ribattezzata salva-Previti dall’opposizione). Il diessino Kessler replica: "È da irresponsabili alimentare false e dolorose aspettative". Il ministro Calderoli della Lega infatti dice: "Piantiamola con questa storia: in un Paese civile i delinquenti stanno in galera". Il piano ideato dal ministro della Giustizia Castelli per affrontare l’emergenza estate nelle carceri italiane e che prevede il trasferimento dei detenuti dalle carceri più sovraffollate, in istituti in ristrutturazione per un totale di 4.000 posti in più, e l’apertura delle due nuove carceri di Ancona e di Perugia è bocciato come "assurdo" dal sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Osapp) che avverte: "Per aprire Perugia e Ancona, e per far tornare a funzionare le strutture chiuse per ristrutturazione c’è bisogno di personale. I detenuti sono oltre 59.000. Servono almeno 5mila agenti di polizia penitenziaria in più". Non solo: "Il nuovo carcere di Ancona - denuncia il segretario dell’Osapp, Leo Beneduci - è pronto da un anno e mezzo, ma è a rischio crolli. Sono stati già necessari lavori di consolidamento". Giustizia: Bulgarelli; situazione esplosiva, indegna di paese civile
Ansa, 13 giugno 2005
"La situazione delle carceri italiane è assolutamente indegna di un paese civile". È il commento del verde Bulgarelli ai dati allarmanti sulla popolazione detenuta, ormai prossima alle 60.000 unità, "record" mai raggiunto nella storia della Repubblica. "Per ammissione dello stesso ministro Castelli la situazione è ormai gravissima, non solo per gli oltre 17.000 detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili ma per la situazione igienica e sanitaria ormai al collasso, con un detenuto su 10 sieropositivo al virus dell’hiv e il dilagare di malattie come l’epatite C e la tubercolosi. Siamo di fronte - continua Bulgarelli - a una violazione palese dei diritti fondamentali dell’individuo, perpetrata attraverso condizioni illegali di detenzione, che non può più essere tollerata. Tanto più che la grande maggioranza delle persone detenute è in carcere per piccoli reati e potrebbe usufruire di misure alternative alla detenzione o godere dei benefici di un indulto o di un’amnistia, misura che deve tornare al più presto al centro dell’agenda politica. Se invece il Governo continuerà nella sua latitanza – conclude il parlamentare dei Verdi - quello che ora è una situazione drammatica potrebbe divenire del tutto fuori controllo". Castelli: severità, non vendetta... e l’amnistia sarebbe un errore
La Repubblica, 13 giugno 2005
"Dopo l’omicidio del barista, bisogna agire con severità". Il ministro della Giustizia Roberto Castelli interviene a Radio Padania Libera e parla del barista di Besano, a Varese, ucciso mentre cercava di sedare una rissa. "La legge consente - dice il Guardasigilli - di giudicare con indulgenza o con severità e ciò è giusto, è giusto lasciare un margine di discrezionalità ai magistrati. Adesso però ci vuole severità perché la società percepisce delitti di questo tipo come gravissimi. Non possiamo lasciare i cittadini in balia dei delinquenti, noi stiamo combattendo contro questo stato di cose. Non facciamo come la sinistra che vorrebbe risolvere la questione del sovraffollamento delle carceri con amnistie e indulti". L’assassino del barista era in Italia da quattro giorni; un albanese immigrato clandestinamente Vladimir Mnela, 21 anni. Ha ucciso Claudio Meggiorin, 23 anni, con una lama lunga 20 centimetri. È stata un’aggressione a freddo. Per i carabinieri di Varese non c’è nessun retroscena e nessuna precedente guerra tra bande dietro al delitto del giovane barista, nonostante la vittima facesse parte di un gruppo di skinhead e l’aggressore sia un albanese. Severità, suggerisce il ministro Castelli, ma non vendetta: "Certo, la prima reazione viscerale di tutti è dire "basta, adesso mi faccio giustizia da solo", questo è umano, lo capisco perfettamente. Però, poi bisogna fare un bel respiro e ragionare, perché in uno Stato di diritto bisogna seguire le regole, guai a metterle da parte!" Anche il padre della vittima, Giampaolo Meggiorin, storico militante leghista, ha invitato tutti a non "commettere sciocchezze", dicendo di non credere alla giustizia fai da te. "Spero che a nessuno venga in mente di farsi giustizia da sé per vendicare mio figlio, però di questi extracomunitari sono stufo. In paese - ha proseguito Giampaolo Meggiorin, consigliere comunale del paese in cui si è consumata la vicenda - abbiamo sempre accettato gli extracomunitari, ma non vorrei che adesso le cose diventassero difficili. È chiaro che la legge sull’immigrazione non funziona, che non è possibile che uno vada in giro con il coltello in tasca, faccia quello che ha fatto a mio figlio e poi non succeda niente fino alla prossima volta. Bisogna intervenire a livello locale o nazionale; ci si deve dare una mossa". Giustizia: Capezzone (Radicali); il Parlamento voti per l’amnistia
Ansa, 13 giugno 2005
Subito dopo il referendum sulla procreazione assistita, il Parlamento "si assuma la responsabilità di dire se voterà o meno un provvedimento di amnistia o di indulto". Per il segretario dei Radicali, Daniele Capezzone, gli ultimi dati allarmanti sul sovraffollamento delle carceri (oltre 59mila detenuti) devono far "ragionare seriamente": l’impegno, dopo la tornata referendaria, sarà dunque quello di "aiutare il presidente Pecorella, che si è sino ad ora mosso con grande buona volontà, a calendarizzare in Commissione Giustizia alla Camera il provvedimento di amnistia e di indulto", tenuto conto che "l’89% dei detenuti vive tecnicamente in condizioni di illegalità". "Nonostante le battute del ministro Castelli siano ancora una volta indirizzate a far polemica non noi in modo gratuito e greve - afferma Capezzone - non raccogliamo. La questione è seria e non parliamo di cose serie. Sono lieto che il ministro si sia accorto, dopo quattro anni, che c’è un’emergenza. Castelli la smetta di insultare chi da trent’anni si occupa di carceri. Ricominciamo daccapo". "Durante la campagna a favore dell’indulto facemmo 54 giorni di sciopero della fame, e alla fine il Parlamento produsse soltanto l’indultino. Eppure - fa notare Capezzone - è da tempo che andiamo dicendo che alle carceri serve una boccata d’ossigeno, vale a dire alleggerire il numero dei detenuti per poi lavorare, nei mesi successivi, su interventi strutturali, quali la droga, la carcerazione preventiva, l’immigrazione e la prostituzione. Si è invece pensato a rimedi peggiori del male: se passa la legge sulla droga, altro che 60mila detenuti...". "Ultimamente il ministro Castelli ha giustamente affermato che la questione indulto-amnistia compete al Parlamento. Se ne occupi il Parlamento, dunque". A chi gli fa notare, però, che secondo il Guardasigilli non ci sarebbe tempo materiale per di discutere e approvare provvedimenti di amnistia o indulto a meno che non si sacrifichino le riforme ferme in Parlamento, Capezzone replica: "è paradossale che provvedimenti di clemenza vengano contrapposti alle riforme". Giustizia: rispunta l’ipotesi di un'amnistia, ma non c’è l'accordo
Ansa, 13 giugno 2005
