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Giustizia: Pg di Milano; no a nostalgici della giustizia sommaria
L’Unione Sarda, 28 febbraio 2005
I politici devono "pretendere" che il giudice applichi "correttamente la legge che il Parlamento ha dettato, prescindendo dal giudizio che l’opinione pubblica potrà dare sulle sentenze di quel giudice". È quanto afferma il Procuratore Generale di Milano, Mario Blandini, nel rispondere ad alcune domande sulle critiche piovute sulla magistratura, soprattutto milanese, per alcune sentenze. Trascorso un po’di tempo dalle decisioni del gup Paparella (20 anni di carcere a Vito Cosco per la strage di Rozzano, 4 morti), dal patteggiamento in appello per il caso Jucker (16 anni) e soprattutto dalla sentenza del gup Clementina Forleo sui guerriglieri - non - terroristi che dunque non rientrano nel 270 bis, Blandini ha accettato di commentare. "Non credo che costituisca una novità il fatto che il mondo politico, quello istituzionali e non solo abbiano criticato alcune sentenze emesse dalla magistratura milanese. La novità è che, mentre finora le critiche si sono appuntate su sentenze relative a processi nei quali erano, direttamente o indirettamente, coinvolti personaggi politici, più di recente le critiche cui si è fatto cenno si sono rivolte verso sentenze che non avevano questi riferimenti. Quindi, se lo scontro tra politica e magistratura è risalente nel tempo, le ragioni che lo hanno determinato di recente sono nuove. Del resto non parlerei esattamente di scontro tra politica e magistratura, almeno rispetto ai più recenti episodi, in quanto la verità è che la magistratura è stata letteralmente aggredita da politici, organi istituzionali e organi di stampa per non aver saputo interpretare, nel giudicare, il comune sentire dell’opinione pubblica". Crede ci sia un modo per mettere fine a questa situazione? "Considerato che non si è trattato, riguardo ai casi più recenti citati, di scontro tra due entità bensì di aggressione della magistratura, ritengo che l’unico modo per porre fine a questa aggressione è quello di indurre gli aggressori a comprendere che è interesse di una società civile democratica avere una magistratura credibile. Ed è credibile una magistratura che applica la legge con prudenza e saggezza, senza farsi trascinare da emozioni, passioni o ideologie". Il ministro Castelli, dopo la sentenza sulle nomadi di Lecco, aveva affermato che "quando ci sono troppe sentenze che sconcertano l’opinione pubblica, vuol dire che molti magistrati si allontanano dal comune sentire della gente". "Sinceramente sono sconcertato io a leggere quanto ha dichiarato il ministro: i politici devono pretendere che il giudice applichi correttamente la legge che il Parlamento ha dettato, prescindendo dal giudizio che l’opinione pubblica potrà dare sulle sentenze di quel giudice. Ma ciò che ancora di più sconcerta è la constatazione che i giudizi che vengono offerti sulle sentenze prescindono, quasi sempre, dalla conoscenza della motivazione che il giudice ha offerto a conforto della decisione adottata, laddove le sentenze si giustificano attraverso la motivazione. O, forse, si ha nostalgia per la giustizia sommaria, per i cosiddetti tribunali del popolo o per la cosiddetta giustizia fai da te?". Castelfranco: Ass. Borghi; Castelli mi disse "ce ne occupiamo noi"
Ansa, 28 febbraio 2005
L’assessore alle politiche sociali Gianluca Borghi conferma che la Regione Emilia - Romagna non è stata coinvolta né informata dell’attuale progetto di carcere per tossicodipendenti a Castelfranco Emilia, per il quale è annunciata l’inaugurazione il 21 marzo. "Non sapevamo nulla", risponde Borghi a chi gli chiede se davvero Regione ed Enti locali non erano stati neanche informati del progetto. "Dopo il protocollo Regione-Governo del 1998 sulle carceri, che comprendeva una parte di lavoro congiunto per costruire un progetto di custodia attenuata a Castelfranco - spiega l’assessore - c’erano stati alcuni incontri con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, l’Ausl e il Comune, ma con il nuovo Governo quel tavolo è stato cancellato. Proprio per affrontare la questione di Castelfranco - prosegue Borghi - venni ricevuto dal Ministro Castelli nell’autunno del 2001 e mi disse, in sostanza, "ce ne occupiamo noi". Da allora non è stato più riunito alcun tavolo tecnico-politico e il progetto attuale non so cosa sia - aggiunge - non l’abbiamo visto. Ho scritto ai ministri Giovanardi e Castelli dopo aver saputo dell’inaugurazione del 21 marzo per chiedere che venga riattivato quel tavolo. D’altronde - conclude l’assessore - le esperienze di custodia attenuata già esistenti a Rimini e Forlì dimostrano che il lavoro comune fra Sert e operatori penitenziari è fondamentale". Per il coordinatore provinciale di Forza Italia a Modena, Andrea Leoni, "la sinistra delle chiacchiere si dimostra spiazzata di fronte alla concretezza del Governo Berlusconi". In una nota, "invita la sinistra a chiacchierare meno e a lavorare di più, prendendo esempio dal Governo Berlusconi che sui temi del disagio e della sicurezza ha scelto, da subito, la via dei fatti. Gli esponenti della sinistra che oggi vogliono fare la morale al Governo su come gestire le questioni legate alla tossicodipendenze e ai risvolti connessi all’ordine pubblico - aggiunge Leoni - sono gli stessi che hanno avvallato e sostenuto le fallimentari e costose politiche dei Sert". Di diverso avviso Matteo Richetti, coordinatore provinciale della Margherita: l’inaugurazione, afferma in una nota, ha il sapore di "uno spot elettorale" in vista delle regionali del 3-4 aprile. "E tutto senza coinvolgere il territorio: la dice lunga il fatto che il sindaco Sergio Graziosi e l’assessore Borghi non siano stati informati". E poi "140 detenuti sono tanti (le esperienze pilota positive sono per 10-15 persone)", anche se "sembra che la struttura sia pronta solo in parte e non potrà ospitarne più di un decimo: ancora si lavora agli impianti di gas e luce, perché tanta fretta di inaugurare il 21 marzo alla presenza di fior di ministri? Tutta l’operazione - conclude - ha il sentore di uno spot elettorale". Giustizia: i Radicali denunciano "con l’ex Cirielli più detenuti"
La Provincia di Sondrio, 28 febbraio 2005
"È chiaramente iniziato uno scontro istituzionale, mentre, su un piano diverso, prosegue la rissa tra i poli sulla cosiddetta "ex Cirielli". Nel corso del suo consueto intervento domenicale a Radio Radicale, il segretario di Radicali italiani Daniele Capezzone è intervenuto sulla questione Berlusconi - Quirinale. Una posizione netta, non nuova nella lettura degli accadimenti quella dei radicali, ma che oggi alla luce del corteggiamento degli uomini di Pannella al centrosinistra, potrebbe assumere una luce nuova e diversa dal passato. "Ma, di fatto, nessuno (Sofri e radicali a parte) sembra minimamente interessato ad andare "oltre Previti", ha osservato. "E allora insisto (e provo ad andare oltre il "pro o contro Previti"): le nostre carceri, con quella norma, torneranno 20-30 anni indietro, e il numero dei detenuti sarà presto quadruplicato, con gli effetti che ciascuno immagina". Il segretario radicale Capezzone, oltre alle questioni squisitamente politiche, si sofferma anche sulle conseguenze della ex Cirielli: "La legge di cui parliamo - ha spiegato Capezzone - elimina i benefici e le previsioni della Gozzini per tutti i recidivi (cioè, per oltre i due terzi degli attuali detenuti); aumenta una serie di pene anche per reati di minore gravità; elimina, al terzo reato, qualunque beneficio previsto dalle leggi vigenti. È un autentico delirio, di cui, nella migliore delle ipotesi, nessuno si è ancora reso conto. Ci auguriamo di non dover ricorrere a gravi iniziative per scongiurare un evento dalle incalcolabili conseguenze umane, giuridiche, civili. Ed è anche il segno di una giustizia sempre più di classe, con in galera, e con la prospettiva di rimanerci vita natural durante, solo i "ladri di polli", i "poveracci", in ultima analisi". Cirielli - Vitali: finiscono sotto accusa i tempi della giustizia
Il Messaggero, 28 febbraio 2005
