Rassegna stampa 24 gennaio

 

Iglesias (Ca): manca l’acqua calda, detenuti in rivolta

 

L’Unione Sarda, 24 gennaio 2005

 

Niente acqua calda, un solo assistente psicologico e celle sovraffollate. Non è rosea la situazione al carcere di Iglesias. E i detenuti si sono stancati di sopportare. Per farlo capire e fare arrivare il malumore all’esterno, al mondo dei normali, hanno scelto il modo a loro più congeniale, canonico per chi vive in carcere: rumoreggiando pesantemente, lanciando oggetti e colpendo con forza le sbarre delle celle che li separano dalla libertà. Una mini rivolta, dettata dall’esasperazione, dal desiderio di avere la possibilità di farsi una doccia calda o parlare con gli assistenti psicologici quando c’è necessità.

Perché se da una parte nella casa circondariale di Sa Stoia, lungo la strada provinciale per Villamassargia, si notano segni di attenzione verso i carcerati, come la presenza negli scaffali della biblioteca del Corano scritto in arabo, manifestazione di rispetto per i musulmani, che sono la maggioranza; dall’altra mancano le cose fondamentali. Vale a dire l’acqua calda, un numero accettabile di educatori, spazi adeguati.

E ad aggravare la situazione si aggiunge il fatto che la struttura detentiva è ormai sovraffollata: un centinaio di ospiti contro i sessanta previsti inizialmente. Troppo, anche in una struttura che, rispetto ad altre carceri, è certamente più a dimensione umana. Non del tutto, però, visto che i detenuti sono arrivati a mettere in atto la protesta. Cessata, per il momento, dopo l’intervento della direttrice che li ha incontrati insieme al comandante delle guardie per ascoltare le loro richieste.

Elisa Milanesi, da aprile alla guida della struttura detentiva, non nasconde che i detenuti abbiano manifestato lamentele, "c’è stata una protesta pacifica che si è un po’ irrigidita, ma la situazione è ritornata alla normalità. Abbiamo incontrato i detenuti e spiegato loro che il problema dell’acqua calda è dovuto a un guasto avvenuto tra Natale e Capodanno. Per risolvere il problema abbiamo adottato una procedura d’urgenza, che ci esonera dall’espletare gare pubbliche, ma al momento abbiamo ancora lavori in corso e questo provoca qualche disagio. Non è che l’acqua calda manchi del tutto, piuttosto c’è meno disponibilità, ma è un problema temporaneo".

Non resta che aspettare. Anche se il disagio dovuto alla mancanza di acqua calda era stato manifestato anche in passato. Per l’esattezza il 28 novembre del 2003, quando la struttura venne visitata dai Radicali sardi e dai componenti la commissione diritti civili.

Roma: ufficiale del Comune dai detenuti di Rebibbia

 

La Repubblica, 24 gennaio 2005

 

Da ieri i detenuti dei penitenziari possono sottoscrivere il riconoscimento di un figlio naturale di fronte a un ufficiale del Comune. Sarà lui a recarsi nel penitenziario portando con sé i registri di Stato civile, una procedura straordinaria finora applicabile solo al caso di matrimoni in punto di morte di un coniuge.

Il primo è stato Mario (chiamiamolo così). 42 anni, una condanna per camorra che sta scontando a Rebibbia sottoposto al regime di massima sicurezza. Ieri ha potuto riconoscere il figlio di 14 anni. "È il primo caso di una lunga serie - commenta Mariella Gramaglia, assessore alle Pari Opportunità, incaricata della trattativa con l’Amministrazione penitenziaria - siamo riusciti ad accendere un diritto che non c’era: un precedente per le altre città". L’impossibilità di recarsi alla Casa comunale oppure di pagare un notaio portavano finora i detenuti a rinunciare alla paternità.

Roma: iracheno pestato in cella, agente sott’inchiesta

 

La Repubblica, 24 gennaio 2005

 

Le violenze denunciate da un esule iracheno, fuggito dalle torture di Abu Ghraib, rinchiuso a Regina Coeli - Il detenuto sarebbe stato aggredito da due poliziotti e una donna. Il pm Ferri ha sollecitato il processo per uno di loro.

I pestaggi li aveva già subiti durante il regime di Saddam Hussein nella galera maledetta di Abu Ghraib, quella stessa delle sevizie del marine. Ma Omar Marif Taha, trentenne, rifugiato politico a Roma, non pensava che un giorno avrebbe potuto subire maltrattamenti anche in un carcere italiano. Una brutale aggressione in una cella di Regina Coeli compiuta da due agenti e una donna della polizia penitenziaria.

Era il 10 dicembre di tre anni fa e quel giorno Omar Taha ha riportato la lesione permanente del timpano destro rischiando di restare sordo. Non è stato facile per Omar Marif Taha trovare il coraggio e denunciare il pestaggio. I suoi legali Mario Angelelli e Tommaso Pierini in tutti questi mesi si sono battuti per ottenere l’incriminazione dei responsabili. Alcuni giorni fa il pm Paolo Giorgio Ferri ha chiesto il rinvio a giudizio di un agente.

Ma veniamo ai fatti di quel 10 dicembre, Omar Marif Taha, arrestato perché sospettato di favorire l’immigrazione clandestina, era stato portato in isolamento a Regina Coeli. "Alle 6 di mattina due uomini e una donna venivano per un controllo: Uno degli agenti mi chiedeva perché avessi chiuso la finestra - racconta Taha - Il clima in quei giorni era particolarmente rigido, non c’era neppure una coperta e così avevo risposto che sentivo freddo. Immediatamente l’agente mi disse "Adesso ti riscaldo io" e quindi si infilava i guanti e mi colpiva all’orecchio.

Poi con il ferro per chiudere le finestre mi spingeva verso il termosifone e continuava a sferrare calci. Dopo ho cominciato a perdere sangue dall’orecchio. Solo di sera sono stato accompagnato all’infermeria ma non ho detto nulla perché a scortarmi era uno degli agenti che avevano assistito al pestaggio". Una settimana dopo il giovane iracheno è stato trasferito in un’altra sezione. Solo allora ha trovato la forza di denunciare l’aggressione. L’indagine è stata portata avanti dal pm Ferri che ha trovato diversi riscontri. Gli inquirenti sono riusciti a identificare solo uno degli agenti che deve rispondere di lesioni aggravate "per aver abusato dei poteri e dei doveri inerenti al pubblico servizio".

Catania: "bilancio e solidarietà", continua progetto del Comune

 

Adnkronos, 24 gennaio 2005

 

A Catania continua l’iniziativa "Bilancio e solidarietà" promossa dall’assessorato comunale al Bilancio, volto a dare un sostegno a chi ne ha più bisogno. Così, si legge in una nota, dopo i detenuti del carcere di piazza Lanza che hanno ricevuto in dono più di 20 computer e centinaia di libri, anche i detenuti del carcere di Bicocca potranno usufruire di computer donati dall’istituto catanese Luigi Einaudi.