Di fronte al sovraffollamento-record delle carceri italiane (oltre 59mila detenuti), rispunta l’ipotesi amnistia-indulto. Su cui però l’accordo politico appare ben lontano, a cominciare dal fermo no della Lega. A riaprire la partita sono il presidente della Commissione Giustizia, Gaetano Pecorella (Fi), al quale i Radicali fanno sapere di voler dare man forte non appena passata la bufera dei referendum. Pecorella punta a far scoprire le carte a tutti i gruppi, pronunciandosi con un sì o con un no sull’opportunità di proseguire l’iter del provvedimento. In questo modo sarà finalmente chiaro se esiste in Parlamento la maggioranza dei due terzi necessaria per l’approvazione di un atto di clemenza. "Alla ripresa dei lavori - annuncia il presidente della Commissione Giustizia - porrò la questione del voto di verifica su amnistia e indulto all’ufficio di presidenza della commissione. Sono favorevole a riprendere l’iter, tanto più ora che è evidente la situazione di disagio nelle carceri". A mettere alle strette i gruppi Pecorella ci aveva già provato lo scorso aprile, all’indomani della morte di papa Wojtyla che al Parlamento chiese un atto di clemenza nei confronti dei detenuti. Nulla da fare. Il voto in Commissione non c’è mai stato, sia per la divisione in An (contrario La Russa, favorevoli Matteoli, Urso e Alemanno), sia per l’atteggiamento attendista della stessa Unione. I Radicali, alla vigilia del referendum sulla procreazione assistita, preannunciano nuove battaglie sulle carceri, chiedendo che il Parlamento "si assuma la responsabilità di dire se voterà o meno un provvedimento di amnistia o di indulto". Immediata la replica dell’Udc che con Luca Volontè invita i Radicali a "evitare qualunque tipo di speculazione che possa in qualche modo violare il silenzio in vista del referendum", salvo poi aggiungere che "sul tema dell’amnistia, noi per primi dell’Udc abbiamo sostenuto le ragioni dell’opportunità di arrivare presto ad una soluzione adeguata". Scettico sulla possibilità che si creino le condizioni per raggiungere il quorum necessario per l’amnistia, Giuliano Pisapia (Prc) avanza una proposta diametralmente all’opposto rispetto alla filosofia del ministro della Giustizia, Roberto castelli, vale a dire utilizzare parte delle ingenti somme previste per la costruzione di nuove carceri ("che in ogni caso saranno pronte tra 10 anni se va bene") per rafforzare le misure alternative al carcere. A aprire un fronte polemico con il centrosinistra è invece il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali (Fi), che si dice "personalmente favorevole" all’amnistia o all’indulto per risolvere il problema del sovraffollamento-record delle carceri, anche perché - sostiene - un eventuale provvedimento di clemenza "avrebbe come giusto contrappeso" la ex-Cirielli, vale a dire la norma che introduce pene più severe per chi torna a delinquere, ma che allo stesso tempo riduce i tempi di prescrizione dei reati (previsione, quest’ultima, ribattezzata salva-Previti dall’opposizione). A replicargli è il diessino Giovanni Kessler, che lascia intravedere una strada a dir poco in salita: se vogliamo ridurre un eventuale atto di clemenza a scopo strumentale, come l’approvazione della Cirielli, allora - dice il parlamentare della Quercia - meglio non parlarne neanche, altrimenti è da irresponsabili alimentare false e dolorose aspettative. A sbarrare del tutto la strada è invece la Lega. "Piantiamola con questa storia dell’amnistia e dell’indulto: in un Paese civile i delinquenti stanno e restano in galera", dice Roberto Calderoli, che vede solo due alternative al sovraffollamento: "o si costruiscono nuove strutture carcerarie oppure si inizia a rimandare a casa loro a scontare la loro pena tutti quelli che sono entrati irregolarmente nel nostro Paese solo per delinquere". Piano, quest’ultimo, che il Guardasigilli leghista Roberto Castelli vorrebbe mettere in atto modificando la Bossi-Fini così da innalzare da due a tre anni il limite della pena entro cui poter applicare le espulsioni. L’obiettivo è di alleggerire le carceri italiane di altri 1.500 detenuti stranieri. Anche se - precisa il ministro - "bisogna verificare che in questi casi non rientrino anche fattispecie di reato che sono particolarmente sensibili". Il piano del ministro per affrontare l’emergenza sovraffollamento prevede il trasferimento dei detenuti dalle carceri più sovraffollate, l’accelerazione dell’apertura di sezioni in ristrutturazione per un totale di 4.000 posti in più, e l’apertura delle due nuove carceri di Ancona e di Perugia. La situazione - aggiunge Castelli - "è allarmante ma non gravissima", tenuto conto che in Italia c’è "una politica della sicurezza che non è ancora di quelle molto severe": "a fronte 60 mila detenuti, ne abbiamo circa 100 mila condannati a pene detentive che sono in libertà. L’indultino ce l’abbiamo permanente". A bocciare il "piano Castelli" è l’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) secondo cui "per aprire Perugia e Ancona, e per far tornare a funzionare le strutture chiuse per ristrutturazione c’è bisogno di personale. Servono almeno 5mila agenti di polizia penitenziaria in più". Giustizia: Kessler (Ds); no alle strumentalizzazioni sull'amnistia
Ansa, 13 giugno 2005
"Se vogliamo ridurre un eventuale atto di clemenza a un scopi strumentali, come l’approvazione della ‘Ciriellì, allora meglio non parlarne neanche, altrimenti è da irresponsabili alimentare false e dolorose aspettative". Così Giovanni Kessler (Ds) replica alle affermazioni del sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali (Fi). Kessler, magistrato ed esponente della Quercia in Commissione Giustizia della Camera, ritiene che "l’amnistia non può essere ridotta a mero svuotamento delle carceri, perché è dimostrato dall’indultino che atti di clemenza hanno effetti assai limitati e contingenti per diminuire la popolazione carceraria". Il parlamentare Ds punta piuttosto su una "amnistia solidale e responsabile": "Se si vuole fare un vero atto di clemenza, questo non deve essere un cinico rilascio di persone dal carcere, ma -spiega - da parte della società vi deve essere una presa in carico di chi esce. Questo significa investire in risorse economiche per il reinserimento degli ex detenuti. Solo così si evita la recidiva, cioè la ricaduta nel crimine". "L’amnistia non può essere un cinico fuori tutti e arrangiatevi. In ogni caso - conclude - non mi sembra dall’aria che tira che il Parlamento sia pronto per un percorso solidale e responsabile di questo genere". Giustizia: don Caniato; troppi detenuti? italiani smettano di rubare
Adnkronos, 13 giugno 2005
"È vero che le nostre carceri sono superaffollate, ma il vero problema è che aumenta la delinquenza. Gli italiani dovrebbero, piuttosto, smetterla di rubare". È quanto afferma all’Adnkronos Don Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani d’Italia, dell’amministrazione penitenziaria e del dipartimento giustizia minorile, commentando il recente allarme del Vic (Volontari Italiani Carcere) sull’attuale sovrappopolazione negli istituti di pena italiani. Don Caniato spiega che si tratta di "un falso problema" e che bisognerebbe, piuttosto, riflettere sul perché "aumenta la delinquenza nel nostro Paese". "Non è colpa del ministro Roberto Castelli, e neanche degli immigrati, se ci sono troppe persone che non rispettano la legge - osserva il religioso - E se i detenuti aumentano è anche perché impiegati delle poste o degli aeroporti, ad esempio, pensano di farla franca rubando". "Se non si rispetta la legge, la magistratura fa il suo lavoro e ti mette in galera. Questo lo sappiamo tutti - continua l’ispettore generale dei cappellani d’Italia, dell’amministrazione penitenziaria e del dipartimento giustizia minorile -. Eppure la gente ammazza, ruba e fa cose orrende. E, di conseguenza, per fortuna direi, i detenuti aumentano". Il religioso osserva che anche la magistratura fa "solo il suo lavoro e non può far nulla per la sovrappopolazione nelle carceri". "Eppure, di suo - aggiunge - ha già dato il suo contributo apportando delle modifiche al nuovo codice penale che, di fatto, annulla la detenzione per alcuni reati prevedendo solo una pena pecuniaria". Don Caniato ricorda, inoltre, che sono stati chiusi almeno una ventina di penitenziari in Italia perché inagibili o obsoleti: "Bisognerebbe, quindi, aver previsto la costruzione di strutture nuove che però non c’è stata". Giustizia: Segio; amnistia e indulto, prima di riforme strutturali