La notizia è incoraggiante per chi crede nelle virtù della democrazia bipolare, per chi pensa che il rischio di perdere le elezioni rappresenti l’antidoto più efficace contro i possibili svarioni legislativi e contro le pulsioni prevaricatrici delle maggioranze parlamentari. Dopo la levata di scudi del Csm e della magistratura organizzata (discutibile nelle forme ma non implausibile nei contenuti), dopo le voci di un possibile rifiuto della firma da parte del Capo dello Stato, dopo le perplessità esplicitate da autorevoli esponenti della Casa delle libertà (a cominciare dal presidente della Camera), è partita la manovra di ripiegamento della maggioranza sul fronte della legge Cirielli - Vitali (comunemente detta "salva-Previti"): quella che, riducendo i termini di prescrizione, avrebbe probabilmente posto fine, se approvata nella sua forma originale, ai guai giudiziari dell’ex ministro della Difesa e di numerosissimi altri imputati dei più diversi reati. A dare il segnale della manovra se tattica o strategica è ancora da vedere è stato Silvio Berlusconi, che ieri si è detto favorevole a una revisione della legge, al fine di emendarla da ogni eventuale elemento di incostituzionalità. E lo stesso Cesare Previti ha voluto allontanare da sé l’accusa di essere il beneficiario di un provvedimento ad personam, chiedendo al presidente del Senato un rinvio del dibattito, in modo da farlo slittare oltre la conclusione del processo che lo vede imputato: al che Marcello Pera ha giustamente replicato richiamandosi all’autonomia dei gruppi parlamentari e alla sovranità dell’aula, pur apprezzando il gesto di Previti e deplorando le polemiche scatenate attorno al suo caso, lesive a suo giudizio del principio di presunzione d’innocenza. Sulle parole di Pera occorrerà tornare più avanti. Va intanto rilevato nella maggioranza un atteggiamento ben diverso da quello tenuto in occasione del dibattito su altre leggi, dalla Cirami al falso in bilancio, ugualmente sospettate di voler perseguire obiettivi impropri, ugualmente criticate dagli addetti ai lavori e da buona parte dell’opinione pubblica, eppure adeguatamente blindate e difese nella loro interezza: forse perché discusse nella prima parte della legislatura, a debita distanza da scadenze elettorali decisive come quelle che invece segnano il biennio in corso. Certo non sarebbe prudente per il governo affrontare le prossime regionali e le politiche del 2006 lasciando in mano all’opposizione un argomento di sicura presa (soprattutto sull’opinione pubblica moderata) come quello che si riferisce ai probabili effetti di una surrettizia quanto generalizzata amnistia: rei confessi liberati da ogni carico, delinquenti in circolazione (salvo i recidivi, che invece affollerebbero ulteriormente le carceri), vittime non risarcite né moralmente né materialmente. Ben venga allora il ripensamento, purché abbia seguito concreto. Restano però aperte due questioni di non poco rilievo. La prima riguarda le modalità (e la qualità) del processo legislativo. Il presidente del Consiglio lo considera troppo macchinoso e vorrebbe drasticamente sveltirlo. Il presidente della Camera vede in questa macchinosità una garanzia contro gli abusi del potere politico e quindi un fattore di democrazia. Credo invece che l’iter di formazione e di approvazione delle leggi potrebbe essere reso più rapido con vantaggio di tutti, anche a scapito dell’attuale bicameralismo perfetto, fatti comunque salvi i controlli costituzionali e contabili e le prerogative del Capo dello Stato. Ma un processo legislativo più snello ed efficiente postula una responsabilizzazione dei legislatori. Varare leggi in gran fretta per poi scoprirle difettose ed essere costretti a correggerle in corso d’opera significa, nel migliore dei casi, peccare di imperizia (il che non dovrebbe darsi, vista la quantità di professori e magistrati presenti in Parlamento), nel peggiore rivela un atteggiamento mercantile (chiedere subito molto per ottenere poi qualcosa) che mal si addice all’importanza e alla delicatezza della funzione ricoperta. La seconda questione riguarda il merito della legge in discussione. E qui tornano utili le considerazioni contenute nella lettera del presidente del Senato. Se è vero che la Costituzione garantisce a tutti un "giusto processo", se è vero che ogni imputato ha diritto sono parole di Pera alla tutela della sua persona e della sua immagine "contro intimidazioni e pressioni", ne segue che lo stato di sospensione in cui versa un cittadino in attesa di giudizio non può essere prolungato oltre limiti ragionevoli. Il problema dei tempi dei processi esiste dunque a prescindere da Cesare Previti e dalla legge "ex Cirielli". Solo che bisogna risolverlo partendo dalla testa e non dalla coda. Riformando l’organizzazione degli uffici, introducendo controlli di efficienza sull’attività dei magistrati inquirenti, ripensando, se necessario, la macchina dei tre gradi di giudizio, scoraggiando o neutralizzando ogni pratica dilatoria, fissando termini tassativi alle inchieste prima dell’inizio del processo, senza toccare i procedimenti in corso, avviati in presenza di altre logiche e di tempistiche diverse. Solo così il ceto politico, di governo e di opposizione, potrebbe evitare il sospetto di strumentalizzazioni "mirate" e affrontare con le spalle coperte e la coscienza a posto quel confronto con la corporazione togata che finora è quasi sempre degenerato in rissa. La maggioranza degli elettori sicuramente gradirebbe. Giustizia: Previti; io non voglio la "salva-Previti"…
La Gazzetta del Mezzogiorno, 28 febbraio 2005
Il deputato di Fi scrive al presidente del Senato. Dopo gli scontri tra maggioranza e opposizione e tra Cdl e Csm, oggi emerge anche l’atteggiamento nuovo del centrodestra: pronto rivedere il provvedimento Roma - È ancora la proposta di legge sulla recidiva, la cosiddetta ex Cirielli approvata dalla Camera e ora all’esame del Senato, a monopolizzare il dibattito sulle questioni della giustizia. Dopo gli scontri dei giorni scorsi tra maggioranza e opposizione e tra Cdl e Csm, oggi emerge l’atteggiamento nuovo del centrodestra, che manifesta la chiara intenzione di rivedere i contenuti del provvedimento o addirittura di fermarlo. Di primo mattino è il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, in un’intervista a "Repubblica", a sottolineare la possibilità che il testo possa essere rivisto. Considerazioni condivise anche dal vicepremier e segretario dell’Udc Marco Follini, mentre il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi afferma che la proposta non è un dogma e che se emergeranno profili di incostituzionalità verrà modificata. Ma a chiudere il cerchio arriva la lettera scritta al presidente del Senato Marcello Pera da Cesare Previti, colui che da chi si oppone alla legge viene considerato il beneficiario del provvedimento, tanto da parlare di legge salva-Previti. Il deputato azzurro chiede che l’esame del testo venga sospeso fino alla conclusione del processo che lo vede imputato. E in serata arriva la replica di Pera, che ricorda che la fissazione del calendario spetta alla Conferenza dei Capigruppo e all’Aula e manifesta comunque apprezzamento per la presa di posizione di Previti, invitando a non ripetere gli errori verificatisi in passato sul tema delle garanzie.
Casini: servono buon senso e confronto costruttivo
Come detto la giornata si apre con l’intervista di Casini a "Repubblica". "La "salva-Previti" va cambiata", è il titolo del quotidiano, che non piace al presidente della Camera che tuttavia conferma in toto il contenuto dell’intervista. "È in corso un ampio dibattito tra le forze politiche -afferma- Il bicameralismo è funzionale al doppio controllo, e alle eventuali modifiche dei testi di legge". E alla domanda se sia ipotizzabili modifiche alla ex Cirielli, anche per evitare un’eventuale bocciatura del Quirinale, Casini replica: "in linea generale non ho mai creduto a provvedimenti blindati". "E dunque sì, direi che la strada da seguire dovrebbe essere quella del buon senso e del confronto costruttivo, tra le Istituzioni e tra le forze politiche. Questo è utile, molto più che le grida al lupo, al lupo di chi vede sempre minacciata la democrazia".