"Anche in tempi non certo floridi, come quelli attuali - ha detto l’assessore Nino D’Asero - vi sono risorse che non vengono mai meno perché fanno parte dei principi di vita. E noi -ha aggiunto- vogliamo fare che questi principi non si spengano mai e che la solidarietà sia sempre viva in tutti noi. Il modello a cui puntiamo con questo progetto - ha osservato - è quello di portare aiuto ai più bisognosi".

Vicenza: il carcere è allo sbando, denuncia di un agente

 

Giornale di Vicenza, 24 gennaio 2005

 

Una situazione esplosiva. "Va a finire che accade qualcosa di grave. Si tampona, si tampona, ma siamo al culmine. Il carcere S. Pio X, come buona parte delle strutture penitenziarie del Triveneto, è allo sbando più completo. E la soluzione dei problemi non si vede, perché non ci sono soldi, ma neanche la volontà di stanziarne a sufficienza, nè programmazione".

Francesco Colacino, agente penitenziario in servizio nella struttura di via Dalla Scola e segretario nazionale del Cnpp, il maggior sindacato di categoria, non è nuovo a queste denunce. Ma quella di questi giorni è particolarmente veemente, anche perché si dice pronto a segnalare la situazione ad Ulss e procura.

"Un ente privato sarebbe stato multato nelle condizioni in cui versano certi ambienti del S. Pio X. È una vergogna che una struttura pubblica, che dovrebbe dare l’esempio, sia la prima a non rispettare le norme". Ma le questioni aperte sono numerose.

 

Acqua calda

 

Per una settimana, per la rottura di una caldaia, l’intero carcere è rimasto senza acqua calda. "Nonostante i fondi stanziati per gli interventi urgenti, che dovrebbero essere effettuati nel giro di qualche ora - sbotta Colacino - abbiamo atteso a lungo gli operai. Col risultato che tutti i detenuti e la cinquantina di agenti che vivono nella struttura hanno dovuto lavarsi al freddo, con tutti i problemi igienici conseguenti". La riparazione è stata compiuta l’altrieri.

 

Mensa agenti e cucina detenuti

 

È una delle questioni più spinose, che si trascina da tempo. "Fili pendenti, piastrelle rotte, muffa sui muri. Dal punto di vista igienico le due sale sono da chiudere. Provveditori e ministro, dopo le richieste nostre e dei parlamentari, hanno promesso parecchi mesi fa fondi e interventi. Il tempo passa, la situazione peggiora, e non c’è ancora un progetto".

 

Intercinta

 

Anche sulla necessità di ristrutturare l’intercinta (cioè il muro perimetrale con le garitte per sorvegliare spostamenti interni e per scongiurare le evasioni) Colacino sottolinea che le prime richieste risalgono a molto tempo fa. "Le garitte non sono praticabili, ci sono fili elettrici volanti e piove dentro. Un agente, quest’estate, si è ferito perché si era staccato un pezzo di lamiera. Ci avevano promesso 500 mila euro un anno fa, mai visti. Per questo, come avvenuto altrove, abbiamo chiesto di sospendere questo servizio e di sostituirlo con una pattuglia che faccia la ronda in auto, fuori dalle mura. E invece niente".

 

Carenza di agenti

 

Da anni il S. Pio X lamenta una carenza di agenti di polizia penitenziaria che non consente di coprire adeguatamente i turni e costringe i presenti a straordinari che spesso non vengono retribuiti. Per questo il ministero aveva disposto l’invio di 50 nuovi poliziotti. "Ma ne sono arrivati 20 e degli altri 30 non c’è più traccia".

 

Ufficio scorte e piantonamenti

 

Si tratta di una questione molto sentita per gli agenti. "Molti chiedono, per un periodo, di essere trasferiti alle scorte. Non ci sono mai stati problemi, è un servizio che effettuiamo a turno. Ad un agente non è stato concesso, poiché - solo per lui - è stata chiesta un’autorizzazione per una patologia di cui anche altri soffrono. Ed è stato escluso. Gli altri no. È un problema che ha creato tensioni e malumori".

 

Il direttore

 

La direttrice Maria Grazia Bregoli è stata trasferita a fine 2004 a Brescia. "Di fatto mancava da tre anni, per altri incarichi, e abbiamo sempre avuto direttori in missione per qualche mese. Chissà quando ne arriverà uno di stabile. In questo modo, i sindacati non hanno possibilità di contrattare, e i problemi restano nel cassetto".

 

Telefono

 

Nell’ufficio degli ispettori di polizia giudiziaria manca un telefono, che non permette loro di mettersi in contatto con la procura. "Lo chiediamo da due anni, ci dicono che non ci sono i soldi per comprare un apparecchio. Il computer è vecchissimo. Come si fa a lavorare così?".

 

Il sovraffollamento

 

È l’eterno problema del S. Pio X. "La sezione infermeria è chiusa perché i lavori sono stati sospesi per la mancanza di fondi. Così com’è, ora il carcere potrebbe ospitare 95 detenuti. Al momento, sono 280 - conclude Colacino -. La situazione all’interno è invivibile. Chiediamo aiuto alla cittadinanza e alle istituzioni".

Svizzera: a Lugano una brochure sul lavoro dei detenuti

 

Corriere del Ticino, 24 gennaio 2005

 

La Stampa, penitenziario cantonale, si presenta: non come luogo di pena, ma come azienda in grado di soddisfare le esigenze di clienti esterni desiderosi di commissionarle lavori nel campo della legatoria, della stamperia, dell’assemblaggio, della coltivazione di piante. Il tutto, ovviamente, a prezzi di manodopera contenuti, varianti tra i 3 e i 5 franchi all’ora. Ecco il nuovo progetto allo studio del direttore Armando Ardia per cercare di garantire lavoro agli oltre 130 detenuti: la pubblicazione di una brochure che reclamizzi tutto quanto è possibile effettuare in carcere.

Scopo dell’iniziativa, in un momento particolare di crisi, non è di sottrarre occupazione al mondo del lavoro, spiega Armando Ardia, ma di portare alla Stampa, in modo costante e mirato, una serie di ordinazioni in grado di consentire a tutti gli ospiti di impiegare in modo costruttivo parte della giornata. I centoventi carcerati attualmente rinchiusi alla Stampa e la dozzina di donne pure detenute nella sezione chiusa del penitenziario quotidianamente si recano al lavoro, evitando così di restare in cella senza niente da fare per la maggior parte della giornata.