Ansa, 13 giugno 2005
"La situazione penitenziaria è al tracollo. All’emergenza, annunciata da associazioni e sindacati ormai dal 2000, occorre opporre misure altrettanto eccezionali: l’amnistia e l’indulto, precondizione necessaria per dare vita a riforme strutturale e per dare respiro alla disastrosa situazione". A dichiararlo è Sergio Segio, l’ex terrorista di Prima Linea da anni impegnato in progetti per i diritti all’interno delle carceri. "Da anni - ricorda Segio - ininterrottamente e inascoltati denunciamo la catastrofica situazione all’interno degli istituti di pena. Oggi i nodi sono venuti al pettine, con ancora maggiore evidenza e drammaticità, tanto che persino il ministro Castelli non può più continuare a fingere di nulla, come ha fatto in questi anni". "Il carcere - aggiunge Segio - è malato e produce malattia, morte, autolesionismo e suicidi: non è dato neppure sapere più con esattezza quanti: 25 dall’inizio dell’anno, dice il ministero, 30 dicono le associazioni. Anche questo è segno della disattenzione di chi ha il potere e il dovere di intervenire: il parlamento, il governo e il ministero in primo luogo". Secondo l’ex terrorista ci troviamo di fronte "a una vera e propria omissione di soccorso". "Il record negativo - dice ancora Segio - non sta, infatti, solo nei numeri del sovraffollamento, nel superamento dei 59.000 detenuti, ma anche nella pervicace mancanza di risposte e politiche concrete che diano riscontro al disagio dei detenuti e anche a quello degli operatori penitenziari. A fronte del quale da anni il ministro ha saputo solo lanciare proclami e investire tutto nella strategia della nuova edilizia penitenziaria". Una politica, prosegue Segio che ha portato solo "all’aumento progressivo e inesorabile del sovraffollamento, alla distrazione delle risorse da altri e assai più incisivi settori di intervento, a partire dalla garanzia di cure e assistenza sanitaria, alle inchieste giudiziarie a carico di consulenti del ministero". "Anche dal governo - conclude Segio - sono venute solo proposte legislative tese a rafforzare privilegi e scappatoie per imputati abbienti, mentre, dall’altra parte, si sceglieva di usare il massimo del rigore nei confronti della gran massa dei detenuti poveri e disperati, in una logica immorale di doppio binario della giustizia, talvolta e purtroppo assecondato anche dalle opposizioni". Giustizia: sottosegr. Vitali; sì all’amnistia, l’ex-Cirielli contrappeso
Ansa, 13 giugno 2005
Il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali (Fi), si dice "personalmente favorevole" all’amnistia o all’indulto per risolvere il problema del sovraffollamento-record delle carceri, anche perché - sostiene - un eventuale provvedimento di clemenza "avrebbe come giusto contrappeso" la ex-Cirielli, vale a dire la norma che introduce pene più severe per chi torna a delinquere e che riduce i tempi di prescrizione dei reati (previsione, quest’ultima, ribattezzata salva-Previti dall’opposizione"). Prima di divenire sottosegretario, il parlamentare azzurro seguì personalmente alla Camera, il complesso iter della ex-Ciriellì. Oggi, certo che "subito dopo la riforma dell’ordinamento giudiziario, l’aula del Senato affronterà la pdl sulla recidiva su cui si può chiudere anche prima dell’estate", Vitali sostiene che la ex-Cirielli è uno dei quattro motivi per cui si può tornare a discutere di amnistia o di indulto. "Innanzitutto - spiega - è dal 1989 che non c’è un’amnistia, mentre prima ce ne era una ogni tre anni; in secondo luogo il Parlamento si era impegnato nei confronti del Papa Wojtyla, applaudendo la sua richiesta di un gesto di clemenza nei confronti dei detenuti; inoltre è stata creata una aspettativa nella popolazione carceraria; infine - afferma Vitali - l’amnistia non sarebbe in contraddizione con la politica del governo che sta studiano un giro di vite nei confronti dei recidivi". Così facendo - aggiunge Vitali - "si lascia intendere: ‘signori, questo è l’ultimo atto di clemenza e poi si cambia registro"‘. Anche perché - conclude - "abbiamo calcolato che il 60-70% dei reati è commesso da persone che hanno già avuto a che fare con la giustizia. Pertanto è inutile far accedere i recidivi alla legge Gozzini". Giustizia: sottosegr. Santelli; attività plasmate su popolazione detenuta
Ansa, 13 giugno 2005
"Le carceri tradizionalmente sono la spia dei problemi di un Paese e li anticipano di molto". È quanto ha detto il sottosegretario alla giustizia Iole Santelli a margine di una visita nell’Istituto penale per i minorenni di Catanzaro. "La situazione delle carceri - ha aggiunto - è allarmante nei termini dell’affluenza anche se, sentendo gli operatori, mi accorgo che il vero problema oggi è riuscire a plasmare l’attività delle strutture detentive rispetto ad una popolazione che è diversa". "Abbiamo una popolazione immigrata - ha concluso Santelli - che non accetta i trattamenti tradizionali e quindi la vera sfida è quella di giungere ad una nuova sistemazione". Cassazione: sì misure alternative per detenuti stranieri clandestini
Agi, 13 giugno 2005
Gli stranieri privi di permesso di soggiorno e raggiunti da un provvedimento di espulsione non vanno solo per questo automaticamente esclusi dal regime delle misure alternative al carcere, se si trovano in prigione a scontare una condanna. Lo afferma la Cassazione che spiega come il fine rieducativo della pena, sancito dalla nostra Costituzione, non consente di introdurre discriminazioni fra cittadini e stranieri con tanto di permesso di soggiorno, da un lato, e clandestini dall’altro. Per una ragione di fondo: la tutela della dignità della persona, indipendentemente dal suo diritto a stare in Italia, è alla base delle norme che regolano il sistema delle pene alternative, cui si deve poter accedere, se ricorrono i presupposti, da valutare caso per caso. Né conta che il clandestino sia stato raggiunto da un decreto di espulsione, che lo manderà via dal nostro Paese quando avrà scontato la sua pena: la risocializzazione non può essere ristretta all’interno di connotati nazionalistici. Non c’è differenza se la rieducazione del detenuto, insomma, darà i suoi frutti in Italia o all’estero. Proprio nel momento in cui il ministro della giustizia lancia l’allarme sul sovraffollamento degli istituti di pena, in cui si trovano rinchiusi anche moltissimi detenuti extracomunitari, dalla Cassazione arriva così un’importante sentenza che ribalta anche precedenti orientamenti e dice basta a possibili discriminazioni. Gli alti giudici della prima sezione penale (sentenza 22161, presidente Mocali, relatore Silvestri) hanno infatti annullato un’ordinanza del tribunale di sorveglianza di Bologna, con la quale venivano negate le richieste di affidamento in prova al servizio sociale, di affidamento terapeutico, di semilibertà e di detenzione domiciliare presentate da un giovane extracomunitario. I giudici avevano ritenuto che, essendo stato espulso con decreto del prefetto, non esistevano valide prospettive di reinserimento sociale sul territorio. A chiedere l’intervento di Palazzaccio è stato il difensore del clandestino. La Suprema Corte innanzitutto stabilisce che "il regime delle misure alternative alla detenzione in carcere" può "essere applicato anche allo straniero entrato illegalmente in Italia e colpito da provvedimento di espulsione amministrativa operante solo dopo l’esecuzione della pena". Siena: evaso un detenuto moldavo, ricerche in tutta la Toscana