Berlusconi: modifiche se emergono profili incostituzionalità
Sulla stessa linea sembra porsi anche il presidente del Consiglio: "Se nella legge Cirielli ci sono profili di incostituzionalità, sarà modificata", annuncia. "Non ci chiudiamo mai di fronte alle giuste richieste", aggiunge, spiegando che "nel percorso di una legge emergono tanti aspetti. Io non ho visto profili" di incostituzionalità, "però mi hanno detto che ci sono delle cose precise che sono state indicate da chi è intervenuto criticamente", perché "come sempre ci sono posizioni a favore e contro". Questi aspetti "saranno esaminati. Noi guardiamo sempre a tutto con grande oggettività. Dogmi -conclude il premier-non ce ne sono".
Follini: va fatto uno sforzo per migliorare la legge
Follini poi non usa perifrasi per sottolineare la necessità di rivedere la norma. "Ho votato la legge ex Cirielli - dice - per puro spirito di coalizione e con un entusiasmo prossimo allo zero. Va fatto uno sforzo per migliorare la legge. Questo, però, è un problema di tutta la maggioranza non soltanto dell’Udc". Ma a sparigliare il tavolo arriva la lettera di Previti al presidente del Senato Marcello Pera. "Approvate la ex Cirielli dopo il mio processo", chiede l’esponente azzurro al presidente dell’Assemblea di palazzo Madama. "Visto che l’aggressione sistematica è contro la mia persona, considerato che sono diventato il parafulmine per ciò che quella legge può significare, il simulacro attraverso il quale combattere in favore o contro il provvedimento ora in discussione al Senato. La prego - scrive Previti - di valutare nella Conferenza dei capigruppo se non sia opportuno non calendarizzare il ddl, affinché esso possa essere discusso ed eventualmente approvato dopo la fine del mio processo, che peraltro appare relativamente prossima". Il deputato di Forza Italia denuncia "la demonizzazione" della sua persona, "accostata a un provvedimento come il ddl ex Cirielli, attualmente in discussione al Senato spacciato come legge ad personam "salvapreviti" solo ed esclusivamente per colpire la mia persona e dipingermi come mostro e quindi per far credere all’immaginario collettivo, ai cittadini, che la legge sulla prescrizione avrebbe favorito i malviventi, tra i quali mi ha collocato l’opposizione in modo grave e denigratorio". Di qui la decisione di scrivere "questa lettera aperta per esprimere tutto il mio disagio per quanto sta accadendo. Ma soprattutto per informare Lei e qualsiasi lettore di buona volontà che io non sono interessato alla cosiddetta "salva-Previti", che il dibattito non mi appassiona e che io cerco l’assoluzione per le vie ordinarie, perché sono certo, da uomo di legge, che essa non potrà non arrivare che in questo modo, dopo un’attenta lettura delle carte processuali da parte di giudici sereni e imparziali". Prosegue Previti: "Dopo una siffatta demonizzazione, questa sì ad personam, non basta più dire che non sono interessato alla ex Cirielli (che tra l’altro giudico un’ottima legge, un principio di grande civiltà giuridica e di chiarezza dei termini processuali, quindi uno stimolo per la celerità dei processi)", quindi "mi spingo oltre. Così una certa opinione pubblica sarà tranquillizzata e l’opposizione non avrà più strumenti per demolire una legge sacrosanta e studiata nell’interesse della collettività, legge che, al contrario, potrà avere il suo iter parlamentare in un clima disteso e costruttivo".
Schifani: sinistra sbugiardata
Forza Italia compatta plaude all’iniziativa di Previti: "La sinistra - dice il capogruppo al Senato Renato Schifani - oggi esce ancora una volta sconfitta perché smentita dai fatti. Quello di Cesare Previti è un gesto che chiude per sempre la polemica sull’uso ad personam della ex Cirielli". Parlano anche i vice capogruppo alla Camera: "La lettera dell’onorevole Previti - afferma Isabella Bertolini - sbugiarda i veleni di Prodi e dell’Unione. È un atto di profonda onestà e correttezza. La conferma che la Cdl fa solo leggi giuste, che valgono per tutti gli Italiani. L’onorevole Previti dimostra così la sua innocenza e la sua fiducia nella magistratura". "La lettera di Cesare Previti al presidente del Senato Pera - aggiunge Antonio Leone - è innanzi tutto una lezione di stile e di moralità verso una sinistra becera e giustizialista che, per fini di lotta politica, ha tentato di distruggere l’onorabilità e l’immagine di uno stimato professionista e di un parlamentare eletto democraticamente". Per il vice coordinatore vicario del partito Fabrizio Cicchitto, "la lettera di Previti è un contributo per smontare la solita operazione volta a radicalizzare e personalizzare su ogni questione lo scontro politico nel nostro Paese fatta dalle sinistre, che danno un nome ad ogni provvedimento giudiziario, per cui invece di discutere sul merito si discute della ricaduta di un provvedimento su questo o quel processo".
Pecoraro Scanio: ora Cdl ritiri legge sconcia
Dall’opposizione parla il presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio: "Persino Previti è contro il salva-Previti. Se Cesare Previti vuole essere giudicato come tutti gli altri cittadini, il centrodestra la smetta di fare propaganda e ritiri una legge sconcia. Il centrodestra ha il dovere di ritirare un disegno di legge che danneggerebbe la sicurezza di tutti i cittadini per salvare un solo imputato". "Si tratta di un provvedimento devastante per la giustizia italiana che ha già tanti problemi.Ora serve un atto di responsabilità. Se non si tratta di una bassa e bieca manovra, il centrodestra dimostri la sua coerenza e ritiri il salva-Previti".
Angius: lettera scandalosa, Cdl imbarazzante
In serata arriva anche la dura presa di posizione nei confronti di Previti e del centrodestra da parte del capogruppo dei Ds al Senato Gavino Angius, che parla di "lettera scandalosa" e di "spettacolo imbarazzante". Per l’esponente della Quercia Previti "ha diritto di difendersi nelle sedi appropriate, ma credo che non dipenda dalla volontà o dai destini di un parlamentare il calendario dei lavori del Senato. È veramente stupefacente che Previti mandi questa lettera al presidente del Senato". "Mi auguro che il presidente del Senato risponda a dovere a questa lettera che consideriamo inaccettabile. Per il resto mi chiedo che cosa sia successo oggi alla maggioranza. Fino a ieri il provvedimento era una necessità per la nostra giustizia malata. Oggi improvvisamente da più parti nella Cdl si levano dubbi, contrarietà, valutazioni sulla incostituzionalità di alcune parti. Evidentemente - conclude Angius - la Cdl ha capito che stava andando a sbattere e ora sta cercando di frenare come i personaggi dei cartoni animati. La realtà è che quel provvedimento permetterebbe la libertà a tanti delinquenti, mafiosi e truffatori".
Pera: conferenza capigruppo e aula decidono calendario
Sempre in serata arriva la risposta del presidente del Senato. "Il disegno di legge cosiddetto "ex-Cirielli" - scrive Pera a Previti - è attualmente all’esame della commissione Giustizia. Non posso prevedere quando l’esame si concluderà e perciò non è attualmente nella mia disponibilità sottoporre alla Conferenza dei Capigruppo alcuna proposta in merito alla calendarizzazione. Solo la Conferenza, nella sua autonomia, e l’Aula, nella sua sovranità, potrebbero stabilirlo, a norma di regolamento". "Non posso entrare nel merito del disegno di legge né della vicenda processuale che la riguarda - aggiunge il presidente dell’Assemblea di palazzo Madama. Apprezzo la sua volontà di difendersi e di ottenere soddisfazione per le vie processuali ordinarie. Spero che questo gesto metta fine all’accesa polemica politica e di stampa di cui è oggetto".
Pera: bene iniziativa deputato Fi, no a degenerazione politica
"La polemica politica e la libertà di stampa - sottolinea ancora Pera - sono il sale della democrazia e il diritto dell’opposizione di contrastare, anche nelle forme più dure, un disegno di legge della maggioranza è inviolabile in ogni Parlamento democratico". "Tutti, mezzi di comunicazione, forze politiche, organi istituzionali, dovrebbero però guardarsi dai rischi delle degenerazioni di un sano costume politico e civile". "In tema di garanzie - è il monito finale di Pera - abbiamo alle spalle pessimi episodi. Dobbiamo fare ogni sforzo affinché non si ripetano".