Per poter consentire a tutti di avere un’occupazione, la direzione ha introdotto alla Stampa il part-time. In pratica, parte delle 130 persone incarcerate può lavorare anche al cinquanta per cento, quattro ore al giorno. Il sistema, per ora, pare reggere alla crisi, ma adesso è arrivato il momento di guardarsi attorno e di sviluppare qualche idea. Per questo motivo Ardia ha iniziato a pensare alla pubblicazione di una brochure che, una volta realizzata, non dovrà restare inutilizzata nel reparto accettazione del penitenziario cantonale, ma iniziare a circolare all’esterno, nel cantone, al fine di suscitare l’attenzione di tutti coloro che sono potenzialmente interessati alle prestazioni lavorative dei carcerati della Stampa. Il direttore, guardando alle potenzialità ed all’offerta di prestazioni che possono essere fornite dai laboratori del carcere, vorrebbe acquisire clienti non occasionali, in grado quindi di stipulare contratti a media e lunga scadenza.

Il tutto tenendo conto della logistica del penitenziario, della disponibilità dei laboratori, delle possibilità di carico e di scarico della merce che arriva alla Stampa destinata agli ambienti di lavoro dei detenuti. Ardia passa in rassegna rapidamente tutte le opportunità di lavoro offerte in carcere. Ad ogni piano delle varie sezioni ci sono lo scopino, ricorda, l’addetto alle pulizie, alla distribuzione dei pasti, eccetera. Anche la palestra ha un responsabile che cura la manutenzione del prato a disposizione dei carcerati. Altri posti di lavoro si trovano nell’infermeria. Poi ecco la lavanderia, la stireria, la cucina, la falegnameria, la stamperia, la legatoria e la serra, tutti importanti laboratori occupazionali.

I posti fissi (che possono contare su un flusso di lavoro stabile) sono un’ottantina, informa Ardia. Per i restanti, occorre industriarsi, sottolinea il nostro interlocutore. Attualmente scarseggiano ordinazioni soprattutto per quanto concerne la sezione femminile. Il direttore Ardia resta comunque fiducioso. È convinto che l’iniziativa cui si sta dedicando darà i suoi frutti.

Bologna: in Emilia 3500 detenuti, carenze sanitarie e di personale

 

Bandiera Gialla, 24 gennaio 2005

 

Lunedì 17 gennaio, nella Sala polifunzionale della Regione Emilia-Romagna, si è tenuto il convegno "Carcere tra Territorio e Diritti". Davanti ai numerosi partecipanti è stato l’assessore regionale alle Politiche sociali Gianluca Borghi ad esporre i dati sulla situazione carceraria dell’Emilia Romagna.

Sul territorio regionale sono presenti 12 Istituti penitenziari, suddivisi in 8 Case circondariali (dove sono recluse persone in attesa di giudizio o con pene di durata inferiore ai 5 anni), due Case lavoro, un Ospedale psichiatrico giudiziario ed una Casa di reclusione (o Istituto penale, per soggetti con pene detentive superiori ai 5 anni). Al 30 giugno 2004 c’erano negli istituti penitenziari dell’Emilia - Romagna 3.533 detenuti, di cui 1.611 stranieri (quasi il 46% del totale). Di essi, 980 sono tossicodipendenti: il 27.7%, che insieme agli alcool dipendenti (122) raggiungono il 31% di detenuti affetti da problematiche di dipendenza. Il dato sui sieropositivi non è attendibile, data la scarsa partecipazione agli screening, ma risultano 77 detenuti affetti da Aids in diversi stadi.

Oltre alla presenza di detenuti tossicodipendenti ed al sovraffollamento, le problematiche riguardano la carenza di personale di tutte le categorie (dalla custodia, al cosiddetto trattamento, alla sanità), la cattiva attuazione delle possibilità di misure alternative, la mancanza di attività culturali, sportive, formative e lavorative, la drammatica situazione sanitaria. Da segnalare inoltre la totale assenza di servizi di mediazione culturale o anche soltanto di traduzione, in istituti dove la presenza di stranieri raggiunge quasi la metà dei detenuti, la cui detenzione è pertanto ancor più problematica."La situazione delle carceri del nostro Paese ormai è insostenibile - ha sottolineato Borghi - Il governo affronti questa emergenza perché quello della tutela alla salute delle persone recluse è un tema fondamentale".

La Regione, in questo contesto, ha già ribadito il suo impegno per dare vita ad un sistema integrato di gestione economico-organizzativa delle questioni sanitarie. Sono in progetto - come previsto nel protocollo d´intesa siglato nel ‘98 tra il ministero di Grazia e Giustizia e l’amministrazione regionale - una migliore assistenza sanitaria di base, l’anagrafe sanitaria per i detenuti, l’approvvigionamento e la spesa farmaceutica, l’assistenza ai tossicodipendenti detenuti, fino al superamento dell’ospedale psichiatrico giudiziario.

Complessivamente, sono già stati ripartiti ai Comuni emiliano-romagnoli interessati al miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti oltre 1,9 milioni di euro, 400 mila dei quali relativi al 2004.

Matera: plauso di Regione e Comune per detenuti - studenti

 

Adnkronos, 24 gennaio 2005

 

Il presidente della Regione Basilicata, Filippo Bubbico, il sindaco di Matera, Michele Porcari, hanno visitato in mattinata la classe del terzo anno del corso di ragioneria che l’istituto commerciale Olivetti ha istituito presso la casa circondariale di Matera per consentire ai detenuti di seguire un corso di studi.

L’iniziativa rientra nelle politiche di reinserimento sociale di persone in carcere. "Ho potuto constatare - plaude Bubbico - che si tratta di un’esperienza molto bella e importante, che si realizza grazie all’impegno congiunto della scuola, degli insegnanti, della direzione del carcere e delle guardie carcerarie che offrono un significativo contributo".

Immigrazione: Medici Senza Frontiere; Cpt sono prigioni, chiudeteli

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 24 gennaio 2005

 

I Centri di permanenza temporanea italiani sono ormai "un’appendice del sistema carcerario" e con essi si è "rotta la linea di demarcazione tra sanzione amministrativa e sanzione penale": la denuncia è di Angelo Caputo, magistrato e giurista, intervenuto alla presentazione del libro di Medici senza Frontiere "Anatomia di un fallimento", (edito da Sinnos) che riepiloga i risultati del Rapporto di Msf sui Ctp.

La presentazione è stata l’occasione, per l’organizzazione umanitaria, di ricordare la situazione negli 11 Centri di accoglienza e nei 5 Centri di identificazione presenti sul territorio nazionale, che la delegazione di Msf visitò nella seconda metà del 2003. Da allora, Medici senza Frontiere non ha più potuto accedere alle strutture, diventate - come ha detto anche l’assessore comunale Luigi Nieri, a proposito del Cpt di Ponte Galeria a Roma, che il Garante dei detenuti non ha potuto visitare - sempre più "luoghi nascosti".