Nove da Firenze, 13 giugno 2005
Continuano le ricerche di Misa Hulab, il diciottenne moldavo evaso ieri pomeriggio in modo rocambolesco dal carcere Santo Spirito di Siena. Era In custodia cautelare in attesa di giudizio per reati legati alla droga e fra poco sarebbe dovuto comparire davanti al tribunale di Grosseto per il processo. L’elemento sorpresa è stato determinante, ha approfittato della messa in scena di uno spettacolo teatrale all’interno del carcere. Così Misa Hulab è riuscito a mettere in atto il suo piano studiato nei 75 giorni di permanenza nel carcere senese: ha scelto una zona non controllata inaccessibile ai detenuti: ha aperto la finestra e ha fatto prima un salto di tre metri sul tetto di una casa vicina, poi si è lanciato nel vuoto sparendo all’interno di una zona ricca di vegetazione che circonda le mura della città e lì si perdono le sue tracce. Le ricerche dei Carabinieri sono proseguite ininterrotte a Siena per tutta la notte e continuano in Tutta la Toscana e oltre, verso Grosseto e Roma dove il ragazzo è stato a lungo. Gran Bretagna: i delinquenti? si vedono già a tre anni…
Corriere della Sera, 13 giugno 2005
Troppo piccoli per leggere, ma non per essere considerati criminali. Già a tre anni, secondo un rapporto del ministero degli Interni britannico, è possibile identificare quei bambini che crescendo avranno guai con la giustizia. Ecco, dunque, la necessità di tenerli sotto controllo, di rieducare i genitori, di toglierli, eventualmente, alle famiglie e affidarli a centri specializzati. Uno scenario degno di George Orwell? No. È quanto indicano le 250 pagine preparate per il premier Tony Blair sulla riduzione della criminalità. Le misure sulle quali in passato hanno fatto affidamento le forze dell’ordine - telecamere di sorveglianza, maggiore illuminazione di notte, pene più severe - non hanno avuto i risultati sperati, conclude la ricerca. L’unica soluzione, a lungo termine, è identificare i soggetti a rischio e impedire che imbocchino la via sbagliata. In teoria il discorso non fa una piega. Prevenire, dopotutto, è meglio che curare, nonché meno costoso. È l’idea di portare il concetto nelle scuole materne del Paese, trasformando le maestre d’asilo in informatrici, ad avere qualcosa di incredibile. Il compito di puntare il dito contro il bimbo che mostra i primi segni di crescere male spetterebbe a loro, le insegnanti cui ogni giorno milioni di genitori affidano i propri figli. Il piccolo Johnny non vuole giocare con gli altri bimbi? Guai a toccargli la merenda? Sembra violento nei confronti degli altri? Poco importa che abbia solo tre anni e ogni probabilità di imparare, con il tempo, a comportarsi diversamente. Per le autorità è un soggetto a rischio. Le statistiche, d’altronde, parlano chiaro. Quei bambini che a tre anni possono essere definiti "fuori controllo", sottolinea il rapporto, una volta adolescenti avranno quattro volte le possibilità di essere incriminati per un reato violento rispetto ai coetanei più "tranquilli". "Obbligare le scuole - si legge nel rapporto, anticipato ieri dal Sunday Times - ad adottare una linea dura contro il bullismo (...) è il modo di ridurre il numero di giovani che cadono nella trappola della criminalità". Se è vero, sottolinea la ricerca, che le misure "dure" non sempre funzionano, è anche vero che, prendendo i ragazzini in tempo, è possibile correggerne il comportamento con provvedimenti più soft: insegnargli a leggere meglio, a scrivere bene, a interagire con gli altri potrebbe bastare a "far loro cambiare direzione". Secondo il Sunday Times, il rapporto, elaborato la scorsa estate e mai diffuso, mette in evidenza le diverse posizioni del ministero degli Interni e dell’Istruzione. Quest’ultimo sarebbe più propenso a scusare i comportamenti violenti a scuola, dando la colpa, più che al bambino, all’ambiente nel quale è cresciuto. L’Home Office, invece, vorrebbe un approccio duro e intransigente. La parziale pubblicazione del rapporto coincide con un importante annuncio da parte del neo-ministro per la scuola pubblica, Ruth Kelly, che oggi dovrebbe rendere nota la sua intenzione di stanziare 430 milioni di sterline per permettere a ragazzini tra i 4 e i 14 anni di rimanere a scuola dieci ore al giorno, dalle 8 alle 18. Lo scopo: permettere ai genitori di svolgere una normale giornata lavorativa senza doversi organizzare con vicini o baby-sitter, ma anche offrire a bimbi e teenager la possibilità di studiare una lingua in più, di prendere lezioni di musica o di fare sport. Secondo quanto anticipato dai giornali britannici, non dovrebbe spettare necessariamente agli insegnanti di ruolo restare con le scolaresche sino a sera: ogni istituto potrà usare i fondi per assumere, volendo, personale aggiuntivo. Bologna: premiazione concorso letterario "parole scatenate"
Sesto Potere, 13 giugno 2005
Domani, martedì 14 giugno, alle ore 9.30, nella Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio si svolgerà la cerimonia di premiazione del concorso letterario "Parole scatenate" a cui hanno partecipato i detenuti delle carceri dell’Emilia Romagna. Interverranno Sergio Cofferati, sindaco di Bologna; Adriana Scaramuzzino, vicesindaco di Bologna; Giuliano Barigazzi, assessore provinciale Sanità e Servizi Sociali; Nello Cesari, provveditore regionale Amministrazione Penitenziaria; Manuela Ceresani, direttrice Casa Circondariale di Bologna; Elisabetta Calari, Consorzio di Iniziative Sociali (SIC). Parteciperanno i vincitori del concorso letterario e i tipografi della Casa Circondariale. Saranno presenti i componenti della giuria del concorso Gianni Sofri, presidente del Consiglio Comunale e Alessandro Castellari, presidente dell’Associazione Culturale Italo Calvino. Parteciperà lo scrittore Stefano Benni. Moderatore: Valerio Varesi, giornalista e scrittore La raccolta di elaborati dei detenuti pubblicata col titolo "Parole Scatenate" e stampata nella tipografia del carcere, rientra nel più ampio progetto di lavoro Il Profumo delle Parole, promosso dal Consorzio di Iniziative Sociali (SIC) e sostenuto da Comune di Bologna, Provincia di Bologna, Regione Emilia Romagna e Amministrazione Penitenziaria. Grazie a questo progetto è stata realizzata una tipografia all’interno della Casa Circondariale di Bologna, ai sensi della Legge 193/00 (Legge Smuraglia), al fine di creare opportunità lavorative in ambito penitenziario, fornendo ai detenuti professionalità spendibili al momento del loro reinserimento nella società. Roma: a Regina Coeli torneo di calcio "Giovanni Paolo II"
Il Messaggero, 13 giugno 2005
Intitolato alla memoria di Giovanni Paolo II, nel carcere di Regina Coeli si è concluso un torneo di calcetto: un piccolo evento, per ricordare un grande Papa, che ha avuto sempre a cuore la vita dei detenuti e che a Regina Coeli compì una visita rimasta storica. Nato per iniziativa dei detenuti e realizzato grazie all’impulso dato dal cappellano del Carcere Padre Vittorio Trani, il torneo ha dimostrato come lo spirito sportivo e festosamente competitivo può dare risultati importanti sul piano della socialità e del miglioramento dei percorsi interpersonali tra chi è privato, per un periodo più o meno lungo, della libertà. I detenuti, nel ricordare il Giavanni Paolo II, hanno rivolto un augurio al successore Benedetto XVI, "affinché‚ nella sua missione di divulgazione della parola di Cristo, consolidi le fondamenta della fede nel mondo intero". Per la cronaca calcistica, ad aggiudicarsi il primo premio del torneo di calcetto è stata la terza sezione del carcere, seguita dai ragazzi della sesta e dalla quinta.Una coppa a parte l’ha meritata il miglior cannoniere, Gaetano. Il cognome, almeno per ora, non è necessario che entri negli annali sportivi. Napoli: la letteratura dal carcere, una risorsa per tutti