Capezzone: la ex-Cirielli devasterà le carceri
Sulla ex Cirielli intervengono infine anche il ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri e il segretario dei Radicali italiani Daniele Capezzone. "Le riforme vanno fatte - dice il primo - e la giustizia deve essere al centro di un processo di revisione che restituisca una maggiore trasparenza e serenità di giudizio nei processi. Se sono state riscontrate delle anomalie nella legge Cirielli è opportuno che queste vadano riviste. Ma è anche importante tener conto dell’urgenza di intervenire in una materia che costituisce un elemento fondamentale per la vita democratica e civile del nostro Paese". "Nessuno sembra accorgersi del fatto - denuncia invece il segretario dei Radicali - che quella legge devasterà il già disastrato sistema delle carceri italiane. Infatti, la legge elimina i benefici e le previsioni della Gozzini per tutti i recidivi (cioè, per oltre i due terzi degli attuali detenuti); aumenta una serie di pene anche per reati di minore gravità; elimina, al terzo reato, qualunque beneficio previsto dalle leggi vigenti. Giustizia: stop alla salva-Previti, Berlusconi ci ripensa
Il Mattino, 28 febbraio 2005
"Se dovessero esserci profili di incostituzionalità, sarà certamente modificata. Non ci chiudiamo mai alle giuste richieste. Ci sono posizioni a favore e contro. Noi guardiamo alle cose con molta oggettività, non esistono dogmi". Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha dichiarato ieri la disponibilità del governo a modificare l’"ex legge Cirielli". Il disegno di legge prevede la riduzione dei tempi di prescrizione: il centrosinistra l’ha definita "salva-Previti" e il Consiglio superiore della magistratura l’ha bocciata martedì scorso perché avrebbe, a suo parere, "effetti devastanti" sugli uffici giudiziari e porterebbe alla prescrizione di migliaia di processi. Non solo, come ha sottolineato il segretario dei radicali Daniele Capezzone, riempirebbe eccessivamente le prigioni perché cancella pure "i benefici per tutti i recidivi, cioè per oltre i due terzi degli attuali detenuti, aumenta una serie di pene anche per reati di minore gravità ed elimina, al terzo reato, qualunque beneficio previsto dalle leggi vigenti". Contro l’"ex Cirielli" si sono espressi non solo l’opposizione ma anche il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini in un’intervista a "Repubblica" ("Il testo va modificato e mi pare che nel Polo si stia prendendo atto di questa esigenza") e il vice premier e segretario dell’Udc Marco Follini: "L’ho votata per puro spirito di coalizione e con un entusiasmo prossimo allo zero", ed ha auspicato "uno sforzo per migliorarla, ma questo è un problema di tutta la maggioranza non soltanto dell’Udc". E il premier ha raccolto l’invito: pur non avendo "visto profili di incostituzionalità - ha affermato - mi hanno però detto che ci sono delle cose precise che sono state indicate da chi è intervenuto criticamente". Ha spiegato di non riferirsi ai dubbi del capo dello Stato, bensì ai rilievi esternati negli ultimi tempi "da chi è intervenuto criticamente". Ma Ciampi l’ha richiamato quando ha sottolineato le lentezze sia della Giustizia ("c’è ancora molto da fare per adeguare al senso comune dei cittadini il comportamento di questa magistratura"), sia degli iter legislativi. "Ci sono - ha ricordato Berlusconi - tempi infiniti in commissione, tanti emendamenti vengono presentati, estenuanti i bracci di ferro sul loro arrivo alla Camera e al Senato. Alla fine, la legge che esce fuori è diversa da quella inizialmente progettata" e sarebbe necessario modificare i regolamenti parlamentari. Inoltre, "per entrare in vigore è necessario che le leggi siano firmate dal capo dello Stato, e che egli non ascolti le sirene della sinistra". Sull’ex-Cirielli è intervenuto lo stesso Cesare Previti. Il ddl è attualmente all’esame della commissione Giustizia del Senato, e ha inviato una lettera al presidente Marcello Pera pregandolo "di valutare nella conferenza dei capigruppo se non sia opportuno" che venga "discusso ed eventualmente approvato dopo la fine del processo" che lo riguarda. La richiesta, ha spiegato, deriva dal fatto che "troppo spesso" il suo nome "è stato ingiustamente e sprezzantemente usato come simbolo del male" e la sua persona "è stata accostata a un provvedimento spacciato come legge "ad personam", solo ed esclusivamente" per colpirlo, e lo si è dipinto "come mostro per far credere all’immaginario collettivo, ai cittadini, che la legge sulla prescrizione avrebbe favorito i malviventi", tra i quali lo "ha collocato l’opposizione in modo grave e denigratorio". Ha detto, perciò, di "non essere interessato" al ddl e di "cercare l’assoluzione per le vie ordinarie, certo" che essa arriverà, "dopo un’attenta lettura delle carte processuali da parte di giudici sereni e imparziali". L’opposizione ha criticato la richiesta di Previti. Pera, invece, ha "apprezzato" il gesto di Previti, augurandosi che "metta fine all’accesa polemica politica e di stampa" che "non agevola l’esame sereno del testo" della legge, e avvertendo che "in tema di garanzie abbiamo alle spalle pessimi episodi e dobbiamo fare ogni sforzo affinché non si ripetano". Tolmezzo: due detenuti vittime di pestaggi in un solo giorno
Liberazione, 28 febbraio 2005
Due pestaggi nell’arco di ventiquattro ore. È successo nel carcere di Tolmezzo, periferia Nord di Udine, nella sezione 2a. Pestaggi concatenati e assolutamente senza motivo. Il primo detenuto a cadere sotto i calci e i pugni degli agenti penitenziari aveva chiesto di uscire dalla sua cella per andare a prendere una cipolla: tutto qui. È un tunisino, si chiama Mohammed. Le guardie gli hanno aperto la porta della cella e lui ha attraversato il corridoio, poi, mentre camminava, qualcuno, da una cella chiusa, gli ha chiesto del caffè. Mohammed ha ottenuto la sua cipolla, ha ottenuto anche il caffè, ha fatto quattro chiacchiere, rubate nello scambio dei "pani quotidiani". Ha portato il caffè alla cella 11, ha preso una padella alla cella 9, le solite cose nella giornata di un detenuto. Ma mentre tornava verso la sua cella è stato invitato dalle guardie ad avvicinarsi al loro gabbiotto. Sono passati solo pochi attimi ed è iniziato il pestaggio: feroce. Nella sezione si sono alzate subito grida di protesta, ma gli agenti non si sono fermati. Mohammed è stato risbattuto in cella grondante sangue. Era il 6 febbraio. La mattina dopo, verso le undici e mezza, dallo stesso gabbiotto delle guardie dove il giorno prima era stato picchiato Mohamed, è arrivato un nuovo invito, questa volta il destinatario era Mondher, uno dei detenuti che aveva protestato per le botte al suo amico. Mondher ha ricevuto lo stesso trattamento: pugni e calci. E però, nonostante le ossa rotte, il giorno dopo ha trovato la forza di denunciare quanto accaduto. Leggiamo dal verbale: "L’agente di sezione mi ha fatto uscire dalla stanza dicendomi che dovevo parlare con qualcuno nella guardiola della sezione seconda A, ma appena giunto in quella stanza ho subito ricevuto un’aggressione da parte di due agenti che mi hanno colpito con calci alla testa. Preciso che gli altri due agenti presenti non mi hanno toccato". La denuncia di Mondher ha avuto effetti collaterali: è saltato fuori un rapporto disciplinare che gli ha cancellato il premio che si era guadagnato nei mesi scorsi, per buona condotta, e cioè quarantacinque giorni di anticipo della scarcerazione. Niente più premio, anzi cella d’isolamento. Come possiamo chiamare questo tipo di comportamento delle guardie? Per esempio, tortura. Pescara: detenuti giardinieri al lavoro nei parchi cittadini
Il Messaggero, 28 febbraio 2005