Gravi violazioni del diritto di asilo, mancanza d’informazione legale, scarsa presenza dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: nei Centri, secondo Msf, la situazione, dal punto di vista dei diritti, è intollerabile. Lo scarso livello di informazione dei trattenuti, influisce pesantemente anche sulla possibilità di presentare domanda d’asilo. Medici senza Frontiere accusa tra l’altro l’Unhcr di "assenza" nei Cpt, dove "il monitoraggio del rispetto del diritto di accesso alla procedura di asilo viene spesso lasciato alle organizzazioni locali". "Non si può prescindere dall’aspetto umano della questione" ha sottolineato dal canto suo il senatore dei Verdi Francesco Martone, coordinatore del gruppo di lavoro parlamentare sui Cpt, che ha sollecitato un approccio alternativo alla questione.

Immigrati ospitati in container freddi d’inverno e caldissimi d’estate, oppure stipati in camerate insufficienti all’interno di strutture fatiscenti, dove sono obbligati a trascorrere la maggior parte della giornata a causa della mancanza di spazi alternativi. Questo influenza i comportamenti: non a caso - sottolinea Msf - gli episodi di autolesionismo sono all’ordine del giorno. Inoltre appare eccessiva la somministrazione di psicofarmaci.

Ancora, nei Cpt ci sono troppo immigrati ex detenuti, che vivono negli stessi spazi di tutti gli altri stranieri, anche quelli molto giovani appena arrivati nel nostro Paese. Inoltre, è molto diffuso il caso di stranieri che soggiornano ripetutamente nei centri. Il sistema dei Cpt, ricorda Msf, è stato pensato per procedere, entro 30 o al massimo 60 giorni, all’identificazione e al rimpatrio di quei cittadini stranieri presenti irregolarmente sul territorio nazionale. Con gli anni, invece, "il sistema è diventato un’ estensione del carcere giudiziario": in media, il 60% della popolazione dei Cpt è costituito da ex detenuti. Msf punta infine il dito sulla "eccessiva presenza nei Cpt delle forze dell’ordine", che spesso sono presenti anche durante i colloqui degli immigrati con il personale interno o con i visitatori.

"Il contrasto all’immigrazione è diventato in Italia il punto basilare" ha detto Mauro Palma, magistrato e membro del Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Non a caso, infatti, "se nel 2002 sono stati stanziati per l’immigrazione 65 milioni di euro per il contrasto e 63 per il sostegno, l’anno seguente ne sono destinati ben 165 al contrasto e 38 al sostegno".

Brasile: 27 agenti carcerari arrestati per torture a minorenni

 

Sda - Ats, 24 gennaio 2005

 

Ventisette agenti di custodia sono stati arrestati oggi e incriminati per torture a delinquenti minorenni detenuti in un carcere minorile di San Paolo. Il pubblico ministero di San Paolo ha accusato gli agenti di aver aggredito con sbarre di ferro e manganelli 84 adolescenti durante una rivolta nel carcere minorile di Vila Maria. In molti casi le ispezioni dopo la rivolta del 12 gennaio scorso hanno rivelato lesioni gravi tra i giovani detenuti.

Gli agenti sono accusati anche dalla magistratura di associazione a delinquere per aver "stretto un patto mutuo per occultare i fatti e distorcere il resoconto dei fatti". Il direttore del carcere è stato sospeso dalle sue funzioni ed è anch’egli sotto inchiesta. Il sindacato degli agenti carcerari brasiliani ha fatto ricadere la colpa sulla segreteria di Pubblica Sicurezza di San Paolo, "che obbliga gli agenti a sedare le rivolte con un organico molto inferiore alle necessità, mettendo a rischio la sicurezza degli effettivi".

Droghe: ragazzi "normali" e insoddisfatti si sballano ai rave

 

Redattore Sociale, 24 gennaio 2005

 

Ragazzi "normali" e insoddisfatti, che ai rave si sballano per scelta. Sono i giovani che hanno partecipato alla street rave parade 2004 di Bologna del 3 luglio scorso (209 interventi sanitari il bilancio). È quanto emerge dallo studio fatto dall’Osservatorio epidemiologico metropolitano per le dipendenze patologiche dell’Azienda Usl di Bologna, condotto dal responsabile Raimondo Pavarin e presentato oggi a operatori e tecnici del settore.

La ricerca, realizzata in collaborazione con il centro sociale Livello 57 che ha retribuito i 23 intervistatori, fotografa una realtà fatta di ragazzi relativamente benestanti che lavorano o studiano, vanno in palestra, al cinema, in discoteca e nei pub, che spesso vivono ancora in famiglia, insoddisfatti della vita che fanno e spaventati per il futuro.

Come sottolinea il dottor Pavarin, "tra i 590 intervistati, relativamente all’ultimo mese prima del rave (e cioè giugno), 7 su 10 hanno dichiarato di aver usato sostanze illegali, 1 su 2 di avere disturbi di tipo psicologico (disturbi della memoria, del sonno, ansia, depressione), 1 su 3 ha stili di vita ad alto rischio come mischiare stupefacenti e alcol o guidare dopo avere bevuto. Si tratta comunque di un campione (all’edizione 2004 del rave bolognese hanno partecipato circa 150 mila persone) - precisa il responsabile dell’Osservatorio per le dipendenze patologiche dell’Ausl - che non rappresenta per intero l’universo giovanile, e i risultati non vanno quindi generalizzati".

Ma qual è il profilo degli intervistati? Si tratta di giovani che hanno in media 24 anni, il 38% sono donne, il 96% italiani, il 58% vive in famiglia, 6 su 10 lavorano, la metà studia, un 15% fa entrambi. Dai diversi profili a rischio emergono: insoddisfazione, uso recente di stupefacenti, uso di droghe pesanti, abuso di alcol.

La ricerca conferma la diffusione dell’uso abituale di cannabinoidi, l’aumento del consumo di salvia divinorum, crack e cocaina, ed evidenzia tre diversi modi di assumere droga: c’è chi usa solo hascisc e marijuana, ci sono i poliassuntori (mix di amfetamine, ecstasy e alcol) e i consumatori di droghe pesanti (eroina, cocaina, crack). Ma non è vero che chi "si fa delle canne" è più incline a passare ad altre droghe. L’89% degli intervistati fa uso di sostanze da più di 5 anni, il 51% da più di 10 anni. Abbastanza preoccupanti, infine, i dati sull’età media del primo uso di alcune droghe: prima dei 16 anni per quanto riguarda i cannabinoidi (c’è un 10% che addirittura li prova prima dei 14 anni), a 18 si provano eroina, cocaina, benzodiazepine, ecstasy, popper e psicofarmaci. Se consideriamo poi tutte le droghe, un quindicenne su due ne ha già provata almeno una, in ordine di probabilità: hascisc e marijuana, popper, cocaina.