Il Mattino, 13 giugno 2005
Voci dal mondo del silenzio. Di chi langue da decenni dietro le sbarre, e magari è pure innocente. Di chi sconta la pena per reati comuni o per motivi politici. Di chi in carcere riesce a trovare un percorso di riabilitazione personale, e quindi sociale, riuscendo persino ad attivarsi per alleviare il disagio dei detenuti, e di chi invece non ce la fa, non riesce proprio a coltivarsi, a studiare, a riscattarsi, e soccombe alla depressione da repressione. Il problema umano e sociale della detenzione può diventare una sorprendente risorsa letteraria, e non certo da oggi. La bibliografia è vastissima, ma negli ultimi tempi si è arricchita di nuovi titoli a testimonianza di una rinnovata attenzione del mondo editoriale verso il fenomeno. La Campania, regione italiana con la popolazione di carcerati più folta, con Lombardia e Lazio, può vantare in questo un primato, con libri come quello di Giuseppe Ferraro sui ragazzi di Nisida (Filosofia in carcere, Filema), o la toccante opera collettiva delle detenute di Pozzuoli Davanti a me è caduto il cielo (sempre Filema) o il denso saggio-testimonianza di Beppe Battaglia Carcere e cittadinanza (Phoebus edizioni). Ma ora il panorama si arricchisce con almeno altri tre libri che vale davvero la pena di leggere, per la forza della loro necessità interiore. Il primo è il nuovo volume di racconti di Geraldina Colotti, Certificato di esistenza in vita (Bompiani, pagg. 178, euro 7,50): storie autobiografiche, trasfigurate dalla scrittura tagliente e incalzante dell’autrice, ex militante delle Brigate Rosse, condannata a 27 anni di reclusione nel carcere di Rebibbia, attualmente in regime di semilibertà che le permette di lavorare al quotidiano "Il Manifesto", scrivere poesie, racconti e romanzi per adulti e per ragazzi (come l’intenso Il segreto, Mondadori). Qui il talento narrativo della Colotti racconta storie minime ma spesso estreme, vicende che hanno il carcere come destino quasi ineluttabile, dense di dettagli e risonanze interiori e sociali come il racconto che dà il titolo alla raccolta, "Il certificato". Dove l’anziano maresciallo in pensione Giacinto, personaggio in tutti i sensi periferico, vedovo e padre "sbagliato" di due terroristi, si rende conto di "non reggere il passo del mondo", quel mondo che "non era più che una corsa sfrenata al guadagno, e sempre a scapito della povera gente, che sudava per campare", e dove Gesù "se fosse nato da quelle parti oltre che di fame e freddo avrebbe rischiato di morire d’indifferenza". La stessa indifferenza che avvolge la tragica esperienza, all’altro capo del mondo, di Leonard Peltier, ex brillante leader politico dell’American Indian Movement (Aim) negli anni ‘60, arrestato il 6 febbraio 1976 e da allora rinchiuso in un carcere di massima sicurezza statunitense con l’accusa di crimini mai commessi. La sua autobiografia, un pugno in faccia ai benpensanti, è ora pubblicata da Fazi (La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, pagg. 214, euro 14,50 a cura di Harvey Arden con una prefazione-denuncia di Ramsey Clark, ex ministro della Giustizia Usa) come inquietante testimonianza di un’anomalia giudiziaria denunciata da figure come il Dalai Lama, Rigoberta Menchu, Nelson Mandela, Robert Redford (che su questa storia ha prodotto un documentario, "Incident at Oglala"), Oliver Stone. "Sono l’incarnazione vivente - dice Peltier con lo stile spirituale dei nativi indiani americani - di una causa molto più grande della semplice libertà di un uomo". Libertà negata che, quando si tratta di una pena giusta, può anche generare conversioni inaspettate: è il caso del francese Bernard Stiegler, incarcerato per rapina a mano armata e diventato, grazie al carcere vissuto come "laboratorio filosofico", uno dei pensatori più originali del presente, come si legge in Passare all’atto (Fazi, con prefazione di Roberto Esposito). E c’è pure chi riesce a "gustare" il periodo di detenzione tirando fuori, con il sorriso, risorse gastronomiche inattese: come avviene a 23 detenuti di Rebibbia, autori di Ricette d’evasione, l’arte di cucinare dietro le sbarre (Cucina & vini editrice) e del cd audio di ricette, interviste e storie prodotto dal carcere di San Vittore, con il titolo Avanzi di galera. Napoli: "il carcere possibile", un progetto della Camera Penale
Il Mattino, 13 giugno 2005
Carcere e cittadinanza. Due termini in apparenza inconciliabili. Da un lato, l’inferno nascosto o dimenticato di un mondo a parte, luogo di derelitti e delle pene - per usare il bel titolo di Remo Bassetti su "carcere e giustizia da Kant all’indultino", Editori Riuniti - e scenario di paradossi nella gestione di una "rieducazione" del detenuto prevista dalla Costituzione ma troppo spesso disattesa. Dall’altro lato, il sogno per molti impossibile di normalità, di inclusione sociale, di re-integrazione lavorativa talora realizzato da alcune esperienze minoritarie di "buone pratiche" in case circondariali sovraffollate da una popolazione di oltre 59 mila detenuti in Italia (16 mila eccedenti rispetto alla capienza effettiva), di cui due terzi tossicodipendenti e immigrati stranieri: carcerati "sociali" per svantaggio culturale ed economico, marginalità e devianza. Si chiama non a caso "il carcere possibile" il progetto promosso dalla Camera Penale di Napoli che da domani a giovedì metterà letteralmente in scena (tra la libreria Feltrinelli e il teatro Mercadante) il carcere, accendendo i riflettori sulle problematiche della detenzione attraverso la prima edizione di una rassegna di teatro, video e incontri che sarà presentata oggi alle 12 nel foyer del teatro stabile in piazza Municipio. "Un’iniziativa di alto profilo, capace di donare una visibilità diversa al pianeta carcerario intrecciando il valore sociale a quello anche estetico-espressivo, che siamo stati ben lieti di ospitare in sintonia con le finalità di un teatro pubblico disponibile ad aprirsi alla città", anticipa il direttore del Mercadante Onofrio Cutaia, che oggi ne parlerà con il presidente della Camera Penale di Napoli, Domenico Ciruzzi, con il capoarea delle librerie Feltrinelli Luigi Morra e con l’avvocato Riccardo Polidoro, delegato al progetto. In programma, domani alle 18,30 alla Feltrinelli, la proiezione del provocatorio video "Codice a sbarre", un corto di Ivano De Matteo, seguito da un dibattito sul tema "Certezza della pena e diritti negati". Poi, mercoledì e giovedì, sarà la volta dei detenuti di Poggioreale e Secondigliano, delle carcerate di Pozzuoli e dei ragazzi di Nisida, coinvolti in pièce teatrali al Mercadante coordinate da Carlo Cerciello e Riccardo Zinna, Alessandra di Castri, Giorgia Palombi e Susanna Poole e dall’associazione culturale Artèteca. "Il progetto - spiega Riccardo Polidoro - prosegue un impegno avviato già tre anni fa da un gruppo di avvocati, registi e operatori attenti al disagio esplosivo di uomini, donne e anche ragazzi invisibili per l’opinione pubblica, almeno fino a quando non