Cinquantamila euro per accendere la speranza di un posto di lavoro - anzi, nella circostanza saranno almeno quattro - e contribuire così al recupero di chi ha sbagliato nella società ed ha affrontato la dura realtà del carcere. È nobilissimo il fine dell’intesa sottoscritta ieri a Palazzo di città dall’assessore Rudy D’Amico e Aldo Fabozzi, provveditore dell’amministrazione penitenziaria per l’Abruzzo e Molise. C’erano anche Franco Pettinelli, del provveditorato, il vicepresidente del consiglio comunale Rocco Persico e il city manager Antonio Dandolo. Per mesi l’assessore e il provveditore hanno lavorato nell’ombra per arrivare al traguardo, sancito con la firma di ieri. Per cinque mesi, grazie al coordinamento della cooperativa Cometa, quattro o forse cinque detenuti potranno iniziare un percorso di recupero attraverso il lavoro nei parchi e nei giardini pubblici di Pescara, "a cominciare dalla riserva dannunziana" ha precisato D’Amico. Un percorso lungo cinque mesi, che possono esser pochi ma che rappresentano un primo passo che Fabozzi non ha esitato a definire "importantissimo", esprimendo un plauso alla sensibilità mostrata dall’amministrazione comunale. "Cinque mesi per cominciare questo progetto pilota, ma c’è un forte impegno anche da parte del provveditorato a cercare altre risorse e a promuovere iniziative per prolungare gli effetti certamente benefici che avrà questa iniziativa". Un primo sostegno, ha detto Fabozzi, potrebbe arrivare dalla "Cassa delle Ammende", che dispone di fondi speciali per questi obiettivi di recupero "e stiamo già pensando a organizzare nuovi progetti in tal senso". I cinquantamila euro messi sul piatto dal Comune, ha poi spiegato il dirigente comunale Sabatino Di Giovanni, saranno affidati alla Cometa e sono comprensivi delle spese per un coordinatore e un amministrativo, per la formazione dei lavoratori, per i mezzi di lavoro e le divise. Ogni detenuto percepirà 1397 euro lordi". la Costituzione italiana, ha ricordato il provveditore Fabozzi, "pone come obbligo il recupero del condannato per far sì che riesca a cambiare la vita e avviarsi a situazioni migliori". Ed è esattamente con questo spirito che si è arrivati alla firma del protocollo d’intesa. Presto si passerà alle assunzioni, attraverso una selezione dei detenuti. Treviso: don Ciotti; "il peggior carcere minorile d’Italia"
Il Gazzettino, 28 febbraio 2005
"Non esiste in Italia una struttura più inadeguata di questa: il carcere minorile di Treviso, unico riferimento per il Triveneto, è una vergogna". Don Luigi Ciotti è lapidario, non contro le persone che vi lavorano - precisa - ma nei confronti di una sede asfittica, ristretta, attigua all’istituto penale riservato agli adulti. Il fondatore del gruppo Abele e del coordinamento "Libera, associazioni numeri nomi contro le mafie" ieri pomeriggio ha visitato il carcere di Santa Bona ed è stato per lui un momento importante della tappa trevigiana, iniziata al mattino tra gli studenti di Vittorio Veneto e conclusa la sera al collegio Pio X di Treviso. La struttura detentiva per i minori è stata oggetto recentemente di molteplici discussioni e polemiche; dal convegno promosso in Casa Toniolo dal Centro di servizio per il volontariato era nato un tavolo di discussione a cui partecipano referenti istituzionali e delle associazioni. Insieme stanno tentando di formulare ipotesi alternative a quella di Santa Bona e verso la metà di aprile confronteranno le ipotesi. "Così non si può andare avanti - ha denunciato don Ciotti - non è rispettoso della dignità della persone e non produce frutti neppure sul fronte della rieducazione e del reinserimento, come vorrebbe la Carta Costituzionale". I ragazzi hanno bisogno di spazio in cui poter studiare, sperimentare la manualità e vivere il tempo libero in modo creativo. Oggi tutto ciò risulta quasi impossibile e viene gestito in angoli angusti dai volontari. Ma se il sacerdote originario di Pieve di Cadore tuona contro le strutture, riserva parole di elogio agli operatori (direttore compreso) che riescono nel frangente difficile, a lavorare con passione tra i venti giovani detenuti. Tenendo conto che la realtà carceraria minorile è cambiata negli ultimi tempi e se fino a qualche anno fa sui muri si leggevano scritte in dialetto siciliano, ora le parole sono in arabo o rumeno o albanese."Vi auguro di trovare quanto prima una soluzione" ha dichiarato don Ciotti, chiamando ad appello i volontari il cui ruolo, a suo avviso, non deve sovrapporsi o sostituirsi alle istituzioni ma operare nel campo della solidarietà, tendendo la mano al fratello che soffre senza rinunciare alla denuncia della parola. Ritrovando cioè passione per la politica che veniva definita da Paolo VI "il più alto grado di carità cristiana" quando serve il bene comune. L’Aquila: "educazione all’immagine" per i detenuti…
Il Messaggero, 28 febbraio 2005
Prenderà il via domani un corso di Educazione all’Immagine, rivolto ai detenuti del carcere di Preturo, che sancisce l’inizio di una collaborazione tra la Casa Circondariale e l’Istituto Cinematografico dell’Aquila "La Lanterna Magica". L’attività formativa è coordinata dal Responsabile dell’Area Pedagogica del penitenziario Antonio De Rossi e dall’insegnante dell’Istituto Comprensivo di Montereale Francesca Giuliani. L’attività dell’Istituto Cinematografico si propone di svelare ai detenuti i segreti del mondo del cinema e le regole del suo specifico linguaggio: prevede alcune lezioni teoriche tenute dall’esperto Piercesare Stagni e una serie di proiezioni di film. Castelfranco: Radicali; ben venga il lavoro, ma per tutti i detenuti
Agenzia Radicale, 28 febbraio 2005
Dichiarazione di Irene Testa, segretario dell’associazione "Il detenuto ignoto", membro della giunta nazionale di Radicali Italiani. È positivo che i detenuti abbiano un’opportunità in più - per quanto esigua - di usufruire di un trattamento alternativo alla semplice carcerazione per scontare la propria pena. È positivo anche che si voglia impegnare il detenuto in attività produttive lavorative. Sorgono però, nella fattispecie, anche alcuni dubbi. Innanzitutto una serie di osservazioni sul fatto che la possibilità di relazionarsi a qualcosa come un’azienda carcere - o "carcere azienda", che dir si voglia - sia concessa per ora solamente a selezionatissimi detenuti tossicodipendenti. Vista l’assimilazione, in questo caso, di attività lavorativa e trattamento terapeutico, la discriminante rischia di tramutarsi, in concreto, nello sfruttamento a costo zero dei detenuti, in sostanza a uno sdoganamento del lavoro forzato. In questa prospettiva appare grave, inoltre, che la direzione carceraria e la direzione aziendale coincidano nella stessa figura, nella stessa organizzazione. Ciò costituisce un catalizzatore quanto mai efficace perché si attivino dinamiche che favoriscono il profitto aziendale, a discapito dei diritti del detenuto. Quindi, ben venga l’azienda carcere e il lavoro, ma per tutti i detenuti, comunque sempre retribuito e nel rispetto dei diritti. I tossicodipendenti, invece, è meglio lasciarli liberi di scegliere di curarsi in una comunità, attraverso politiche di regolamentazione del fenomeno, piuttosto che criminalizzarli, rinchiuderli e beffarsi di loro con la remota ipotesi che ottengano, grazie al carcere azienda di Castelli, Giovanardi e Muccioli, di lavorare gratis. Giustizia: Radicali; avanza catastrofe per le carceri italiane
Agenzia Radicale, 28 febbraio 2005
E se a questo aggiungiamo l’effetto devastante della prossima legge Fini (che prevede il carcere per chi abbia sette-otto spinelli), il quadro mi pare completo. Nel corso del suo consueto intervento domenicale a Radio Radicale, il segretario di Radicali Italiani Daniele Capezzone ha tra l’altro dichiarato: è chiaramente iniziato uno scontro istituzionale, mentre - su un piano diverso - prosegue la rissa tra i poli sulla cosiddetta "ex Cirielli". Ma, di fatto, nessuno (Sofri e radicali a parte) sembra minimamente interessato ad andare "oltre Previti". E allora insisto (e provo ad andare oltre il "pro o contro Previti"): le nostre carceri, con quella norma, torneranno 20-30 anni indietro, e il numero dei detenuti sarà presto quadruplicato, con gli effetti che ciascuno immagina. In buona sostanza, infatti, la legge di cui parliamo elimina i benefici e le previsioni della Gozzini per tutti i recidivi (cioè, per oltre i due terzi degli attuali detenuti); aumenta una serie di pene anche per reati di minore gravità; elimina, al terzo reato, qualunque beneficio previsto dalle leggi vigenti. È un autentico delirio, di cui - nella migliore delle ipotesi - nessuno si è ancora reso conto. Ci auguriamo di non dover ricorrere a gravi iniziative per scongiurare un evento dalle incalcolabili conseguenze umane, giuridiche, civili. Ed è anche il segno di una giustizia sempre più "di classe", con in galera - e con la prospettiva di rimanerci vita natural durante - solo i "ladri di polli", i "poveracci", in ultima analisi. E se a questo aggiungiamo l’effetto devastante della prossima legge Fini (che prevede il carcere per chi abbia sette-otto spinelli), il quadro mi pare completo. Con le sole eccezioni, in ordine di tempo, di Salvatore Ferraro (con l’associazione radicale "Il detenuto ignoto") e di Adriano Sofri nella sua rubrica su "Il Foglio", tutti si sono occupati e continuano ad occuparsi della cosiddetta "Cirielli" solo "in funzione Previti", cioè pro o contro di lui. Ma - con le eccezioni ricordate - nessuno sembra accorgersi del fatto che quella legge devasterà il già disastrato sistema delle carceri italiane. Lo diciamo prima: le nostre carceri torneranno 20-30 anni indietro, e il numero dei detenuti sarà presto quadruplicato, con gli effetti che ciascuno immagina. In buona sostanza, infatti, la legge: elimina i benefici e le previsioni della Gozzini per tutti i recidivi (cioè, per oltre i due terzi degli attuali detenuti); aumenta una serie di pene anche per reati di minore gravità; elimina, al terzo reato, qualunque beneficio previsto dalle leggi vigenti. Milano: mancata audizione associazioni, i Radicali protestano