 

Non sono emarginati...

 

L’indagine realizzata dall’Osservatorio epidemiologico metropolitano per le dipendenze patologiche dell’Ausl bolognese sfata almeno due luoghi comuni: che i giovani che frequentano i rave party e abusano di droghe e alcol non sono né emarginati né provengono da condizioni socio-economiche e culturali particolari, e che l’ebbrezza, lo "sballo", l’alterazione psicofisica sono consapevolmente ricercati e non sono il frutto della cattiva influenza del gruppo, dei luoghi frequentati o della semplice disponibilità di stupefacenti. I ragazzi, almeno quelli che hanno partecipato al rave bolognese di quest’estate, utilizzano sostanze per rilassarsi o al contrario star svegli fino a tarda ora, per socializzare, alleviare la depressione, migliorare le prestazioni sessuali. "Questo vuol dire che l’uso di stupefacenti non è tanto legato al contesto in cui il giovane vive, ma piuttosto al significato che viene attribuito alla sostanza - spiega il dottor Pavarin -. Rimane da definire, però, il ruolo che gioca il consumo di stupefacenti, se causa o effetto di problemi psicologici, se legato ai luoghi o se dovuto a potenziali funzioni sociali, fisiche e psicologiche attribuite all’effetto delle varie sostanze".

Il contesto "rave" è stato quindi scelto per la ricerca "perché la maggior parte dei frequentatori di questi eventi adotta stili di vita simili, utilizza stupefacenti in misura maggiore rispetto ai loro coetanei e anticipa i modelli di consumo innovativi", continua Pavarin. Ma non senza rischi. Dallo studio si evince innanzitutto la modificazione degli stili del bere giovanile e l’alta percentuale di incidenti stradali. In secondo luogo, chi fa un uso di questo tipo di sostanze stupefacenti non si rivolge ai servizi o perché non si considera tossicodipendente, o perché non li conosce o perché non li considera in grado di risolvere i propri problemi. E questo aumenta la loro potenziale futura dipendenza.

I risultati dell’indagine evidenziano infine la necessità di impostare politiche sanitarie sulle droghe in modo diversificato rispetto ai soggetti con problemi di dipendenza e ai semplici consumatori. Oltre ai contesti d’uso (discoteca, rave, concerti, ecc.), vanno considerate anche le motivazioni che portano all’uso di stupefacenti e i significati attribuiti alle diverse sostanze. Vanno considerati target e obiettivi diversi a seconda del tipo di sostanza utilizzata. È da qui si deve partire per fare prevenzione.

Matera: visita a carcere di presidente regione sindaco e assessore

 

Asca, 24 gennaio 2005

 

Il presidente della Regione Basilicata, Filippo Bubbico, il sindaco di Matera, Michele Porcari, e l’assessore alle Politiche Sociali dello stesso Comune, Nicola Trombetta, hanno visitato ma la classe del terzo anno del corso di ragioneria che l’istituto commerciale Olivetti ha istituito presso la casa circondariale di Matera per consentire ai detenuti di seguire un corso di studi.

"Ho potuto constatare - ha affermato Bubbico al termine della visita - che si tratta di una esperienza molto bella e importante, che si realizza grazie impegno congiunto della scuola, degli insegnanti, della direzione del carcere e delle guardie carcerarie che offrono un significativo contributo. A tutti questi soggetti va il convinto plauso della Regione".

"Pochi mesi fa - afferma ancora Bubbico - ho sottoscritto con il ministero della Giustizia un protocollo d’intesa, che fra l’altro ha anche l’obiettivo di individuare iniziative comuni di tutte le istituzioni interessate per favorire il recupero dei soggetti che fanno ingresso nel circuito penale e consentire loro, dopo la detenzione, di superare la condizione di marginalità sociale.

L’amministrazione della giustizia deve saper ricercare le condizioni per reintegrare nella società le persone che hanno espiato la propria pena e l’idea di aprire il carcere a queste esperienze di formazione e di studio è certamente è una novità importante è positiva.

Insieme a questo - ha concluso Bubbico - occorre rendere più forti le politiche di inserimento lavorativo". Per il sindaco, Michele Porcari, "l’esperienza del carcere di Matera rappresenta il fiore all’occhiello per una città che vuole sempre di più promuovere la pace ed i diritti umani. L’attività didattica nella casa circondariale rappresenta uno dei modi migliori per favorire l’integrazione nella società e per avvicinare il detenuto al mondo del lavoro".

Cosenza: lavoro per gli ex detenuti, "il pregiudizio li penalizza"

 

Giornale di Calabria, 24 gennaio 2005

 

È il pregiudizio nei confronti di un ex detenuto la principale difficoltà incontrata da coloro che, dopo la scarcerazione, tentano di reinserirsi nel mondo del lavoro. È quanto emerge da una indagine dell’Associazione Nour onlus di Cosenza compiuta nelle carceri ed in ambienti dove vivono ex detenuti.

Il 48% del campione - secondo quanto emerge dall’indagine - costituito da persone che hanno cercato di reinserirsi nel mondo del lavoro dopo l’esperienza carceraria, ha dichiarato come principale difficoltà il pregiudizio nei confronti di un ex detenuto, oltre alla mancanza di fiducia e affidabilità e la disponibilità ad offrire solo lavori con retribuzione molto bassa e non regolari. Il 29% del campione intervistato ha dichiarato che già dal primo tentativo di inserimento nel mondo del lavoro, prima della detenzione in carcere, aveva incontrato difficoltà di inserimento lavorativo.

Il 53% del sottocampione, sul punto, ha indicato tra le principali cause, la mancanza del titolo di studio, il 40% del sottocampione, la mancanza di una qualifica professionale specifica, ed il restante del sottocampione, la mancanza di esperienza lavorativa. "La novità - sostiene il presidente della Nour onlus, Franco Felice - dovrebbe stare proprio nello spirito di collaborazione tra le parti sociali, cioè tra portatori di interessi per loro natura divergenti e spesso contrastanti".

L’indagine ha avuto inizio con uno studio conoscitivo all’interno dei Penitenziari della provincia di Cosenza, ed in particolar modo in quello di Rossano, promossa dall’Osservatorio regionale sul lavoro sommerso e curata per la Nour onlus dalla sociologa Carmen D’Onofrio.

L’indagine era finalizzata a rilevare, tra l’altro, il fabbisogno formativo dei detenuti, allo scopo di promuove azioni di formazione dirette a consentire reali sbocchi lavorativi sia all’interno che all’esterno dei luoghi di detenzione. "In particolare - aggiunge il presidente della onlus, Franco Felice Capone, da una parte bisognerebbe preparare le nuove generazioni a svolgere con competenza le funzioni che il nuovo modo di fare impresa e di fare economia richiede; dall’altra, predisporre percorsi di riqualificazione per coloro che non trovano più posto nel sistema produttivo, oppure in certi settori del sistema produttivo, ma sono ancora in grado di dare un contributo attivo in altri settori, oppure in altri comparti del sistema economico-sociale".