vengono alla luce casi come l’ondata di suicidi (a fronte di 52 casi nel 2004, nei primi mesi del 2005 già trenta persone si sono uccise in cella), da parte di una popolazione di "dannati" in aumento di 200 unità a settimana, dopo l’impennata di carcerazioni negli ultimi due mesi". Un esempio per tutti? Il penitenziario di Poggioreale, che detiene il primato di sovrappopolazione (seguito da San Vittore a Milano), con 2386 detenuti nell’anno giudiziario 2003 su una capienza di 1276 unità (due terzi in attesa di giudizio, vale a dire circa 1600 individui presunti innocenti) e un rapporto tra il numero di educatori presenti e detenuti di 1 a 400. Quanto basta insomma per far allarmare il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, che - in un clima sociale già segnato da domande di legalità, sicurezza e certezza della pena - promette nuove strutture e un piano di espulsioni di extracomunitari e trasferimenti. Ma la battaglia da affrontare, per Polidoro, è culturale: "Una vera opera di prevenzione del crimine - conclude - non può prescindere da una nuova visione del sistema carcerario. Occorre sì investire in nuove strutture, ma soprattutto in risorse umane, per un nuovo rapporto con la persona detenuta. Tutto quello che eccede la privazione della libertà altro non è che arbitraria e illegale violenza". Trento: carcere e volontariato nel libro "Solo nella mente"
L’Adige, , 13 giugno 2005
È stato presentato venerdì, presso la libreria "Il Papiro" di Trento, l’ultimo libro di Lionello Massobrio. "Solo nella mente" è un romanzo in cui l’autore, che ha svolto per otto anni attività di volontariato nel carcere circondariale di Pisa, traccia il ritratto di una collettività carceraria in cui, non soltanto i carcerieri e ovviamente i carcerati, ma persino i volontari che si prodigano per la rieducazione degli ospiti, subiscono un processo deformante. Massobrio è un figlio d’arte. A diciott’anni ha firmato il montaggio del film campione d’incasso di quell’anno, "Domani è troppo tardi" (1949). Ha fatto l’aiuto regista, lo sceneggiatore, il regista, il produttore. Ha collaborato in diverse forme con numerosi artisti tra cui Ferreri, Fortini, Guttuso, Ivens, Leone, Mastroianni, Moravia, Neto, Orsini, Pasolini, Taviani, Tognazzi, Volonté, Zavattini. Da alcuni anni conduce, come ama dire lui stesso "una vita di moderazione". Fa l’assistente volontario in un carcere (in particolare a Pisa, da Adriano Sofri), dove ha tenuto corsi di cinema e televisione sia nella sezione femminile che in quella maschile. Si dedica poi a tempo pieno alla scrittura. Il protagonista del libro è proprio un carcerato, Daniele, condannato – ma lui si proclama innocente - per la morte di una quindicenne figlia della sua amante. Nella segregazione del carcere si libra nell’invenzione di un’isola deserta in cui fa approdare la controfigura della ragazza assassinata che nell’isola partorirà il bambino che lui avrebbe voluto. La presentazione è stata l’occasione di una rimpatriata di personaggi che hanno condiviso, assieme a Massobrio, l’esperienza di Lotta Continua negli anni Settanta. Ecco allora sul palco dei presentatori Marco Boato ("si tratta – ha detto – di un libro complesso che ti macera dentro e che allo stesso tempo ti fa sorridere per la contrastante incidenza di alta poesia e di volgarità"), Lucia Coppola ("questo romanzo è dolce e spietato come una canzone jazz, forte come un pugno nello stomaco"), Sandra Chighizola ("Sono pagine difficili, da leggere con attenzione, da rileggere, animate da storie di personaggi diversi, drammatiche, sofferenti, claustrofobiche come le sbarre di una prigione") e Giuseppe Raspadori. Latente nel racconto è la figura di Sofri che, se per certi versi è molto distante dalle esperienze di vita di Daniele, dall’altro è acuminata dalla terribile esperienza della reclusione coatta. E in un mondo racchiuso dalle sbarre della cella l’unica alternativa rimane quella della libertà mentale, gramsciana, orgogliosa. Là dove nessun secondino, nessun giudice, nessuna infamia ha potere. Lionello Massobrio, Solo nella mente, Marco Tropea Editore, Milano, 2005, 13,00 euro. Civitavecchia: in scena i sogni dei detenuti di via Tarquinia
Il Messaggero, 13 giugno 2005
"Via Tarquinia 20, biografie di un sogno" è la rappresentazione teatrale tenutasi nella casa di reclusione. L’iniziativa rientra nel progetto "la maschera ed il volto", diretta da Valentina Giacchetti. Si è trattato di un progetto sperimentale, voluto dalla direzione dell’istituto, un discorso teatrale totalmente pensato e realizzato dai reclusi (anche le scenografie) in collaborazione con il regista Andrea Casentino e Fiammetta Giovagnoli, il gruppo Teatro di Yorick e QGroup, Francesco Chiesa ed il Centro Europeo teatro e carcere. Sorprendente e coinvolgente il risultato che, come ha sottolineato la direttrice Silvana Sergi, è iniziato con tante speranze e poche certezze e si è costruito nel tempo, trasmettendo un messaggio importante attraverso un sorriso. Firenze: due serate di informazione e riflessione sul carcere
Dentro e Fuori le mura, 13 giugno 2005
Centro Popolare Autogestito Firenze Sud. Via Villamagna 27/a. Tel 055.6580479 Ancona: nuovo carcere Barcaglione, opera incompiuta senza fine
Corriere Adriatico, 13 giugno 2005
Ogni anno, dal 2002 in avanti, pareva quello buono, tanto che il nuovo carcere di Barcaglione, pronto per l’uso da oltre un anno ma ancora chiuso, s’è guadagnato una piccola ribalta nelle ultime quattro cerimonie inaugurali dell’anno giudiziario e nelle due visite fatte in città dal ministro di Giustizia Roberto Castelli. Il rappresentante di turno del Governo s’affrettava ad assicurare l’uditorio che Barcaglione non sarebbe rimasta ancora a lungo un’incompiuta (per altro costosissima, perché ha spese di gestione vicine al mezzo milione di euro l’anno) e che presto ci sarebbe stato il taglio del nastro. Adesso del penitenziario costruito a nord di Ancona con vista mare, concepito come carcere minorile ma destinato ora a ospitare detenuti adulti, si torna a parlare in piena emergenza carceri, perché il Guardasigilli leghista - declinando le ricette per decongestionare le patrie galere, affollate di 59 mila carcerati - ha indicato tra le priorità assolute gli istituti penitenziari di Ancona e Perugia. Anche il 15 gennaio scorso, a palazzo di giustizia, il rappresentante del ministero Stefano Aprile aveva indicato il nuovo carcere di Ancona tra quelli destinati certamente ad essere aperti nel 2005, rassicurando l’intero uditorio e l’onorevole diessino Eugenio Duca, che s’era ancora una volta incaricato di riproporre il problema del carcere "incompiuto" di Barcaglione "per il quale - aveva detto il parlamentare anconetano - si spende ogni anno un miliardo di vecchie lire per spese di mantenimento". Ma adesso siamo davvero al traguardo? Assolutamente no, secondo un altro parlamentare eletto in un collegio marchigiano, il senatore diessino Guido Calvi, secondo il quale non ci sono al momento le risorse per aprire il carcere di Barcaglione, destinato a ospitare detenuti a bassa pericolosità e una sezione per tossicodipendenti. "Un penitenziario non si può aprire dall’oggi al domani - spiega il senatore, membro della Commissione giustizia - Occorrono personale e strutture adeguate". E Barcaglione mostra qualche problema su entrambi i fronti. "Ad Ancona - spiega Calvi - mi risultano problemi legati anche al posizionamento su una faglia in movimento, con rischio di cedimenti". Meno gravi forse di quelli denunciati dall’Osapp, organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, che