Agenzia Radicale, 28 febbraio 2005
Con una lettera al Presidente del Consiglio regionale Attilio Fontana, il Consigliere radicale Lucio Bertè ha duramente contestato la legittimità della decisione della Presidente della "Commissione speciale sulla situazione carceraria e per il rispetto dei diritti civili dei detenuti", Antonella Maiolo, di non procedere all’audizione di tutti i Comandanti della Polizia penitenziaria delle carceri lombarde, e di annullare l’audizione già fissata per venerdì 25 febbraio 2005 delle Associazioni "Detenuto Ignoto", "Antigone", Ristretti Orizzonti" e del conduttore della rubrica di Radio Radicale "Radio carcere". Questo il motivo addotto dalla Maiolo: "le audizioni potrebbero potenzialmente influire sull’andamento delle prossime consultazioni elettorali" ovvero "configurare eventuali manifestazioni di orientamento politico". Motivo pretestuoso perché la richiesta di audire i Comandanti e le Associazioni, firmata da Consiglieri di vari gruppi, risaliva al 19 gennaio 2005, cioè ben prima del 17 febbraio, data di inizio del periodo pre-elettorale, durante il quale comunque sono consentite le attività conoscitive delle Commissioni. Tanto più che l’audizione richiesta era stata decisa per venerdì 11 febbraio ed effettuata poi il 18 febbraio, solo che, invece dei Comandanti, era stato invitato solo il dott. Luigi Pagano, Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria. La spiegazione della Maiolo ("tanto li rappresenta tutti lui"), è apparsa alquanto diminutiva della personalità e della professionalità degli agenti della Polizia Penitenziaria. Le Associazioni vengono convocate via fax per il 25 febbraio, ma quando la Commissione carceri viene sollecitata a invitare anche i Comandanti, la risposta è la secca sconvocazione di tutto. Il Consigliere radicale Lucio Bertè ha dichiarato: "La scadenza elettorale non può impedire ai Consiglieri regionali, in carica fino al 2 aprile, di ascoltare, per la prima volta in 5 anni, quelle Associazioni che conoscono più a fondo - nel bene e nel male - tutta la casistica dei rapporti reali tra detenuti e agenti, né gli stessi agenti della Polizia Penitenziaria, che hanno amaramente constatato che nessun politico si preoccupa di conoscere non solo e non tanto le loro rivendicazioni sindacali, ma le loro idee sul possibile ruolo da giocare in una visione evolutiva del "servizio carcerario", nella sua versione costituzionale. Questo mentre la Magistratura di Sorveglianza chiude sulle misure esecutive esterne, e sulle carceri stanno per abbattersi gli effetti perversi della Legge Fini e della Legge "ex-Cirielli", che le faranno esplodere, liquidando definitivamente il loro ruolo costituzionale. Ricordo che a fine anno un sottufficiale mi ha accolto con le parole: "Dichiaro che questo carcere è nella illegalità costituzionale, come tutti gli altri" e un Comandante - durante uno sciopero della fame dei detenuti - mi ha detto : "Questi detenuti hanno imparato a compiere azioni nonviolente di netta ispirazione gandhiana"… Probabilmente sono queste le voci che non devono arrivare alle Istituzioni. La "Commissione carceri" si è rivelata un paravento: ha visto assiduamente presenti solo il Gruppo radicale e quello di Rifondazione comunista, consentendo a tutti gli altri – in primis ai Consiglieri della maggioranza - di meglio disinteressarsi. Per questo da mesi sto chiedendo, non alla Commissione carceri ma alla Commissione III - Sanità, un sopralluogo alle sezioni comuni della Casa di reclusione di Opera, zeppe di malati anche gravi. Nelle ultime otto sedute della Commissione sanità ho rifiutato la diaria dichiarando che erano soldi rubati fino a che la Commissione III non avesse compiuto il suo dovere di andare almeno a constatare, iniziando da Opera, la grave lesione del diritto alla salute dei cittadini detenuti. Al Presidente Fontana ho chiesto di far rispettare gli impegni presi dalla Commissione carceri o, in via subordinata, di avere dalla Presidente Maiolo motivi diversi da quelli addotti, palesemente pretestuosi e illegittimi". Milano: incontri sui temi della giustizia e della responsabilità
Comunicato stampa, 28 febbraio 2005
"Cammini di liberazione" il ciclo di incontri che si tiene ogni anno nella Chiesa di San Fedele nasce dal desiderio di creare uno spazio e un tempo di riflessione sui temi complessi della giustizia, della colpa, del perdono, della responsabilità. Ogni incontro prevede l’ascolto di brani tratti da diverse fonti e commentati dai relatori, mentre alcuni intermezzi musicali intendono favorire il clima di ascolto e la riflessione. Inaugura il ciclo mercoledì 9 marzo l’on. Luciano Violante: le riflessioni prendono le mosse dal suo libro "Secondo Qoelet", un dramma esistenziale di forte intensità, giocato sul contrasto di responsabilità fra Dio e gli uomini, in un mondo attraversato dal male. Il 25 marzo l’onorevole Olga D’Antona continuerà la riflessione a partire dalla memoria del male ricevuto, la risposta a questo male in termini di nuova responsabilità e la capacità di farsi carico del dolore. Nel libro scritto insieme a Sergio Zavoli "Così raro, così perduto" comunica la sua esperienza che avrà modo di riprendere nell’intervento in San Fedele. Chiuderà gli incontri Enrico Ruggeri il prossimo 30 marzo. La sua lunga produzione musicale offre riflessioni stimolanti sul tema della memoria, del vincere e del perdere. La serata prevede l’ascolto dei suoi brani cui segue il commento fatto dall’autore. L’ingresso è libero. Il clima di accoglienza e di ascolto è un modo per abitare quegli spazi più profondi della nostra vita dove inizia ogni cammino di liberazione e di libertà. Per ulteriori informazioni: p. Guido Bertagna S.I., ufficio stampa Centro San Fedele, P.zza San Fedele 4 Milano, tel 02.86352306 Droghe: don Smacchia; il recupero non può avvenire in carcere
Ansa, 28 febbraio 2005
"Il recupero della persona non può avvenire in carcere: è categorico il commento di don Egidio Smacchia, presidente della Federazione Italiana Comunità Terapeutiche (Fict), alla notizia della prossima inaugurazione, a Castelfranco Emilia, di un carcere destinato esclusivamente a detenuti tossicodipendenti. Certo, precisa, "ci si può accontentare", nel senso che una struttura detentiva più dolce è sempre meglio del carcere tradizionale, ma si tratta pur sempre di "un carcere alternativo e non di un’alternativa al carcere". Molto meglio, secondo il sacerdote, il regime di semilibertà che restituisce al detenuto una dimensione sociale, fondamentale per il suo recupero. E poi ci sono i progetti riabilitativi in carcere, come quello attuato dalla stessa Fict con il Centro Torinese di Solidarietà, dove "si cerca di motivare le persone al cambiamento". Un concetto, quello della motivazione, molto importante nella filosofia della Fict che riunisce 48 centri sparsi sul territorio nazionale: "ognuno ha in sé la capacità di riprendersi - spiega don Egidio - e noi ci crediamo perché in 25 anni abbiamo visto come la forza della riabilitazione porta le persone all’autonomia". Quanto alla partecipazione di privati, quindi anche di comunità, nella gestione del "carcere modello" di Castelfranco, don Smacchia mette in guardia dal rischio che "portare la comunità dentro al carcere" determini una confusione tra il concetto di comunità di recupero e quello di carcere. "Non bisogna mai dimenticare - spiega infatti - che da una comunità il tossicodipendente è libero di entrare e uscire quando vuole, dal carcere no". Busto Arsizio: la magistratura dà ragione alla direttrice
Varese News, 28 febbraio 2005