Cosenza: all’Università un master su criminalità e devianza

 

Asca, 24 gennaio 2005

 

Presentato venerdì, nell’aula magna dell’Università della Calabria, il Master di secondo livello in "Criminalità, devianza e sistema penitenziario", organizzato dalla Facoltà di Scienze Politiche e dal Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria della Calabria. Nell’occasione sono stati presenti anche tutti coloro che hanno completato le operazioni di iscrizione al Master, le cui lezioni avranno inizio nel pomeriggio di domani, alle ore 14.00, nell’aula H/1.

Alla manifestazione sono intervenuti: il Rettore Giovanni Latorre; il Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria, Paolino Quattrone; il Preside della Facoltà di Scienze Politiche, Silvio Gambino; il Direttore del Master, Pietro Fantozzi.

La criminologia, la sociologia e il diritto sono le discipline cardine del Master - spiega un comunicato - che intende offrire molteplici approcci di studio utili alla comprensione dei fenomeni delittuosi. Nelle discipline suddette confluiscono, integrandosi, dati, conoscenze e metodi provenienti dai diversi campi del sapere, per esempio psicologico e medico.

Inoltre, il Master prevede l’approfondimento di alcune tematiche del servizio sociale, al fine di offrire un nuovo modo di intendere la prevenzione del crimine, così come di aiutare a predisporre strumenti trattamentali e di reinserimento adeguati alla realtà attuale. Il Master rappresenta un’occasione mirata di accrescimento di competenze specifiche rivolto a coloro che, per professione o per vocazione intellettuale, sono interessati alle condotte criminali e alle relative risposte punitive e trattamentali.

Napoli: incontro con la direttrice del carcere di Secondigliano

 

Il Mattino, 24 gennaio 2005

 

Un’altra donna tra i casertani in carriera: Laura Passaretti da Sessa Aurunca, che dirige da un anno una delle più importanti e delicate strutture penitenziarie italiane, quella di Secondigliano. Una famiglia quella dei Passaretti da sempre al lavoro dietro le sbarre: il papà Osvaldo ha guidato a lungo il carcere di Poggioreale, il fratello Antonio ha diretto, prima di Laura, il carcere di "massima sicurezza" di Carinola.

Passaretti, una famiglia dietro le sbarre, una vera e propria dinasty al servizio dello Stato su uno dei fronti più difficili, appunto quello degli istituti carcerari. Nativa di Sessa Aurunca, dove risiede, poco più di 50 anni, Laura Passaretti, laureata in filosofia, dal novembre 2003 è stata chiamata alla guida della più grande struttura napoletana, dopo aver diretto con successo il "Novelli" di Carinola. Il papà Osvaldo era stato in passato direttore del carcere di Poggioreale e poi ispettore distrettuale per Campania, Puglia e Basilicata, mentre il fratello Antonio, scomparso da qualche anno, l’aveva preceduta nella direzione dell’istituto di pena di Carinola.

Come il suo collega Luigi Pagano, originario di Cesa, già direttore di un altro carcere "simbolo", quello di San Vittore a Milano, Laura Passaretti intende il suo impegno come una "missione". "Potevo optare per il lavoro di ufficio, dopo essere stata a Roma al Ministero segretaria particolare del direttore generale degli istituti di pena Nicolò Amato -racconta la direttrice del carcere di Secondigliano-. Ma ho voluto da tempo ritornare al fronte, perché mi piace stare dove c’è bisogno, non dove ci si può sentire più realizzati e, soprattutto, tranquilli".

Studi al Liceo Umberto di Napoli, quando il papà era direttore a Poggioreale e i Passaretti abitavano nell’alloggio di servizio, laurea in filosofia all’Università di Napoli, per Laura i genitori ipotizzavano un tranquillo futuro da docente a scuola.

"Ho iniziato, difatti, con alcune supplenze nell’hinterland di Napoli nelle scuole dei quartieri di San Giovanni a Teduccio e Ponticelli - ricorda Laura - e lì ho cominciato a capire come si comportavano i ragazzi, la maggioranza, etichettati come "discoli", poi più per guadagnare punteggio per i concorsi successivi io e mio fratello, che faceva l’assistente universitario, partecipammo al bando emanato dalla Direzione Penitenziaria del Ministero di Grazia e Giustizia".

"Ci ritrovammo nella stessa amministrazione in cui aveva fatto servizio mio padre – aggiunge -, mio fratello Antonio a Cassino e io come vice al femminile di Pozzuoli. Poi lui è passato per Pianosa, poi come provveditore in Sicilia, Sardegna e Basilicata, quindi come direttore al cosiddetto "supercarcere" di Carinola, mentre io sono stata trasferita come dirigente amministrativa allo Psichiatrico Giudiziario di Aversa, poi alla direzione generale nello staff del direttore Amato, due anni e mezzo di grande esperienza, quindi all’ispettorato distrettuale di Napoli, tornando a Pozzuoli come direttrice, per arrivare nel 1993 alla guida del carcere di Carinola dopo il passaggio di mio fratello alla direzione della Scuola di formazione a Roma".

In pratica il "supercarcere" di Carinola, inaugurato negli anni ‘80 è stato diretto per vent’anni dai fratelli Passaretti, Antonio fino al ‘93, Laura fino al 2003. A suo tempo il "Novelli" era stato etichettato come un istituto "d’avanguardia" a livello europeo e Antonio Passaretti, nei dieci anni di direzione, lo aveva collaudato e migliorato rendendolo un modello di riferimento visto che dietro le sbarre "ad alta sicurezza" ci sono stati e ci sono personaggi di primissimo piano del terrorismo di varia matrice e della malavita organizzata (camorra, mafia, ‘ndrangheta, sacra corona) tra cui Raffaele Cutolo che vi ha soggiornato a lungo. "Non ho fatto altro -spiega Laura- che proseguire il lavoro avviato da mio fratello, cogliendo tutte le opportunità fornite dalla nuova normativa in termini di progetti di recupero e originali forme di socializzazione".

"Ho avuto la soddisfazione di vedere alcuni detenuti a lunghe pene detentive - ricorda la Passaretti - laurearsi addirittura: un calabrese, che mi sembra ora sia fuori, in architettura; un altro in medicina; infine un bel gruppo iscritto al corso per il diploma di geometra, aggregato all’Istituto Tecnico Florimonte di Sessa Aurunca, allora presieduto dall’attuale sindaco Elio Meschinelli. E poi i corsi di gastronomia, arte e computer realizzati con la collaborazione della Regione, attraverso il centro di formazione "Avogadro", quando riuscimmo addirittura a organizzare una mostra di pittura con opere di detenuti provenienti da tutta Italia che fu inaugurata alla presenza dell’allora ministro della Giustizia Oliviero Diliberto".