parla addirittura di "rischio crolli". C’è stato il cedimento di un muro, dovuto a infiltrazioni d’acqua nel terreno, ma anche rimarginando quella ferita sul cemento non si potrebbe partire. "Il problema cruciale resta quello del personale, che non c’è e non ci sarà a breve termine - spiega il senatore Calvi citando dati del sindacato delle guardie penitenziarie -. Il problema è che il governo ha bloccato tutte le assunzioni e non bandisce i concorsi, cosicché la proposta del ministro Castelli è velleitaria e demagogica. Le soluzioni contro il sovraffollamento delle carceri sono altre e riguardano la depenalizzazione dei reati e un’amnistia". Dunque passerà anche il 2005 e Barcaglione sarà ancora chiuso? "Penso proprio di sì - è la previsione del sindaco Fabio Sturani - anche tenendo conto che servono infrastrutture d’accesso e parcheggi. Ci deve pensare il ministero, non pensino di addossarci quelle spese". Chi ci rimette se Barcaglione non apre? Sicuramente la finanza pubblica, visto che il nuovo carcere costa mezzo milione l’anno solo di spese fisse. Ma anche i residenti di Barcaglione scontano l’incompiuta. Da tempo vedono uscire dai rubinetti acqua rossa di ferro perché la condotta, realizzata in grandi dimensioni per servire anche l’istituto penitenziario, non ha una pressione tale da consentire la fuoriuscita di acqua pulita. Ma c’è anche chi mette in guarda dai pericoli di un’apertura non preparata a dovere. L’Udc di recente ha evidenziato i rischi di che il penitenziario di Barcaglione apra "senza un piano di emergenza e di evacuazione degli abitati in caso di evasione o di attentato, o incontri con psicologi o sociologi che potrebbero aiutare e spiegare come affrontare la convivenza con un carcere alla cittadinanza". Brescia: grazie al calcio e alla scuola il carcere si riapre alla città
Giornale di Brescia, 13 giugno 2005
Il carcere di Verziano si è aperto di nuovo alla città. E la chiave in grado di spalancare le porte è ancora lo sport targato Uisp. Ieri mattina nel campo di calcio della sezione di reclusione si è disputata la finalissima del ventesimo campionato di calcio organizzata dall’Unione italiana sport per tutti. Dodici squadre (nove esterne, due di detenuti, una di agenti) si sono date battaglia nel corso dell’anno e hanno creato occasioni di incontro tra i reclusi e la società civile. Per la cronaca, ha vinto il "Bar off limits pizzeria da Luigi" di Ghedi, battendo per 5 a 1 la Polisportiva Euplo Natali di Urago Mella. Premiate pure la squadra del tribunale, arrivata al terzo posto, e l’Atletico Semtec in quarta posizione. Targhe pure ai capocannonieri Virgilio Russo (Tribunale) e Ivan Lombardi (Cri di Ghedi). Ma per una volta non sono le classifiche a far notizia. Importante è, piuttosto, che la complicità del pallone funzioni bene per allacciare fili dentro e fuori le mura. Nel bilancio del responsabile Uisp del Progetto carcere Alberto Saldi c’è un’attività "arricchita da tanti incontri, e recentemente allargata anche all’università Cattolica e a scuole cittadine come l’Ipsia Moretto". Proprio sabato quindici studenti del master "Sport come luogo di cultura" di via Trieste hanno discusso a Verziano con detenuti, volontari e operatori Uisp. Intanto i ragazzi del "Moretto" sono diventati di casa pure a Canton Mombello, dove partecipano al quadrangolare di calcetto. Merito del loro professore di educazione fisica Angelo Benassa, finito a far l’allenatore dei detenuti, e della disponibilità degli agenti comandati da Giuseppe Di Blasi. "Portavo i ragazzi e mi hanno chiesto di dare una mano - dice da bordo campo il professore mentre le finaliste si affrontano -, e tutti i lunedì sono venuto qui". Anche lui guarda poco ai risultati tecnici, "ma sul piano umano è un’esperienza straordinaria - aggiunge -, la forza del linguaggio dello sport permette di far comunicare realtà che altrimenti non s’incontrerebbero". Lo ha capito subito la nuova direttrice della casa circondariale bresciana Mariagrazia Bregoli, che ha voluto incontrare subito tutte le associazioni di volontari, e - dice Saldi - "ha confermato la possibilità di trasferire i detenuti da Canton Mombello a Verziano per fare attività sportiva". Così gli appuntamenti si moltiplicano. Giovedì prossimo dalle 14 alle 16.30 è in calendario la quinta edizione dalla "Coppa sorriso", quadrangolare tra detenuti, agenti di Verziano, studenti del "Moretto" e giornalisti di "Bresciaoggi". Il 23 tocca alla "Supercoppa" tra agenti e detenuti di Canton Mombello e Verziano. E il 30, primo quadrangolare tra gli istituti penitenziari. Ancona: domani l’addio a Andrea Novelli, suicida in carcere
Corriere Adriatico, 13 giugno 2005
Si svolgeranno domani pomeriggio alle 15 nella chiesa parrocchiale San Nicolò di Sirolo i funerali di Andrea Novelli, il giovane che si è impiccato nel carcere di Montacuto dove doveva scontare una pena di 14 anni per l’omicidio di Franco Barbadoro, pensionato di 52 anni, ucciso a bastonate. Si celebra l’addio a Novelli, che è voluto uscire di scena da un mondo che non riusciva a capire, e che non lo capiva. È l’ultimo saluto alla giovane vittima di una sindrome delirante che ha armato la sua mano con un bastone di leccio per infierire su una persona innocente, al ragazzo che da morto ha regalato speranze di vita anche ad una paziente marchigiana, che ha lasciato poche amicizia, una allacciata e coltivata in cella. La lettera del "chirurgo fai da te" Massimo Vitali è il ricordo di giorni e sentimenti condivisi dietro le sbarre, e il ringraziamento per un’apertura d’animo sincera. Domani si chiude per sempre l’avventura di Andrea Novelli, difficile e solitaria come il suo carattere. Hanno provato a stargli vicino, soprattutto il suo avvocato Gianni Marasca. Ha anche tentato di fare formale richiesta di inserirlo in un percorso rieducativo con il trasferimento in una struttura specializzata come il carcere di Castiglione delle Stiviere. Niente da fare. E quando uno sconto di pena è svanito, Novelli ha deciso di farla finita per sempre stringendosi al collo una striscia di lenzuolo. È morto due giorni dopo all’ospedale di Torrette. Napoli: educazione alla legalità, alla solidarietà ed alla salute
Comunicato stampa, 13 giugno 2005
Mercoledì 15 giugno, alle ore 9.00, presso il Centro Giovanile Comunale "Sandro Pertini" di Secondigliano, Piazza di Nocera, si terrà il secondo seminario del progetto "Educazione alla legalità, alla solidarietà ed alla salute", del Centro di Servizio Sociale per Adulti (CSSA) di Napoli - Ministero della Giustizia - e del Comune di Napoli. Il seminario, avente per tema "La legalità", sarà presentato dal Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Tommaso Contestabile, e dagli Assessori del Comune di Napoli, Roberto De Masi. Casimiro Monti e Raffaele Tecce. Tra i relatori, Domenico Paonessa, direttore del CSSA di Napoli, Pasquale Troncone, docente di diritto penitenziario dell’Università "Federico II", Beppe Battaglia, vice responsabile della Conferenza regionale volontariato giustizia, ed il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Angelica Di Giovanni. L’iniziativa scaturisce dal protocollo d’intesa siglato tra il Centro di Servizio Sociale per Adulti di Napoli ed il Comune di Napoli, che prevede l’attivazione di sportelli territoriali del Servizio Sociale Penitenziario presso strutture del Comune ed un impegno congiunto sul tema della marginalità e della delinquenza anche attraverso le opportunità offerte dalla Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato d’interventi e servizi sociali.