La questione della direzione del carcere di Busto Arsizio sembra al momento risolta, almeno dal punto di vista legale, in favore della direttrice Caterina Ciampoli: erano infatti pendenti due ricorsi da parte della stessa Ciampoli e di Salvatore Nastasia, che le era succeduto tra il dicembre 2003 e il maggio 2004. La direttrice, oggetto di contestazioni da parte tanto dei detenuti quanto delle guardie carcerarie, era stata rimossa dall’incarico per incompatibilità ambientale, trasferita ad Aosta e quindi reinstallata alla direzione del carcere di via per Cassano da una sentenza della Magistratura del Lavoro, che ne aveva "congelato" il trasferimento. Il 7 febbraio scorso una nuova sentenza dei magistrati ha dato ragione a Caterina Ciampoli, che aveva impugnato il trasferimento; una settimana più tardi è stato respinto il ricorso di Salvatore Nastasia, che intendeva conservare la direzione della casa circondariale bustese. Nastasia, pur essendo permanentemente "in missione" in altre carceri del Paese, conserverà - stranezze del diritto - la titolarità della direzione del carcere di Busto Arsizio, essendone stato regolarmente nominato direttore nel dicembre 2003, senza tuttavia potervi mettere piede. Usa: detenuti californiani divisi in base alla razza…
Peace Reporter, 28 febbraio 2005
Pochi mesi dopo aver celebrato il 50° anniversario della sentenza che dichiarò incostituzionale la segregazione razziale nell’istruzione, la progressista California ha scoperto di avere in comune più di quello che pensava con il tipico Stato del profondo Sud americano degli anni Cinquanta: la divisione in base al colore della pelle nelle sue carceri. E sulla legittimità di questa politica, in vigore da 25 anni nei penitenziari del Golden State, anche se nessuna regola scritta la prevede, si pronuncerà a breve la Corte Suprema statunitense. Gruppi omogenei. Quando fanno il loro ingresso in una delle 32 prigioni californiane, per i primi 60 giorni i detenuti vengono sistemati in cella con i prigionieri che la direzione del carcere pensa possano essere più "compatibili": e così i bianchi vanno con i bianchi, i neri con i neri, gli ispanici con gli ispanici. "È una prassi orribile - dice al telefono Gloria Romero, capogruppo dei democratici al Senato californiano -, abbiamo appena festeggiato il 76° anno dalla nascita di Martin Luther King e ci troviamo ancora con un problema del genere". La senatrice, che presiede la Commissione carceri a Sacramento, fino a poco tempo fa non sapeva dell’esistenza della segregazione. "L’ho scoperto leggendo un articolo lo scorso dicembre, e sono rimasta sbalordita. Ho sollevato la questione in Commissione, ora confido in una decisione della Corte Suprema entro pochi mesi", spiega. Il problema delle gang. La logica ufficiale dietro alla divisione razziale nei penitenziari è quella di prevenire il più possibile le violenze tra gang: un problema con cui hanno a che fare molti dei 163.000 detenuti in California. "Non è solo una questione di razza - sostiene Todd Slosek, un portavoce del California Youth and Adult Correctional Agency (Yaca), l’ente che supervisiona le carceri statali -. In gioco ci sono molti più fattori, noi vogliamo solo impedire che persone appartenenti a bande diverse si scontrino tra loro. Dividiamo anche un ispanico del nord da uno del sud, se è per questo. Poi è chiaro che con questo ragionamento vengano divisi anche bianchi e neri: per evitare problemi, meglio separare un afro-americano da uno che elogia la razza ariana, no?". Scarsi risultati. Dati alla mano, se la politica californiana della segregazione vuole limitare la violenza nelle carceri, è arduo sostenere che ci stia riuscendo. Nel 2002 si sono verificati 7.000 casi di aggressione e sette detenuti sono morti: la maggior parte delle violenze era dovuta proprio a scontri tra gang. Nel 2003 l’attuale politica è stata però appoggiata da una corte di appello di San Francisco: giudicando il caso di Garrison Johnson, un detenuto afro-americano che si era rifiutato di entrare in una gang e si sentiva più minacciato in un ambiente segregato, la corte chiese all’imputato di provare l’impossibile, dimostrando che non ci sarebbe stata violenza se la divisione razziale fosse cessata. Il ricatto delle bande. Secondo molti sostenitori dell’attuale politica, sono le stesse bande – come la mafia messicana - che spingono i loro affiliati ad aggregarsi a determinati gruppi. "Se sei ispanico e i membri di una band ispanica ti vedono parlare con un bianco o un nero - spiega alla Reuters un agente penitenziario - ti picchieranno a sangue. Che fai allora? In altre parole, una parte della segregazione è imposta dagli stessi detenuti". Un modo di vedere con cui è d’accordo anche Roderick Hickman, segretario dello Yaca. "Se ci si aspetta che l’ambiente carcerario impedisca alla gente di fare comunella con membri del loro stesso gruppo…chiederei il Nobel per la pace se qualcuno ci riuscisse", ha detto alla Reuters. L’occasione di Schwarzy. Secondo la senatrice Romero, l’iniziale divisione imposta dalle autorità carcerarie incoraggia l’auto-segregazione. "Il messaggio viene dato chiaramente fin dal giorno in cui il detenuto arriva: sei nero? Vai di là", spiega. "Ma sono ottimista. Credo che la Corte Suprema ci darà ragione. Abbiamo de-segregato le scuole, l’esercito, l’assegnazione delle case popolari. Ora anche il presidente Bush ha auspicato la fine di ogni divisione razziale nel Paese. Il governatore Schwarzenegger ha ereditato questa situazione, ora ha l’opportunità e la responsabilità di farla finire". Milano: arriva "Criminal mouse", il Risiko di San Vittore
La Repubblica, 28 febbraio 2005
Chi è lo spesino? A che ora fanno la conta i secondini? Tentare l’evasione è un reato? Tirate i dadi, provate a rispondere, e cercate la strada per la libertà. È uno speciale passatempo tra il gioco dell’oca e Risiko "Criminal mouse", l’ultimo prodotto della creativa redazione de "Il due", il giornale dei detenuti di San Vittore. Così ben fatto da meritarsi la menzione d’onore per l’alto valore sociale del premio veneziano "Archimede" per i giochi da tavolo. A marzo (la data è ancora da fissare) sarà in vendita sul sito del giornale (www.ildue.it), andando ad affiancare il test, "Scopri il delinquente che c’è in te", e gli altri giochi come Fuga per te e Il dilemma del prigioniero (in arrivo anche Evasopoly). Un’idea nata dalla direttrice e animatrice de "Il due", Emilia Patruno, ma sviluppata dai detenuti: ognuno ha dato il suo contributo, proponendo domande, punizioni e promozioni per il topo protagonista del gioco. Editore di Criminal mouse è "Terre di mezzo", il giornale di strada che da tempo ha avviato progetti a San Vittore. "L’idea è quella di far capire anche ai giovanissimi - stiamo organizzando le presentazioni del progetto - come non entrare in carcere, proprio vedendo come ci si vive", spiega Patruno. Due dadi, un grande tabellone, le free e le criminal card da leggere. Si gioca in sei, e ognuno ha un suo profilo criminale e una pena da scontare. Il topo galeotto attraversa tutte le fasi della carcerazione e, a seconda della bravura, arriva alla libertà o torna indietro. Ci sono domande su temi chiave, come la legge Gozzini, e quelle sui film che parlano di carcere (chi è il protagonista di Papillon?). Mille scatole del gioco (che costerà circa 20 euro), sono state già prenotate dal Comune. Palermo: io, sepolto vivo, dipingo per non morire…
Il Messaggero, 28 febbraio 2005
Dice che una cattiva stella, una stella crudele deve essere passata su Mascali quel 4 agosto del ‘44, su quel paesino in provincia di Catania dove è nato per finire sepolto in galera dall’ergastolo. Quarant’anni già scontati su sessanta di vita se vita si può chiamare questo calvario insanguinato fatto di omicidi tutti in carcere, tentati omicidi, evasioni, rivolte; una tragica tourneé, ultima tappa all’Ucciardone. Di buono, in giro per le prigioni più dure d’Italia Antonino Marano dice di aver lasciato i giorni del pentimento e del dolore. Ci sono anche quei suoi disegni regalati alla direttrice del penitenziario di Carinola, i primi della sua seconda vita di pittore del sacro col regime del 41bis: in cella solo le matite, un foglio di carta, la branda. Adesso, nell’antica fortezza dell’Ucciardone, l’ultimo "killer delle carceri" a cui è stato appena negato il suo primo permesso perché ancora ritenuto "socialmente pericoloso", è chiuso nella sezione Eiv (elevato indice di sorveglianza) un gradino sotto al 41bis. In cima alle scale la cappella della sezione, ai lati dell’altare gli acquerelli di Marano. Crocifissi strazianti, paradisi di angeli e nuvole, Madonne bambine e paffute, piccoli Gesù biondi e ricciuti, coroncine di rose.