"Carinola -paragona la Passaretti il precedente al suo attuale incarico- è una realtà carceraria piccola, forse più a misura dell’uomo, Secondigliano è, invece, tutt’altra cosa, come grandezza e come densità della popolazione carceraria. Ci sono in media 1300 detenuti, quelli per i quali la pena è già acquisita, mentre a Poggioreale, l’altro grande carcere di Napoli, sono ristretti quelli appena arrestati ed in attesa delle prime decisioni del magistrato competente

Fortunatamente qui ho tanti assistenti e operano numerosi volontari per portare innanzi il programma di recupero attraverso la didattica, cioè i corsi di artigianato, sui computer, per cuoco, inoltre ragioneria e infine tante attività culturali come la lettura dei libri, il cineforum, la manualità artistica. Ogni anno spalanchiamo le porte ai poeti ed agli scrittori del Premio Napoli, visto che al nostro interno sono stati costituiti due comitati di lettura e c’è stata la possibilità di dialogare con gli autori". "Se c’è un limite a Secondigliano - confessa la Passaretti - è proprio la sua dimensione. Il mio cruccio difatti è quello di non poter essere vicino a tutti, vivere cioè in prima persona tutti i problemi, purtroppo sono fatalmente assorbita dai più importanti".

"Il mio sogno - conclude Laura - sarebbe quello di far uscire dal carcere i detenuti già avviati con convinzione al recupero per utilizzarli come "testimonial" in giro nelle scuole, quelle dove ho iniziato a fare la supplente nei quartieri a rischio della cintura di Napoli. Da loro vorrei far raccontare ai ragazzi cosa succede quando uno sceglie la strada sbagliata fuori, dove c’è la libertà, e si ritrova dentro, dove magari c’è anche la vivibilità, ma manca il bene più prezioso, appunto quello della libertà. È questo che più di tutto va fatto capire agli scugnizzi e forse più di ogni altro lo possono insegnare i "docenti" della vita carceraria, quelli che hanno sbagliato percorso e volentieri tornerebbero indietro per ritrovare l’autostrada della legalità".

Tossicodipendenze: convegno per discutere di alternative

 

Vita, 24 gennaio 2005

 

Se ne parlerà giovedì 27 gennaio a Roma in un convegno organizzato dall’amministrazione penitenziaria. Fra i partecipanti il Presidente del Senato Marcello Pera. Il rapporto tra tossicodipendenza e reati minori rappresentata sempre più per l’Amministrazione Penitenziaria una vera e propria sfida. In molte situazioni, il ricorso alla carcerazione si traduce in una extrema ratio dovuta al mancato riconoscimento della condizione patologica del tossicodipendente nella fase processuale.

Nell’obiettivo di stimolare la riflessione ed il dibattito politico e sociale al riguardo e per verificare la concreta possibilità di adottare nuove metodologie di approccio "non custodialistico" al problema dei tossicodipendenti autori di reati minori, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia - su iniziativa del Direttore Generale dei Detenuti e del Trattamento Sebastiano Ardita, ha organizzato il Convegno "La tossicodipendenza, il carcere, le alternative" che si svolgerà il 27 gennaio presso l’Hotel Villa Pamphili di Roma.

Ai lavori parteciperanno, tra gli altri, il Presidente del Senato Marcello Pera, il Sottosegretario di Stato del Ministero della Giustizia Giuseppe Valentino, il Presidente della Commissione Giustizia del Senato Antonino Caruso, il Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati Gaetano Pecorella, il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tinebra, il Garante per i detenuti del Comune di Roma Luigi Manconi, il presidente della Corte di Appello di Milano Grechi e numerosi magistrati e professori universitari.

Per fornire un segno di concreta mobilitazione del sistema giustizia italiano nella gestione delle problematiche della tossicodipendenza, il Convegno vuole in particolare costituire un momento fondamentale di verifica della possibilità di diffondere in altre sedi l’esperienza di collaborazione tra Uffici Giudiziari, Servizi per le tossicodipendenze e Comunità Terapeutiche già sperimentata con successo negli ultimi anni a Milano.

Il modello di collaborazione Tribunale/Forze dell’Ordine/DAP/Servizi tossicodipendenze Pubblici e del Privato Sociale può infatti essere esteso ad altre grandi città (in primis si intende verificarne l’applicabilità a Roma, Padova, Reggio Calabria e Catania), evitando in molti casi la detenzione e favorendo il recupero attraverso strutture riabilitative. Una nuova strada per un rapporto più equilibrato e funzionale fra reato consumato, responsabilità e pena.

Di basilare importanza per la riuscita del progetto, secondo la strategia elaborata dal Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, sarà la definizione di linee guida per implementare la collaborazione tra il Giudice Monocratico del rito direttissimo e gli altri servizi della Giustizia e della Sanità, il monitoraggio e la verifica dell’attività dei Servizi Sert attivati nelle città prescelte, il monitoraggio e la verifica dell’efficacia dei percorsi terapeutici extra carcerari seguiti dai soggetti tossicodipendenti, e l’individuazione di indicatori utili a razionalizzare al meglio gli interventi, favorendo così il contenimento del sovraffollamento carcerario e dei relativi costi.

Catanzaro: nel carcere di Siano si impara un lavoro

 

Vita, 24 gennaio 2005

 

I detenuti della casa circondariale di Siano potranno partecipare a corsi di formazione professionale. Una sinergia tra il Provveditorato regionale alla giustizia, la direzione della casa circondariale di Siano di Catanzaro e la Regione Calabria, assessorato alla Formazione professionale, per garantire in termini propositivi un futuro lavorativo ai detenuti, è stata avviata nell’ambito del protocollo d’intesa siglato tra Ministero della Giustizia e Regione Calabria.

"Ho intenzione di effettuare un corso di formazione mirato non solo a esaltare la qualità eccellente delle prestazioni acquisite dai detenuti, ma anche per fornire loro una garanzia per un futuro, attraverso un attestato che possa essere spendibile all’esterno e dare la possibilità di accedere nel mondo del lavoro" - ha detto l’assessore regionale Piero Aiello subito dopo la visita fatta nelle sezioni di alta e media sicurezza nella casa circondariale di Catanzaro.

L’assessore, accompagnato dal provveditore regionale alla giustizia Paolo Quattrone e dal direttore della casa circondariale Agazio Mellace, ha avuto modo di visitare il laboratorio di ceramica, di falegnameria, di restauro mobili e le aule adibite agli studi superiori ed universitari sia nella media che nell’alta sicurezza rimanendo piacevolmente esterrefatto per l’ottima capacità organizzativa riscontrata all’interno della struttura.