Il direttore del C.S.S.A. di Napoli, Domenico Paonessa Fivol: chiude Rivista del volontariato, ecco l’ultimo editoriale
Fivol, 13 giugno 2005
Finché c’è vita, c’è speranza, e il volontariato di vitalità ne ha tanta. Ogni anno, ogni mese nascono in Italia nuovi gruppi, altri crescono e da gruppi informali diventano organizzazioni, altri ancora evolvono e danno vita a diverse realtà di terzo settore. L’inchiesta di questo numero ci racconta alcuni esempi di volontariato appena nato, sull’onda di nuovi bisogni, di nuove disponibilità tecnologiche e, soprattutto, dell’impegno di persone che su questo decidono di giocare una parte della loro vita. Il volontariato è vivo e vitale, e sempre più indispensabile nella nostra società complessa, frammentata, liquida, ma anche creativa e piena di risorse. Peccato che siano sempre meno coloro che ci credono, in questo volontariato, e che si assottiglino le fila di coloro che sono disposti a sostenerlo. Ne è un segnale il tentativo di tagliare i fondi ai Centri di Servizio, stralciato all’ultimo momento dal decreto sulla competitività, ma non per questo, si teme, definitivamente abbandonato (v. alle pagine… di questa rivista). Il succo è che una parte cospicua di questi fondi non sarà più gestito direttamente dai Centri (costituiti dal volontariato), ma dai comitati di gestione (in cui il volontariato è rappresentato in misura minoritaria). Ne è un segnale anche la crisi della Fivol, che sta attraversando una difficile fase di ristrutturazione legata alle difficoltà di finanziamento. Questa ristrutturazione comporta, tra l’altro, la sospensione della pubblicazione di questa rivista. La "Rivista del Volontariato" è nata con due motivazioni principali: sostenere le organizzazioni (soprattutto quelle di base) aggiornandole, facendole partecipi dei dibattiti in corso, offrendo materiali di approfondimento sui problemi di cui si occupano; offrire uno spazio di confronto e conoscenza reciproca tra esperienze diverse per obiettivi, metodi di lavoro, ambiti di impegno, forme organizzative. Organizzazioni diverse ma pur sempre di volontariato, secondo l’idea di esso sancita nella Carta dei valori, che non a caso la Fivol ha voluto e portato a definizione dopo un lungo lavoro di discussione con l’articolato mondo del volontariato. L’idea cioè di un volontariato gratuito, libero, ma anche consapevole e protagonista. In questo senso, la nostra rivista è sempre stata un "bene comune" di tutto il volontariato, proprio perché edita da una Fondazione che, per statuto, ha il compito di divulgare la cultura della solidarietà. Noi crediamo che ce ne sia ancora bisogno. A ogni voce che si spegne corrisponde un’idea che non ha più gambe per camminare. Abbiamo la presunzione di pensare che il volontariato che continua a nascere e a crescere sia oggi un po’ più solo. E la speranza che la Fivol che uscirà rinnovata da questa difficile fase, troverà altri strumenti per sostenerlo. Con il numero di maggio-giugno la pubblicazione de la "Rivista del Volontariato" viene sospesa. Da oggi siamo disoccupate. Quest’ultimo anno per noi è stato molto duro e difficile. Eppure, nonostante l’incertezza delle prospettive, abbiamo continuato a lavorare come sempre, mettendo al primo posto l’interesse del volontariato e le aspettative dei nostri lettori. In questo periodo, però, abbiamo ricevuto molti messaggi di incoraggiamento e di solidarietà che ci hanno confermato nella convinzione di stare comunque svolgendo un lavoro utile e condiviso. Ringraziamo i nostri lettori, i nostri preparatissimi collaboratori e tutti coloro che ci sono stati vicini e che hanno lavorato con noi.
La redazione Bolivia: vivere da adolescenti e giovani in carcere a La Paz di Riccardo Giavarini, referente Mlal Bolivia
Pareti dallo spessore di un metro e 20 cm, alte una ventina di metri e lunghe tutto un caseggiato, sono un "parcheggio umano" di 1200 persone. Si tratta del carcere San Pedro di La Paz. E proprio dalle sue dimensioni fisiche (dovrebbe ospitare non più di 700 persone) e organizzative comincia il programma di "privazione" di questo penitenziario. Per chi ha commesso un qualsiasi reato, i diritti umani più elementari sono non solo ristretti ma annullati, a partire da quello di poter vivere sotto un tetto o di avere un briciolo di privacy, di potersi muovere liberamente all’interno di un recinto o di poter dormire senza che chiunque possa svegliarti, o comunque avere la possibilità di fare una qualsiasi scelta propria non direttamente condizionata dal manganello o dalla misura repressiva di turno. Qui il carcere è ancora sinonimo di non vita, di luogo che annulla la persona, che neutralizza l’ azione, il pensiero, la volontà. All’interno di questo carcere sono reclusi anche adolescenti e giovani tra i 16 e i 21 anni. La legge proibisce esplicitamente che questi ragazzi convivano insieme agli adulti ma per mancanza di strutture, soldi, personale adeguato e volontà politica, vengono tutti ugualmente ammucchiati in un medesimo spazio e in condizioni che minano pesantemente dignità e voglia di vivere. Io insieme ad altri abbiamo costituito un gruppo di persone che da due anni si impegna in questo carcere per prestare attenzione soprattutto a questa fascia di età, con il proposito di mantenere appunto accesa in loro la speranza e la voglia di vivere. Si tratta di 99 ragazzi, sparpagliati nei vari reparti di questo carcere. Ormai li conosciamo e loro ci conoscono. Tanto che i livelli di confidenza e di rapporto schietto sono ormai espliciti, ci parlano con naturalezza e con distacco di quello che succede lí dentro e da questi racconti appare chiaro ed evidente quanto le vittime degli abusi siano proprio loro, i più deboli. Ci confessano che droga e alcool sono facilmente reperibili. O con i soldi o vendendo il proprio corpo a chi ha ormai perso ogni rispetto per la dignità umana. Lo stato di corruzione delle guardie é sotto gli occhi di tutti ma se ti azzardi a denunciare o a parlarne in giro sei fatto oggetto di aggressione e di castigo. Quindi l’unico modo per poter "vivere in pace" é quello di assecondare tutto e tutti. Molti ragazzi raccontano che nel loro cibo viene messo un qualche calmante che li tiene intontiti per ore dopo ogni pasto. La vita notturna in carcere non sembra invece del tutto "noiosa". C’é la possibilità di andare a vedere un film anche pornografico o di giocare alle scommesse (e a volte le scommesse si pagano in natura). Nonostante la legge indichi che entro un certo periodo la situazione legale di chi entra in carcere debba essere chiarita o con una condanna o con la scarcerazione, molte sono le persone - e qui anche i più giovani non fanno eccezione- che restano mesi e anni senza sentenza, senza sapere nulla della loro sorte. Perché sono i poveri fra i poveri, arrivano da famiglie disintegrate, perché sono figli abbandonati che hanno avuto la strada come scuola di vita, che non hanno il padrino che paga un avvocato e che per il 93% non avranno mai diritto a un processo perché nessuno si fa carico delle loro spese legali, come ha dichiarato lo scorso 13 di maggio il dott. Tomás Molina, direttore a livello nazionale di Regime penitenziario, in un’intervista rilasciata ai mezzi di comunicazione locale. Tutto questo mentre, nell’angolo del nostro io, risentiamo l’eco delle parole di Gesù quando dicono: "ero in carcere e sei venuto a trovarmi…"; "Io non ti condanno, vai e cambia di vita"; "Chi non ha peccato, scagli la prima pietra…"; "Sono venuto a salvare i peccatori e non i giusti …"; "Facciamo festa perché questo figlio era perso ed é ritornato a casa …". Parole che dovrebbero essere un piano di lavoro per tutti noi. Cosa faremmo infatti ciascuno di noi se non avessimo una famiglia e fossimo costretti a vivere sulla strada? Come faremmo noi a riempirci la pancia se non avessimo un lavoro? Come faremmo a difenderci se non sapessimo leggere né scrivere? Con che stato d’animo potremmo lavorare la terra se le davanti a noi si chiudessero tutte le porte e ci sentissimo urlare in faccia disgraziato, bastardo, inutile, pezzente? Queste le sfide a cui ci chiama il lavoro con questi adolescenti. Con loro stiamo cercando di fare dei percorsi educativi sulla loro autostima, sulla necessità di mettere al centro la persona e il proprio diritto a essere trattati come tali, ad avere l’occasione di esercitare i diritti e i doveri dei cittadini, di scontare la pena ma come occasione di riabilitazione e di reinserimento nel mondo che li ha rifiutati. Grazie anche al sostegno della Conferenza Episcopale italiana stiamo costruendo un Centro dove, attraverso il lavoro, lo studio, la professionalizzazione, un accompagnamento psicologico, legale e con la presenza di educatori motivati, crediamo poter dare ali a questi giovani per superare l’oceano dell’indifferenza e arrivare a porti più ospitali. Non possiamo infatti dimenticare che le cause di queste situazioni vanno ricercate anche nelle famiglie in crisi, in un governo che accantona il sistema sociale per mettersi al servizio di una economia che non conosce nel suo vocabolario la solidarietà, nell’indifferenza di ciascuno di noi che preferisce passare dall’altra parte della strada per non inciampare nel disagio, nella mancanza di politiche pubbliche e di un’organizzazione sociale basata sull’attenzione a chi oggi é escluso. Per sostenere questo progetto: sostegno@mlal.org Info: ufficiostampa@mlal.org – www.mlal.org
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