Signor Marano, la chiamano "il killer" ma lei dice che è stato il carcere a fare di lei un assassino quando era un ragazzo, un piccolo ladro.. "Avevo rubato un Ape, eravamo poveri da morire, e mi hanno condannato a 7 anni e 5 mesi, erano gli anni ‘60, non come adesso, e le pene erano durissime. Sono entrato in carcere e ho pensato questa sarà la mia tomba. Era vero. Allora c’erano le risse, le rivolte con le pistole e i pugnali. A Catania morì così un compagno di pena, mi portarono a Noto. Il primo omicidio: per salvare mio fratello dalle minacce di Carlo Castro. Finì a coltellate, finiva sempre così. Castro morì accusando me e Faro".
Antonino Faro è un altro cosiddetto killer delle carceri. Insieme avete seminato il terrore, siete anche evasi due volte a Siracusa e a Catania. Vi siete pentiti? "Noi allora non avevamo scelta, noi eravamo le vittime dei pentiti, dei Bruschi, li chiamiamo così per via di Brusca. I pentiti e i confidenti li disprezzavamo e ne abbiamo visti tanti da Voghera a Novara, da Pianosa a Poggioreale. i Bruschi venivano trattati bene e noi massacrati. Allora tentavamo la fuga, qualche volta ci riusciva".
È stato un pentito ad accusarla di un altro omicidio durante una rivolta a Catania - Bicocca e lei è evaso... "Quello che ho fatto l’ho fatto: è vero che ho accoltellato un casalese a Potenza perché aveva violentato due ragazzi, due detenuti calabresi e io li ho vendicati. La violenza non l’accetto. Ma a Catania non c’entravo. Sono fuggito, mi hanno ripreso, mi hanno accusato di far parte di un clan mafioso, quello dei Cursoti. Poi sono finito nel processo Epaminonda...".
In quel processo attorno al pentimento del boss accadde di tutto. Perché ha tirato una bomba in aula? "Perché mi avevano sparato: sette colpi calibro 6,35, sempre in aula, nell’udienza precedente. Allora mi sono portato la bomba-carta e l’ho tirata nella gabbia degli altri imputati. Un botto che non finiva più, il presidente si era buttato sotto al tavolo e da lì urlava: l’udienza è sospesa. A me veniva da ridere. Poi mi hanno assolto, l’accusa Epaminonda era un’altra calunnia"
A San Vittore ha tentato di uccidere Andraus in cella... "Andraus lo sa perché: Andraus lo sgozzatore è diventato famoso e di moda, come se fosse una brava persona, e anche Tuti. È proprio a Tuti devo la mia rovina definitiva. A Voghera ci siamo incontrati all’aria, ne è nata una lite a pugni. Lui adesso è fuori e io sono finito a Carinola, un inferno come Pianosa, con un 14bis ferocissimo. Non avevo fatto più omicidi, evasioni. Aspettavo di rinascere e mi hanno sepolto di nuovo. Ora sono qui a implorare un permesso per conoscere i miei nipotini e mi dicono no. Chiedo di tornare in un carcere del nord Italia per avere un lavoro che mi faccia mandare qualche soldo a mia moglie, povera donna, e mi dicono no".
Quando ha ritrovato la fede in carcere per poi diventare "il pittore del sacro"? "I giorni più duri, mentre pensavo di morire di dolore in fondo a una cella ho ricordato le parole delle preghiere di quando ero piccolo. Non ne parlavo con nessuno perché la fede è una cosa di cui avere pudore. Poi ho chiesto la carta e una matita e la fede l’ho disegnata. Quando mi hanno concesso anche i colori è stata una gioia. Adesso ogni mattina faccio cento flessioni e riordino la cella, poi mi metto a pensare alla mia vita e so che è vero quando dico che la violenza l’ho sempre odiata, potete credermi?". Firenze: concerto lirico a Sollicciano, il primo in carcere italiano
La Nazione, 28 febbraio 2005
"All’alba vincerò"... canta il principe Calaf il giorno prima di affrontare l’enigma della Principessa di gelo, Turandot, che può costargli la testa. E "All’alba vincerò", canto d’amore e, soprattutto, di speranza è il titolo scelto per il primo concerto lirico organizzato per un pubblico di detenuti, che si terrà nel carcere di Sollicciano il 3 marzo prossimo. Quattro gli interpreti per arie considerate tra la più famose, e anche le più impegnative: la soprano siciliana Anna Stracquadini, il tenore calabrese Giuseppe Varano, la mezzosoprano ferrarese Nadia Pirazzini e il baritono fiorentino Donato Asquino, accompagnati al pianoforte da Angela Baroncelli. Il quartetto di voci, impegnato tra Parma e la Sicilia, ha accettato l’invito dell’Arci di realizzare questo concerto scegliendo, ha detto Asquino, "arie che rendessero omaggio al pubblico che ci ascolterà. È stato un atto di reverenza nei confronti dei detenuti che hanno chiesto di ascoltarci proporre arie anche difficili come "Là ci darem la mano" dal Don Giovanni di Mozart o "Mon coeur s’ouvre à ta voix" di Saint Saens. Tra l’altro sappiamo che ci saranno, tra il pubblico, detenuti maghrebini, quindi di lingua francofona: per loro abbiamo pensato a due arie in francese: Saint Saens, appunto, e "Habanerà dalla Carmen di Bizet". Se vogliamo, è un modo per evadere. Un evento che potrà aprire la strada ad altre iniziative nel carcere fiorentino, dove già vengono tenuti corsi di yoga e di teatro, dove la sperimentazione è uno dei modi per preparare al fuori chi sta dentro. Ma la lirica, che somma in sé i linguaggi universali della musica e della poesia, questa volta ha il compito di portare dentro chi normalmente sta fuori. Così, tra i trecento detenuti ammessi al concerto, si mescoleranno anche rappresentanti delle istituzioni.
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