"Abbiamo voluto evidenziare all’assessore - ha detto Agazio Mellace - ciò che di importante sotto il profilo culturale, professionale ed artistico si realizza all’interno dell’istituto. Quanto è possibile trasformare gli istituti attraverso l’apporto sinergico con i detenuti e coloro che operano all’interno della casa circondariale. Occorre questo supporto da parte della Regione per cercare di dare forte slancio alle attività che si svolgono all’interno della casa Circondariale".

"Abbiamo attivato il progetto "Athena" - ha detto invece Quattrone - con il quale abbiamo previsto una serie di interventi a tappeto in tutti gli istituti penitenziari della regione Calabria. È in fase di concreta e di pratica attuazione e prevede l’istituzione dei poli (istruzione, sanitari, lavorativi) nelle strutture penitenziarie per offrire concrete opportunità alla popolazione dei detenuti. Ma il problema carcere è di natura culturale, ossia non può essere demandato solamente agli operatori penitenziari, ma tutta la società civile si deve appropriare di una problematica che ci riguarda tutti".

Roma: presentato progetto per l’informazione dal carcere

 

Ansa, 24 gennaio 2005

 

Costituire una rete nazionale di informazione dal e sul carcere, in grado di fornire notizie su quanto avviene nel mondo penitenziario, di essere "voce" riconosciuta nel panorama mediatico e di dare sistematicità e organizzazione alle tante iniziative di giornalismo carcerario che negli ultimi anni si sono moltiplicate e diversificate.

Con questo obiettivo si è riunita, a Roma, la Conferenza nazionale Volontariato e Giustizia, che riunisce circa 600 organizzazioni di volontariato che operano in carcere e più di 7 mila volontari. L’obiettivo finale è quello di creare una Federazione di giornali prodotti negli istituti di pena che venga riconosciuta dalla Fieg, la Federazione italiana editori giornali.

"Finora - ha spiegato Francesco Morelli, dell’associazione "Ristretti Orizzonti", che opera negli istituti di Padova e Venezia - le voci dal carcere, pur essendo molte, sono sparse e, proprio per questo, hanno scarsa organicità. Abbiamo messo a punto un progetto articolato, da realizzare in tre anni, che vuole dare sistematicità alle esperienze finora intraprese: dai bollettini ai giornali in carcere, che sono almeno una cinquantina, dai siti internet, alle trasmissioni radiofoniche e televisive".

L’iniziativa prevede la nascita di otto centri di coordinamento della rete nazionale di informazione (due al nord, due al centro, due al sud, uno in Sardegna ed uno in Sicilia), con l’impiego di due detenuti in misura alternativa, o due ex detenuti, per ciascun centro, affiancati da tutor dell’organizzazione; corsi di formazione teorici e pratici da realizzare all’interno degli istituti di pena, nascita di nuove redazioni giornalistiche all’interno delle carceri e il rafforzamento di quelle esistenti.

"In questo modo - spiega Morelli - si garantirebbe continuità al lavoro delle redazioni, si darebbe ai detenuti una maggiore condivisione del proprio ruolo in un concreto percorso di inserimento lavorativo e sociale, e al tempo stesso la collettività sarebbe informata e potrebbe confrontarsi con le persone detenute e il loro mondo".

L’idea dei promotori è di presentare il progetto al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, chiedendo di attingere al Fondo Patrimoniale della Cassa delle Ammende. "Questo Fondo - chiarisce concludendo Morelli - ha infatti un patrimonio che attualmente è di circa 72 milioni di euro, che devono essere spesi in iniziative a favore del reinserimento sociale dei detenuti".

Venezia: 500 mila euro per iniziative educative nelle carceri

 

Adnkronos, 24 gennaio 2005

 

Ammontano a 500 mila euro per il 2005 le risorse assegnate dalla Giunta regionale del Veneto per realizzare iniziative educative, culturali, ricreative e sportive all’interno delle carceri venete a favore degli oltre 2700 detenuti, con il coinvolgimento degli organismi privati, del volontariato e del terzo settore. Lo rende noto l’Assessore regionale alle politiche sociali Sante Bressan che ha presentato all’approvazione del governo veneto, un provvedimento che stabilisce i criteri e le modalità per la presentazione di specifici progetti da parte dei soggetti interessati, come prevede il Protocollo d’Intesa tra il Ministero della Giustizia e la Regione Veneto sottoscritto nell’aprile del 2003.

Vicenza: il carcere minorile aumenta l’esclusione sociale…

 

Giornale di Vicenza, 24 gennaio 2005

 

Un incontro sulle condizioni delle carceri minorili è stato organizzato a Carrè dall’assessorato alla cultura, con la presenza di don Giovanni Sandonà, direttore della Caritas vicentina, che con le sue riflessioni ha toccato un tema particolarmente scottante.

"Il carcere oggi è un cronicario dell’esclusione sociale - ha esordito don Sandonà - e il carcere minorile è un cronicario dell’esclusione elevato al quadrato. Il 13% dei minori in carcere sono preadolescenti ed adolescenti borderline. Si tratta quasi sempre di figli di genitori separati o comunque di ragazzi che sono cresciuti respirando una forte tensione fra le mura di casa. Poi ci sono i nomadi, gli extracomunitari, figli neppure a dirlo di famiglie che vivono l’esclusione sociale. Stesso discorso per il carcere degli adulti. In Italia le persone che scontano la pena in carcere sono più di 56mila e di queste il 70% sono emarginati sociali".

Il direttore della Caritas vicentina, ha dipinto una realtà dura, e le sue parole sono state ancor più pungenti quando ha affrontato il tema della pena detentiva. "La pena concepita come lo è oggi, pura vendetta e pura esclusione, è un fallimento - ha continuato don Sandonà -.

Per avere un senso, deve diventare opportunità di presa di coscienza, di istruzione, di socializzazione, deve permettere che la persona inizi un vero e proprio percorso di maturazione. Il carcere oggi è come un ghetto nel quale non si riesce né ad educare e né tantomeno a punire. Così pensato, crea emarginazione e una sorta di parassitismo sociale"

Don Giovanni Sandonà ha ricordato, dunque, quanto sia importante tutto ciò che viene "prima" e "dopo" l’esperienza del carcere. Il prima è la prevenzione, sono le forze e le energie che bisogna investire nella famiglia, nel sociale, nella scuola e nel lavoro. Il dopo, invece, come ha affermato lui stesso, siamo noi, perché è compito di tutti dare un’opportunità di vita all’ex-detenuto, altrimenti vivrà un altro fallimento e molto probabilmente tornerà in carcere. "Dobbiamo imparare a progettare una società diversa eliminando la pigrizia mentale - ha concluso don Sandonà -. Il problema è innanzitutto di tipo culturale".

 

 

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